5
integrare il lavoro degli analisti ma non sostituirlo: è da evitare sia l’eccessiva
personalizzazione che l’adozione acritica di metodi meccanici.
Lungi dal limitarsi a una semplice innovazione di carattere tecnico i modelli interni
sono in grado di assicurare significativi miglioramenti gestionali per quelle realtà
aziendali che per prime saranno in grado di tradurre le stime quantitative ottenute in
indicazioni operative per migliorare processi e approcci al business.
La capacità di adeguarsi tempestivamente e di dotarsi di un modello interno potrà
inoltre rappresentare un fattore distintivo nello scenario competitivo dei prossimi anni.
Il presente lavoro, con cui si cerca di fornire un quadro d’insieme degli aspetti sopra
menzionati, è articolato come segue. Nel primo capitolo vengono esposti i concetti
fondamentali che sono alla base della trattazione: il rischio di credito con le sue
componenti principali, la perdita attesa, la perdita inattesa e la probabilità di insolvenza.
Segue l’esposizione dei profili evolutivi delle logiche di Credit risk management. Per
una banca, Basilea 2 e i rating interni non devono rappresentare, infatti, il
raggiungimento di un obiettivo ma il punto di partenza per lo sviluppo di un più
completo modello di portafoglio.
Il secondo capitolo entra nel merito dell’impianto generale dell’Accordo sul capitale,
nella versione di giugno 2004, tema quanto mai attuale data la sua entrata in vigore nel
2007. Vengono messi in evidenza i limiti della precedente formulazione del 1988, che si
basava su requisiti minimi di capitale applicati uniformemente a tutte le banche senza
tener conto della rischiosità effettiva dei singoli portafogli. Si descrive poi il contenuto
dei tre pilastri sui quali poggia il nuovo ambizioso progetto di revisione generale delle
regole di adeguatezza patrimoniale, volto ad assicurare una copertura più ampia dei
rischi ed una loro misurazione più precisa, in linea con le prassi più evolute di
autocontrollo interno.
Il terzo capitolo cerca di spiegare il perché una banca dovrebbe dotarsi di un sistema di
rating interni. Si illustrano, a tal fine, alcune possibili ricadute dei sistemi di rating sui
processi aziendali soffermandosi in particolare sulle logiche di pricing del credito, di
dimensionamento degli accantonamenti a fronte dei prestiti in bonis, di calcolo della
redditività aggiustata per il rischio della banca. Non si trascurano infine le difficoltà
relative alla progettazione e realizzazione dei sistemi.
6
L’ultimo capitolo vuole essere una panoramica sui diversi processi di produzione dei
credit rating, mettendone in luce vantaggi, svantaggi ed ambiti di applicabilità. Si passa
dalle metodologie che coinvolgono le diagnosi dell’analista, a quelle che effettuano una
selezione sulla base di tecniche automatiche, quali i sistemi di scoring, a quelle che
utilizzano i dati sul prenditore, disponibili sui mercati dei capitali, fino a quelle di tipo
meramente assicurativo.
7
1. Il rischio di credito in banca
1.1 Il sistema finanziario
Il sistema finanziario, costituito dall’insieme organizzato di mercati, intermediari e
strumenti finanziari, è una struttura che migliora il funzionamento, l’efficienza, la
competitività e la capacità di produrre ricchezza dell’economia reale. Attraverso il
sistema finanziario si svolgono i processi di regolamento degli scambi, di trasferimento
delle risorse finanziarie, dalle unità in avanzo a quelle in disavanzo, di accumulazione
del risparmio, di finanziamento degli investimenti e di gestione dei rischi
1
.
Partendo da una considerazione di carattere generale si può affermare che,
tradizionalmente, nel panorama delle economie avanzate si possono evidenziare due
principali tipologie di sistemi finanziari: l’una, di stampo anglosassone, incentrata sul
mercato, l’altra caratteristica dei paesi dell’Europa continentale, fondata sul ruolo
prevalente degli intermediari
2
.
I sistemi mercato-centrici si caratterizzano per la fiducia nella completa autonomia del
mercato nel garantire un’efficiente allocazione delle risorse. Si ritiene, infatti, che il
mercato, offrendo le stesse opportunità iniziali a tutti gli operatori, ossia, in altri termini,
realizzando la piena concorrenzialità del sistema, sia in grado di selezionare le diverse
opportunità di investimento, allocando le risorse disponibili verso quelle più redditizie,
e di esercitare a posteriori un controllo sul perseguimento di tale redditività, attraverso
una costante attività di monitoring.
In questi sistemi vi sono generalmente mercati secondari dei crediti piuttosto liquidi,
numerose sono le imprese quotate e particolarmente diffusa è la pratica del rating.
Nei paesi dell’Europa continentale, invece, l’orientamento verso sistemi banco-centrici
è giustificato dalla circostanza di essersi affermati, nel processo di sviluppo economico
mondiale, solo in un momento successivo rispetto ai paesi anglosassoni.
In questo caso la scelta di un sistema finanziario fondato sul ruolo degli intermediari ed,
in particolare sul sistema bancario, era l’unica possibile per colmare il gap tecnologico e
industriale, in tempi più ristretti rispetto a quelli che sarebbero stati necessari per
1
Forestieri G. Mottura P., ”Il sistema finanziario” , Egea, Milano, 2002.
2
Carosio G., “La proposta di modifica dell’accordo sul capitale”, in Modelli per la gestione del rischio
di credito - I ratings interni , Tematiche Istituzionali, Banca d’Italia, Roma, 2000.
8
favorire una graduale evoluzione del mercato dei capitali, allora ancora troppo limitato,
sottile e non sufficientemente profondo, per sostenere appieno lo sviluppo economico.
Nei sistemi banco-centrici i mercati secondari dei crediti sono ancora poco sviluppati,
scarse sono le imprese quotate e ancor meno quelle a cui è attribuito un rating, la cui
diffusione è ancora a livelli embrionali.
Un ruolo predominante delle banche nella canalizzazione dei flussi finanziari
dell’economia, rispetto al ruolo assunto dai mercati, rappresenta una caratterizzazione
peculiare anche del nostro sistema finanziario
3
.
Negli ultimi anni i sistemi finanziari sono stati sottoposti a profonde trasformazioni. La
deregolamentazione, la tendenza verso economie di mercato integrate a livello globale e
l’innovazione finanziaria hanno ridisegnato la struttura dei sistemi e contribuito allo
sviluppo di regole del gioco sempre più orientate ai principi della concorrenza e del
mercato. Nel caso italiano, questo cambiamento è stato ancor più radicale.
Tutto ciò crea da un lato nuove opportunità ma dall’altro comporta sempre maggiori
rischi legati alla difficoltà di conoscere a fondo ogni elemento in gioco.
Non si tratta tanto di nuove tipologie di rischio quanto di una diversa modalità di
manifestazione di quelli già tradizionalmente noti agli intermediari. In particolare, è
aumentata la complessità dell’intero profilo di rischio della banca, che vede la
coesistenza di diverse componenti di rischiosità tra loro interrelate, nonché la variabilità
dell’esposizione, che può profondamente modificarsi anche in tempi molto brevi.
3
De Lisa R., “I sistemi interni di credit rating”, FrancoAngeli, Milano, 2002.
9
1.2 I rischi dell’attività bancaria
Il rischio è connaturato a qualsiasi forma di attività economica, dal piccolo negozio al
dettaglio alla grande banca di affari. La gestione stessa di impresa è sinonimo di
rischio
4
: a causa del continuo mutamento delle condizioni nelle quali ogni impresa si
trova ad operare, la sua gestione risulta inevitabilmente soggetta a condizioni di
instabilità ed incertezza. Ad esse si associa un concetto generale di rischiosità che si
identifica con la possibilità che il risultato di una particolare operazione, o della
complessiva attività aziendale, misurato ex post, sia diverso dall’obiettivo definito ex
ante.
La seguente trattazione non riguarderà però i rischi generici condivisi da tutte le
imprese. Al riguardo, ad esempio, il rischio reddituale, definito dal livello e dalla
variabilità del roe, che deriva soprattutto dalle relazioni tra la variabilità dei ricavi e
quella dei costi, è sicuramente qui trascurabile perché comune a qualsiasi tipo di
impresa.
Si vogliono invece classificare sistematicamente tutte le categorie di rischio che una
banca assume fisiologicamente nello svolgimento della propria attività e che quindi
gravano sulla sua gestione, che consiste proprio nell’assunzione e nel controllo dei
rischi stessi. Un filone della letteratura specialistica, infatti, individua proprio nella
trasformazione del rischio (oltre che delle scadenze) il motivo economico dell’esistenza
degli intermediari
5
. Essi attraverso questa operazione creano quel cosiddetto “circuito
indiretto” che facilita la connessione tra soggetti in avanzo finanziario e soggetti in
disavanzo finanziario
6
.
Nella letteratura, assai vasta sull’argomento, sono riscontrabili numerose definizioni e
classificazioni, tuttavia una generica suddivisione, ripresa poi da quasi tutti gli autori, è
certamente quella tra rischi puri e speculativi
7
. I primi possono per loro natura condurre
a condizioni solo negative e si manifestano sottoforma di perdite o danni futuri non
definibili nella frequenza e nella gravità. Si tratta di rischi contro i quali ci si può o
4
Onado M., “La banca come impresa”, Il Mulino, Bologna, 2003.
5
Bianchi T., “I fidi bancari”, Utet, Torino, 1968.
6
Banfi A., “I mercati e gli strumenti finanziari”, Utet, Torino, 1998.
7
Ruozi R., “Economia e gestione della banca”, Egea, Milano, 1997; Drago D., “I rischi dell’attività
bancaria”, in Fabrizi P. (a cura di), Nuovi modelli di gestione dei flussi finanziari nelle banche, Giuffrè,
1995.
10
meno assicurare, ma alla cui esposizione non si accompagna alcuna probabilità di
guadagno.
I rischi speculativi, invece, sono a due facce perché possono manifestarsi sia in senso
positivo che negativo: essi sono rischi la cui assunzione comporta anche la probabilità
di realizzare dei profitti e non solo quella di generare effetti negativi sulla gestione.
Molti di essi si trovano racchiusi nelle attività finanziarie che, anzi, ne contengono di
più tipi insieme.
Risulta, quindi, subito evidente che sono proprio gli intermediari finanziari, le banche in
special modo, i soggetti più esposti ai rischi suddetti, sia per la loro natura di imprese
sia per la struttura dei loro bilanci.
Le banche infatti hanno bilanci composti da attività e passività finanziarie che
presentano caratteristiche di liquidità, scadenza, valuta e solvibilità diverse e soggette
perciò ad incertezza legata alla situazione del debitore, alle condizioni del mercato,
all’andamento economico generale e così via.
Nell’analisi che segue, riferita ovviamente all’attività della banca, si farà riferimento ai
rischi specifici e caratteristici dell’intermediazione finanziaria, riconducibili a tre classi
ben note
8
:
ξ il rischio economico, concernente l’equilibrio tra costi e ricavi, incide sui
risultati reddituali della banca stessa e consiste nella probabilità, più o meno
elevata, che il risultato di periodo si manifesti in misura diversa da quella
attesa, includendo non solamente eventi recanti effetti negativi sulla gestione.
ξ il rischio finanziario, riguardante l’equilibrio tra flussi di cassa in entrata e in
uscita (derivanti dall’accensione e dall’estinzione delle attività e delle
passività), consiste nell’eventualità che si manifesti un deficit o un’eccedenza
di riserve di liquidità rispetto al livello ottimale.
ξ il rischio patrimoniale, attinente alla struttura patrimoniale della banca, consiste
nell’inadeguatezza del livello dei mezzi propri rispetto alla rischiosità
dell’attivo e all’auspicabile accrescimento dei volumi trattati.
Le ultime due categorie di rischio possono essere considerate di natura secondaria
perché, in via indiretta, comunque incidono sui risultati economici dell’intermediario.
8
Abrami L., “La rilevazione e la quantificazione dei rischi nella gestione bancaria”, in Bancaria n.
4/2002.
11
L’attenzione deve essere quindi portata, come sempre più banche stanno facendo, sui
rischi economici che si dividono in:
ξ rischi di controparte
ξ rischi di mercato
I primi sono legati all’eventualità che la controparte contrattuale della banca si riveli
inadempiente per modi, tempi o dimensioni agli obblighi assunti, a causa di un
deterioramento delle sue condizioni economico-finanziarie rispetto a quelle iniziali.
Considerando le operazioni creditizie, si possono individuare due tipologie di rischio,
cui soggiace la gestione bancaria, riconducibili alla categoria in esame: il rischio di
credito in senso stretto e quello di liquidità.
Il rischio di credito, su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo, si lega all’ipotesi
che il debitore non assolva agli obblighi assunti, di restituzione del capitale e pagamento
degli interessi, sicché la sua posizione debba essere inclusa fra quelle in sofferenza.
Il rischio di liquidità deriva dalla possibilità che il prenditore osservi le pattuizioni
contrattuali in tempi successivi rispetto a quelli prestabiliti, sicché i suoi crediti
assumano le caratteristiche proprie delle partite incagliate, non essendoci ancora i
presupposti per una condizione di insolvenza definitiva.
Nelle operazioni a carattere internazionale, se l’inadempienza del debitore è attribuibile
a cause dipendenti dal quadro macroeconomico, istituzionale o politico in cui esso opera
allora si parla di rischio paese.
Per concludere le identificazioni delle diverse figure del rischio di controparte, occorre
menzionare anche il rischio di regolamento. Esso caratterizza non i contratti di credito
ma le transazioni su strumenti finanziari, ossia le compravendite di titoli, valute e di
contratti derivati.
Inoltre la banca, come ogni altra impresa, è esposta al rischio che comportamenti umani
illegali o inappropriati, disfunzione dei complessi sistemi di information e comunication
technology, inadeguatezza nei processi interni di controllo e nelle scelte di tipo
organizzativo nonché fattori esterni possano avere ripercussioni negative sul livello di
profittabilità e generare perdite. In questo ultimo caso si dice che il rischio economico
assume la configurazione di rischio operativo.
I rischi di mercato, diversamente da quelli di controparte, sono da ricondurre alla
categoria dei rischi speculativi e si riferiscono all’andamento non prevedibile e non
12
governabile delle variabili macroeconomiche del mercato in cui si opera,
evidenziandone gli effetti sul risultato reddituale della gestione. In altri termini, essi
derivano da variazioni inattese nel valore degli strumenti finanziari posseduti dalla
banca, dovute a variazioni dei prezzi delle attività finanziarie, dei tassi di interesse e dei
tassi di cambio.
Il rischio di prezzo, che colpisce soprattutto i valori azionari, è connesso agli andamenti
economici degli enti emittenti, ma anche agli interventi di speculatori e arbitraggisti,
oltre che a normali condizioni di svolgimento delle operazioni sui mercati
regolamentati.
Il rischio di tasso d’interesse, che riguarda la dinamica dei saggi d’interesse, si identifica
con la possibilità che l’andamento dei tassi di mercato provochi variazioni divergenti
del rendimento medio degli impieghi e del costo medio della raccolta con conseguenti
ripercussioni sul margine e sugli equilibri di gestione. Nel caso di attività negoziabili o
comunque trasferibili esso trova espressione nelle variazioni di prezzo delle stesse
attività mentre per i prestiti non trasferibili il rischio in questione incide direttamente sul
margine.
Il rischio di cambio concerne l’eventualità che la volatilità dei tassi di cambio determini
variazioni impreviste nel valore delle posizioni denominate in valuta estera.
Rientra, infine, in questa specifica categoria, anche il rischio inflazionistico,
riconducibile all’impatto di un determinato andamento nel livello generale dei prezzi sul
valore delle attività e passività detenute. È vero che in periodi caratterizzati da tassi
annui d’inflazione bassi, la percezione del problema è ridotta, ma in linea teorica la sua
indicazione non può essere trascurata.
Una corretta misurazione dei rischi, sopra elencati, a cui è esposta l’attività bancaria è
fondamentale perchè permette di
9
:
ξ allocare in modo efficiente il capitale della banca tra le diverse aree di attività,
ottimizzando la relazione rischio-rendimento. L’efficiente allocazione del
capitale prevede infatti di allocarne di più laddove i rischi sono maggiori e
viceversa. Il diverso grado di rischio si rispecchia quindi nella diversa quantità
di capitale allocato
10
che riflette le diverse volatilità del business.
9
Onado M., “La banca come impresa”, Il Mulino, Bologna, 2003.
10
Di Antonio M., “Vecchi e nuovi indicatori di performance economico-finanziaria in banca: un
inquadramento concettuale”, in Apb news n. 3/1999.
13
ξ calcolare indicatori di performance aggiustata per il rischio, che consentano di
valutare i risultati della banca non solo a livello di singolo cliente ma anche nel
complesso.
ξ verificare l’adeguatezza patrimoniale della banca rispetto ai rischi assunti.
Infatti, quando la banca non dispone di un’adeguata dotazione di capitale
proprio per coprire le perdite eventualmente generate dai rischi incorre in un
rischio di insolvenza che la conduce al fallimento. È perciò importante che il
management della banca mantenga una giusta relazione tra la disponibilità di
capitale proprio e l’entità dell’esposizione complessiva ai rischi tanto più che,
anche l’autorità di vigilanza si sta muovendo nella medesima direzione.
È perciò fondamentale non solo identificare i driver di rischio e la loro attribuzione alle
diverse aree di affari ma anche quantificarne i potenziali effetti negativi sulla redditività,
ossia la loro incidenza in termini di assorbimenti patrimoniali
11
. Per giudicare la bontà
di un investimento la sola analisi di un aspetto o dell’altro porterebbe, infatti, a un
risultato parziale in cui la massimizzazione del rendimento potrebbe nascondere anche
rischi inaccettabili. Solo la combinazione tra le due dimensioni di valutazione
permetterà una visione certa della correttezza degli investimenti, garantendo valore
aggiunto alle attività bancarie del prossimo futuro.
Per lungo tempo si è commesso, inoltre, l’errore di considerare separatamente i diversi
fattori di rischio legati alla gestione bancaria. Oggi invece la banca, da azienda divisa
solo in termini di articolazione territoriale, è divenuta progressivamente una collezione
di molteplici business relativamente autonomi, ciascuno caratterizzato da differenti
prodotti, clienti, canali distributivi, mercato geografico di riferimento. Ogni unità di
business, inoltre, secondo la tipologia e la dimensione della stessa, genera diverse
esposizioni al rischio: di credito, di tasso, di liquidità, operativo… In alcuni casi, il
rischio di un’unità può essere compensato da un’esposizione opposta di un’altra unità;
ma in altri casi, i rischi delle diverse unità possono essere positivamente correlati tra
loro, con effetti di tipo moltiplicativo sul rischio globale. Ecco perché le moderne teorie
e prassi operative focalizzano l’attenzione su una visione unitaria ed integrata del
problema.
11
Neri C.G., “Creazione di valore, allocazione del capitale e modelli di analisi del rischio di credito”, in
Modelli e soluzioni innovative per la gestione dei rischi di credito, Bancaria n. 2/2000.
14
Anche le istruzioni di vigilanza sui sistemi dei controlli interni
12
, emanate nell’ottobre
del 1988, si pronunciano in tal senso. Esse precisano che per i rischi quantificabili “le
banche devono disporre di sistemi che consentano di identificare, misurare e controllare
l’esposizione alle singole fattispecie di rischio, nonché di gestire l’esposizione
complessiva, anche tenendo conto delle possibili correlazioni esistenti tra le fattispecie
medesime”.
La capacità della banca di essere consapevole del rischio a cui è esposta
complessivamente è ormai la sfida alla quale è chiamata a rispondere la funzione di risk
management.
Obiettivo della struttura di risk management di una banca è un integrato ed evoluto
processo di valutazione, gestione e controllo del livello di risk exposure dell’attività di
intermediazione bancaria, di cui i rischi di mercato rappresentano, perciò, solo un primo
stadio Il passo successivo, e più importante, concerne la gestione e il controllo del
rischio di credito; un ulteriore step, solo recentemente oggetto di analisi da parte
dell’industria bancaria, risiede poi nella gestione dei rischi operativi
13
.
Hanno contribuito allo sviluppo del rischio di mercato in primo luogo, la
globalizzazione dei mercati finanziari, che ha portato le banche ad intensificare le
attività di negoziazione sui mercati mondiali e in secondo luogo, la diffusione di
strumenti derivati nuovi, la cui funzione è sempre più speculativa piuttosto che di
copertura.
L’esigenza delle banche di controllare le esposizioni assunte con le varie posizioni
aperte sui mercati ha determinato, in primis, la nascita e la diffusione di modelli interni
di gestione dei rischi di mercato, basati su tecniche statistiche come il var e
successivamente accettati anche a fini di vigilanza: oggi la maggior parte delle
principali banche europee sono ben attrezzate per calcolare i rischi di mercato cui sono
esposte, anche grazie alle direttive CAD.
Relativamente agli altri rischi, invece, sono stati condotti numerosi approfondimenti,
tenuto conto delle difficoltà tecniche che la loro valutazione comporta: mentre i rischi di
mercato sono facilmente standardizzabili, quelli creditizi comportano maggiori
12
Circolare n. 4 del 29.3.1988, 145° aggiornamento del 9.10.1998. La materia è poi confluita nella
nuova circolare n. 229 del 21.4.1999 (si veda in particolare, il Titolo IV, Capitolo 11).
13
D’Auria C., Gaetano A., Pastore F., “Profili evolutivi del credit risk management nelle banche
italiane”, in Bancaria n. 1/2001.
15
problemi di standardizzazione a causa del numero infinitamente più grande di operatori
coinvolti e della assoluta specificità di ogni singolo affidamento che, pure, sarà
necessario ricondurre a categorie omogenee. Perciò è solo con l’accordo sul capitale,
pubblicato dal Comitato di Basilea nel giugno del 1999, che si contempla la possibilità
di implementare sistemi più sofisticati per la gestione del rischio di credito e di
utilizzare le valutazioni interne (rating) delle banche sulla solvibilità delle controparti e,
in prospettiva, anche modelli interni di portafoglio, a fini prudenziali, per il calcolo dei
requisiti patrimoniali a fronte del rischio stesso.
Infine anche per i rischi operativi si stanno prospettando sistemi di valutazione interna
da svilupparsi in un’ottica di medio-lungo periodo.
Da questo punto di vista, è significativa la differenza con le altre banche europee: lo
sforzo che viene fatto negli altri paesi per accelerare l’introduzione delle tecniche di
gestione BRM, ci appare più rilevante e incisivo di quello che si riscontra in Italia.
In questo lavoro si intendono approfondire prevalentemente le problematiche relative al
rischio di credito proprio perché è in questa area che le banche italiane sono più deboli
rispetto ai loro concorrenti europei: ovviamente deboli perché non hanno pienamente
acquisito le logiche di governo delle risk exposure dei portafogli impieghi nel loro
complesso e perché non sono ancora “attrezzate” per dar vita a un efficace mercato del
rischio di credito
14
.
14
Sironi A, Marsella M., “La misurazione e la gestione del rischio di credito”, Bancaria Editrice, Roma,
1999.
16
1.3 Il rischio di credito
Il sistema bancario è tradizionalmente chiamato all’impiego delle risorse finanziarie,
soprattutto sottoforma di credito erogato a persone fisiche ed imprese.
Il lending business rappresenta il principale asset finanziario in tutti i sistemi bancari
mondiali
15
. I prestiti costituiscono, ancora oggi, l’attività fruttifera di gran lunga
prevalente nel bilancio delle banche: il rapporto tra prestiti e titoli era, infatti, pari a 3,54
nel 1998 e gli interessi attivi su prestiti rappresentavano circa 5 volte il totale degli
interessi sul portafoglio titoli. Quindi la tradizionale attività di prestito (raccolta e
impiego) contribuisce in modo determinante alla redditività complessiva della banca:
esiste cioè una forte correlazione tra il margine di interesse e la redditività dell’attivo di
una banca
16
.
La gestione strategica del credito può quindi tradursi in un aumento significativo del
roe: in alcuni casi europei sono stati consuntivati incrementi di ben 12 punti
percentuali
17
.
L’attività di concessione e gestione del credito alla clientela ricopre un ruolo così
fondamentale e strategico nella performance bancaria complessiva, non solo per gli
enormi volumi in gioco, ma anche perché essa rappresenta un potente strumento di
creazione e mantenimento di relazioni commerciali e di mercato. Il legame creditizio è
il cardine della relazione banca-cliente e costituisce una fonte di grande valore anche
per l’attività di retail e personal financial services. Infatti il credit lending, pur non
producendo direttamente dei margini, contribuisce a creare un circuito di redditività
indiretta proprio attraverso i servizi correlati all’attività stessa di concessione dei crediti.
È ormai provato, del resto che esiste una forte relazione tra la quota di mercato detenuta
da una banca sugli impieghi e il margine da servizi che la stessa azienda bancaria
genera
18
.
Facendo riferimento al bilancio della banca, è evidente perciò, che il rischio di credito
rappresenta la componente più rilevante, anche se non l’unica, dei rischi a cui la banca
15
Zadra G., “Prospettive del mercato prestiti in Italia”, in Bancaria n. 2/2000.
16
Onado M., “La gestione del rischio di credito e l’ottimizzazione del capitale impiegato”, in Bancaria
n. 2/2000.
17
Bombonato C., Buzzi V., Goos E., “Alle soglie di una nuova era del credito”, in Modelli e soluzioni
innovative per la gestione dei rischi di credito”, Bancaria n. 2/2000.
18
Si veda Bombonato C. (2000).
17
si espone nello svolgimento della propria attività di intermediazione ed è verosimile
che, almeno per le banche retail, sarà così anche in futuro.
Il rischio di credito concorre, infatti, a determinare il 60-70% del totale del capitale a
rischio delle banche commerciali europee e, considerando i requisiti specifici richiesti
dalla Banca d’Italia, ben il 92% del patrimonio di vigilanza complessivo è originato da
attivi che hanno una relazione con l’attività di credito, come peraltro desumibile dal
dato concernente l’adeguatezza patrimoniale del sistema bancario italiano al 2002. Il
corporate e il retail banking, che sono le aree di affari dove si concentra
prevalentemente l’attività creditizia, contribuiscono alla creazione del 16% del valore
totale generato dal settore bancario europeo, mentre assorbono il 73% del capitale a
rischio
19
.
È opportuno però ricordare che il rischio di credito non è di esclusiva pertinenza dei
settori di retail e corporate banking ma anche, seppur in misura diversa, delle attività di
asset management, investment banking e insurance.
Il rischio di credito, inoltre, non riguarda soltanto, e nemmeno prioritariamente, gli
istituti maggiori ma anche le banche di non grandissime dimensioni.
Infatti, le perdite legate al cattivo esito delle operazioni di impiego danneggiano, in
misura percentualmente maggiore, proprio quel tessuto di banche di medie e piccole
dimensioni, che rappresenta una ricchezza del nostro sistema creditizio
20
.
A questo punto, appare utile soffermarsi sul concetto di rischio di credito, termine che a
prima vista potrebbe sembrare scontato ma, che in realtà, racchiude in sé diversi
significati e componenti che devono essere analizzati e chiariti.
“Se il credito può essere definito come nient’altro che l’attesa di una somma per un
tempo limitato, allora il rischio di credito è la possibilità che tale attesa resti vana”
21
.
Da questa semplice, ma assai eloquente, definizione emerge il fatto che nella prassi
operativa delle banche il rischio in questione è stato erroneamente, per lungo tempo,
identificato esclusivamente con il rischio di insolvenza (default ) del debitore.
Secondo una nozione più recente ed articolata, ormai condivisa nel mondo accademico,
per rischio di credito si intende, invece, il rischio che una variazione inattesa del merito
19
Si veda Bombonato C. (2000).
20
Resti A., “Misurare e gestire il rischio di credito nelle banche: una guida metodologica”, AlphaTest,
Milano, 2001.
21
Caouette J.B., Altman E.I., Narayanan P., “Managing Credit Risk: The Next Financial Challenge”,
John Wiley & sons, New York, 1998.
18
creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste una esposizione, generi una
corrispondente variazione inattesa del valore della posizione creditoria.
A ciò seguono alcune riflessioni che, lungi, dall’essere scontate, vale la pena esplicitare.
In primo luogo, perché possa parlarsi di rischio occorre che la variazione del merito di
credito sia inattesa. Generalmente, infatti, le prospettive di evoluzione delle condizioni
economico-finanziarie dell’affidato vengono opportunamente valutate in sede di
determinazione della probabilità di insolvenza e del connesso tasso attivo. La reale
rischiosità di un prestito non è, perciò, associata alle perdite che esso può generare, ma
solo alle perdite inattese, in altri termini, essa è legata alla possibilità che le valutazioni
effettuate ex ante risultino a posteriori errate, a causa di un deterioramento della
controparte non previsto dalla istituzione finanziaria creditrice.
In realtà nella prassi operativa del sistema bancario solo di recente si considera anche
questa componente.
Un secondo concetto implicito nella definizione di partenza riguarda il fatto che il
rischio di credito non può identificarsi solo con quello di insolvenza del prenditore, in
quanto anche la semplice variazione dello standing iniziale di questo ultimo deve
considerarsi una manifestazione del rischio suddetto.
Da qui emergono le due parti fondamentali del rischio di credito. La prima
determinante, il rischio di insolvenza, esprime la possibilità che il debitore non sia in
grado di onorare i pagamenti derivanti dal contratto di credito, siano essi a titolo di
pagamento degli interessi o di rimborso del capitale. Esso è rappresentato dalla perdita
economica che la banca potrebbe subire se l’evento si verificasse, pari alla differenza tra
il valore del credito e quanto effettivamente recuperato.
La probabilità di insolvenza viene misurata attraverso un giudizio sintetico (rating )
emesso da apposite agenzie specializzate o dagli analisti della banca stessa.
La seconda determinante, nota come rischio di migrazione o transizione, comporta la
riduzione del valore di mercato del prestito detenuto; il valore di un prestito è dato dal
valore attuale dei flussi di cassa futuri ad esso associati, calcolato utilizzando un tasso di
sconto pari al tasso risk free più uno spread che, è tanto più elevato quanto maggiore è il
rischio di insolvenza della controparte.
Un deterioramento nel tempo del merito creditizio di questa ultima trova riscontro in un
declassamento del rating e conseguentemente in un aumento della probabilità di