mancanza di una capsula fibrosa; l’accrescimento invasivo con
infiltrazione progressiva dei tessuti e degli organi circostanti; la capacità di
dare origine a localizzazioni secondarie (metastasi), lontane dalla sede
primitiva d’insorgenza del tumore.
La proliferazione cellulare è controllata da una serie di eventi che
definiscono il "ciclo cellulare". Una delle fasi cruciali del ciclo è la
replicazione del DNA, l'operazione di "copiatura" del corredo genetico che
precede la divisione cellulare vera e propria. La replicazione garantisce
che il patrimonio genetico delle cellule figlie sarà identico a quello della
cellula madre.
Durante la replicazione del DNA vengono generati continuamente errori,
solitamente riparati dallo stesso meccanismo di replicazione.
Il sistema, in genere molto efficiente e veloce, a volte si inceppa; a questo
punto intervengono i meccanismi molecolari di controllo, i cosiddetti
“checkpoints”. I checkpoints, assicurano che la cellula sia competente, in
grado cioè di passare allo stadio successivo del ciclo cellulare, rallentando
la progressione del ciclo fino a quando le anomalie non sono state riparate
o rimosse.
Se però i checkpoints funzionano male, i difetti non vengono riparati la
stabilità del genoma non è più garantita e si induce una predisposizione
all'insorgenza di tumori.
La strategia terapeutica contro le malattie tumorali si articola su un ampio
ventaglio di interventi che devono essere mirati per ogni specifica forma di
tumore e lo stadio di sviluppo a cui si trova.
I progressi in campo medico, chirurgico e radioterapico hanno permesso a
molte neoplasia di diventare curabili.
La resezione chirurgica totale è il trattamento di scelta nella maggior parte
delle neoplasie solide localizzate. Però, poiché molte di esse hanno già
dato micrometastasi al momento della diagnosi, si è soliti integrare il
trattamento chirurgico con altre metodiche, per ottenere il controllo locale
e a distanza della neoplasia.
L’effetto biologico delle radiazioni si esplica attraverso un processo detto
ionizzazione, consistente nell’emissione di elettroni dalle molecole
bersaglio. Lo scopo della radioterapia è quello di distruggere le cellule
neoplastiche, risparmiando quelle sane.
L’intervento sistemico contro la proliferazione delle cellule tumorali
nell’organismo si avvale principalmente dei farmaci chemioterapici.
In particolare, nel presente lavoro, verrà fatto riferimento all’Etoposide, un
antitumorale somministrato in chemioterapia attivo nel tumore polmonare
a piccole cellule, nei linfomi e nei tumori testicolari.
È’ una sostanza che appartiene alla classe degli Inibitori delle
Topoisomerasi di tipo II, enzimi fondamentali che srotolano e rilassano i
filamenti del DNA durante la replicazione.
La causa più frequente del fallimento della chemioterapia è la resistenza
ai farmaci e la probabilità di svilupparla è proporzionale alle dimensioni del
tumore e al grado di mutazione del gene della farmacoresistenza, il cui
prodotto è una proteina che impedisce l’accumulo intracellulare del
farmaco.
Sono nati così i protocolli polichemioterapici che trovano il loro razionale
nel fatto che agendo con meccanismi diversi, è più difficile che la
neoplasia sviluppi resistenza a tutti.
Capitolo 1
Basi molecolari del cancro
1.1 Il ciclo cellulare e gli oncogeni
Negli eucarioti le cellule somatiche vanno normalmente incontro ad eventi
duplicazionali; da una singola cellula madre si ottengono due cellule figlie
con lo stesso corredo cromosomico della cellula progenitrice. L’evento
fisico di divisione nucleare viene chiamato mitosi. (1)
La divisione cellulare per mitosi ha luogo mediante una successione
continua di stadi che vengono chiamati ciclo cellulare.
L’intera fase della mitosi (M) richiede, nella maggior parte delle cellule,
soltanto una piccola frazione del tempo totale richiesto dall’intero ciclo.
Il periodo molto più lungo che intercorre fra una fase M e la successiva è
noto come interfase; questa inizia quando una cellula, proveniente da una
precedente divisione cellulare, entra in un periodo di accrescimento in cui
sintetizza proteine ed altre molecole cellulari, ma durante il quale non
duplica il proprio DNA.
Questo intervallo è stato chiamato stadio G1 dell’interfase. Ad un certo
punto, se la cellula è destinata a dividersi, ha inizio la duplicazione del
DNA (fase S=sintesi). Al termine della replicazione, finisce la fase S e la
cellula entra nello stadio finale dell’interfase, fase G2, in cui la cellula
rimane solo per un breve periodo di tempo, al termine del quale ha inizio
la mitosi. (2)
La progressione attraverso il ciclo cellulare è governata da un sistema di
controllo, che ciclicamente attiva i processi essenziali della riproduzione
cellulare, come la replicazione del DNA e la segregazione dei cromosomi.
Al centro di questo sistema si trovano una serie di complessi proteici
formati da due componenti: le proteina-chinasi ciclina dipendenti (CDK)
che inducono processi a valle fosforilando specifiche proteine selezionate
su serine e treonine, e le cicline, proteine attivatrici specializzate che
legano molecole di CDK e ne controllano la capacità di fosforilare le
proteine bersaglio.
Le cicline sono così chiamate perché subiscono un ciclo di sintesi e di
degradazione in ciascun ciclo di divisione della cellula. Esistono due classi
principali di cicline: le cicline mitotiche, che si legano a molecole CDK in
G2 e sono necessarie per l’ingresso nella mitosi e le cicline G1 necessarie
per l’ingresso nella fase S.
Le cicline che intervengono nelle diverse fasi del ciclo cellulare sono
espresse solo durante lo stadio nel quale devono svolgere la propria
funzione, per poi essere rapidamente degradate non appena la cellula
entra nella fase successiva del ciclo.
La loro classificazione è infatti caratteristica dello stadio in cui vengono
espresse: durante la fase G1 precoce si ha la sintesi delle cicline di tipo D,
che si legano alle CDK4 e CDK6; in una fase più avanzata di G1 si ha poi
la sintesi della ciclina E, che a sua volta si lega alla CDK2.
L’ulteriore progressione delle cellule dalla fase S alla fase G2 è facilitata
dalla ciclina A, che si lega alla CDK2 e alla CDK1. Nella fase G2 precoce
viene sintetizzata la ciclina B che, formando un complesso con CDK1
consente il passaggio dalla fase G2 alla fase M.
Dopo la mitosi, le cicline vengono degradate da un sistema proteolitico
ubiquitina-dipendente. In questo sistema , le proteine vengono prima
coniugate ad un cofattore proteico, l’ubiquitina, dopodiché la proteina
modificata è riconosciuta e degradata all’interno di un complesso multi-
proteico con attività degradativa detto proteosoma.
I complessi ciclina/CDK possono essere regolati da inibitori delle CDK,
segnali contrastanti che contribuiscono a determinare se una cellula
progredirà nel ciclo cellulare.
Esistono due famiglie di inibitori definiti CDKI; una famiglia di CDKI,
composta da tre proteine chiamate p21, p27, p57, inibisce tutte le CDK,
mentre l’altra famiglia, i cosiddetti INK4, composta dalle proteine p15, p16,
p18 e p19, agisce specificamente sui complessi ciclina D/CDK4 e ciclina
D/CDK6. (3)
Variazioni dei livelli di questi inibitori e mutazioni che alterano l’attività
delle cicline e delle CDK possono favorire la proliferazione.
Le ricerche effettuate sulle cellule tumorali hanno dimostrato che il
mancato controllo del ciclo cellulare è quasi sempre collegato con lo
sviluppo delle neoplasie che danno poi origine ai tumori.
Inoltre, l’analisi delle alterazioni genetiche nelle cellule cancerose ha
rivelato un grande numero di geni che codificano per proteine coinvolte
nel controllo della proliferazione cellulare.
Lo studio dei geni che causano il cancro, chiamati oncogeni, ha
dimostrato che quasi tutti hanno un omologo cellulare normale, chiamato
proto-oncogene che promuove i normali processi di crescita e
differenziamento.
Questi geni cellulari furono identificati per la prima volta dai premi Nobel
Varmus e Bishop, come “passeggeri” all’interno del genoma di retrovirus
trasformanti acuti che causano rapida insorgenza di tumori in animali.
L’analisi molecolare dei loro genomi ha rivelato la presenza di sequenze
specifiche capaci di trasformare le cellule normali (oncogeni virali o v-onc)
assenti nel genoma dei retrovirus non trasformanti.
L’ibridazione molecolare ha rivelato, inoltre, che le sequenze del v-onc
erano quasi del tutto identiche a sequenze di DNA presenti nelle cellule
normali. Da queste osservazioni si è dedotto che, durante l’evoluzione,gli
oncogeni retrovirali sono stati trasdotti (catturati dal virus) mediante una
ricombinazione casuale del DNA virale con il DNA di una cellula (normale)
di un ospite infettato dal virus.
I v-onc sono assenti in molti virus oncogeni a RNA. Un gruppo di questi
virus è rappresentato dai cosiddetti virus trasformanti lenti, che causano
leucemie, dopo un periodo di latenza piuttosto lungo, nei roditori.
I virus trasformanti lenti inducono la trasformazione neoplastica sempre
attraverso un meccanismo che coinvolge i proto-oncogeni. L’analisi
molecolare di queste cellule trasformate ha rivelato che il DNA del
provirus si trova sempre integrato vicino ad un proto-oncogene.
Conseguenza di questa inserzione è l’induzione di una modificazione
strutturale del gene della cellula infettata che lo converte in un oncogene
cellulare (c-onc).
L’attivazione di un proto-oncogene secondo questa modalità è definita
mutagenesi inserzionale. (4)
Tuttavia gli studi sui retrovirus non sono riusciti a spiegare l’origine dei
tumori umani, i quali, a parte rare eccezioni, non sono causati da infezioni
retrovirali. Esperimenti di trasfezione di DNA provenienti da cellule
tumorali in fibroblasti di topo hanno portato però a concludere che il DNA