Introduzione
Secondo Nietzsche esistono due tipi di individui: chi vuole sapere e chi vuole credere.
Forse nelle prossime pagine non daremo una risposta ai grandi punti interrogativi che da
secoli affliggono gli esseri umani di ogni ceto o cultura sull’esistenza del divino, ma
probabilmente troveremo che questa linea netta, tirata dal filosofo nella sua
affermazione, ha in realtà dei bordi sfumati.
Le domande che hanno fatto germogliare l’idea di questo elaborato ruotano
principalmente intorno ad un unico, più grande, quesito: perchè l’uomo appare come
portato a credere, a creare un mondo metafisico su cui cucire le proprie convinzioni e
sul quale porre i mattoni delle organizzazioni religiose?
Scott Atran [2014], antropologo, ritiene che già prima dell'avvento dei primi Sapiens ,
gli uomini di Neanderthal avessero delle sepolture e dei rituali di natura mistica che lui
stesso definisce intenzionali. Troviamo fin dal paleolitico forme di misticismo e di
accompagnamento alla morte (nel quale alcuni studiosi hanno letto la possibilità che
venisse già idealizzato un aldilà) come il posizionamente dei cadaveri verso precisi
punti cardinali (ovest per le donne ed est per gli uomini), l’utilizzo di pigmenti di
origine minerale o vegetale ed l’utilizzo di oggetti come conchiglie, sassi o ossa e corna
di origine animale. Successivamente sono arrivate a noi testimonianze sempre più
concrete di come le prime vere e proprie forme di civiltà fossero fortemente influenzate
dalla dimensione mistica e di come i vari culti scandissero la vita - e soprattutto la morte
- di ogni individuo, dal più giovane al più anziano, trasversalmente ad ogni classe
sociale. Esempio principe sono gli egizi che, grazie alla grandissima mole di reperti
giunti fino a noi hanno lasciato testimonianza concreta e descrizione dettagliata
dell’universo di dèi in cui credevano e di pratiche religiose a cui si attenevano. Ci hanno
anche restituito uno dei primi esempi di organizzazione religiosa e di gerarchia di potere
inerente alla tale dimensione, descrivendo le figure dei sacerdoti come individui dalla
forte influenza nella struttura sociale della loro civiltà.
Come loro troviamo, in tutto il mondo, esempi di mitologia più o meno antica (alcuni
rimangono racconti dalla bellezza di interesse storico, altri sono ad oggi ancora vivi nei
popoli che li tramandano) presenti in tutte le regioni geografiche terrestri. Molti
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antropologi novecenteschi si sono occupati di indagare la mitologia ricchissima dei
gruppi nativi del Nord America ( Achomawi, Abenachi, Ojibwa, Sioux, Cherokee,
Lakota e molti altri) così come le tradizioni dei nativi del Sud delle Americhe, delle
isole limitrofe e dell’ America Centrale, che fonda le sue radici nei miti aztechi: essi
proponevano mondi soggetti a cicli di distruzione e creazione, distinti
dall'impersonificazione del sole che - ad ogni ciclo - cambiava a seconda della divinità
che assumeva quel ruolo. Anche le regioni africane risultano ricche di narrative
mitologiche come quella Yoruba (originaria dell’ Africa Occidentale, tra Nigeria, Togo
e Benin) che descrive il mondo come opera di un unico, grande dio - Olodumare - che
non è nè uomo nè donna, circondato da molte divinità minori - gli Orisha - che si
occupano di governare l’Aye, il mondo degli uomini. In Asia troviamo invece una
cultura legata a vere e proprie costellazioni di dèi, una molteplicità ricchissima di
soggetti del culto tra cui possiamo citare l’universo dei kami giapponesi che conta più di
otto milioni di entità spirituali che infondono vita anche alla natura e agli oggetti, così
come i miti indù sappiamo essere oltre 330 milioni. Anche l’Europa non risulta esente
da una tradizione antica di mitologie e ne sono esempio le narrazioni giunte fino a noi
del mondo slavo, tipiche dell’Europa orientale e centrale, degli attuali Balcani e di
alcune regioni della Russia, o di quello nordico che comprendevano dèi ed eroi le cui
gesta venivano trasmesse fino al XIII secolo d.C. in tutte le regioni dell’odierna
Scandinavia, della Germania e della Gran Bretagna. Nel bacino culturale mediterraneo i
grandi filosofi greci postulano anch’essi l’immortalità dell’anima; Platone, nel Fedone
(celebre dialogo che verte sulla morte di Socrate) riporta la discussione sull’anima e
sulla sua natura immortale. Essa definisce ogni individuo come unico e consapevole, ed
è sede dell'intelletto. Sempre in Grecia vi è la più familiare mitologia ellenica che si
fonderà poi in una costellazione più ampia romana, attraverso la politica di
assimilazione dell’impero romano del corollario di dèi e miti che appartenevano ai
popoli conquistati.
Grande scisma storico sarà l’avvento del cristianesimo che dal 380 d.C fu proclamata
religione ufficiale dall’imperatore Teodosio, segnando così l’inizio di una predominanza
dei monoteismi, di cui fanno parte le cosiddette “religioni del libro”, ovvero quelle
religioni che seguono i dettami di un testo sacro ( islamismo, cristianesimo, ebraismo e -
anche se con alcune caratteristiche a sé stanti - buddhismo). Questa breve panoramica
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storica regala l’intuizione di come fin dai tempi più antichi, e senza limitazioni di ordine
geografico, vi sia per l’essere umano un’esigenza profonda ed intrinseca nel dare
risposte alla propria natura mortale e ai fenomeni del mondo in cui vive. Ogni cultura,
ogni popolo, ha risposto ai propri interrogativi in maniera assolutamente arbitraria e
creativa, collocandosi in una dimensione storica e geografica precisa. Questa indagine è
consapevole di non indagare il fenomeno religioso in maniera molare, e nemmeno
avrebbe la pretesa di farlo: come ben sappiamo oltre alla pura teologia, tantissime
discipline - come branche dell’antropologia, della sociologia, della filosofia, della
psicologia, dell’archeologia e della storia - si occupano trasversalmente della credenza e
delle istituzioni religiose che regolano la vita dei credenti stessi. Molti autori, a seconda
della disciplina di appartenenza, hanno scelto di focalizzarsi sulla natura mistica della
credenza, altri sulla sua evoluzione antropologica, altri ancora lo hanno fatto
nell'interesse di confutare l’esistenza di un aldilà oppure di confermarlo ulteriormente.
La scelta in questo caso è stata quella di focalizzare la lente dell’indagine sulle
neuroscienze, permettendo di approfondire un aspetto che sappiamo essere settoriale e -
nella sua specificità - volutamente limitato ad un unico livello di analisi, potenzialmente
sovraordinato rispetto ad altre discipline. Quella che alcuni chiamano neuroteologia non
è altro che un’indagine correlazionale tra modificazioni dello stato strutturale e
funzionale del cervello in concomitanza con le esperienze di natura religiosa e
spirituale: se il cervello sia programmato per creare ex novo l’immagine divina o se
invece sia una fine antenna capace di captare e creare una comunicazione con una realtà
mistica, non ci è dato - almeno qui - sapere. Nè vi sarà pretesa di rispondere a questi
quesiti.
Come suggerisce Cazzaniga alla fine «se il nostro cervello produce e risponde
all’esperienza religiosa, Dio sta nel cervello e in fin dei conti, il cervello stesso diventa
Dio», quindi quale miglior punto di partenza se non l’indagine neurologica per provare
a capire come mai sulla terra, ogni giorno, miliardi di esseri umani si rivolgono ad un
Dio.
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1. Esperienza religiosa
Quando l’indigeno scopre che il suo feticcio di legno
non è Dio, non ha scoperto che Dio non esiste,
ha scoperto che Dio non è di legno.
Lev Tolstoj
Quando parliamo di credenza e di religione - sia esso un discorso di senso comune o
accademico - ci rendiamo conto di quanto queste due dimensioni facciano parte di una
stessa sfera, perciò indissolubili. La credenza fa riferimento ad una disposizione
individuale in cui è la persona a proiettare i suoi pensieri ed i suoi intenti in qualcosa
che non fa parte del suo spazio fenomenico, ma che va “al di là”, verso un “oltre”.
Spesso infatti gli individui abbandonano la riflessione considerata comunemente logica
a beneficio di una consapevolezza che prevede una mancanza di fonti e di dati, ma alla
quale ci si affida, data la percezione che essa sia comunque vera purché non tangibile
per l’individuo stesso. La religione invece, pur avendo nella credenza il suo seme, è una
vera e propria organizzazione plasmata dalle regole della società in cui è nata e con un
microcosmo gestionale al suo interno formato da gerarchie e cadenzata da riti e
momenti comunitari. Credenza e religione non necessariamente hanno una relazione di
dipendenza diretta ma rimangono due elementi di un sistema integrato che caratterizza
l’ esperienza religiosa: seguendo la semplificazione fatta sopra in cui la credenza viene
pensata come sentire interno al soggetto, mentre la religione come una struttura dalla
connotazione comunitaria ci rendiamo conto di come l'esperienza religiosa non possa
essere indagata senza che vengano presi in analisi il soggetto religioso, il tessuto sociale
in cui si inserisce e le istituzioni che regolano la vita di tale tessuto. Fondamentale
risulta pensare alla molteplicità di individui che si inseriscono in così tanti ambienti
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diversi: non si potrà mai dare una chiave di lettura che sia universalmente valida dato
che - indipendentemente dalle ricerche in ambito psicologico, antropologico e
sociologico - ogni soggetto darà una connotazione assolutamente personale alla propria
esperienza religiosa, frutto della propria esperienza passata, del proprio momento
presente, delle proprie aspettative e perciò di una personalissima attribuzione di
significato.
1.1 Religioni come sistemi complessi integrati
Sull’etimologia del termine Religione - derivante dal latino religio - vi sono tre ipotesi
differenti. La prima viene attribuita a Cicerone e vede il seme della parola in relegĕre,
composto dal prefisso re-, indicatore di ripetitività e da legĕre che vuol dire guardare
con attenzione, ma anche avere cura e riguardo, creando un idea di religione come di un
locus in cui si offre e riceve protezione e cura dal divino e dagli altri. La seconda è di
Lattanzio, scrittore latino del 300 d.C, che invece suppone la comunione di re- e ligāre,
ovvero tenere insieme, legare; questa interpretazione quindi pone l’accento sulla
connessione che un sistema religioso crea e mantiene, sul vincolo profondo tra divino e
membri. Infine la terza è di Agostino che trova l’etimologia del termine in -ēlĭgĕre,
ovvero scegliere e perciò sposta l’attenzione sulla scelta consapevole di un gruppo e di
un modus vivendi. Le tre tesi in realtà non si escludono tra di loro, anzi, possono
integrarsi a completare un’idea più solida e articolata di costrutto.
Di base la religione tende a spiegare il mondo del credente: trasmette una narrazione
precisa - spesso scritta nero su bianco - della propria visione dei fenomeni naturali e
sovranaturali, ponendo confini chiari che aiutano l’individuo a vedere la realtà
attraverso un ordine precostituito e perciò percepito come confortevole. Le religioni
sono spesso vere e proprie istituzioni del mondo sociale, soggette alla stesso ciclo di
vita di organizzazioni di altra natura e che a loro volta dettano il ciclo di vita dei
soggetti che vi aderiscono, assumendo anche il ruolo di veicoli di conoscenze e di
trasmissione tra generazioni. In questa sede ci occuperemo di trattarle in maniera
olistica evitando di cadere in semplificazioni che possono mostrare l’ombra dell’errore
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etnocentrico. Non si farà perciò riferimento - se non prima apertamente dichiarato - a
religioni particolari né a macrocategorie delle stesse: l’intenzione rimane quella di
delineare al meglio un framework in cui inserire dettagli teorici che possono adattarsi
alle grandi religioni monoteiste, così come alle più piccole realtà basate ancora su
sciamanesimo e magia.
Avendo delineato le religioni sotto il loro aspetto più pratico ed organizzativo ci
rendiamo conto di come esse siano identificabili come insieme di individui che, oltre ad
una caratteristica di similarità, si riuniscono e condividono uno scopo comune, un
sistema di interpretazione del mondo e di attribuzione di significato condiviso. Questo
ci riporta a vedere le organizzazioni religiose sotto la luce della psicologia sociale e a
riconoscere grazie ad essa le dinamiche tipiche dei gruppi - forma elitaria di
aggregazione ed espressione della natura sociale dell’essere umano - prima fra tutte la
percezione di appartenenza che implica un forte legame affettivo e relazionale da parte
degli individui: secondo la teoria dell’identità sociale [Tajfel; Turner, 1986] infatti
l’identificazione degli individui con le norme e le caratteristiche della rete sociale a cui
sente di appartenere hanno implicazioni sull’identità e la protezione dell'autostima
personale. Il proprio gruppo (ingroup), viene percepito come migliore degli altri, e in
quanto tale difeso e identificato con connotazioni di natura fortemente emotiva, in
antagonismo con sentimenti di avversione rivolti a tutti i soggetti che non ne fanno parte
o che aderiscono a gruppi diversi (outgroups). Riconosciamo anche quanto, all’interno
del sistema-religione, vengano applicate le strutture gerarchiche che spesso vedono la
figura di un leader che guida, o ha guidato, i credenti assumendo le tipiche
caratteristiche del leader carismatico teorizzato da Boarl: soggetti che si impegnano a
costruire un mondo fenomenologicamente diverso, e più valido, per se stesso e per chi
fa parte del proprio gruppo anche ponendosi - in un'ottica trasformazionale - obiettivi
altissimi, che opereranno anche dopo le loro morti. Il credente, inserito in questo
contesto, spesso ha una percezione di deresponsabilizzazione e di attribuzione di causa
localizzata esternamente a sé stesso [costrutti dei locus of controls, Rotter; 1966], per la
quale si sente giustificato nelle azioni e portato percepire un senso di attenuazione della
colpa oppure affidare la causalità degli eventi ad un volere che sta al di sopra dell’agire
- e della comprensione - umana. Inoltre secondo la teoria della socializzazione le
aspettative di ogni individuo acquisiscono un ruolo fondamentale nella costruzione del
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sè. Le aspettative hanno un ruolo adattivo fondamentale, ovvero ci permettono di creare
rappresentazioni dell’ambiente esterno su cui noi possiamo plasmare le nostre relazioni
significative e comportarci in modi congruenti ai relativi contesti, così il credente,
all’interno del sistema-religione, può essere portato ad autoconfermare le proprie
aspettative iniziali - o quelle del suo gruppo - al fine di tutelare la propria autostima e
l'appartenenza alla sua sfera sociale.
1.1.1 Teorie sulla nascita delle religioni
Numerosi autori, di formazioni accademiche differenti, hanno indagato la nascita del
fenomeno religioso elaborando teorie che potessero rispondere a questo interrogativo.
Bergson, nel 1932, vede nella religione la stessa genesi della filosofia che nasce appunto
come reazione difensiva dell’uomo nei confronti della complessità del mondo naturale e
della mancanza di senso lineare dell’esistenza. Per Daniel L. Pals invece la religione si
pone come punto focale in cui convergono disordine, natura ed alterità che vengono poi
restituite al mondo come ordine, cultura e senso sé. Simile interpretazione è quella di
Malinowski (1948) che sottopone i sistemi religiosi dei nativi ad indagine,
interrogandosi sulla necessità umana di far ricorso alla magia: la risposta
dell’antropologo è la spinta intrinseca che caratterizza ogni individuo ad attribuire
significati e, in assenza di conoscenze o di evidenze empiriche, ci si affida a
superstizioni ed arti magiche. Come vedremo poi in seguito Malinowski anticiperà la
previsione del declino di queste credenze, analizzando come l’avvento delle tecnologie
abbia aumentato il controllo che le persone hanno sull’ambiente che le circonda creando
come effetto una riduzione drastica del ricorso alla magia (in antitesi con l’interessante
teoria weberiana che vede una linea temporale diversa in cui prima avviene un declino
del pensiero mistico e questo vuoto crea terreno fertile per l’evoluzione delle
tecnologie).
Boas, alla voce “Religione” nell’ Handbook of American Indians North of Mexico del
1910 trova in tutte culture un continuum che prevede ai due poli la scienza/il naturale e
dall’altro la credenza/il soprannaturale e afferma come il punto in cui si pone una
determinata cultura rispetto ad un’altra, su questo continuum, crea le differenze tra i vari
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sistemi religiosi, quindi più o meno propensi alla commissura con il sapere scientifico o
più o meno vicini a credere nei fenomeni soprannaturali.
Un paradigma teorico più recente degno di menzione è quello elaborato da Edward
Bailey (fondatore del Centre of Study of Implicit Religion and Contemporary
Spirituality - Middlesex, USA) che per primo utilizza il termine “implicito” per
identificare il processo cognitivo sottostante la credenza religiosa. Bailey riprende in
primis il concetto di disposizione naturale dell'essere umano nell’attribuzione di senso ai
fenomeni del mondo e corrisponde ad un primo livello di analisi fondamentale che però
non implica necessariamente contenuti di natura esplicita. A questo primo livello si
aggiungono poi la teorizzazione della presenza di una religione civile [Bellah, Habits of
the Heart, 1985] vista come un “sentire genericamente religioso” al di fuori della sfera
strettamente legata alle confessioni dei singoli e le manifestazioni alternative del sacro e
della religiosità che si possono adattare ad un sistema di superstizioni arcaico, alla
sacralità di oggetti come cimeli sportivi o all’adorazione verso personaggi pubblici
come cantanti, attori o politici.
Ad oggi, nel panorama intricato delle teorie sull’origine e lo sviluppo dei sistemi
religiosi, emergono alcuni apporti della psicologia evoluzionistica come la selezione
culturale di Cavalli e Sforza [2019], la coevoluzione di Ferretti, Adornetti [2014] e il
modello esattivo (o by-product), che prende spunto dal neologismo del biologo Gould:
questo modello crea un focus sul rapporto fra organi e funzioni per il quale più strutture
possono optare per la stessa funzione. Grazie al contributo di autori come Guthrie
[1980,1993], Boyer [2001] e Girotto [2014], la teoria dell’esattemento (o esadattamento
o exattamento) risulta essere il contributo ad oggi più sostenuto da ricerche empiriche e
più riconosciuto dalla comunità scientifica [Baracco, Alternative evoluzionistiche alla
Spiritual Neuroscience, 2020].
1.1.2 Correlazioni dei sistemi religiosi con altre sfere della realtà sociale
La religione è stata fin qui delineata come un complesso sistema integrato, essa infatti è
complessa essendo le varie confessioni composte da tante caratteristiche e
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sottodimensioni che le definiscono in termini identitari e fanno sì che vengano
riconosciute come diverse dalle altre, sistema perchè queste stesse sottodimensioni sono
fortemente correlate e interdipendenti tra di loro ed integrato perchè la religione è un
modulo inserito in un mondo sociale che influenza e dal quale è a sua volta influenzato
in un rapporto di scambio continuo e bidirezionale. La sfera religiosa si connette con
tutte le altre sfere che caratterizzano il complesso sistema del mondo sociale, innestando
scambi di reciprocità con i domini della sfera economica, di quella politica, delle
organizzazioni, della res publica. Nella storia sono innumerevoli gli esempi di influenza
delle religioni nelle questioni delle singole nazioni: fin dall’antichità le religioni di stato
furono applicate ed imposte ai singoli cittadini (ne sono esempi la cultura egizia o
l’Impero Romano, divenuto poi Sacro Romano Impero) e l’uso dell’imposizione delle
confessioni è pervenuto fino ad oggi. Troviamo in epoca moderna il Giappone, che nel
1868 dichiara lo Shintoismo religione di stato sottolineando anche la venerazione
dell’imperatore e dei suoi avi. Nelle regioni del Nord Africa e del Medio Oriente
moltissimi paesi hanno inserito l’Islam come riferimento obbligato per le pratiche
religiose dei loro cittadini (tra questi troviamo Siria, Palestina, Egitto, Ariabia Saudita e
molti altri) mentre in Asia la predominanza della confessione è buddhista in stati come
Sri Lanka, Cambogia e Thailandia. In Occidente - nonostante la pretesa di apparire e
dichiararsi stati laici - la presenza della religione rimane punto cardinale della cultura
dei cittadini: ne sono evidenti esempio gli Stati Uniti d’America che mantengono la
scritta “In God We Trust” sul dollaro, moneta ufficiale. L’Italia non rimane esente da
questa analisi: sicuramente la storia di questo paese fonda le sue radici nella religione
cattolica e, nonostante venga difesa dal 1948 la parità dei diritti indipendentemente
dalla confessione e che dai Patti Lateranensi del 1984 (sentenza 203/1989 della Corte
Costituzionale) sia sancita la laicità dello stato italiano, queste radici risultano ancora
molto forti ed ancorate nel sostrato della società. Banalmente, l’ampio dibattito
sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole o la questione ancora aperta del
diritto all’obiezione di coscienza (tutelata dall’art.9, legge 284/78) all’interno degli
ospedali per l'applicazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, sono un chiaro
esempio di come le istituzioni stiano ancora barcamenandosi tra la dimensione laica e
l’influenza dell’impronta religiosa così fortemente radicata.
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