4
INTRODUZIONE
Ho vissuto buona parte del mio 2010 in Sud America, più precisamente in
Uruguay. Particolarmente interessato ai processi di integrazione regionale e ai potenziali
vantaggi che essi possono apportare alle popolazioni locali in termini di sviluppo e
crescita economica, ho colto l’occasione per approfondire le mie conoscenze in merito
al Mercosur, il mercato comune di cui l’Uruguay fa parte assieme ad Argentina, Brasile
e Paraguay.
Analizzando il ventennale processo di integrazione di tale organizzazione, avevo
ingenuamente pensato che, con l’eliminazione dei dazi, gli esportatori dell’Uruguay
potessero vendere i loro prodotti in Brasile o Argentina così come li vendevano
all’interno dell’Uruguay. Mi sbagliavo.
Mi accorsi del mio errore scambiando quattro chiacchiere con Andrés, mio amico
prima che collega presso la Camera di Commercio Italiana dell’Uruguay. Si lamentava
di come l’internazionalizzazione di una piccola azienda di abbigliamento di cui si stava
occupando fosse intralciata da innumerevoli ostacoli “tecnici”: l’ottenimento di certe
licenze, le lungaggini della burocrazia, i costi che tutto ciò comportava, ecc. “Ma come?
Il Mercosur non vi ha semplificato le cose? Non dovete pagare dazi per esportare verso
l’Argentina o il Brasile, giusto?” – gli chiesi ingenuamente.
Nacque proprio quel giorno il desiderio di approfondire questo argomento, di
capire come le grandi dichiarazioni di intenti, la costituzione di organizzazioni
internazionali ed i relativi Trattati potessero nella pratica essere indeboliti se non resi
vani da meri ostacoli tecnici, procedure da rispettare, moduli da compilare, ecc.
Con la mia tesi ho voluto analizzare il processo di liberalizzazione, tariffaria e non,
del Mercosur e le varie eccezioni che sono state previste a riguardo. Il mio obiettivo è
stato quello di individuare forze e debolezze che il Mercosur significa oggi per gli
esportatori dell’Uruguay. Ho cercato poi di prevedere i possibili sviluppi futuri del
Mercosur e come questi potranno creare opportunità o minacce per l’export
dell’Uruguay.
La liberalizzazione tariffaria del Mercosur è stata davvero portata a termine? Quali
eccezioni sono ancora in vigore? E soprattutto, al di là delle tariffe, quali barriere non
tariffarie ostacolano ancora il commercio all’interno del Mercosur? Che problemi
devono affrontare ancora oggi, giorno dopo giorno, gli imprenditori uruguayani che
desiderano esportare verso i due grandi Paesi limitrofi, il Brasile e l’Argentina?
5
A questi ed altri interrogativi ho cercato di dare una risposta con la mia analisi, che
vuole essere uno strumento in più per capire gli ostacoli che si pongono a qualunque
imprenditore uruguayano voglia oggi allargare la propria clientela ai vicini brasiliani e
argentini.
Spero il mio lavoro possa contribuire all’eliminazione di tali barriere, favorendo il
commercio e lo sviluppo economico della piccola Republica Oriental del Uruguay.
6
1. L’URUGUAY NEL MERCOSUR
1.1. L’Uruguay
Indipendente dal 1828, l’Uruguay raggiunse una certa stabilità agli inizi del
XX secolo grazie alle riforme politiche, sociali ed economiche del Presidente José
Batlle y Ordóñez.
Durante gli anni ’60, una forte crisi economica generò conflitti socio-
economici interni che sfociarono nella lotta armata, condotta soprattutto dal
Movimento di Liberazione Nazionale dei Tupamaros, un gruppo di ispirazione
marxista. L’escalation di violenza consentì un crescente protagonismo da parte
delle Forze Armate. Nel 1973 i militari, in seguito ad un colpo di Stato, ottennero il
controllo del Paese.
Gli anni della dittatura furono durissimi per la popolazione. Vennero soppressi
i partiti politici, eliminate le elezioni e revocata la libertà di stampa. Gli oppositori
politici vennero accusati di sovversione, incarcerati e torturati. Secondo le stime
ufficiali
1
, fra il 1973 ed il 1985 scomparvero dalle carceri uruguayane 174 detenuti.
Tale cifra, rapportata alla popolazione dell’Uruguay, ha proporzioni anche
maggiori della tragedia dei desaparecidos argentini (1976 – 1986).
Nel 1985, dopo un lento processo di apertura politica, in Uruguay venne
finalmente ristabilita la democrazia, ponendo fine a quella che sarebbe poi stata
ricordata come la “decada perdida” (il decennio perduto).
Se per tutto il XX secolo il panorama politico uruguayano è stato dominato dai
due partiti tradizionali, i Colorados e i Blancos, dal 2004 la principale forza
politica è il Frente Amplio, una coalizione di centro-sinistra, il cui presidente
Tabare Vazquez ha impostato una politica riformista e moderata incentrata sulla
lotta alla povertà. Nel marzo del 2010 è stato sostituito da José “Pepe” Mujica, un
ex Tupamaros che durante la dittatura trascorse 15 anni in prigionia.
La popolazione attuale dell’Uruguay è di 3.344.938 persone (dati del 2009)
2
,
con una diffusa classe media urbana. Un welfare state relativamente efficace
consente una distribuzione dei redditi abbastanza equilibrata se comparata con gli
altri paesi del continente sudamericano.
1
Comisión para la Paz (www.presidencia.gub.uy/noticias/archivo/2003/abril/Informe_final.doc), 10
aprile 2003, consultato il 15 dicembre 2010
2
World Bank (data.worldbank.org/country/uruguay), consultato il 15 novembre 2010.
7
Nonostante l’istruzione impegni solo il 2,8% del PIL nazionale (dati del
2006)
3
, il tasso di alfabetizzazione (98% nel 2008
4
) ed il livello di istruzione
superiore (92% nel 2007) sono alti. Si assiste però ad un forte movimento
emigratorio, soprattutto della fascia giovane e maggiormente istruita della
popolazione.
Grafico 1: Crescita economica dell’Uruguay
Fonte: Elaborazione dell’autore sui dati forniti dal Banco Central del Uruguay
(www.ine.gub.uy/banco%20de%20datos/econ_cuentas/190800_PBI$const.xls) e dal Penn World
Table (epwt.econ.upenn.edu/php_site/pwt63/pwt63_form.php)
Il Grafico 1 evidenzia l’andamento
5
del PIL a prezzi costanti e del PIL reale
pro capite (corrente, aggiustato per la PPP
6
) dell’Uruguay dal 1985 al 2007.
Possiamo notare come, dopo la crisi del 2001, l’economia dell’Uruguay sia tornata
a crescere a partire dal 2003.
Negli anni fra il 2004 ed il 2008 il Paese ha avuto una crescita annua media del
7,75%
7
, grazie a una congiuntura favorevole e all’applicazione di una politica
3
World Bank (data.worldbank.org/country/uruguay), già citato, consultato il 1 dicembre 2010.
4
World Bank (data.worldbank.org/country/uruguay), già citato, consultato il 1 dicembre 2010
5
Le discrepanze fra l’andamento delle due curve è dovuto alla variazione della popolazione dell’Uruguay
e del tasso di cambio Peso uruguayano / Dollaro statunitense.
6
Per PPP (Purchasing Power Parity) si intende la parità dei poteri d’acquisto.
7
Elaborazione dell’autore sui dati della World Bank, Data, Indicators
(data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG/countries/1w-UY?display=graph), consultato il
15 novembre 2010.
8
economica prudente. La crisi economico-finanziaria globale ha rallentato tale
crescita, assestatasi al 2,86% nel 2009.
Nel 2009 il PIL a prezzi correnti ammontava a 31.511 milioni di dollari
8
, per
un PIL pro capite di 10.790 dollari. Molto atteso è il dato circa il PIL del 2010, utile
indicatore per capire la risposta della piccola Republica Oriental del Uruguay alla
recessione globale.
Grafico 2: Composizione settoriale del PIL (2008)
9
Fonte: Elaborazione dell’autore sui dati forniti dal Banco Central del Uruguay
(http://www.ine.gub.uy/economia/cuentas2008.asp)
Come si evince dal Grafico 2, il settore che più contribuisce al PIL nazionale è
sicuramente quello dei servizi (68% del totale), fra cui spiccano commercio (14%
considerando anche ristoranti e hotel) e attività finanziarie (15%).
L’industria manifatturiera rappresenta il 16% del PIL ed è uno dei settori con
la maggior tendenza esportatrice. Prodotti alimentari, cuoio, tessile e prodotti
forestali sono quelli che più contribuiscono alle esportazioni.
La produzione agricola apporta l’8% del PIL, ma la sua importanza economica
è ampiamente maggiore, in quanto offre la maggior parte delle materie prime per
l’industria manifatturiera. L’Instituto Interamericano de cooperación para la
agricoltura ha stimato
10
che nel 2004 l’agricoltura uruguayana abbia contribuito
alla creazione del 57,4% del PIL del settore secondario ed al 3,4% del PIL del
settore dei servizi. Ipotizzando invariate tali percentuali per il 2008, l’apporto del
8
World Bank (http://data.worldbank.org/country/uruguay), già citato, consultato il 16 gennaio 2011.
9
Non include le imposte meno le sovvenzioni sui prodotti.
10
Instituto Interamericano de cooperación para la agricultura, “La contribución del IICA a la agricultura
y al desarrollo de las comunidades rurales en Uruguay”, Informe Anual 2004, Montevideo (Uruguay),
2004.
9
settore primario al PIL nazionale sarebbe da quantificare in un 24% (8% del settore
primario + 57,4% del 24% del settore secondario + 3,4% del 68% del settore
secondario).
Negli ultimi anni, grazie a stabilità macroeconomica, un contesto istituzionale
stabile (con regole chiare e rispetto dei contratti) ed un regime promozionale
attrattivo, l’Uruguay ha ricevuto, in diversi settori, un flusso crescente di
investimenti diretti dall’estero, come si evince dal Grafico 3.
Grafico 3: Investimenti stranieri diretti in Uruguay
Investimenti Diretti Esteri (in migliaia di US$)
Investimenti Diretti Esteri (in migliaia di US$) esclusi quelli in terreni
Investimenti Diretti Esteri / PIL
Fonte: Banco Central del Uruguay (www.bcu.gub.uy/autoriza/pepmpf/sectorexterno/informe_idx.pdf)
L’inflazione è contenuta e in diminuzione. Come conseguenza della politica
adottata dalla Banca Centrale dell’Uruguay a partire dal 2004, ci si aspetta che tale
tendenza decrescente continui.
10
1.2. La sostituzione delle importazioni come politica commerciale
Oggi l’economia uruguayana è piccola e aperta, con una crescente proiezione
verso il mercato regionale e internazionale, dove le esportazioni giocano un ruolo
molto importante per lo sviluppo produttivo locale. Ma non è sempre stato così.
Per anni la politica commerciale dell’Uruguay, così come quella di molti Paesi
in via di sviluppo, è stata quella della c.d. sostituzione delle importazioni, con la
quale si è cercato, fra gli anni ’40 e ’70, di limitare le importazioni di beni
manufatti per sviluppare il settore manifatturiero nazionale.
Una politica di sostituzione delle importazioni si consegue:
- sottoponendo a dazio o contingentando le importazioni di quei beni che fanno
concorrenza alla produzione nazionale;
- sussidiando la produzione nazionale di quei beni che soffrono della
concorrenza di imprese estere;
- adottando simultaneamente entrambe le suddette politiche.
È opinione abbastanza condivisa che la sostituzione delle importazioni crei
corruzione, faccia ristagnare la produttività del lavoro e rallenti l’aumento
dell’export, che provochi cioè una perdita di competitività. Si tratta di una strategia
statica, che penalizza i consumatori e diminuisce il benessere complessivo della
società.
L’inefficienza nel lungo periodo di politiche commerciali basate sulla
sostituzione delle importazioni ha reso gli scambi con l’estero il principale ostacolo
alla crescita economica dell’Uruguay.
Così come altri Paesi in via di sviluppo, l’Uruguay ha avuto non poche
difficoltà nel passare da una specializzazione agricola a produzioni (e dunque
esportazioni) più bilanciate.
11
1.3. Teorie del commercio internazionale e crescita basata sull’export
Le teorie del commercio internazionale sono principalmente due: la teoria dei
vantaggi comparati di Ricardo ed il modello di Heckscher-Ohlin:
Secondo Ricardo
11
, anche quando un paese non ha vantaggi assoluti nella
produzione di nessun bene, gli conviene specializzarsi in quei prodotti per i quali il
suo vantaggio di produzione è relativamente maggiore, od il suo svantaggio
relativamente minore. La determinante del commercio internazionale non sono
dunque i costi assoluti di produzione di ciascun paese, bensì i costi relativi.
Compatibile con il modello ricardiano dei vantaggi comparati è uno studio
12
del 2001 che sostiene come l’Uruguay necessiti di un’industrializzazione basata sul
miglioramento delle condizioni produttive attraverso l’incorporazione tecnologica.
In tal senso, il principale ostacolo allo sviluppo industriale, dell’Uruguay così come
di tutte le piccole economie, deriva dall’impossibilità di realizzare economie di
scala.
Secondo il modello di Heckscher
13
- Ohlin
14
, il commercio internazionale
è in larga misura determinato dalle differenze nelle dotazioni di risorse. Tale
modello segna un cambiamento rispetto alla teoria di Ricardo, secondo cui i
vantaggi di produzione sono di tipo tecnologico.
Nel caso dell’Unione Europea, le variazioni nella struttura industriale fra i
Paesi membri sono spiegate da una combinazione di vantaggi comparati,
localizzazione geografica e costi di trasporto
15
. A sua volta, la dotazione di risorse
dei Paesi, ed in particolare la forza lavoro qualificata, risulta rilevante per attrarre
quelle industrie che fanno uso intensivo di questo tipo di forza lavoro.
Le politiche commerciali basate sull’apertura economica hanno più volte
dimostrato di essere vincenti, ma ci sono delle eccezioni: il Paraguay, l’altra piccola
economia del Mercosur assieme all’Uruguay, è allo stesso tempo l’economia più
11
David Ricardo (1772 – 1823), economista britannico, è stato (assieme ad Adam Smith) uno dei
principali esponenti dell’economia classica, che poggia sui concetti di equilibrio spontaneo, laissez faire e
stabilità.
12
Masi F., Bittencourt G., “Las economías pequeñas en el Mercosur: evolución y perspectivas de
desarrollo”, Red Mercosur, Siglo XXI Editora Iberoamericana, Montevideo, 2001.
13
Eli Filip Heckscher (1879 – 1952), economista svedese, è stato professore, ricercatore in storia
economica e professore emerito presso la Scuola di Economia di Stoccolma fra il 1909 ed il 1945.
14
Bertil Gotthard Ohlin (1899 – 1979), economista e politico svedese, ha vinto il Premio Nobel per
l’Economia nel 1977 insieme a James Meade. È stato professore di economia presso la Scuola di
Economia di Stoccolma dal 1929 al 1965.
15
Midelfart-Knarvik K.H., Overman H.G., Venables A., “Comparative advantage and the economic
geography”, CEPR Discussion Paper 2618, 2000.
12
aperta e più povera del Mercosur (la struttura industriale uruguayana è un po’ più
solida e diversificata di quella paraguayana, anche se le politiche economiche per la
competitività dell’industria nazionale sono state deboli in Uruguay come in
Paraguay).
Ad ogni modo, solitamente, una maggior inserzione internazionale consente ad
un Paese di specializzarsi nella produzione di quei beni per i quali vanta dei
vantaggi comparati, migliorando la competitività e stimolando così la crescita. Per
questa ed altre ragioni, l’Uruguay, a partire dagli anni ’90, ha basato la propria
crescita economica su un’industrializzazione votata all’export, specie verso i
partner regionali. Si tratta di una strategia di successo in quanto l’Uruguay (così
come la maggior parte dei Paesi del sud del mondo) vanta verso i propri partner
regionali vantaggi comparati che non può vantare nei confronti dei paesi più
sviluppati. Uno studio
16
dimostra infatti come l’Uruguay abbia vantaggi comparati
rivelati
17
in un numero crescente di settori, per la metà dei quali però il Mercosur è
il principale se non l’unico mercato di sbocco. Il fatto che svariati prodotti su cui
l’Uruguay ha vantaggi comparati rivelati vengano esportati esclusivamente verso i
paesi limitrofi è il risultato di una forte asimmetria nelle dimensioni dei membri del
Mercosur.
16
Machado J. B., Martins A. C., “Integraçâo económica e países pequenos: polítical regional na Unia
Européia e lições para o Mercosur”, Red Mercosur, CINVE, Montevideo, 2001.
17
Per definizione, un Paese ha un vantaggio comparato rivelato nella produzione dei beni che esporta.
13
1.4. Le esportazioni dell’Uruguay
Analizziamo la situazione delle esportazioni uruguayane.
Nel 2010, il valore dell’export dell’Uruguay è stato parti a 6762 milioni di
dollari. Come evidenzia la Tabella 1, le principali merci esportate sono carne
bovina, soia, riso e grano.
Tabella 1: Principali esportazioni dell’Uruguay nel 2010
Ranking
Categoria
merceologica
Prodotto
Valore delle esportazioni
(a prezzi correnti)
1 0202 Carne bovina congelata 0844 milioni di US$
2 1201 Soia 0706 milioni di US$
3 1006 Riso 0386 milioni di US$
4 1001 Grano 0356 milioni di US$
5 0201
Carne bovina
fresca o refrigerata
0267 milioni di US$
6 4403 Legna grezza 0249 milioni di US$
7 0402
Latte e panna
con aggiunta di zucchero
0237 milioni di US$
8 0406 Formaggio e ricotta 0195 milioni di US$
9 3923
Articoli per inscatolamenti
in plastica
0156 milioni di US$
10 1107 Malto 0146 milioni di US$
Altro 3220 milioni di US$
TOTALE 6762 milioni di US$
Fonti: Uruguay XXI
(www.uruguayxxi.gub.uy/innovaportal/file/1271/1/informe_de_comercio_exterior_de_uruguay_-_ano_2010-.pdf)
Ci interessa capire dove sono dirette le esportazioni dell’Uruguay una volta
che escono dal Paese. Il Grafico 1 fotografa la situazione dell’export dell’Uruguay
per blocchi continentali.
14
Grafico 4: Destinazioni dell’export uruguayano per blocchi (2010)
Fonti: Uruguay XXI
(www.uruguayxxi.gub.uy/innovaportal/file/1271/1/informe_de_comercio_exterior_de_uruguay_-_ano_2010-.pdf)
Il Mercosur raccoglie nel suo complesso il 31% delle esportazioni
dell’Uruguay, acquistando soprattutto componenti automobilistiche, petrolio e
autoveicoli per il trasporto passeggeri.
L’Unione Europea, con il 15% (3,5% della Germania, 2,7% della Spagna,
2,1% dell’Italia, 2% dei Paesi Bassi, ecc.) è il secondo blocco commerciale
destinatario dell’export uruguayano.
Le Zone Franche
18
dell’Uruguay ricevono il 14% delle esportazioni nazionali,
per un ammontare di 963 milioni di dollari.
Ci interessa però capire quali siano i principali Paesi destinatari delle
esportazioni dell’Uruguay. La Tabella 2 indica le principali destinazioni che ha
avuto l’export uruguayano nel 2010.
18
Per Zona Franca si intende l’area di un Paese all’interno della quale alcune barriere al commercio,
tariffarie e non, sono abbassate o eliminate nella speranza di attrarre investimenti dall’estero. Si tratta di
aree che importano materie prime o beni intermedi, li lavorano ed esportano prodotti finiti.
15
Tabella 2: Destinazioni dell’export uruguayano (2010)
Ranking Destinazione
Valore delle esportazioni
(a prezzi correnti)
%
1 Brasile 1455 milioni di US$ 21,5%
2
Zona Franca di
Nueva Palmira
0690 milioni di US$ 10,2%
3 Argentina 0504 milioni di US$ 07,5%
4 Cina 0373 milioni di US$ 05,5%
5 Federazione Russa 0358 milioni di US$ 05,3%
6 Venezuela 0248 milioni di US$ 03,7%
7 Germania 0239 milioni di US$ 03,5%
8
Zona Franca di
Fray Bentos
0221 milioni di US$ 03,3%
9 Stati Uniti 0201 milioni di US$ 03,0%
10 Spagna 0180 milioni di US$ 02,7%
Altre destinazioni 2293 milioni di US$ 34,0%
TOTALE 6762 milioni di US$ 100%
Fonti: Uruguay XXI
(www.uruguayxxi.gub.uy/innovaportal/file/1271/1/informe_de_comercio_exterior_de_uruguay_-_ano_2010-.pdf)
Osserviamo come quasi il 30% delle esportazioni dell’Uruguay abbia come
destinazione il Brasile (il 21,5% del totale) o l’Argentina (il 7,5%).
Un ruolo importante (più del 10% dell’export) lo ricopre la Zona Franca di
Nueva Palmira, situata alla foce del Rio Uruguay, a pochi chilometri dalla costa
argentina. Si tratta del secondo porto dell’Uruguay (dopo Montevideo) e di un hub
sempre più importante per la ricezione dei prodotti uruguayani e la loro “ri-
esportazione”, soprattutto verso Cina, Brasile ed Unione Europea.
Nell’analizzare le “imperfezioni” dell’unione doganale del Mercosur (capitolo
2) e le sue barriere non tariffarie (capitolo 3) cercheremo di capire cosa penalizzi
maggiormente l’export uruguayano verso Brasile e Argentina, che risultano essere i
due principali mercati di sbocco per le merci dell’Uruguay e allo stesso tempo i
suoi due partner del Mercosur (assieme al Paraguay).
16
1.5. L’integrazione attraverso le organizzazioni sovranazionali
A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il tema della cooperazione
economica e dell’integrazione regionale ha assunto sempre maggior rilevanza. A
seconda dell’intensità della coordinazione fra gli Stati parte e degli obiettivi
perseguiti, le varie organizzazioni sovranazionali di cooperazione economica hanno
raggiunto negli anni diversi gradi di sviluppo. Solitamente, le tappe progressive
verso l’integrazione completa sono le seguenti:
a) area di libero scambio: si stabilisce la libera circolazione di beni (e
servizi) all’interno della regione, eliminando i dazi e, teoricamente, qualsiasi altra
forma di restrizione al commercio infra-zona;
b) unione doganale: si tratta di un’area di libero scambio nella quale si
stabilisce una Tariffa Esterna Comune per ciascuna tipologia di bene (e servizio)
importata da Paesi terzi e, teoricamente, restrizioni comuni nei confronti dei Paesi
terzi stessi;
c) mercato comune: si tratta di un’unione doganale nella quale si introduce
la libertà di circolazione dei fattori di produzione, ovvero mano d’opera e capitali;
può essere associata ad un sistema fiscale comune e/o a norme giuridiche uniformi
per quanto concerne il diritto del lavoro ed il diritto contrattuale; si cerca di limitare
gli aiuti di Stato alle imprese pubbliche;
d) unione economica e monetaria: si tratta di un mercato comune nel quale
si fissano i tassi di cambio fra i Paesi membri e si cerca di adottare politiche
economiche comuni.
L’evoluzione del grado di integrazione comporta la progressiva rinuncia da
parte degli Stati a determinati poteri e l’attribuzione di queste ed altre competenze
all’organizzazione sovranazionale ed ai suoi organi.
Una maggiore integrazione comporta diversi benefici economici, soprattutto
per quanto riguarda le economie di scala che si possono sviluppare, certamente
maggiori di quelle sviluppabili a livello nazionale. Maggiori economie di scala
significano aumento della specializzazione e diminuzione dei costi, con tutti i
benefici che ne derivano in termini di produttività, efficienza e competitività.
Una maggiore integrazione comporta inoltre un aumento quantitativo e
qualitativo dei flussi di capitale e delle innovazioni tecnologiche, come dimostra
l’evidenza empirica mondiale degli ultimi decenni.
17
È opinione condivisa che l’integrazione regionale possa innescare un ciclo
virtuoso per le economie dei Paesi coinvolti nel processo integrativo, a patto che
vengano presi gli opportuni accorgimenti e misure di coordinamento.
Sono comunque molti i pareri contrastanti: alcuni economisti sostengono
l’efficacia delle politiche protezionistiche e vedono nelle organizzazioni
sovranazionali una perdita di sovranità nazionale lesiva degli interessi economici
dei singoli Paesi.
1.6. I primi tentativi di integrazione in Sud America: ALALC e ALADI
L’integrazione regionale è stata al centro dell’attenzione dei Paesi
dell’America Latina a partire dagli anni ’50, spesso però con obiettivi ambiziosi e
scarsi risultati. Verso la fine degli anni ’50, sulla scia del mercato comune europeo,
la CEPAL
19
fece i primi studi circa un mercato unico nel continente sudamericano.
Nel 1960 nacque l’ALALC, Asociación
LatinoAmericana de Libre Comercio, che
comprendeva gran parte dell’America Latina
(vedi Immagine 1). Secondo l’ALALC, ai
fini dello sviluppo economico, era necessaria
una maggiore industrializzazione: un
mercato più ampio avrebbe facilitato la
nascita ed il consolidamento di nuovi settori
industriali.
Come consigliato dalla CEPAL, le
concessioni tariffarie iniziarono con i beni di
consumo e, durante i primi tre anni, gli
sgravi tariffari dei prodotti tradizionalmente scambiati nella regione diedero
dinamismo all’ALALC. I disequilibri sistematici nelle transazioni bilaterali, i pochi
sforzi di uniformazione delle politiche economiche nazionali ed il ricorso alla
Clausola della Nazione Più Favorita
20
portarono però al fallimento dell’ALALC.
19
La CEPAL (Comisión Económica para América Latina y el Caribe) è un organismo delle Nazioni
Unite che promuove lo sviluppo economico e sociale di America Latina e Caraibi.
20
Per Clausola della Nazione Più Favorita (CNPF) si intende la procedura con cui due o più Paesi si
impegnano a concedere a Paesi terzi condizioni tariffarie e doganali non meno favorevoli di quelle già
stabilite fra di loro. Si tratta di uno dei principi fondamentali del commercio internazionale.
Immagine 1:
Paesi firmatari
dell’ALALC