5
Obama ha coniato lo slogan “change” e si è fatto veicolo del rinnovamento.
Obama, così, è diventato il “change” nella testa delle persone e ha portato i suoi
avversari interni (Clinton) ed esterni (McCain) a discutere sul suo terreno di
gioco, sottraendosi ai loro argomenti vincenti. Quali esperienza e le relazioni
internazionali. Ha creato una grande comunità di sostenitori, ha sempre usato il
“noi” nei suoi comizi, ha fatto sentire importanti i suoi elettori, li ha coinvolti, ha
fatto sì che fosse facile partecipare alla sua storica corsa.
Obama ha capito il potere del passaparola online, poiché al tempo di Internet un
prodotto - sia esso un candidato o un nuovo gusto di Coca-Cola - deve stare
dentro a una “conversazione”; perché nel sovraccarico di informazioni in cui
viviamo, le persone si fidano molto più del giudizio degli amici che del parere di
sconosciuti professionisti.
Sul versante tecnologia, il candidato democratico ha letteralmente surclassato il
suo avversario repubblicano, facendolo apparire come un uomo d‟altri tempi, che
non è nemmeno capace di accendere il computer.
Obama e i suoi strateghi hanno impostato e gestito in maniera ottimale una
campagna cross-mediale di dimensioni cosmiche, sfruttando all‟estremo le
potenzialità di tutti i mezzi di comunicazione.
Ha utilizzato al massimo livello le possibilità offerte da Internet: ad esempio, il
sito www.barackobama.com ha registrato oltre 1,5 milioni di account (iscritti) e
attraverso di esso sono stati organizzati oltre 150.000 eventi. È stata realizzata
un‟applicazione per l‟i-Phone e un‟altra per l‟i-Pod Touch ed è stato creato un
sito www.fightthesmears.com per smentire le tante voci malevole che giravano su
di lui. Su YouTube, sono stati caricati i video dei discorsi di Obama visti da
milioni di persone e video nei quali si mostravano le gaffe degli avversari. Infine,
per la prima volta nella storia, ha annunciato via Sms in anticipo ai suoi
sostenitori il nome del vicepresidente Joe Biden. Non è un caso che, dietro alla
campagna dell‟ex senatore dell‟Illinois, ci fosse anche Chris Hughes, uno dei
fondatori di Facebook. Anche la strategia di e-mail marketing è stata
praticamente perfetta, sia durante il confronto, sia a vittoria avvenuta, quando è
stata inviata un‟e-mail personalizzata a tutti coloro che avevano sostenuto con
donazioni economiche la corsa di Barack alla casa Bianca.
6
Inoltre, Obama ha raccolto oltre 700 milioni di dollari (buona parte dei quali
tramite Internet), con oltre tre milioni di persone che hanno inviato donazioni,
spesso anche piccole somme. Il web Fund raising si è poi riflesso sui media
tradizionali: ad esempio, Obama in pubblicità televisiva ha speso, dal 1° gennaio
2007 al 29 ottobre 2008, 293 milioni di dollari contro i “soli” 132 spesi da
McCain. Egli, poi, non si è limitato ai principali canali dell‟etere ma ha investito
soldi su tutti i tipi di reti, dai grandi network alle piccole tv via cavo.
L‟innovazione della comunicazione politica attraverso le infinite possibilità
messe a disposizione dalle nuove tecnologie, è un significativo passo in avanti
rispetto al passato. Questo è un altro fondamento dell‟immagine di Obama, di
essere cioè percepito come un innovatore oltre che un liberale, una persona in
grado quindi di guidare la propria nazione attraverso le dure sfide della
modernità. La strategia sul Web è stata la prova più lampante di questa
straordinaria capacità del nuovo presidente che, con milioni di e-mail di
ringraziamento, ha voluto da subito stabilire un contatto personale con i suoi
elettori. In linea con questa strategia, il neopresidente ha da subito stabilito che i
consueti messaggi radiofonici presidenziali del sabato siano caricati anche su
YouTube, oltre che sul nuovo sito della Casa Bianca “www.change.gov”.
Il lavoro si suddivide in sette sezioni: nel primo capitolo, vengono messe in
evidenza le caratteristiche del candidato Obama, che sono sembrate più
interessanti e pertinenti per il nostro percorso. Il secondo capitolo tratta del
Concept, cioè del tema chiave sul quale è incentrata la strategia comunicativa
democratica. Poi, passando nella sezione successiva, mettiamo in luce i segmenti
elettorali che sono stati determinati per la sua vittoria e che hanno costituito i
target di riferimento del suo messaggio. Quindi, prenderemo visione dei risultati
ottenuti.
Ogni strategia politica o pubblicitaria ha a disposizione un budget: più esso è
cospicuo, maggiore sono i mezzi a disposizione e quindi la portata della
comunicazione e della sua efficacia. Per cui, nel quarto capitolo, analizziamo la
raccolta fondi dell‟ex-senatore dell‟Illinois, nelle tre diverse modalità con la
quale è stata effettuata: micro donazioni on-line, business dei gadgets e apporto
dei testimonials. Poi, passeremo al capitolo cardine di questa tesi, quello dedicato
7
alla strategia cross-mediale, cioè l‟uso trasversale dei vari mezzi di
comunicazione, siano essi “vecchi” e nuovi (con relativa analisi di alcuni spot).
Ci saranno, quindi, le teorie sulla pubblicità politica del maestro francese del
settore - Jacques Séguéla - con relativa analisi della sua campagna presidenziale
per Mitterand del 1981. Termineranno le conclusioni, con le quali vengono tirate
le somme di quest‟opera.
8
1 IL CANDIDATO
Nella pubblicità politica di oggi, i candidati sono accomunati a delle vere e
proprie marche da reclamizzare e vendere; e se le caratteristiche del prodotto da
promuovere condizionano la scelta comunicativa, lo stesso avviene con questi
candidati-marche. Quando parliamo di caratteristiche, le intendiamo in senso
lato: sia quelle relative alla fisicità del candidato che quelle immateriali,
psicologiche e socioculturali legate al suo universo simbolico.
Su quest‟ottica di studio, andiamo ad analizzare il candidato democratico alla
Casa Bianca delle Elezioni presidenziali statunitensi 2008: Barack Hussein
Obama. In questo capitolo, tracciamo il suo profilo elencandone gli aspetti che lo
contraddistinguono e che hanno influenzato la sua campagna
elettorale/marketing.
1.1 Aspetto connotante: l’origine multietnica e il fattore razza
Senza dubbio, la sua biografia lo rende un personaggio fuori dal comune. Obama
è nato nel 1961 ad Honolulu (Hawaii) da Barack Hussein Obama Sr. - studente
provvisto di borsa di studio proveniente dal profondo Kenia - e Ann Dunham del
Kansas. Si incontrano all‟Università delle Hawaii e si sposano. Dopo poco,
divorziano e la madre si risposa con l‟indonesiano L. Soetoro, trasferendosi con
il piccolo Barack a Jakarta. Ma la parentesi indonesiana dura poco perché,
consapevole dell‟importanza di una buona istruzione, la mamma decide di far
tornare il figlio ad Honolulu dai nonni e iscriverlo alla “Punahou School”, la
scuola media e il liceo migliori delle Hawaii. In essi, Barack si diploma con
ottimi voti.
L‟aver vissuto nelle Hawaii spiega sicuramente il suo rispetto per le razze: nelle
isole, sono tutti una minoranza e non c‟è nessuna etnia che superi un quarto della
popolazione; egli stesso non si sente né bianco né nero ma americano ed è il
simbolo di questa terra che è la somma delle migrazioni. L‟ascesa di Obama alla
politica e la corsa alla Casa Bianca sono intrise di un valore simbolico enorme
per tutte le minoranze d‟America, perché la sua è una vicenda che sembra fatta
9
per dimostrare la veridicità del sogno americano: la possibilità di raggiungere
qualunque obiettivo, per chi si dimostri capace.
Per le diverse comunità, quella nera in particolare, è stato ed è un momento
storico: lo sfavorito, l‟outsider è riuscito a diffondere la propria visione di un
futuro diverso e a elevarsi a candidato ufficiale del partito dell‟asinello,
sbaragliando prima gli avversari interni (tra cui la favorita Hillary Clinton, in
possesso di quella che era stata definita la macchina elettorale più potente di tutti
i tempi) e poi il repubblicano McCain. La carica idealista di Obama è un fattore
più ammaliante dell‟esperienza, che potevano offrire Clinton o McCain.
È, per molti, il passaggio finale di una lunga lotta di liberazione con l‟ascesa di
un uomo di colore, di uno di loro, al massimo vertice di quella nazione che li
aveva tenuti in catene. L‟essere divenuto il leader del più antico partito
americano fondato nel 1972 da Thomas Jefferson in persona, proprietario di
schiavi e padri di “meticci” come Obama, è un enorme segno di riscatto e di
cambiamento nella società d‟oltreoceano. Da anni, un politico non affrontava
cosi apertamente e con tale passione la questione razziale.
Il ricordo di Martin Luther King, il più giovane Premio Nobel per la Pace (35
anni) nonché padre dei diritti civili, è ben vivo nelle comunità afroamericane e
molti vedono in Obama la realizzazione del suo sogno: ”sogno che un giorno i
miei figli possano vivere in un Paese che non li giudichi dal colore della loro
pelle, ma dalla qualità del loro carattere”.1
Obama ha l‟appoggio anche dell‟altro grande protagonista della secolare
battaglia contro il pregiudizio razziale. Anch‟egli Premio Nobel per la Pace e
primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell‟apartheid, Nelson Mandela in
persona esprime in una lettera il suo sostegno al nuovo presidente degli Stati
Uniti: ”Caro Obama con la tua vittoria si può sognare un mondo migliore”. La
forza di Obama sta, quindi, nel suo messaggio di cambiamento, speranza e unità,
reso credibile dalla sua storia personale di figlio di una donna bianca del Kansas
e di uno studente nero del Kenya.
Per tutti, è il nuovo messia di Washington, una rock star prestata alla politica, un
salvatore della patria capace, come ripete lui stesso a ogni comizio, di poter
Atlante De la Repubblica “L‟America di Obama” 2008 pag.30
10
“guarire il paese” e tirarlo fuori dalle trincee delle battaglie culturali degli anni
Sessanta e da quelle partitiche dei Novanta. Obama, a differenza dei tradizionali
leader afroamericani, non rinfaccia all‟America bianca i torti della segregazione
nera, ma è attento a sfruttare con grazia l‟inconsapevole senso di colpa di
quell‟America anglosassone che non vede l‟ora di riconquistare l‟innocenza e
l‟autorità morale compromesse dal suo passato razzista.
Ma bisogna considerare anche il rovescio della medaglia. Durante la campagna
elettorale Usa, i maggiori analisti politici e commentatori hanno messo sul piatto
della bilancia il fattore dell‟identità razziale; esso è stata una grande incognita di
questa elezione. Infatti, se da un lato era forte motivo di presa sulle minoranze, al
contrario la pelle di Obama e il suo nome sono stati motivo di incertezza e di
ripudio di una parte dell‟America bianca. I vecchi contrasti rimangono
soprattutto da parte di quegli elettori che appartengono alla vecchia generazione e
che hanno ben presente nella memoria la difficile situazione degli anni sessanta.
Mentre i giovani, fortemente mobilitati dalla sua campagna, hanno una mentalità
più aperta verso il profilo razziale rispetto ai loro genitori e ai loro nonni.
Gli stessi sondaggi sono stati ritenuti inaffidabile quando si tratta di candidati
neri, per quel fenomeno chiamato “razzismo alle urne”: intervistati prima del
voto, gli elettori dichiarano di votare per il candidato nero, ma nel privato della
cabina votano per l‟avversario. Ne consegue che i candidati neri, che secondo i
sondaggi sono in testa di 6 o 8 punti percentuali, finiscono col vincere per un
soffio o perdere l‟elezione. È noto anche come “effetto Bradley”, da Tom
Bradley, sindaco nero di Los Angeles, che nel 1982 era in corsa per diventare
governatore della California. I sondaggi lo davano vincente sul repubblicano
bianco George Deukmejian, ma le urne ribaltarono le previsioni. Si scoprì che
una grande percentuale di bianchi non aveva votato per il sindaco nero, avendo
mentito ai sondaggi per non apparire razzisti.
L‟avversario repubblicano McCain ha giocato più volte su questo punto nei
comizi, definendo Obama “musulmano”, “terrorista” e “arabo”. Alcuni suoi spot
elettorali trasmessi in agosto, sono rivelatori della strategia che dominerà poi la
campagna elettorale: attacchi di carattere personale contro lo sfidante, che
giocano - in maniera sottile e indiretta - sui pregiudizi e i timori razziali. Ad
11
esempio, in alcuni di essi ci sono immagini dei comizi di Obama in cui folle
adoranti lo acclamano come fosse una rock star: appaiono, poi, le immagini di
Paris Hilton e Britney Spears. Che cosa ci fanno le due starlette in uno spot
elettorale? La chiave di lettura2, secondo Alexander Stille, è che collegando il
senatore a due giovani donne bionde, spregiudicate sessualmente, si evocano in
forma indiretta e cifrata pregiudizi razziali, facendo leva su un atavico timore
radicato in America: dell‟uomo nero e la donna bianca. Lo spot fa leva anche sul
rancore per il successo dei neri piuttosto che sulla commistione razziale; lo stesso
McCain lo ha più volte accusato di “speculare sulla razza”. Incolpando Obama di
fomentare la divisione razziale, McCain tocca un altro nervo scoperto: la
sensazione diffusa tra i bianchi che il vittimismo dei neri sia usato come
strumento per ottenere un trattamento privilegiato.
Quindi, la carta della razza è senza dubbio una risorsa ambigua. Più volte, i
presentatori ai comizi di McCain e della Palin hanno pronunciato con sdegno il
nome completo del senatore: Barack Hussein Obama. Un nome scomodo sia per
il richiamo al mondo arabo, sia per somiglianza col noto terrorista (accostamento
nato dalla gaffe di un giornalista televisivo).
Svariate sono le immagini e i fotomontaggi circolati sul Web che ritraevano il
politico nelle vesti di Osama o che li raffiguravano insieme in un fantasioso
ticket presidenziale. (Fig. 1)
Fig.1
2
Atlante De la Repubblica “L‟America di Obama” 2008 pag. 153
12
La questione razza si è rivelata difficile da maneggiare anche nelle Primarie
democratiche, quando nel marzo del 2008 il telegiornale della Abc ha trasmesso
le registrazioni di alcuni sermoni del reverendo Jeremiah Wright, il pastore che
ha celebrato il matrimonio di Barack e Michelle, che ha battezzato i loro figli e
che accompagnava la squadra nella campagna elettorale. I sermoni incandescenti
di Wright si propagarono in poche ore con una rapidità virale sul web e
mostrarono a milioni di persone un predicatore nero che invocava la «dannazione
sull'America» per le ingiustizie commesse nei confronti degli african-americani.
Ogni distinguo e ogni tentativo di mettere quelle parole nel contesto che le
avrebbe rese un po' meno «antipatriottiche» era inutile: ogni riferimento a
precedenti e paragonabili invettive di Martin Luther King non convinceva
nessuno.
Nella battaglia politica, veniva inevitabilmente chiamato in causa il legame
personale di Obama con il suo pastore; la stampa e i blog si riempivano di storie
sui legami del reverendo con Louis Farrakhan, il controverso leader della
Nazione dell'Islam, noto per le sue posizioni antisemite. Il senatore dell'Illinois
doveva certo dissociarsi dalle parole del reverendo Wright e allontanarlo dalla
sua campagna, cose che fece immediatamente, ma soprattutto doveva affrontare
la minaccia più seria che pendeva sulle sue prospettive: non tanto la vicinanza
con una persona diventata imbarazzante, quanto l'entrata in scena della razza
come argomento di divisione. Il colore della pelle e la biografia di Obama, fino a
quel momento punti di forza della sua ascesa, potevano diventare un fattore di
lacerazione a beneficio dei competitori. Ritornava a galla il cinismo di quanti
contavano sull'idea che l'America non fosse ancora pronta per un presidente nero.
Nasce da qui il discorso di Philadelphia del 18 Marzo: rivolgendosi ad
un‟audience di sole duecento persone, per lo più politici, notabili locali e
giornalisti, Obama non solo si è difeso, prendendo le distanze dalle posizioni più
radicali del proprio pastore e condannandole come pericolose, ma ha anche
sferrato il proprio attacco retorico all'ipocrisia di un paese che si nasconde dietro
le divisioni etniche per evitare di affrontare le crescenti disuguaglianze
13
economiche e di classe che ne stanno facendo sempre più una nazione di ricchi e
poveri.
Per evitare simili colpi bassi, Obama cambiò strategia di campagna,
sviluppandone una di più largo respiro. Probabilmente, perché la storia dello zio
Tom non poteva essere l‟unica carta vincente e perché la stessa Clinton ha tentato
di sfruttare la carta dell‟emancipazione femminile. Emancipazione femminile e
emancipazione razziale sono parenti stretti. In realtà, la Clinton non
rappresentava tutte le donne americane ma solo quelle affermate e per questo non
è riuscita a coinvolgere intensamente l‟elettorato femminile.
Obama ha avuto il merito di capire come stavano andando le cose e di riuscire a
spostarsi dall‟identità razziale alla dimensione della rappresentanza, permettendo
a molti elettori di identificarsi nelle idee e non nel colore del candidato
democratico, definito spesso troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri.
La società americana è tanta varia da non poter essere assimilata all‟interno di
qualche stereotipo. Alla fine, la campagna di Obama è risultata vincente perché si
è dimostrato capace di attraversare trasversalmente l‟elettorato e il corpo sociale
americano, più di quanto sia riuscito a fare la Clinton o McCain.
1.2 Aspetto connotante: cariche politiche precedenti
La rapidissima ascesa politica è senza dubbio un ottimo biglietto da visita di
questo candidato. L‟essere divenuto a soli 43 anni senatore congressuale per
l‟Illinois e a 47 anni Presidente degli Stati Uniti, sono meriti incontestabili e
segnali di un‟istruzione e di capacità fuori dall‟ordinario. Ripercorriamo
brevemente le tappe principali del suo impegno politico.
Tutto inizia nel 1992, anno in cui sostiene il Presidente Bill Clinton nelle nuove
elezioni, dirigendo un movimento per la registrazione alle liste elettorali (il Voter
Registration Drive).
Nel 1993, favorisce l‟elezione al Senato di Carol Moseley Braun, prima donna
afro-americana a diventare senatrice.
Nel 1996, Obama fu eletto al senato dell'Illinois dal 13° distretto nel quartiere
Hyde Park, nella parte meridionale di Chicago. Nel gennaio 2003, quando i