4
Il messaggio fortemente politico e progressista che Haydar vuole trasmettere è in realtà
molto comune alla generazione di scrittori a cui appartiene, memori del panarabismo
nasseriano e del trionfo dei movimenti di liberazione in varie parti del mondo,
dall’Indonesia all’Iran, dalla Cina all’Iraq, da Cuba all’Egitto, per citare solo alcuni dei più
importanti. Lo scopo del suo romanzo è dunque quello di soffermarsi essenzialmente sulle
contraddizioni dell’identità nazionale e di dare voce a coloro a cui era impedito di farlo.
Ancor prima della campagna denigratoria lanciata contro di lui in Egitto, questo
romanzo aveva attirato l’attenzione di parecchi critici.
Lo scrittore Mahmud Amin al-‘Alim considerava il romanzo un inno alla rivoluzione
araba abortita, in cui si miscelavano due linguaggi: uno diretto e descrittivo, l’altro lirico e
quasi surreale che dava una visione profonda della realtà.
Il marocchino Mohammed Barrada, romanziere e critico letterario, lo presentò come “la
storia moderna della sconfitta dell’amore e della rivoluzione”
3
, in cui si mescolavano la
dimensione politica con l’amore, il sesso, la natura, la gioia e la tristezza.
“Banchetto delle alghe di mare” può essere visto alla pari di un necrologio politico, in
cui l’autore è riuscito a catturare la rabbia della sua generazione e della società in cui ha
vissuto e lavorato. Lo si potrebbe considerare anche un romanzo profetico che è riuscito a
prevedere la guerra civile in Algeria degli anni ‘90, le catastrofi in serbo per l’Iraq e il
diffondersi di un fondamentalismo islamico omicida molto prima che avvenisse tutto
questo.
Infatti è stato proprio il “terrorismo intellettuale” dei fondamentalisti ad innescare nel
mondo arabo quel meccanismo di censura dei romanzi considerati blasfemi e offensivi nei
confronti dell’Islam, di Dio o del Corano.
A supporto di questa tesi, non bisogna dimenticare che quando “Banchetto delle alghe
di mare” fu pubblicato per la prima volta nel 1983 non catturò quasi alcun interesse da
parte dei fondamentalisti, semplicemente perché all’epoca non avevano il potere che hanno
assunto oggi.
Il governo di Sadat in Egitto, invece, aveva permesso nel 2000, in vista delle nuove
elezioni politiche, la formazione di un certo numero di partiti politici, a ciascuno dei quali
fu dato il diritto di avere un proprio giornale. Due di questi partiti, il Wafd e il Partito
Laburista, finirono completamente nelle mani di gruppi islamisti, il cui organo ufficiale
divenne il giornale al-Sha‘b.
3
Cfr. AHNAF, M., L’affaire Haydar Haydar, p.168.
5
È stato proprio in questo clima intimidatorio che il pensiero degli intellettuali
modernisti è rimasto sempre più intrappolato nella rete del fanatismo islamico e di un
regime sempre più degenerante, in cui la vittima principale era il popolo.
L’inflazione rampante che aveva delapidato il potere d’acquisto della classe media
causò agli inizi del Duemila un aumento vertiginoso del prezzo dei libri e delle riviste in
Egitto. Per ovviare a questo problema, il Ministero della Cultura istituì una serie di
ristampe di libri a buon mercato di scrittori arabi contemporanei provenienti da altri stati
che non fossero l’Egitto. Una di queste collezioni, “Orizzonti di scrittura”, fu curata dal
romanziere egiziano Ibrahim Aslan. Nel novembre del 1999 il romanzo “Banchetto delle
alghe di mare” di Haydar Haydar costituiva il trentacinquesimo titolo che compariva nella
serie.
4
Dopo sedici anni dalla sua pubblicazione a Nicosia, il romanzo non suscitò alcuna
reazione immediata al Cairo. Tuttavia alla fine di marzo del 2000 un giovane scrittore,
Hasan Nur, accusò il romanzo di blasfemia sulla rivista al-Usbu‘. Il suo articolo fu letto da
Muhammad Abbas, un medico radiologo sostenitore del Partito laburista che, il 28 aprile
dello stesso anno, pubblicò un rabbioso articolo sulla rivista al-Sha‘b contro Haydar
Haydar intitolandolo “Chi si impegna a morire con me?”.
L’accusa era rivolta al Ministro della cultura egiziano Faruk Hosni che aveva consentito
la ristampa del romanzo, paragonato per la sua oscenità ai Versetti satanici di Rushdie
5
. La
miccia dalla quale poi sono scaturite tutta una serie di false accuse era la frase sovracitata
che si trova nel romanzo. Secondo Abbas, le ultime due parole della frase, ossia “Corano”
e “Merda”, non erano separate dalla virgola e questo significava che l’autore siriano aveva
voluto fare un oltraggio alla religione islamica.
Abbas continuò la sua crociata nel numero di al-Sha‘b datato 5/5/2000. In esso
sosteneva che la cultura in Egitto ormai significava che la libertà di pensiero e i diritti della
donna erano sinonimi di blasfemia e pornografia e che l’alleanza con Israele e la
sottomissione all’Occidente avevano facilitato il diffondere ditale blasfemia tra la società
musulmana. Blasfemia e pornografia, questo era appunto il programma del ministro della
Cultura che continuava a difendere i sentimenti dei musulmani “pubblicando” un libro che
diceva che “Dio è un muflone con due corna che scende dal cielo per incontrare la sua
amante”.
6
4
Ivi, p.168.
5
Libro pubblicato nel 1988 che provocò una fatwa di Khomeyni, il quale decretò la condanna a morte del
suo autore, reo di bestemmia. La storia del libro è allusiva nei confronti della figura di Maometto.
6
Cfr. AHNAF, M., L’affaire Haydar Haydar., p.171.
6
Lunedì 8 maggio del 2000, anche gli studenti dell’università Azhar decisero di
protestare contro il romanzo inquisito, sollecitati soprattutto dal loro rettore Ahmad ‘Umar
Hashim. Così si riversarono per le strade del Cairo, ma incontrarono l’antisommossa della
polizia con auto blindate, gas lacrimogeni e proiettili di gomma.
Gli islamisti, invece, non denunciavano un romanzo blasfemo e osceno, ma il fatto che
fosse stato pubblicato da un’istituzione pubblica, il Ministero della Cultura.
Di contro, alcuni giorni dopo, l’Unione degli scrittori egiziani, il Supremo Consiglio
della Cultura, l’Unione dei giornalisti e alcuni editori indipendenti fecero sentire la loro
voce con dichiarazioni forti contro la campagna islamista. Secondo loro e secondo il
giornale al-Wafd, non era stato semplicemente il libro a scatenare il furore degli studenti,
ma “la rivolta ha avuto luogo a causa della collera che riempie i cuori contro il nostro
governo e contro la corruzione penetrata fino al midollo”.
7
Sempre a difesa del romanzo, ‘Ali Abu Shadi, critico cinematografico e funzionario del
Ministero della Cultura, affermò: “É solo un romanzo moderno che descrive l’esperienza
di un gruppo marxista iracheno in lutto contro il potere del Ba‘th; fa parlare i personaggi
secondo la natura della loro appartenenza. Con la franchezza necessaria propria della
creazione letteraria. Le opinioni avanzate dai personaggi non riflettono necessariamente
quelle dell’autore”.
8
Il 17 maggio il libro venne infine sottoposto al giudizio degli sheykh di al-Azhar che lo
accusarono di essere spesso erotico e pieno di riferimenti sessuali, di insultare tutti i
governanti arabi attribuendo loro crimini terribili che incitavano le masse a lottare contro
di essi e infine di non essere conforme ai valori morali e alla religione.
A dimostrazione di ciò, nella loro Dichiarazione si preoccuparono di citare persino i
numeri di pagina in cui Haydar Haydar pronunciava le sue oscene sentenze: Dio viene
definito “un artista fallito”
9
e Maometto che “ha preso con sé più di venti donne”
10
. Inoltre,
sempre secondo la loro opinione, il romanzo incoraggiava a disobbedire alla Sharia e ai
suoi comandamenti e ad “allontanarsi da Dio e dalla religione, dalle tradizioni, dai tempi
infangati, dall’Inferno e dal Paradiso (…)”
11
.
Ma è opinione comune che il motivo principale di questa campagna diffamatoria è stato
quello di rendere popolare la fazione integralista in vista delle elezioni parlamentari che si
tennero nel novembre del 2000 in Egitto.
7
Ivi, p. 175.
8
Ivi, p. 183.
9
HAYDAR HAYDAR, Walimah li-A‘shab al-Bahr, p.120.
10
Ivi, p.83.
11
Ivi, p.190.
7
Il fatto che siano stati capaci di mobilitare centomila studenti contro una semplice opera
letteraria ben sedici anni dopo la sua pubblicazione (e che la maggior parte di essi non
aveva neppure letto), è la misura del profondo oscurantismo e regresso che ha colpito la
coscienza delle masse nell’era post-sovietica. Da tutta questa situazione arroventata, quello
che doveva esserne il capro espiatorio, ossia H. Haydar, alla fine è stato colui che
maggiormente ne ha beneficiato in popolarità. Infatti il suo libro, quasi del tutto
sconosciuto al momento della pubblicazione, è diventato improvvisamente famosissimo in
tutto il mondo arabo, tanto da esser stato ristampato più volte.
La storia del romanzo inizia in una mattina algerina nella cittadina di Buna, nel
capitolo intitolato “Autunno”. Seguono “Inverno” e “Primavera” e si interrompe poi con
una sequenza di tematiche di ambientazione storica, per lo più irachena: “Le paludi”,
“L’amore”, “Ode alla morte”, “L’ascesa del leviatano”, prima dell’ultimo capitolo
“Estate”. Si tratta essenzialmente di un dialogo continuo ed equilibrato tra due rivoluzioni
storiche e due contrastanti storie d’amore.
Dei quattro protagonisti, il principale è Mahdi Jawad, un esule iracheno superstite
all’ala radicale del Partito Comunista Iracheno che, dopo esser stato incarcerato e torturato,
fugge dal carcere, rifugiandosi in Algeria per lavorare come insegnante favorendo un
programma di arabizzazione. Ma ben presto scopre che la vita ad Algeri non è tanto
diversa da quella di Baghdad. Infatti anche lì la corruzione del regime militare ha portato in
carcere leader socialisti e liberali del FLN.
Attraverso il suo diario, in cui prende nota della sua storia individuale, di quella
collettiva e dei vari luoghi in cui ha vissuto, Mahdi sembra voler sconfiggere il suo esilio.
La scrittura sembra appunto l’unico modo per farlo, perché tramite essa sembra riuscire a
costruire una sintesi del soggettivo e dell’oggettivo, del reale e dell’immaginario, di
momenti di crisi e di libertà che lo sostengono a partecipare al tempo collettivo.
12
La sua compagna, Assya Lakhdar, aveva dieci anni quando l’Algeria fu liberata. Suo
padre combatté per l’FLN, fu arrestato dai francesi poco prima della vittoria della
rivoluzione e fu torturato a morte
13
. Ora vive con la sorella minore Manar e la madre Lalla
Fadila che, dopo di allora, fu costretta a sposare un commerciante, Yazid Wild al-Hajj, un
patrigno tiranno spinto solo da interessi politici a sposare la vedova di un martire.
12
Cfr. JEGHAM N., L’Algérie dans la literature arabe. L’exemple de Haydar Haydar, p.271.
13
Per vincere la battaglia di Algeri l'esercito aveva operato con metodi brutali, tra cui il largo ricorso alla
tortura. Questo ebbe una vasta eco internazionale e pose in questione la stessa presenza francese in Algeria.
8
Al momento della narrazione, Assya sta studiando per superare il suo baccalaureato.
Tutto questo sarà possibile grazie a Mahdi che la aiuterà con delle lezioni extra-scolastiche
a recuperare la sua lingua d’origine e a riacquistare l’identità araba.
In un incontro occasionale, Mahdi ritrova il suo connazionale Mihyar al-Bahili, un
intellettuale “infatuato dalla gloria della Comune e di Che Guevara”. É un insegnante
marxista di filosofia che aveva organizzato la rivoluzione delle Paludi dell’Iraq del sud nel
1968, durata diversi mesi prima che fosse abbandonata dal PCI.
Infine Fullah Bu ‘Annab, proprietaria di una pensione per insegnanti, che personifica la
donna algerina che ha lottato per l’indipendenza a fianco degli uomini sulle montagne.
Sente una forte affinità con Mihyar, perché anche lei vede il degrado sociale che la
circonda, ma la seduzione nei suoi confronti non ha successo.
Le dimensioni della miseria e il senso del fallimento rivoluzionario sono poi estese oltre
i confini dell’Iraq e dell’Algeria, attraverso altre figure secondarie che compaiono nel
romanzo, ad esempio un gruppo di insegnanti espatriati dalla Palestina, dalla Siria e
dall’Egitto.
La fine del romanzo è tragica: Mahdi Jawad, consapevole della catastrofe della sua
patria e della sua incapacità di offrire un futuro dignitoso ad Assya, decide di suicidarsi
gettandosi in mare e offrendosi così come “un banchetto di alghe di mare”.
Proprio grazie alla censura di questo romanzo, i lettori arabi si sono resi conto del
merito letterario di Haydar Haydar. Egli ha infatti cercato di dare un contributo alla
battaglia per la libertà, mettendo al centro della sua arte una completa libertà di pensiero,
ma esprimendo d’altro canto la sua fede nella religione islamica. Lui stesso lo dichiarò in
un’intervista pubblicata sulla rivista Akhbar al-adab (7-5-2000) in cui denunciava l’uso
politico o “commerciale” che si faceva della religione.
14
Ma il caso Haydar Haydar ancora oggi non è che uno dei tanti casi di censura che
colpisce la letteratura araba. Ancor prima di lui, illustri scrittori sono caduti vittima degli
integralisti che hanno censurato le loro opere. Il caso più famoso è certamente quello del
Premio Nobel Nagib Mahfuz che, oltre ad aver subito pesanti accuse in una rassegna
stampa, nel 1994 fu addirittura accoltellato per strada da un integralista. E tutto “per colpa”
14
Cfr. AHNAF, M., L’affaire Haydar Haydar, p.178.
9
di alcune frasi irriverenti che aveva scritto nel romanzo Awlad haratina (“I ragazzi del
nostro quartiere”).
15
Anche se proprio gli scrittori che sono stati censurati per alcuni dei loro romanzi sono
stati quelli più letti nel mondo arabo, questi dovrebbero sempre più far comprendere che le
loro opere sono un patrimonio simbolico di tutta la cultura, su cui nessuno ha il monopolio
d’interpretazione. A maggior ragione se il fine è semplicemente quello di proteggere solo i
propri interessi. Infatti coloro che si oppongono al libero pensiero di certo non vogliono
proteggere la Verità divina. Questa è soltanto una maschera dietro la quale la religione
viene posta a servizio di ignobili manovre politiche.
15
Libro edito nel 1959 a puntate dal quotidiano al-Ahram in Egitto, pubblicato a Beirut nel 1967 e in Italia
nel 1981. L’ideologo dei Fratelli musulmani Sayyd al Qutb lo fece bandire dall’Egitto nel 1959 per la
rappresentazione allegorica di quattro profeti, tra cui Maometto.
10
NOTA BIOGRAFICA
Haydar Haydar è nato nel 1936 da una famiglia alawita, nel piccolo villaggio di Husain
al-Bahr, vicino a Tartus, sulla costa mediterranea siriana.
Dopo essersi laureato presso l’università di Damasco, inizia a lavorare come insegnante,
trovando il tempo per scrivere. A metà degli anni ‘70, lascia il suo paese per andare ad
insegnare in Algeria, contagiato dalla politica di arabizzazione e dall’aria rivoluzionaria
che si cominciava a respirare, dopo centotrenta anni di colonialismo francese.
Nel 1974 torna in Siria, ma solo per pochi anni. Nel 1981, infatti, lascerà per sempre la
sua patria, alla volta di Beirut, da sempre una delle città arabe più aperte alla libertà
intellettuale. Qui lavorerà con la resistenza palestinese fino all’invasione israeliana del
Libano, quando sarà costretto, insieme a tanti altri, a fuggire a Cipro.
Lo scrittore vive attualmente in un volontario isolamento sulla costa siriana da dove
continua a scrivere.
Haydar Haydar ha pubblicato sei raccolte di racconti brevi:
1968: Hakaya al-Nawras al-Muhajir (Storie del gabbiano migratore)
1970: Al-Wamd (Il brillante)
1978: Al-Wu‘ul (Capre)
1979: Al-Fayadan (Il diluvio)
1979: Al-Tamawwujat (Onde)
1987: Ghasaq al-Alihah (Il crepuscolo degli dèi).
Inoltre ha pubblicato cinque romanzi:
1969: Al-Fahd (La lince)
1973: Al-Zaman al-Muhish (Il tempo selvaggio)
1983: Walimah Li-A’shab al-Bahr (Banchetto delle alghe di mare)
1992: Maraya an-Nar (Specchi del fuoco)
1997: Shumus al-Ghajar (I soli degli zingari).
11
NOTA SULLA TRADUZIONE
É ben noto che l’arduo compito di un traduttore è quello di riuscire a conservare
l’aderenza al testo, presentando il tutto in modo tale che l’informazione risulti
comprensibile ed esplicita anche a chi non ha alcuna conoscenza del libro che si appronta a
leggere o che comunque non rientra nei suoi interessi letterari.
Risulta spesso difficile anche rispettare il gusto estetico che l’autore ha voluto dare alla
sua opera. Il traduttore, dunque, funge essenzialmente da cassa di risonanza dinanzi al
testo. É come se traesse ispirazione dal messaggio di partenza per stimolare una
produzione nuova, una riscrittura fra le molte possibili, visto che una traduzione non offre
mai risultati omologabili.
Per non appesantire il testo con segni diacritici, si è seguito un sistema di
traslitterazione scientifica semplificata: le lettere arabe ġ, h, š, t, d, sono state sostituite
rispettivamente con gh, kh, sh, th, dh.
12
«Io sono il cacciatore che non si riposa mai.
Il cacciatore che non ha una patria.
Chi va verso di lei, continua a volare davanti a me;
e io la seguirò,
anche se lei mi ha condotto dietro il monte,
attraverso mari senza soli,
dentro la note la morte».
Herman Melvile
13
______________________________ AUTUNNO
14
Era mattina tardi.
Il cielo era limpido e i gabbiani svolazzavano lentamente e senza timore come per
dimostrare il loro stato di felicità. Sull’erba e sulle foglie degli alberi c’era la brina che
luccicava sotto il sole d’autunno.
“Guarda. Guarda, ecco il mare!”, disse la ragazza. Poi, raggiungendo velocemente la
spiaggia deserta, si tolse le scarpe e si immerse nell’acqua con la naturalezza di una foca.
“Attenta! Le spine ti pungeranno!”.
Ma lei non si voltò. Lo raggiunse agitando le braccia come fossero le ali di un uccello
nell’aria pura. La velocità e il vento rendevano la natura più bella e le sue cosce bianche e
sode sembravano di marmo. L’uomo correva agitando nel vento lo zaino con dentro il cibo.
La giovane rallentò mentre scendeva il dirupo tra i cespugli e frantumando pezzi di roccia.
All’improvviso scomparve.
Il mare apparve sulla sponda del pendio. Era immenso e splendido, si infrangeva contro gli
scogli per poi spargere la sua schiuma che si allontanava come un bimbo sereno.
“Assya, Assya!”.
La chiamò con voce esultante.
L’eco si ripeté tra gli antri rocciosi, mentre il mare si agitava.
Pensò che si fosse nascosta da qualche parte, perciò aspettò con ansia che riapparisse. Poi
inciampò sulle pietre e sulle spine. Lo zaino gli penzolava sulla spalla e negli occhi aveva
il fulgore del sole. Cantava e fischiava attraversando un valico sinuoso che portava a
quell’antico posto, che un tempo avevano chiamato “il letto del mare”.
“Se non ti fai vedere, c’è un’altra donna qui sulla spiaggia…”.
Quando raggiunse una grotta che s’affacciava sul mare, gettò lo zaino sul terreno bagnato.
Si spogliò e si gettò sull’argilla umida.
Il suo volto era esposto ai raggi cocenti. Fuori dalle palpebre, il chiarore dei raggi iniziò a
tramutarsi in un rosso spettrale. Al centro di questo spettro colorato, le cose cominciavano
ad avvicinarsi per poi indietreggiare con una luce strana e affascinante.
* * *
Si sentiva perseguitato da qualcuno, da un uomo di cui non conosceva precisamente i
lineamenti. Attendeva la sorpresa nella strada successiva. C’erano molte strade in questa
città barbara e poco sicura. Camminava spedito, né mostrando timore, né coraggio. La
paura gli scorreva lungo la schiena, sicuro che ci fosse qualcuno pronto a dargli un pugno
alle spalle. Toccò con la mano un coltello posto nella tasca posteriore. Tremava mentre si
avvicinava alla strada buia. Sentì il manico liscio e la punta della lama pronta ad essere
subito estratta, in qualsiasi momento. Ricordò che la ragazza un giorno gli aveva chiesto:
“Dove hai imparato a minacciare col coltello?”.
E lui le aveva risposto sorridendo: “A scuola”.
La ragazza, con uno strano sorriso, replicò: “A scuola! Doveva essere una scuola
militare!”. “No, l’ho imparato da ragazzo”- fu la sua risposta. La lavagna al centro
dell’aula, teatro di apprendimento, distava da lui alcuni metri. Impugnava il coltello per
lanciarlo, tanto da far muovere la lavagna quando subiva il colpo. Si inebriava quando i
15
compagni ammiravano questa bravura, quella di un ragazzo scellerato che odiava la scuola,
i libri e gli insegnanti.
La ragazza scoppiò a ridere, mentre lui parlava.
Gli domandò se avesse già colpito qualcuno in vita sua e lui le rispose che era successo una
volta, per una cosa da poco.
“É morto?”- chiese impaurita.
“No. Non si muore per un colpo avventato di coltello! Le piccole ferite si possono
medicare in ospedale. Infatti il ragazzo fu subito dimesso”.
Era fiero di aver raccontato il fatto, ma allo stesso tempo si vergognava come un
adolescente.
“Allora eri un ribelle!”- disse la ragazza.
E lui replicò: “No, anzi. A quel tempo avevo paura”.
* * *
Era una bella città, circondata dal mare e dalla foresta. Ma come ogni città araba, era
arretrata, governata dal terrore, dalla fame, dalla superstizione, dalla religione, dall’odio,
dall’ignoranza, dalla crudeltà e dalla morte.
Una città che odiava gli stranieri e che, nonostante fosse circondata dal mare e dalla
foresta, sembrava triste. Di certo vi sbocciava l’amore come un fiore tra le fenditure delle
rocce, ma con la paura di morire se tentava di fermarsi sotto il sole.
Quella era Buna illuminata. Città della tristezza, del mare, della paura, dell’amore e dei
ricordi.
* * *
La voce di lei proveniva dal mare. Lui la ascoltò, mentre guardava un vortice danzante nel
cielo al tramonto. Poi lo chiamò perché si avvicinasse. Appariva candida, felice come una
principessa sugli scogli, mentre gocce d’acqua le cadevano come punte di diamante sul
corpo irradiato dal sole. Agitò le braccia e fece una linguaccia. Poi gridò: “Vieni, porco!”.
Sprofondò in acqua. Ma il suo corpo, così come i capelli e il costume colorato,
risplendevano sotto l’acqua trasparente. Appariva così, come una rosa a fior d’acqua che
faceva brillare il mare e il sole. In quel momento c’erano solo lei, lui e il mare, in quel
luogo all’aria aperta, lontano dalla metropoli, scherzando come bambini fuori dal posto di
blocco.
* * *
Era un giorno d’autunno quando vide un uomo alto con le sembianze di uno scimpanzé che
ostacolava loro la strada. Lo travolse un’ondata di smarrimento. La ragazza era
imbarazzata e nei suoi occhi si intravedeva paura. Subito pensò che sarebbe scoppiata una
guerra. L’uomo che la accompagnava era tranquillo e silenzioso. Aveva ancora il coltello
nella tasca di dietro.
L’uomo sconosciuto pensò: “Che schifo!”.
16
Lo scimpanzé, guardando storto lo straniero, le disse: “Chi è questo?”.
“É un mio amico!”- gli rispose la ragazza con fermezza, discutendo animatamente nel
dialetto locale.
Lo scimpanzé prima ascoltò, poi aggiunse turbato: “Ma è uno straniero! Che ci fa qui?”.
Lo straniero respirava a fatica.
La ragazza replicò di getto: “E tu che c’entri? Lui sta con me e basta”. Dalla curva vicina,
spuntò un ragazzo coi capelli rasati che pareva un maiale. Avvicinandosi, gridò:
“Ascoltami… chi ti ha detto che è permesso! Tu sei una delle nostre donne e gli stranieri
non hanno diritti qui”.
Ora le dita dello straniero stringevano il manico del coltello. Si sentiva sul punto di
soffocare, perché la faccenda gli incuteva disgusto e rabbia. La ragazza urlò arrabbiata: “Se
fosse un francese, non lo avreste fermato! Clochard!”.
Le sue dita si muovevano sul manico, dopodiché, premendo leggermente sul coltello, lo
estrasse con violenza dalla tasca. Stava quasi per ucciderlo, ma alla parola clochard, lui si
avvicinò allo straniero, lei lo afferrò per il braccio e insieme affrontarono la forza
dell’avversario.
Disse lo scimpanzé: “Le donne per bene non accompagnano gli stranieri. Capito?”.
L’altro aggiunse: “Sappiamo bene chi sei”. E fece una boccaccia con la lingua. Allora la
ragazza si voltò, alzò la testa e sputò così tanto forte contro loro due, che li bagnò. Lo
straniero chiese alla sua amica, mentre si allontanavano: “Non doveva scoppiare una
guerra?”.
E la ragazza: “No, erano solo due maiali di strada!”.
* * *
“Accidenti a te che hai paura del mare!”.
Una goccia d’acqua cristallina cadde al centro del rosso spettrale, mentre il tramonto si
affievoliva. Poi le gocce cominciarono a cadere di sbieco sui piedi di quel bel corpo. Aprì
lo zaino con dentro il cibo e la birra per imbandire una misera tavola posta su vecchi fogli
di giornale. Il sole era di un rosso acceso e i gabbiani attraversavano il cielo sopra di loro.
Vedendo che lui ammirava quegli uccelli bianchi, lei disse: “Vorresti essere un
gabbiano?”.
Con le dita le toccò i muscoli delle gambe, fredde e bianchissime. Ora era davanti a lui
come una sirena creata dalla schiuma del mare.
Quando gli chiese a cosa stesse pensando, lui rispose: “Ti desidero.” E lei gridò:
“Vergognati, peccatore!”.
Lui fece finta di indignarsi. Si alzò, l’afferrò per il polso e le diede un pizzico: “Ora siamo
in Purgatorio, non in moschea o nella chiesa di Dio. Queste sono le nostre birre e noi siamo
le loro divinità!”. Lei prese una bottiglia di birra e la aprì.
“Accendi la radio”.
“La tua canzone”. Afferrò la bottiglia con la mano di lei e la strinse. Sotto di loro si
stendeva l’erba e un campo di fiori sparsi e bagnati. L’orizzonte del mare era pallido, triste,
nuovo, risuonava di echi. In quel momento il mondo sembrava delizioso, ma anche
17
incomprensibile e pieno di incertezze. Tutto ciò gli fece ricordare un sogno antico. Passò
quella sera ricordando il viaggio fatto prima di calpestare quella terra stupenda e selvaggia.
- 2 -
Assya somigliava all’alba africana, piena di sole. Mentre abbracciava Mahdi Jawad,
chiese: “Perché non andiamo al mare?”.
Ora si trovavano in una stanza stretta, con delle finestre serrate e una tenda bianca. Da
questa stanza si poteva udire il rumore del mare.
“Cosa preferisci, il bosco o il mare?”.
“Nel bosco c’è l’ombra degli alberi, nel mare gli scogli. Questa è la nostra terra in questo
vasto regno”. Era da tanto che non ricordava la sua giovinezza trascorsa in città, e, a quel
ricordo, entrambi divennero tristi.
Nelle sere ventose dell’autunno africano, la pioggia bagnava il bosco, le rocce e i muri
delle case. Quando smetteva di piovere, la città deserta taceva serenamente. L’uomo e la
ragazza erano prigionieri della stanza stretta e dei loro corpi. Si ripararono dalla pioggia
che cadeva, ascoltando in silenzio l’intensa voce del mare che poi scomparve del tutto. La
giovane disse che preferiva il mare. “Guarda che sta facendo quel pellicano bianco
innamorato nella fenditura della roccia!”- disse lei all’improvviso sotto un albero.
Dopo un po’ chiuse gli occhi da cerbiatto e dormì come un colombo in quella camera da
letto desolata.
Quando era piccola amava molto le spiagge e l’erba.
Andarono verso la collina e, come due bambini, raccolsero i raggi del sole e le conchiglie
del mare. L’erba bagnata gli pungeva i piedi e i volti. Si nascosero lì, in quel fitto bosco
lontano da tutti.
L’odore di Assya e quello dell’erba si fondevano con quello della terra che si prolungava
con un braccio roccioso in mezzo al mare. Dopo i primi giorni di tenerezza, la ragazza,
sempre più innamorata, chiese: “Perché i bambini crescono tanto da non raccogliere più la
rugiada e le conchiglie?”.
Da una nuvola rosa cadeva una pioggia sottile che bagnò i loro volti. La terra tremava sotto
i loro corpi. Un gabbiano lì vicino cambiò direzione a causa del vento forte e impetuoso.
L’onda del mare portò via le loro orme. Da quella profonda oscurità si alzò un singhiozzo.
“Ma perché qui non amano gli stranieri?”, chiese Mahdi Jawad durante i primi giorni di
attacchi. Assya Lakhdar si sorprese: “E me lo chiedi?”. Poi tacque.
“Forse è l’istinto”- aggiunse.
Lui chiese cosa intendesse dire e lei, ridendo: “L’istinto della sopravvivenza della specie”.
Mahdi scoppiò a ridere: “Gli stranieri minacciano l’estinzione?”.
“Certo. Forse!”.
“Certo?! Allora a quale specie extraterrestre apparteniamo?”.
“Ad una diversa dalla loro”.
“E quale sarebbe? Cioè, come ci vedono?”.
“Individui diversi nel corpo o nella razza”.
Mahdi disse: “Una specie di eroi!”. Poi continuò a parlare, pur sapendo di commettere
errori di pronuncia.