Brecht, in questa lirica, non solo nega l’esistenza di una vita oltre la morte, ma, proprio in
virtù della sua fede terrena, esorta a vivere la vita in tutta la sua pienezza, cercando di
produrre uno sconvolgimento di fronte alla brevità della stessa:
Non vi lasciate illudere
che è poco la vita.
Bevetela agran sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.
5
Qui, il legame con Nietzsche è indubbio: In Così parlò Zarathustra (1883-85) Nietzsche
mette in bocca a Zarathustra la dottrina della “morte di Dio”, che è l’inizio della liberazione
da tutti gli “idoli metafisici” (la morale, il cristianesimo, l’arte…).
Dio è stato ucciso perché in Lui era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita. Il superuomo
6
di Nietzsche, invece, è un essere libero, che agisce per realizzare se stesso attraverso il
soddisfacimento dei propri desideri e pulsioni, legate all’identità biologica dell’uomo:
«Peccare contro la terra, ecco la cosa più terribile che si può fare oggi; stimare più le viscere
dell’imperscrutabile che non il senso della terra»
7
.
Con la morte di Dio e dei valori a Lui connessi, tocca all’uomo, anzi al superuomo, creare dei
nuovi valori. Ma prima di farlo, prima di proporre una nuova tavola di valori, Nietzsche si
dedica allo smantellamento della morale. «E chi dev’essere un creatore nel bene e nel male?»
dice Zarathustra: «quegli, in verità, dev’essere dapprima un distruttore, che infrange valori».
E Baal lo è: egli infrange la morale, quella Morale, costituita da valori astratti e repressivi, che
per Nietzsche era uno strumento di dominio e che si prefiggeva il compito di «conformare
opportunamente»
8
l’essere umano. Una morale che gli procurava seri dubbi: «E se la Morale,
nonché essere il principale sostegno dell’uomo, fosse il massimo ostacolo al suo
realizzarsi?»
9
.
L’essere umano desiderava soddisfare le proprie pulsioni, realizzarsi in questo mondo. La
morale lo ha invece spinto a credere in una specie di anti-mondo, lo ha portato ad allontanarsi
dalla sua natura originaria, che è terrestre. Ma la natura si è vendicata e gli istinti si sono
5
Ibidem.
6
Con la teoria dell’Ubermensch (l’“oltre-uomo”) Nietzsche sostiene che l’uomo deve giungere a un
superamento dell’uomo come é stato sinora: «L’uomo è quella corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una
corda tesa sopra un abisso.» [In NIETZSCHE, F., op. cit. (36), p. 39].
7
Ibidem, p. 37. E ancora: «Il mio Io m’ha insegnato un nuovo orgoglio, ed io lo insegno agli uomini: cioè non
ficcare più la testa nella sabbia delle cose divine, ma portala alta, liberamente, una testa terrestre, che dia
significato alla terra!». (Ibidem, p. 63).
8
MORAVIA, S., Morale come dominio, in NIETZSCHE, F., op. cit. (37), p.18.
9
In NIETZSCHE, F., op. cit. (37), p. 64.
rifugiati all’interno dell’uomo: «Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono
all’interno».
10
Nietzsche, anticipando Freud, ha scoperto la resistenza degli istinti e delle pulsioni,
l’impossibilità di annullarli con la forza della coscienza e della morale, ed ha scoperto che, se
non sono “liberati” secondo vie naturali, gli istinti possono esercitare un’azione ancora più
distruttiva
11
.
Un concetto che, già ripreso da Wedekind, ritroviamo in Brecht, che con Baal sembra creare il
corrispettivo maschile della Lulu di Wedekind.
Baal è un animale perché agisce in risposta ai suoi istinti, ed è un superuomo perché supera la
condizione dell’uomo moderno, liberando la propria corporeità dal fardello della religione,
della morale e dalle virtù, intese come quei valori che si formano al di fuori dell’uomo, in
contrasto la sua natura materiale e corporea.
Egli sembra rispondere all’appello di Nietzsche: «Siamo stanchi dell’uomo»
12
: stanchi, cioè,
«di quest’uomo che oltre a tradire la propria natura e rinunciare alla propria felicità non ha
saputo neppure costruire una civiltà appagante»
13
.
Da qui, da questa nuova consapevolezza, bisogna partire, secondo Nietzsche, per costruire il
modello autentico di uomo. E da qui parte Brecht, nella sua convinzione marxista che «la
radice dell’uomo è l’uomo stesso»
14
e che, quindi, dalla progettazione dell’“uomo nuovo”
dipende il futuro di una “nuova società”.
3.3.3. Baal: la liberazione degli istinti e la morte dell’individuo.
Abbiamo parlato, nel paragrafo precedente, dell’impossibilità di sopprimere gli istinti,
dell’accumularsi all’interno dell’uomo dell’energia repressa: quell’energia che in Baal
esplode con la violenza necessaria a rompere le costrizioni morali.
Gli istinti, che per Freud sono “principi biologici universali”
15
, costituiscono il segno della
natura animale dell’uomo. Una natura da cui l’uomo moderno si è progressivamente
10
Ibidem, p. 98. Qui Nietzsche non solo anticipa Freud nella scoperta della resistenza degli istinti, ma giunge già
a definire quello che Freud chiamerà “inconscio”: «questa è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo:
solo così si sviluppa nell’uomo quella cosa che più tardi riceverà il nome di “anima”. Tutto il mondo interiore,
agli inizi sottile come se fosse steso tra due strati epiteliali, si è espanso e spalancato, ha guadagnato in
profondità, larghezza, altezza, tanto quanto le possibilità dell’uomo di scaricarsi all’esterno sono state impedite».
11
Ibidem, p. 21.
12
Ibidem, p. 64.
13
MORAVIA, S., Morale come dominio, in NIETZSCHE, F., op. cit. (37), p. 23.
14
In CHIARINI, P., op. cit. (21), p. 25.
15
In O. BROWN, N., op. cit., p. 103.
allontanato, dando così origine all’inconscio, inteso come luogo in cui si raccolgono i desideri
e gli impulsi repressi
16
.
Basandosi sulla convinzione che l’essenza dell’uomo non consiste nel pensare, come
sosteneva Cartesio, ma nel desiderare e identificando i desideri con “l’energia diretta alla
ricerca del piacere”
17
, Freud dice che è il “principio di piacere” a stabilire lo scopo della vita,
e che nel momento in cui i desideri vengono ostacolati, il “principio di piacere” entra in
conflitto con il “principio di realtà”.
La realtà, infatti, frustra il desiderio, e fa si che gli impulsi e i desideri, che sono l’essenza del
nostro essere, trovino rifugio nell’inconscio, dove il “principio di piacere” regna sovrano, e
dove l’uomo continua “in segreto” la lotta profonda e appassionata per il conseguimento della
propria felicità.
«E’ impossibile soffocare totalmente negli uomini il desiderio di felicità» dice Brecht,
commentando un tema (per un opera in musica) che lo aveva colpito, vent’anni dopo la
composizione del Baal: «C’è una figurina cinese di legno, lunga un dito, che raffigura il
piccolo e grasso dio della felicità mentre si stira voluttuosamente (…). Si vuole che questo
dio, venuto dall’oriente, percorresse le città distrutte da una grande guerra, spronando gli
uomini a lottare per la loro personale felicità e benessere. Egli raccoglie discepoli di varia
estrazione, e si attira la persecuzione delle autorità (…). Il dio viene arrestato, condannato a
morte, e i carnefici sperimentano le loro arti sul piccolo dio della felicità. Ma egli trova di suo
gusto i veleni che gli propinano, la sua testa mozzata ricresce, sulla forca esegue una danza
dalla vivacità irresistibile»
18
.
In Baal l’inestinguibilità del desiderio si traduce in una fame insaziabile, in un “ingordigia di
esperienze” atte a soddisfare il “piacere libidico”. Baal, direbbe Freud, non agisce secondo il
“principio di realtà”, ma secondo il “principio di piacere”, liberando il “vero Io” (l’Es), sede
delle passioni, dalla severa mediazione dell’ “Io cosciente”
19
.
Egli, in altre parole, riporta gli istinti in superficie, strappandoli alle profondità dell’inconscio
e, così facendo, libera l’inconscio, o meglio, lo dissolve, riconciliandosi con la propria natura
animale.
La liberazione degli istinti, in Baal, diviene così la risposta vitalistica e materialistica
all’immagine di una decadenza di tipo idealistico.
16
Il regno dell’inconscio, secondo Freud, si instaura nell’individuo quando egli rifiuta di ammettere nella propria
vita conscia un suo scopo o un suo desiderio.
17
In O. BROWN, N., op. cit., p. 24.
18
In BRECHT, B., op. cit. (16), p. 2.
19
Per Freud l’ “Io cosciente” è quell’organo di adattamento all’ambiente e alla cultura che non è governato dal
principio di piacere ma dal principio di adattamento alla realtà.
Una prospettiva che attirò anche Hugo von Hofmannsthal, che scorse nel Baal la fine del
concetto di individualità idealistico-borghese, dove la caduta dell’individuo si accompagna, in
Brecht, alla trasvalutazione di tutti i valori, attraverso un ribaltamento della tradizione
spiritualistica tedesca.
Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla
terra, qui si sale dalla terra al cielo.
20
«Noi dobbiamo essere dei distruttori» aveva esortato Nietzsche, che il giovane Brecht volle
seguire nella ridefinizione di un ruolo del soggetto in epoca di grandi terremoti sociali,
oltrepassando i confini della morale cristiano-borghese (il cui capovolgimento avviene in
modo definitivo in Brecht con la raccolta di Hauspostille).
E se Zarathustra dirà che «prendersi il diritto a nuovi valori è (…) per lui un predare e un atto
da animale da preda»
21
, non è un caso che in Brecht sia spesso ricorrente la tematica del
fressen (il “divoratore”). Così se Baal dice: «Vivo di ostilità. Mi interessa tutto quello che
posso divorare»
22
, nella poesia “Del povero B.B.” c’è un verso che suona: «La casa colui che
banchetta fa beato: ché egli la vuota»
23
, dove “banchettare”, fa notare W. Benjamin, non
significa solo “nutrirsi” ma anche “mordere”, “distruggere”
24
.
Espressioni che mettono a fuoco l’intera scena teatrale del primo Brecht: un mondo in cui
l’individuo canta il proprio tramonto, ma al tempo stesso afferma i suoi voraci appetiti, e dove
Baal, coniugando gioia e distruzione, “sperimenta la propria vitalità nel vivere fino in fondo la
precarietà”
25
, divorando i resti di un umanità in declino.
3.3.4.Vitalismo e morte
Oltre alla figura dell’esteta e a quella dell’artista maledetto, è possibile rintracciare in Baal un
altro tema di ascendenza romantica: quello della morte e della decadenza, che abbiamo visto
emergere in alcune liriche giovanili.
La malattia e la corruzione erano tematiche dominanti all’interno della poetica decadente, e la
morte esercitava un’attrazione quasi ossessiva.
20
In MARX, K., L’ideologia tedsca, Editori Riuniti, Roma 1968, p. 13.
21
In NIETZSCHE, F., op. cit. (36), p. 18.
22
FORTE, L., Del povero Bertolt Brecht, ovvero l’arte della simulazione, op. cit. (27).
23
In BRECHT, B., op. cit. (12), p. 9.
24
In BENJAMIN, W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproduzione tecnica, Einaudi, Torino 2000, p. 149.
25
FORTE, L., Del povero Bertolt Brecht, ovvero l’arte della simulazione, op. cit. (27).
Se è vero quanto affermato da Freud che due istinti ci guidano Eros e Thanatos: l’istinto
costruttore, di vita, e l’istinto distruttore, di morte, sembra che questa età vedesse il trionfo
incontestato della seconda pulsione.
In Baal, invece, questi due istinti coesistono e il senso si questa dialettica va ricercato nel
continuo susseguirsi di vita e morte, in rapporto alla ciclicità della natura. Nel Corale del
grande Baal, infatti, si legge che Baal è cresciuto nel materno bianco ventre, per poi tornare,
con la morte, nel ventre buio della terra.
La morte come “ritorno a casa” e, più specificatamente, al grembo materno, è un tema
culturale antichissimo, basato su una credenza che identifica il “luogo della morte” con la
figura della madre.
Si pensi alla caratteristica forma rannicchiata delle sepolture preistoriche, che imita la
posizione dell’embrione nel corpo materno, e a tradizioni successive, come l’usanza, nei riti
funebri egizi, di raffigurare sotto il coperchio dei sarcofagi la dea Nut
26
(divinità materna)
nell’atteggiamento di racchiudere il morto fra le sue braccia e di accoglierlo in sé
27
.
Una tradizione che, secondo Jung, rivelerebbe il desiderio umano di immortalità, celato dietro
l’“edipico” desiderio di riunificazione con la madre, e che appartiene, quindi, all’insieme di
quelle “pratiche consolatorie” adottate dall’uomo, fin dall’antichità, per allontanare la morte
ed assicurarsi una vita dopo di essa.
Nell’immagine egizia citata, ad esempio, l’unificazione del morto con la madre è una Imitatio
Solis, e più precisamente del tramonto del Sole
28
, dove il segreto dell’immortalità solare
consiste nel moto circolare che consente al dio Sole, nell’arco di ogni ciclo notte-giorno, di
26
Nut, divinità del cielo e dei morti, della bara e degli alberi, è la forma in cui si manifesta nell’antico Egitto la
Grande Madre. (In ASSMANN, J., La morte come tema culturale, Einaudi, Torino, 2002, p.17).
27
Tali raffigurazioni, in molti casi, erano accompagnate da varie iscrizioni: inni che esaltavano la “grande
madre”, e discorsi in cui “la madre” comunicava con il “figlio morto” :
Sono tua madre che sugge la tua bellezza,
m’ingravido di te all’alba
e ti partorisco la sera come dio Sole
Tu entri in me, io abbraccio la tua immagine,
sono la tua bara, per celare il tuo segreto aspetto…
oppure
Ti depongo dietro di me, ti partorisco una seconda volta,
si che tu entri ed esca sotto le stelle imperiture,
e sia eletto, vivo e ringiovanito come il dio Sole
giorno dopo giorno.
(Ibidem, p. 18).
28
Gli inni al Sole egizi descrivono il tramonto dell’astro con le stesse immagini e le stesse parole che i testi
funebri usano per la deposizione del defunto nella bara. Si legge, per esempio, negli inni al Sole:
Sei sceso nel corpo
di sua madre Nut
dove “Nut” è, quindi, sia la madre naturale dell’uomo che, in un contesto più ampio, la madre terra che “ingoia”
il sole ogni sera, al tramonto. (Ibidem, p. 29).
passare attraverso i poli della nascita e della morte, grazie alla divinità materna Nut, che lo
partorisce all’alba e lo riaccoglie in sé la sera
29
.
L’apparente moto circolare del Sole attorno alla terra, quindi, conferisce all’idea egizia di
immortalità un’evidenza naturale. Il sole, infatti, esemplifica ciò in cui ognuno vorrebbe
imitarlo: mutare la linea diritta della vita in un tratto circolare, così da poter tornare all’origine
e superare la morte, facendola coincidere con la nascita.
Brecht, in Baal, inserisce questa tematica (espressa nel Corale del grande Baal), ma ne ribalta
il significato: tornare al grembo materno, per Baal, non è una promessa di immortalità, ma un
vero, fisico, ritorno alla Natura, «alle sue alghe ed erbe primordiali»
30
, come dimostra la
poesia “Alla ragazza annegata”, e altri passi del testo, dove ciò che viene enfatizzato è il
carattere di decomposizione del corpo, nel processo organico della putrefazione: “I vermi si
gonfiano. La putrefazione si avvicina strisciando”
31
.
L’immortalità di Baal, quindi, non è l’immortalità dell’individuo, ma una sorta di “continuità
della vita organica” che fa coincidere l’eternità del tempo col percorso ciclico naturale di
nascita, morte e decomposizione del corpo, che “rinasce” poi sotto forma di erba, albero, ecc.,
dando inizio a un nuovo ciclo di esistenza.
Un tema già presente nelle liriche giovanili di Brecht, come nel Grande corale di
ringraziamento, dove egli insiste sul processo di decomposizione del corpo restituito alla
terra, espresso nell’immagine della metamorfosi del corpo in elemento della natura:
Lodate l’albero che, giubilando, dalla carogna cresce su al cielo!
Lodate la carogna,
lodate l’albero che la rode
32
Qual è dunque il rapporto di Baal con la morte?
Abbiamo visto in che modo Brecht fa morire Baal: come un animale, o una pianta
33
, come
una “cosa tra le cose” del mondo. E se Baal muore così è perché così, di fatto, muore l’uomo.
E Brecht ci mette di fronte a questa realtà nel modo più crudo, spogliandola da ogni tipo di
consolazione religiosa e culturale, da ogni speranza ultraterrena: «Si finisce, nient’altro. Il
vento soffia, non si gela più. La pioggia cade, non ci si bagna più. (…) Si marcisce…»
34
.
29
Colui che di notte è portato in grembo ed è partorito all’alba,
che al rischiararsi del cielo è nel suo posto di ieri.
Colui che entra nella bocca ed esce dalle cosce,
risorgendo senza stancarsi.
(Ibidem, p. 29).
30
FORTE, L., Baal e l’utopia della felicità, in BRECHT, B., Baal, p. VIII.
31
In BRECHT, B., Baal, p. 52.
32
In BRECHT, B., op. cit. (12), pp. 6, 7.
33
“Lodate l’erba e le bestie che accanto a voi vivono e muoiono! - Vedete, come voi – vive l’erba e la bestia – e
deve anch’essa morire con voi.” (Ibidem, p. 6).
34
In BRECHT, B., Baal, p. 52.
Baal muore e la sua esistenza si esaurisce interamente nella morte: l’anima non gli sopravvive
ed egli non continua a vivere nel ricordo delle persone che lo hanno amato. Egli muore senza
creare fantasmi perché è riuscito, nella vita, ad esaurire se stesso nella propria corporeità.
Neanche la poesia gli sopravvive perché non può trascendere la sostanza che l’ha creata: è
poesia “viva”, organica, una secrezione del corpo.
Baal muore solo, nell’indifferenza, mentre il resto del mondo continua ad esistere,
scordandosi di lui: «Lascia che te lo dica» dice Baal di fronte al cadavere di Teddy, «presto
puzzerai; e il vento continuerà, tutto continuerà»
35
.
Consapevole di questo, Baal “vive alla giornata”, preoccupandosi unicamente di soddisfare i
propri impulsi, di “svuotare la casa mondo”
36
, divorando ogni cosa nel tentativo di saziarsi e
manifestando la propria vitalità, senza riserve, fino alla fine:
«Io lotto all’ultimo sangue. Voglio vivere anche quando sarò senza pelle: mi rattrappirò tutto
nelle dita dei piedi. Cadrò come un toro: nell’erba, dov’è più morbida. Inghiottirò la morte e
non saprò più nulla»
37
.
35
Ibidem, p. 43
36
Si tratta di un’espressione di Brecht, che troviamo nella poesia “Del povero B.B.”, in BRECHT, B., op. cit.
(12), p. 9.
37
Ibidem, p. 45.