4
opinioni espresse da alcuni tra i più illustri giuristi manifestatisi nel
corso di questo lungo, inusuale, ma perfettamente giustificato, anno
di vacatio senza, per altro, che possa ancora considerarsi esclusa
alcuna eventuale propositiva interpretazione a riguardo, specie in
vista dei possibili aggiornamenti alla sopra citata riforma, ancora in
corso d’opera.
Trattando dell’azione appare opportuno, prima di procedere ad una
disamina della riforma e delle sue implicazioni, volgere uno sguardo
indietro per vedere quale fosse la situazione antecedente, onde
cogliere in modo più pieno il significato del cambiamento.
Le azioni sono sempre state intese, in maniera unanime dai giuristi e
dalla giurisprudenza, come frazioni del capitale sociale, ovvero come
parti, aritmeticamente calcolate, di un intero costituenti entità
autonome e distinte anche quando fanno capo ad una sola persona. Al
criterio di suddivisione consegue che le singole quote di
partecipazione per forza di cose sono uguali tra loro ed attribuiscono
identici diritti ed identici doveri
1
.
È, infatti, proprio la suindicata suddivisione del capitale, ideale
2
ma
non necessaria, a costituire il principio caratterizzante ed essenziale
delle strutture organizzative in cui le azioni sono state poste: la
società per azioni da un lato ed in accomandita per azioni dall’altro
3
.
Come ampiamente riconosciuto dalla dottrina e ribadito in modo
definitivo dalla Suprema Corte
4
.
1
Cavallo Borgia, “Le azioni e le obbligazioni”, Torino, 2002, pag.3 sgg.
2
Gasperoni “Le azioni di società”, Padova, 1942, pag. 6.
2
Brunetti “Trattato del diritto delle società II”, Milano, 1948, pag. 72.
3
Cavallo Borgia R. op. cit. pag.9.
4
Cass. 20/10/1956, sentenza n.° 3772.
5
Nella sentenza n.° 3772 del 20/10/1956, i giudici della Cassazione
affermano:”Come prescritto dagli artt. 2325 e 2328 cpv., la quota di
partecipazione dei soci nella società per azioni deve essere
rappresentata da azioni e l’atto costitutivo deve specificare il capitale
sociale, non solo, ma il numero ed il valore delle azioni stesse. Si
tratta di condizioni essenziali…” ed ancora ”…la cui inosservanza
produce nullità a norma dell’art.1421 c. c.”
Direttamente da tale principio, è possibile derivare la nozione di
valore nominale di una azione.
Per valore nominale di una azione s’intende il valore attribuito a
ciascuna azione dall’atto costitutivo, risultante dal rapporto tra il
capitale nominale ed il numero delle azioni. Valore, quindi, fisso,
salvo modiche dello statuto in termini di riduzione od aumento del
capitale stesso e limite al di sotto del quale è impedita qualsiasi
emissione di azioni (c. d. divieto di emissione sotto il valore
nominale) teso ad evitare la costituzione di un capitale soltanto
apparente rispetto ai minori, reali conferimenti
5
.
Inoltre, il valore nominale, deve essere tenuto distinto, da un lato, dal
valore reale riconducibile, piuttosto, all’andamento economico della
società in virtù dei maggiori o minori risultati ottenuti, del variare o
del trasformarsi dei beni inizialmente conferiti e, dall’altro, dal valore
di mercato,
6
cioè dal rendimento offerto dal titolo azionario in quei
casi in cui la società sia quotata in un mercato regolamentato.
5
Brunetti, op. cit., pag. 2. Ma anche Di Sabato, “Il manuale delle società”, Torino,
1999, pag.278.
6
Campobasso, “Manuale di Diritto Commerciale”, Torino, 2001, pag.183 e sgg.
6
Subentra in queste ultime due ipotesi, infatti, un altro elemento
fondamentale delle società di capitali: il patrimonio
7
.
Il patrimonio, contrariamente al capitale, rappresenta la realtà
dinamica della società, il complesso dei rapporti giuridici attivi e
passivi che fanno capo alla stessa
8
nonché la garanzia principale ed
esclusiva per i suoi creditori.
Se il capitale è e deve rimanere, per sua natura, il valore dei
conferimenti compiuti dai soci e stabilito nell’atto costitutivo della
società, l’entità rigida
9
, la cifra indicativa, il patrimonio testimonia,
invece, l’evolversi dell’insieme dei beni conferiti nella società, in
virtù dell’esercizio e dello svolgimento dell’attività sociale ed, in
quanto tale, tendente a spostarsi verso l’alto (in caso di
movimentazioni positive) o verso il basso (se negative)
10
.
Ma avremo modo di sviluppare più compiutamente l’argomento nei
paragrafi successivi.
Per adesso continuiamo a soffermarci sulla natura dell’azione.
Abbiamo visto come essa sia parte del capitale sociale ed, a
differenza delle quote nelle S.r.l., conferisca un’identità di diritti e di
doveri misurati non in virtù delle persone dei soci ma della singola
partecipazione, astrattamente determinata.
7
Cavallo Borgia, op. cit.
8
Campobasso, op. cit.
9
Galgano , “Diritto privato”, Padova, 1996 pag. 697.
10
Ferri, “Manuale di Diritto Commerciale”, 2000, pag. 329 e sgg.
7
Tale previsione è rimasta immutata anche dopo l’introduzione del
Decreto Lgs. n.° 6/2003, e non poteva essere altrimenti, costituendo
uno dei tratti caratterizzanti della stessa società per azioni
11
.
Possiamo anticipare fin d’ora che la nuova disciplina, rispetto a
quest’ultimo aspetto, non ha intaccato lo spirito originario
dell’art.2348 del Codice, semmai ne ha esplicitato il senso, ne ha
colmato i vuoti creativi ampliandone la portata in considerazione dei
fisiologici mutamenti del panorama economico odierno.
E’ prevista, per esempio, la facoltà di emettere azioni che
conferiscano particolari diritti in ordine alle perdite
12
.
È, invece, del tutto pleonastico aggiungere che, quanto sostenuto
riguardo l’uguaglianza dei diritti e dei doveri, andrà, laddove diverse
risultino le categorie, ascritto all’interno delle stesse e non anche
rispetto alle altre.
L’uguaglianza, dunque, è relativa perché riguarda la singola categoria
ed oggettiva perché, se sono uguali i diritti di ogni azione, non lo
sono, invece, i diritti di cui ogni azionista è titolare. Potremmo
riassumere ciò con il detto ”Più azioni, più potere” per cui tanto
maggiore è la quantità di azioni che si possiede, tanto più forte sarà il
11
Fermo restando la possibilità, espressamente prevista dal Codice e confermata
dalla riforma, di consentirne l’emissione di diverse categorie, ognuna delle quali
fornita di particolari diritti.
12
In tal maniera risolvendo l’antica questione sulla legittimità di questa specifica
peculiarità
12
, tra l’altro ampiamente accolta dalla dottrina già prima della rifoma
nonostante una quanto mai avversa giurisprudenza, ma, allo stesso tempo, senza
tradurla in un divieto del patto leonino ex art.2265 il quale, pertanto, rimane fermo e
funzionante
12
.
8
potere esercitato all’interno della società, come evidente
compensazione della maggiore esposizione sostenuta
13
.
Alla titolarità di una pluralità di azioni corrisponde, perciò, un
complesso rapporto giuridico di partecipazione sociale che se
giustifica determinate scelte, tra cui quella di imporre il divieto di
esercitare voti in senso contrario
14
, non tocca l’assunto per cui le
azioni, in ogni caso, costituiscono importi separati tra loro, anche se
l’obbligato è lo stesso, e rimangono, quindi, “entità distinte: alcune
delle quali possono esser liberate, altre no
15
.”
Ma, dunque, di quali doveri e di quali diritti è portatore il titolare di
azioni, cioè il socio?
Innanzi tutto un primo, generale, dovere consiste nell’obbligo di
completare il conferimento, di richiamare i decimi, secondo il vecchio
sitema, ora il restante settantacinque per cento, mancante con le
conseguenze stabilite, in caso di inottemperanza, dall’art.2334
secondo comma.
Ancora, un altro dovere che incombe sul socio è quello di pagare il
sovrapprezzo nell’ipotesi in cui le azioni vengano emesse con
aggio
16
.
Ed infine, l’obbligo contenuto nell’art.2345 di eseguire prestazioni
accessorie indicate dall’atto costitutivo, non consistenti in denaro,
determinate, dall’atto stesso, nel contenuto, nella durata, nelle
modalità, nel compenso e nelle sanzioni per il caso di
13
Campobasso, op. cit., pag. 183 sgg.
14
Mengoni “La divisione del pacchetto di maggioranza fra eredi dell’azionista” in
“Riv. Soc.”, 1959, pag. 428
15
Ferrara jr “Imprenditori e società”, Milano, 1978, pag. 342.
16
Spatazza “Giurisprudenza sistematica di Diritto Civile e Commerciale”vol.IV a
cura di W. Bigiavi, Torino, 1984, pag.192 sgg.
9
inadempimento
17
. Tale obbligo riguarda però, così come confermato
dal nuovo art.2345 secondo comma, soltanto determinate azioni
nominative e la loro trasferibilità diviene soggetta, in siffatte
situazioni, al consenso degli amministratori
18
.
Per contro, il socio, in base all’apporto regolarmente effettuato, ha
diritto a percepire gli utili che l’attività economica comune
eventualmente produrrà.
Il diritto agli utili, è il più evidente, ma non l’unico tra i diritti definiti
patrimoniali del socio. Accanto a questo rientra anche la riscossione
della quota di liquidazione, nell’ipotesi di scioglimenti dal contratto
sociale.
Rientrano, invece, tra i diritti denominati amministrativi, quelli cioè,
che contribuiscono allo svolgimento dell’attività comune
19
, il diritto
di intervento in assemblea, di voto nella stessa, di impugnazione e,
più in generale, di informazione come ad esempio il diritto di
esaminare i libri sociali, di ispezione e di visione del progetto di
bilancio.
Vi sono, poi, accanto a quelli menzionati e riconducibili ad una delle
due macro distinzioni, tutta una serie di diritti non riducibili né
definibili come patrimoniali od amministrativi tout-court, essendo
parzialmente appartenenti ad entrambe, per cui la dottrina utilizza il
termine di diritti patrimoniali-amministrativi
20
.
17
D’ Alessandro, in AA.VV., “Diritto Commerciale”, Bologna, 1995, pag.270.
18
Spatazza op. cit., pag.134. Ma anche Brunetti op. cit., pag.49.
19
Pescatore “Manuale di Diritto Commerciale” a cura di V Buonocore, Torino,
1999, pag. 235.
20
Contra Galgano “Trattato di Diritto Commerciale”, Padova, 2003, pag.125. Per
l’Autore questi dovrebbero considerarsi diritti patrimoniali.
10
Sono questi dei diritti sostanzialmente posti a difesa astratta del
socio
21
e vi possiamo annoverare il diritto di opzione e di recesso,
quest’ultimo considerato uno strumento di tutela contro lo strapotere
della maggioranza in seno alla società
22
.
In generale, possiamo affermare che i poteri e doveri, testè richiamati,
si caratterizzano per la peculiarità di sussistere in capo a colui che
risulti proprietario indipendentemente dal numero di titoli
effettivamente posseduti.
Basterà, infatti, anche soltanto un’azione per consentirne l’esercizio.
Ma, tra i diritti amministrativi propriamente detti, ne conosciamo altri
il cui esercizio è indissolubilmente legato alla quantità, al fatto che si
sia raggiunta una determinata percentuale stabilita dal Codice,
rispetto all’intero capitale nominale.
Ed è del tutto indifferente che tale percentuale si ottenga grazie al
contributo di un solo, possessore di molteplici titoli azionari, ovvero
attraverso la volontà congiunta dei più
23
.
Parliamo dei così detti diritti delle minoranze.
Tali diritti, per le peculiarità intrinseche che li caratterizzano,
necessitano di un ben determinata volontà sociale che ne consenta
l’attivazione e attengono strettamente al “godimento” nel senso
dell’art.832 c.c., dell’azione
24
.
Possiamo annoverare tra i diritti delle minoranze: la richiesta di
convocazione dell’assemblea; il rinvio dell’assemblea stessa;
21
Spatazza, op. cit., id. anche Pescatore “Manuale di Diritto Commerciale” a cura di
V. Buonocore, Torino, 1999 pag. 259 sgg.
22
Ferrara jr “Imprenditori e società”, Milano, 1978, pag.382.
23
Pescatore op. cit. (si veda la nota 17) pag. 267.
24
Galgano, op. cit., pag.125.
11
l’impugnazione della deliberazione assembleare annullabile;
l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità; la denuncia ai sindaci
di fatti censurabili a norma dell’art. 2374 c.c. e la denuncia al
Tribunale di gravi irregolarità nella condotta di amministratori e
sindaci, ex art. 2409 c.c.
Nelle ipotesi indicate, la ragione di fondo del numero percentuale da
raggiungere, appare in tutta la sua evidenza.
Come si potrebbero, altrimenti, giustificare interventi così incisivi
rispetto la vita della società, senza un fondamento valido quale una
volontà determinatasi tra un discreto numero di azionisti?
Le quantità di cui il Codice parla, invero, non sono mai
eccessivamente alte per lasciare così possibilità, a chi si trovi in
contrasto con la maggioranza o denoti particolari atteggiamenti nella
condotta dell’organo amministrativo, di manifestare il suo dissenso o
disapprovazione nel rispetto dei basilari principi democratici propri
della realtà sociale e di rendere effettiva la loro applicazione anche in
quelle società che facendo appello al mercato del capitale di rischio e
possendendo un capitale, per forza di cose, altamente polverizzato,
avrebbero, altrimenti, difficoltà pratiche d’ attuazione.
Ora rispetto a quanto abbiamo fin qui esposto e che costituisce
(rectius costituiva per gran parte), il nocciolo o l’ossatura, su cui
poggiava la nozione di azione, come si è mosso il Legislatore nel
rinnovare la materia in esame?
12
Il Presidente della Commissione di riforma del diritto societario
25
,
intervenendo a proposito dei lavori compiuti dalla Commissione, in
procinto di esser emanati, sottolineava, dopo aver respinto alcune
critiche mossegli contro, quelli che, a suo dire, risultavano essere i
principi caratterizzanti l’intera riforma: primo fra tutti il ruolo nuovo
dell’autonomia privata, equidistante tanto dal dirigismo paternalistico
di matrice bolscevica, quanto dallo sfrenato liberalismo di
ottocentesca memoria e vero elemento centrale del nuovo corpus
normativo, nato ”..sul presupposto di una sussidiaretà della regola
rispetto al libero dispiegamento degli interessi, con la precisazione
che la regola si giustifica e ha senso solo se assolve alla funzione di
tutela degli interessi fondamentali della comunità e se la tutela di
questi interessi può essere realizzata con mezzi tecnici che rendano
non illusoria la loro protezione e non eludibile il loro precetto”
26
.
È questo, secondo il Vietti, l’unico punto di partenza attraverso il
quale spiegare le linee guida della modifica apportata.
Infatti, discende dal nuovo approccio all’autonomia privata un altro
cardine della riforma, quello della flessibilità.
Il Vietti intende la flessibilità non come “accrescere la disponibilità
dei prodotti del supermercato” - così criticamente il Weigmann - ma,
piuttosto, “allungare la tastiera delle possibilità e forgiare una
molteplicità di strumenti, senza illusione che si tratti di strumenti
buoni per tutte le stagioni e per tutte le configurazioni economiche,
ma di strumenti in relazione di servizio con gli interessi rispetto ai
25
On. Vietti, in un convegno organizzato dall’Associazione Albese degli Studi di
Diritto Commerciale nel Novembre del 2002.
26
Vietti “Le linee guida della riforma del diritto societario” in “Le società”
n.2bis/2003 pag.266 e sgg.
13
quali si calibrano e si modellano…il problema è quello di arrcchire
sempre di più le differenze, ampliare la gamma, mantenendo
equivalenti le irrinunciabili esigenze di controllo e paritaria la tutela
dell’interesse pubblico fondamentale.”
27
Sempre da questa nuova considerazione dell’autonomia, derivano
altre conseguenze come la necessaria proporzionalità tra la regola e
l’interesse, essendo stata concepita la riforma equidistante, come già
affermato, dai richiami delle sirene dirigistiche, per cui la regola
assume un valore primario, e da quelle neoliberiste, per cui essa è
vincolo intollerabile e limitazione, si è cercato di porre, le regole
stesse, “con lo sforzo di valutare sempre comparativamente l’utilità
marginale di una regola in più ed il costo marginale di un vincolo in
più”
28
.
Ed ancora l’autonomia non può dissociarsi da un altro valore
imprescindibile della riforma: la trasparenza, non sviluppata come
valore in sé, quanto come “ragione di promozione delle singole
società”.
Si è cercato, cioè, senza togliere nulla alla necessità della trasparenza
di esser un obbligo la cui violazione comporta inevitabili sanzioni, di
introdurre ed aggiungervi anche un significato ulteriore: quello
“dell’opportunità”.
La trasparenza diviene, dunque, con la riforma, anche un elemento
utile per rendere appetibile l’impresa nelle ipotesi in cui questa versi
in situazioni di crisi finanziaria, invogliando altri soggetti ad
27
Vietti, op. cit. pag. 270.
28
M. Vietti, op. cit., pag.269.
14
assumersi l’obbligo di riportarla in bonis, “per aprire la stessa al
mercato e prumuoverne l’immagine”.
Questi sono, pertanto, i principi alla base della riforma, ma, nella
realtà dei fatti, come sono stati concretamente applicati?
Sempre muovendoci all’interno del campo di nostra competenza,
quello della nozione di azione, passiamo, ora, ad evidenziare i punti
che maggiormente hanno risentito dell’intervento del Legislatore.
Senza dubbio un cambiamento significativo ha riguardato l’art.2346.
Attraverso di esso si possono cogliere i maggiori elementi di
innovazione, considerato che ben cinque sono stati i commi aggiunti
dalla riforma tesi ad esaltare, così come lo stesso Vietti sottolineava,
l’autonomia statutaria.
A parte l’esordio dove il legislatore, definendo l’azione, sostituisce la
dizione “quote di partecipazione” con quella “partecipazione
sociale”, un senso di forte novità e di grande impatto è dato
dall’abbandono di principi che sembravano intramontabili
attraverso:1) l’esclusione dell’emissione dei titoli azionari in
conformità con quanto stabilito già nel T.U.F. e nel D. Lgs. n.213/98
per le società aventi titoli negoziati in un mercato regolamentato o
diffusi presso il pubblico
29
; 2) la previsione di diverse tecniche di
legittimazione e circolazione; 3) l’abbandono del criterio della
proporzionalità tra conferimento e peso della partecipazione;
4)consentire l’emissione di azioni senza un valore nominale e di
emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali ed
29
Qui non si può parlare propriamente di una novità, visto che, in parte, era già
previsto in una legge del 1942.
15
amministrativi, escluso il diritto di voto, a seguito dell’apporto anche
di opere e servizi da parte di soci o terzi.
I primi tre aspetti verranno approfonditi nel secondo paragrafo di
questo capitolo, dove si tratterà della natura dell’azione come
partecipazione sociale e del ruolo del conferimento. Ed è, quindi, a
questo che si rinvia.
La quarta novità attiene, invece, alla possibilità che lo statuto escluda
l’attribuzione di un valore nominale alle azioni (commi 2° e 3°).
Abbiamo visto nelle pagine precedenti
30
, anche richiamando
un’importante sentenza della Corte di Cassazione, come fosse
unanime da parte dei giuristi e della giurisprudenza l’opinione
dell’obbligatorietà dell’indicazione del valore nominale, in quanto
costituente uno dei tratti essenziali della società per azioni, la cui
inosservanza produceva nullità ai sensi dell’art.1421 c.c.
Nel corso degli anni, però, si è avuto modo di notare, anche grazie
alle esperienze prodottesi nei diversi paesi europei ove tale previsione
è stata lentamente espunta, come tale obbligo fosse ben al di là dal
considerarsi ineliminabile e come, anzi, potesse complicare
l’esercizio di determinate operazioni societarie.
Tali spinte europeiste, senza ombra di dubbio, hanno influito sulla
scelta compiuta dal legislatore del D. Lgs. n.6 del 2003 di consentire
l’omissione dell’indicazione, a mera discrezione di ciascuna società,
senza che questo si traduca in una assoluta libertà di forma, altrimenti
gravi risulterebbero le conseguenze rispetto alla realtà sociale ed ai
danni potenziali al capitale.
30
Si veda pag.2.
16
Più semplicemente il legislatore ha rimesso ad ogni società la
possibilità di scegliere tra il sistema classico, quindi, indicando il
valore, oppure avvalersi della previsione ex art.2346 3°comma,
ribadendo, contestualmente, che la scelta, una volta compiuta, “deve
riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società”.
Perciò, lo statuto non potrà indicare il valore nominale limitatamente
ad una parte di queste e lasciarne l’altra senza.
In realtà, l’emissione di azioni senza un valore nominale, se da un
punto di vista concettuale rappresenta un’innovazione di rilievo ed
una frattura rispetto il passato, non altrettanto risulta da un punto di
vista pratico.
Una scelta di siffato tipo ha sicuramente il merito, come evidenzia lo
stesso Galgano, di offrire il vantaggio di semplificare operazioni
come l’aumento del capitale mediante imputazione a capitale delle
riserve (art.2442): non occorrerà, in tal caso, emettere nuove azioni da
assegnare gratuitamente agli azionisti, né aumentare il valore
nominale delle azioni
31
.
Infatti, in tutti quei casi in cui ci si avvalga di tale opportunità,
comunque le disposizioni ad esse inerenti si applicheranno “con
riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse”, il
che vuol dire che laddove debbano compiersi operazioni sulle azioni,
quel che conta sia ai fini della posizione dei soci sia ai fini della tutela
del capitale sociale, non è la cifra individuata come valore nominale
delle azioni, il valore assoluto, ma il numero di quelle emesse e,
quindi, la percentuale che ciascuna rappresenta rispetto al totale.
31
Galgano “Trattato di Diritto Commerciale”, Padova, 2003, pag.110.