IX
economico, oltre che sociale, da attribuire alle attività di
riproduzione e cura della forza lavoro.
1
Le responsabilità domestiche e familiari, tra l’altro,
ostacolano le donne nell’acquisizione di qualifiche professionali
e dell’esperienza lavorativa necessarie per sviluppare la propria
carriera. Per scelta propria o per decisione dell’imprenditore,
dunque, le donne finiscono per essere impiegate in lavori poco
qualificati
Ma la discriminazione e la segregazione, che da sempre
hanno colpito le donne sul mercato del lavoro, non si fondano
solo su criteri oggettivi, quali la maggiore onerosità
e
l’insufficiente qualificazione. Le lavoratrici possono essere
vittime anche di trattamenti pregiudizievoli, conseguenti
all’adozione di criteri che riguardino requisiti non essenziali allo
svolgimento dell’attività lavorativa.
2
Nel mercato del lavoro i soggetti discriminatori possono
essere gli imprenditori e gli stessi lavoratori: pertanto, è
1
Cfr: M. CAPPARUCCI, Lavoro femminile tra marginalismo e
marginalità, in Economia e lavoro, n.1 1987, p.48.
2
In tali casi si ravvisa un’ipotesi di discriminazione indiretta, come definita
dal legislatore all’art. 4 della legge 125/1991.
X
estremamente probabile che si determini una situazione di
discriminazione a danno delle donne, essendo in prevalenza
uomini coloro che detengono i posti di lavoro con potere
decisionale, e costituendo gli individui di sesso maschile una
porzione rilevante della forza lavoro.
3
Più complesso si rivela, invece, il compito di risalire alle
cause della segregazione, ossia della sovrarappresentazione
significativa e sistematica delle donne in alcuni settori, e della
conseguente sottorappresentazione altrettanto sistematica nei
rimanenti.
4
Se all’origine della segregazione verticale, ovvero
della concentrazione delle lavoratrici ai gradini inferiori della
scala gerarchica, possono rinvenirsi le stesse cause della
discriminazione, il fenomeno della segregazione orizzontale, vale
a dire la concentrazione delle stesse in determinati comparti e
professioni, è ascrivibile a meccanismi più complessi.
La segregazione della forza lavoro femminile è, in parte,
imputabile a scelte socialmente obbligate, giacché atteggiamenti
3
Cfr: R. LIVRAGHI, Le azioni positive come strategie per il superamento
della segregazione occupazionale, in Quaderni di economia e lavoro, n. 24
1984, p. 13.
4
Cfr: F. BETTIO, Segregazione e discriminazione nel mercato del lavoro,
in (a cura di) R. BRUNETTA, Il mercato del lavoro, Torino 1992, p. 136.
XI
e pregiudizi diventano, sovente, patrimonio comune di
discriminati e discriminatori, in virtù del processo di
socializzazione
5
. Pertanto, l’assenza delle donne da professioni
erroneamente ma diffusamente ritenute poco consone al sesso
femminile, può essere letta come risultato della volontà di
discriminare da parte dei datori di lavoro o lavoratori maschi,
oppure come effetto dell’autoesclusione da parte delle donne.
Ad ogni modo
, quando una determinata occupazione è stata
associata all’uno o all’altro sesso, lo stereotipo diventa norma:
lavoratori e imprenditori si aspettano un rispetto reciproco della
demarcazione sessuale.
A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, è cambiato il modello
di partecipazione femminile al mercato del lavoro, registrandosi
un’inversione di tendenza, conseguente all’evoluzione del
costume e della società: la presenza femminile nel mercato del
5
In particolare, la teoria della differenza sessuale sottolinea come le
differenze di abilità dipendano anche dall’importanza che ciascun sesso
attribuisce al dimostrare o meno una determinata competenza, secondo la
scala dei valori inculcata socialmente. Si veda: F. BETTIO, op. ult. cit., p.
155
XII
lavoro, non più frammentaria e precaria, ma sempre più stabile e
permanente
6
, è in continua crescita.
Anche in Italia il tasso di partecipazione femminile al
mercato del lavoro è salito, assumendo, soprattutto tra la
popolazione più giovane, un profilo sempre più simile a quello
maschile, con una continuità nella partecipazione al lavoro
durante tutta la vita attiva.
7
Il forte aumento dei tassi di attività delle donne adulte e il
connesso tendenziale mutamento del modello di partecipazione
femminile possono essere imputati a cause diverse.
Anzitutto, il processo di terziarizzazione ha favorito
l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro, modificando,
tra l’altro, anche la composizione per età della forza lavoro
femminile. Si è, infatti, registrato il passaggio da una fase in cui
6
Nel quadriennio 1994-1998 in Europa, il tasso d’occupazione femminile è
aumentato significativamente, mantenendosi solo in Italia e Spagna al di
sotto del 40 % (i dati sono riferiti al 1998). Fonte: Relazione annuale 1999,
Pari opportunità tra uomini e donne nell’Unione europea, (a cura di),
COMMISSIONE EUROPEA, DIREZIONE GENERALE OCCUPAZIONE
E AFFARI SOCIALI, UNITÀ D.5, Lussemburgo 2000, p. 18.
7
In particolare, il profilo di partecipazione per età delle donne dell’Italia
centro-settentrionale si è avvicinato a quello prevalente nei Paesi del Nord-
Europa. Si veda: M. SAMEK, Pari opportunità nel mercato del lavoro:
modelli d’intervento e risultati, in Diritto delle relazioni industriali, n. 2
2000, p. 174.
XIII
prevalevano le occupate giovani in età prematrimoniale, ad una
situazione caratterizzata dalla forte persistenza nell’occupazione
delle donne adulte, presumibilmente con carichi familiari.
8
Anche il processo di scolarizzazione può essere indicato
come uno dei veicoli principali del processo di
femminilizzazione del lavoro: le laureate e le diplomate hanno i
tassi d’attività più alti e interrompono più raramente il lavoro
dopo la nascita dei figli . Il fattore istruzione gioca, quindi, sia
come incentivo alla permanenza sul mercato del lavoro, sia come
componente di rafforzamento della posizione in esso.
Si ritiene, inoltre, che vi sia una stretta relazione tra la
crescita dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro da parte
delle donne, e la diminuzione della fecondità, in calo dalla fine
degli anni Settanta, anche per i cambiamenti avvenuti nei
rapporti tra i sessi e le generazioni.
9
L’appartenenza a diverse generazioni ha creato differenze
tra le donne, per quanto concerne il loro approccio alla vita
8
Cfr: G. ALTIERI, Presenti ed escluse. Le donne nel mercato del lavoro:
un universo frammentato, Roma 1993, p. 44.
9
Si veda: C. SARACENO, Donne e lavoro o strutture di genere del
lavoro?, in BONAZZI G., SARACENO C., BECCALLI B., Donne e
uomini nella divisione del lavoro, Milano 1991.
XIV
lavorativa. Da una situazione in cui il modello della casalinga
rappresentava l’orizzonte dominante dell‘immaginario
femminile, si è giunti ad una in cui la doppia presenza è
consueta. Si registra, ormai, una progressiva omogeneizzazione
delle aspettative tra uomini e donne rispetto al lavoro, inteso
come autorealizzazione e garanzia d’autonomia.
In sostanza, il ventaglio delle “normalità possibili” per le
giovani donne si presenta molto più ampio e meno definito a
priori di quello delle loro madri.
10
Ma, se il modello di partecipazione delle donne al mercato
del lavoro si è avvicinato a quello maschile, la loro condizione è
ancora caratterizzata da un’elevata debolezza.
Il tasso di disoccupazione femminile è rimasto, nel corso
degli anni Novanta, quasi doppio rispetto a quello maschile
11
,
concentrandosi soprattutto tra le donne con titoli di studio medio-
bassi, e tra le giovani donne meridionali. Le lavoratrici
10
Cfr: G. ALTIERI, Presenti ed escluse. Le donne nel mercato del lavoro:
un universo frammentato, Roma 1993, p. 54.
11
Nel 1998 il tasso di disoccupazione femminile in Italia era pari al 16.8%,
rispetto al 9.5% maschile. Si veda: M. SAMEK, Pari opportunità nel
mercato del lavoro: modelli d’intervento e risultati, in Dir. rel. ind., n. 2
2000.
XV
continuano ad essere più vulnerabili ai licenziamenti rispetto ai
colleghi maschi, e ad avere minore probabilità di uscire dalla
disoccupazione.
L’occupazione femminile
12
è cresciuta soprattutto nel
terziario e nelle posizioni più “flessibili”. In tal modo, se da un
lato si sono dischiuse nuove opportunità occupazionali per le
donne, dall’altro vi è il rischio che si accentui la loro condizione
di marginalizzazione e precarietà.
13
Inoltre, sussiste ancora per le donne un “ soffitto di
cristallo” difficile da sfondare
14
, in quanto il numero di esse che
ricopre posizioni dirigenziali rimane esiguo.
La situazione non è più rosea nel lavoro autonomo, dove la
presenza femminile è ancora minoritaria
15
, concentrandosi nei
12
Secondo dati dell’ISTAT riferiti all’anno 1996, l’occupazione femminile
in Italia è pari al 32.8% dell’occupazione totale. Cfr: A. DE BENEDITTIS,
M. LISENA, G. MINGOLLA, Donne creano impresa, Milano 1998, p. 4.
13
“ Ciò non influenza solo la capacità di produrre reddito durante la vita
lavorativa delle donne, ma anche il grado di protezione sociale garantito alla
popolazione femminile. Data la struttura del nostro sistema di sicurezza
sociale, le donne hanno in media prestazioni sociali inferiori a quelle
maschili, proprio per la maggiore precarietà della loro storia lavorativa. “
Così M. SAMEK, op. ult. cit., p. 174.
14
L’occupazione femminile rimane bassa nelle professioni dirigenziali
(0.8% rispetto al 2.1% maschile) Cfr: M. SAMEK, op.ult.cit., p.174.
XVI
settori più tradizionali, quali il commercio. Proprio al fine di
incentivare lo spirito imprenditoriale delle donne, è stata emanata
nel 1992 la legge 215,
“Azioni positive per l’imprenditoria
femminile”. L’obiettivo perseguito dal legislatore è
particolarmente ambizioso, proponendosi di raggiungere la parità
di opportunità anche nel lavoro autonomo, e in uno dei settori più
tipicamente maschilisti, quale il mondo dell’imprenditoria.
15
Secondo l’ISTAT (1996), sul totale di lavoratori indipendenti, la
percentuale di donne ammonta al 29%. Cfr: DE BENEDITTIS, LISENA,
MINGOLLA, op. ult.cit., p. 5.
XVII
Capitolo I
AZIONI POSITIVE E PARI
OPPORTUNITA’.
XVIII
§1.UGUAGLIANZA SOSTANZIALE E FUNZIONE
PROMOZIONALE DEL DIRITTO.
L’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale, subito dopo
aver proclamato che tutti i cittadini sono liberi ed uguali davanti
alla legge, non esita ad ammettere che la società è fondata sulla
disuguaglianza di fatto
16
.
Il Costituente ha, quindi, riconosciuto che non è sufficiente
sancire il principio dell’uguaglianza giuridica dei cittadini,
quando esistono ostacoli di ordine economico e sociale che
impediscono che questa sia effettiva. Pertanto, ha assegnato alla
Repubblica, vale a dire al legislatore e ai pubblici poteri, il
compito di rimuovere tali ostacoli, affinché tutti i cittadini
possano fruire delle stesse opportunità e possano godere, senza
16
Per questo motivo U. ROMAGNOLI definisce la nostra una Costituzione
“sincera”, nel commento dell’art.3,2° comma Cost., in Commentario della
Costituzione, (a cura di) G. BRANCA, Bologna-Roma, 1975, p.165.
XIX
sperequazioni, dei medesimi diritti loro formalmente riconosciuti
dalla Costituzione.
17
In sostanza, il comma 2° dall’art. in esame, segna il passaggio
dallo Stato di diritto, a funzione protettivo-repressiva, allo Stato
sociale, a funzione promozionale.
18
Difatti, se le costituzioni
liberali classiche si limitano a sancire il principio d’uguale
soggezione alla legge di tutti i cittadini, le costituzioni del
periodo post liberale vanno oltre, affermando il principio
d’uguaglianza sostanziale.
Lo Stato, cui è affidato il compito di rendere effettiva la
parità fra i cittadini, può, in vista di quest’ultimo obiettivo, porre
in atto trattamenti di favore, a beneficio di categorie svantaggiate.
Un tale genere d’intervento darebbe luogo, ad avviso di alcuni
17
Come scrive L. EINAUDI in Prediche inutili, Torino 1956 p.2095: “Ogni
uomo deve essere inizialmente posto nella medesima situazione di ogni altro
uomo; sicché egli possa riuscire a conquistare quel posto morale,
economico, politico che è proprio delle sue attitudini di intelletto, di
carattere morale, di vigore lavorativo, di coraggio , di perseveranza.”
18
Si veda: N. BOBBIO, Sulla funzione promozionale del diritto, in Rivista
trimestrale di procedura civile, II 1969, p.1324.
Secondo la nostra Costituzione, la Repubblica ”promuove le condizioni che
rendono effettivo”il diritto al lavoro (art.4, comma1°); “promuove le
autonomie locali” (art.5); “promuove lo sviluppo della cultura” (art.9,
comma1°);
XX
illustri esponenti della dottrina,
ad una rottura della Costituzione,
poiché il 1° comma dell’art. in esame, vieta di trattare i gruppi in
modo diseguale, sia pure al fine di attuare o ripristinare
un’effettiva situazione di parità. In sostanza, tra la prima e la
seconda parte dell’art. 3 Cost, ossia tra uguaglianza formale e
sostanziale, non intercorrerebbe affatto una relazione di
complementarietà, bensì di contrasto radicale: in quest’ottica, il 2
comma dell’art. 3 Cost rappresenterebbe un’ipotesi di ”rottura”
19
della Costituzione.
Nella letteratura pubblicistica, tuttavia, si è formato da
tempo un indirizzo che predica il carattere solo apparente della
deroga inferta dal principio d’uguaglianza sostanziale a quello
formale. In altri termini, il principio di uguaglianza sostanziale
rappresenterebbe un’eccezione alla regola dell’uguaglianza
formale, sicché l’intervento compensativo sollecitato dal
principio d’uguaglianza sostanziale dovrebbe svolgersi pur
19
La terminologia è di C. MORTATI, Costituzione (Dottrine generali), in
Enciclopedia del diritto, XI, Milano 1962, p. 192.
XXI
sempre “nelle forme dello stato di diritto”.
20
Va ricordato,
infatti, che la norma eccezionale non può avere carattere
retroattivo
21
, deve essere necessariamente transitoria,
22
e la sua
applicazione va giustificata
23
.
Un’altra parte della dottrina
24
, invece, non ritiene corretto
esasperare la contrapposizione assiologica tra il concetto formale
20
Si veda: L. PALADIN, Il principio costituzionale d’eguaglianza, Milano
1965, p. 334.
Circa l’orientamento accennato, cfr : C. MORTATI, Istituzioni di diritto
pubblico, II, Padova 1976, p. 1033, che però, in precedenza, aveva rilevato
come l’attuazione del principio d’uguaglianza sostanziale “non può
richiedere interventi derogatori della parità di trattamento “ (v. Le leggi
provvedimento, Milano 1968, p. 199).
21
Diversamente, si arrecherebbe un vulnus al principio dell’affidamento,
fondamentale in uno Stato di diritto.
22
L’eccezione serve a difendere la reale vigenza della regola quando eventi
sopravvenuti ne mettano a repentaglio l’attuazione; tuttavia, se ambisse ad
una durata illimitata, diverrebbe regola a sua volta, sostituendosi a quella
preesistente. Cfr: C. MORTATI , Costituzione. Dottrine generali, in
Enciclopedia del diritto, XI, Milano 1962, p. 191.
23
In uno Stato di diritto, l’applicazione della regola non ha bisogno di
essere supportata volta per volta da una motivazione ad hoc, mentre tale
requisito è sempre necessario quando si tratta di applicare l’eccezione, che
deve rispondere ad un criterio di ragionevolezza.
Per una più ampia analisi sulla legittimità delle azioni positive, si veda
infra, cap.3, § 3.
24
Si veda: E. GHERA, Azioni positive e pari opportunità, in Giornale di
diritto del lavoro e relazioni industriali, n. 65 1995, p.8.
XXII
e quello sostanziale di eguaglianza. Piuttosto, andrebbe
evidenziata l’originalità del modello accolto nell’art. 3 della
Costituzione, nel quale l’antinomia tra i due precetti egualitari
viene elaborata e risolta mediante la tecnica del bilanciamento di
interessi costituzionalmente rilevanti. Vi sarebbe, pertanto, una
correlazione teleologica tra il principio d’uguaglianza formale e
quello d’uguaglianza sostanziale, che integra ed arricchisce il
contenuto del primo. Tale correlazione sussisterebbe, in quanto
il principio d’uguaglianza sostanziale impone di operare la
rimozione delle situazioni di fatto che impediscono l’effettivo
godimento dell’uguaglianza formale: di qui la possibilità di
deroghe, riequilibratici, della parità di trattamento.
25
Ad ogni modo, gli strumenti di attuazione del principio di
uguaglianza sostanziale non sono meramente integrativi della
parità formale, ma ne rappresentano piuttosto il superamento.
25
Cfr: E. GHERA, Azioni positive e pari opportunità, in Giorn. dir. lav.
rel. ind. n. 65 1995, pp. 8 e ss.