7
INTRODUZIONE
Nel marzo 2000, in occasione del Consiglio Europeo di Lisbona, i rappresentanti dei paesi
dell’Unione Europea stabilirono il piano strategico di orientamento delle politiche
economiche e sociali. L’obiettivo primario stabilito dal piano, è fare dell’Europa «l'economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione
sociale».
Cultura, sostenibilità e coesione sociale sono dunque i principi strategici che devono ispirare
la nuova economia europea basata sulla conoscenza, principi questi, riassunti nel linguaggio
del management in un solo acronimo: CSR, per Corporate Social Responsibility, o
Responsailità Sociale d’Impresa (RSI). La Corporate Social Responsibility è uno dei frutti
dell’economia della conoscenza, s e c o n d o l a q u a l e l ’ i m p r e s a n o n è p i ù s t u d i a t a e g e s t i t a
come una proprietà privata ma come una comunità di persone con obiettivi e valori comuni.
A quasi dieci anni dal Consiglio europeo di Lisbona, i risultati sono incoraggianti, la CSR sta
diventando una pratica diffusa, non solo per le imprese ma per ogni forma di organizzazione,
in Europa c o m e n e i c o n t i n e n t i A m e r i c a n o e Asiatico. Complice, forse, la crisi finanziaria
internazionale, quale goccia che ha fatto traboccare il vaso, oggi la sostenibilità è
definitivamente balzata tra i principi in agenda della società occidentale e, chi osserva il
mercato globale, ha definito il 2009 come l’anno della sostenibilità. I media, di qualunque
orientamento, riportano con frequenza notizie, annunci pubblicitari e approfondimenti
riconducibili al principio di sviluppo sostenibile, mentre studiosi ed esperti dei campi più
8
disparati, prendono atto del cambiamento e ne portano testimonianza attraverso articoli,
ricerche e saggi sulle diverse sfaccettature del fenomeno.
Per accorgersi che qualcosa nel sistema mondo sta cambiando, basta guardarsi intorno. Ai
giorni nostri, solo per fare qualche esempio, il premio Nobel per la pace 2007 viene
a s s e g n a t o a d A l G o r e p e r i l s u o i m p e g n o n e lla difesa dell’ambiente, il Dow Jones introduce
un indice di sostenibilità, gli investimenti etici sono l’ultimo grido di Wall Street e il rampollo
di una della più prestigiose famiglie di banchieri europei, David de Rothschild, si occupa a
tempo pieno di ecologia fondando un’organizzazione che intende diffondere la conoscenza
delle aree del globo a forte rischio ambientale.
Intanto, per le aziende grandi e medie (più raramente per le piccole), c o m e p e r o g n i a l t r a
forma di organizzazione, l’esercizio della propria responsabilità sociale diviene una pratica
sempre più condivisa, è un nuovo modo di gestire l’impresa, basato sull’attenzione verso le
relazioni che si instaurano tra i gruppi sociali coinvolti dalla combinazione economica
dell’organizzazione e sulla creazione di valore per ognuno di essi. L’incremento esponenziale
di pubblicazioni e case studies, accademici e non, avutosi negli ultimi anni ne è la prova.
Molteni e Todisco [2008: 9] riportano come digitando «corporate social responsibility» sul
motore di ricerca Google, i r i s u l t a t i s i a n o p a s s a t i d a 4 m i l i o n i n e l 2 0 0 5 a c i r c a 9 m i lioni nel
settembre 2008 e oggi, soltanto un anno più tardi (settembre 2009), le stesse parole digitate
da chi scrive hanno dato un risultato di 31 milioni e 400 mila pagine. Un incremento di quasi
i l 2 5 0 % i n u n solo anno. Indice che, seppur lontano dal rigore scientifico, è sicuramente
significativo dell’effettiva esplosione della disciplina.
Con buona sintesi, si può dire come dal punto di vista economico, a creare la necessità verso
tale cambiamento sia stato il processo di global izzazione e sono anzitutto le multinazionali e
le grandi imprese di beni e servizi di massa ad avere generato nella società la percezione dei
rischi sociali ed ambientali legati al consumismo globale. Non a caso, tutti gli occhi sono
puntati su di loro, è soprattutto a loro che la società richiede l’assunzione delle proprie
responsabilità e d è a l o r o c h e i l m o n d o a c c a d e m i c o g u a r d a p e r studiare, comprendere e
definire il fenomeno. Ma la sensibilità ormai acquisita dai consumatori fa si che la CSR si stia
diffondendo rapidamente in tutti i settori di mercato, anche quelli di nicchia, come il settore
del lusso.
9
I beni di lusso sono per definizione poco ‘equi’ e nella loro produzione è insito un grande
utilizzo di risorse che ricade, invece, piuttosto equamente, sulla società intera. Alcuni di
questi beni poi, sono anche grandi fonti di inquinamento, il che favorisce ancora di più la
percezione dei rischi ambientali e l’intolleranza, da parte di certe categorie sociali, verso
questi tipi di beni. Un esempio lampante di questo fenomeno è fornito dai disincentivi
all’acquisto di auto fortemente inquinanti (come i SUV), che ultimamente sono stati fissati in
diverse città europee o, ancora, il crescente numero di aree marine protette che vietano
l’accesso alle imbarcazioni private.
Come si comportano dunque le imprese del lusso d i f r o n t e a l c a m b i a m e n t o i n a t t o ? L a tesi
prende spunto da questo problema e lo approfondisce dal punto di vista comunicativo,
analizzando la best practice del settore forse più controverso del lusso: la nautica.
Azimut-Benetti è il gruppo leader mondiale nella produzione di grandi imbarcazioni a motore
per il diporto di lusso ed è anche uno dei cantieri più attivi nel perseguimento della
sostenibilità della propria attività. Quali sono le sue scelte strategiche in materia di CSR? E
come comunica se stesso in un ambiente che lo espone ad un forte rischio di contraddizione
e incoerenza? La ricerca vuole rispondere a queste domande e per farlo mette a confronto
l’operato del gruppo Azimut-Benetti con gli esempi offerti dalla letteratura, dal mercato
nautico e dai principali attori del mondo del lusso impegnati in campagne di CSR.
Nel dibattito accademico, la comunicazione viene generalmente considerata come uno
strumento complementare della CSR e gli strumenti operativi principali provengono da altre
discipline del management; i p i ù r e c e n t i c o n t ributi dell’analisi stanno però rivalutando
l’approccio comunicativo, dimostrando come l’intera disciplina della CSR non solo si debba
avvalere della comunicazione ma non possa anzi prescindervi. Nel suo piccolo, questa tesi
intende inserirsi tra questi ultimi, dimostrando la necessità dell’approccio comunicativo, ai
fini dell’efficacia delle politiche di responsabilità sociale.
Struttura della tesi
I l l a v o r o è o r g a n i z z a t o i n t r e p a r t i . L a p r i m a è u n m o m e n t o d i a n a l i s i g e n e r a l e d e l m e r c a t o
nautico e dell’azienda, che risponde alle ovvie esigenze metodologiche preliminari di una
r i c e r c a . I l p r i m o c a p i t o l o è d e d i c a t o a l m e r c a t o e d o p o a v e r e f o r n i t o q u a l c h e i n f o r m a z i o n e
sulle dimensioni e le caratteristiche dello stesso, passa immediatamente ad esporre la prima
10
‘ricerca nella ricerca’, che ritrae il tema della sostenibilità nel mercato nautico. Gli altri due
capitoli della prima parte, sono dedicati all’azienda e intendono portare alla luce le
componenti strategiche del Gruppo della nautica, analizzando prima l’organizzazione, poi la
sua comunicazione.
L a s e c o n d a p a r t e è i l n u c l e o c e n t r a l e d e l l a v o r o e analizza l’esercizio della responsabilità
sociale d’impresa di Azimut-Benetti. Il primo dei cinque capitoli che la compongono, è un
capitolo quasi esclusivamente teorico dove vengono esposti i fondamenti della disciplina
della CSR, il suo rapporto con la comunicazione e con il mondo del lusso. I capitoli dal cinque
al nove passano in rassegna le iniziative intraprese dall’azienda, divise per aree di intervento.
Etica, iniziative sociali a favore dei collaboratori e della comunità, iniziative a favore
dell’ambiente e iniziative a favore dei clienti, vengono confrontate con gli spunti offerti dalla
letteratura e con gli esempi di altre aziende operanti nel settore del lusso.
La parte conclusiva si compone di due capitoli che, grazie alla visione complessiva del
fenomeno, offerta dalle prime due parti della ricerca, si propongono di rispondere alle
d o m a n d e d a c u i i l l a v o r o è generato. Il decimo capitolo analizza la situazione organizzativa
d e l l a C S R i n a z i e n d a p e r c o m p r e n d e r e e v a l u t a r e l e s u e s c e l t e s t r a t e g i c h e e i l g r a d o d i
cambiamento organizzativo portato dalla disciplina. L’undicesimo e ultimo capitolo, si
concentra sull’aspetto comunicativo della responsabilità sociale del Gruppo per capire come
Azimut-Benetti promuova questo aspetto della sua personalità. Nello specifico, quali siano le
strategie di comunicazione adottate, quali gli strumenti e i canali utilizzati, quali le differenze
con la comunicazione d’impresa tradizionale.
PARTE PRIMA
13
Capitolo Primo
IL MERCATO DELLA NAUTICA DA DIPORTO, I NUMERI E LA
SOSTENIBILITÀ
Acquisire un quadro completo e definito dell’ambiente esterno in cui ci si muove è sempre
buona norma. Nel caso di una ricerca permette di prendere decisioni consapevoli in merito
al disegno generale e, nel corso della stessa, di ragionare in termini concreti. Questo primo
capitolo, introducendo il mondo della nautica da diporto, punta proprio a questo.
L’analisi preliminare del mercato della nautica, oltre ad asservire le suddette ragioni,
fornisce le prime risposte alle domande che ispirano la ricerca. Passando poi dalla forma al
contenuto, l’analisi che segue si rende nuovamente importante tracciando, a grandi linee, il
panorama che costituisce l’ambiente esterno dell’azienda, che nei prossimi capitoli sarà
oggetto di studio.
Data la relativa specificità dell’argomento trattato, questo capitolo si limita a riportare i
tratti salienti e più utili in questa sede. Per fare ciò si è deciso di dividere l’analisi in due
p a r t i d i s t i n t e , l a p r i m a d e d i c a t a i n s e n s o s t r e t t o a l m e r c a t o , l a s e c o n d a a l t e m a d e l l a
sostenibilità nella nautica, una sorta di benchmarking incentrato sulle tematiche
ambientali.
P e r i l p r i m o p a r a g r a f o s o n o s t a t i u t i l i z z a t i i d a t i d e l l e f o n t i u f f i c i a l i d e l s e t t o r e . P e r i l
secondo, non esistendo, ad oggi, studi, ricerche o altre pubblicazioni, per via dell’assoluta
attualità del fenomeno, si è deciso di procedere attraverso il monito raggio della stampa di
settore (europea e statunitense) in un a r c o m a s s i m o d i t e m p o c h e v a d a gennaio 2008 a
ottobre 2009.
14
INTRODUZIONE. La nautica da diporto: definizioni e classificazioni.
Di che cosa stiamo parlando? Prima di cominciare una trattazione è sempre bene chiarire
entro quali limiti ci si sta muovendo, anche quando l’argomento è dei più comuni ed
apparentemente condivisi. Se pensiamo che in un paese come l’Italia, dove i l m a r e h a u n
ruolo determinante, geograficamente come economicamente, la nautica è argomento
esclusivo di appassionati ed addetti ai lavori, si presenta, a maggior ragione, la necessità di
spendere qualche parola per chiarire l’oggetto di analisi.
Diporto è il termine che indica l’attività di navigazione a fini ricreativi e non di lucro. Nella
navigazione da diporto rientrano quindi le attività di turismo nautico, sport acquatici, regate
e pesca sportiva. Le imbarcazioni da diporto, vista la grande diversità di fini cui adempiono,
sono difficilmente raggruppabili in unica classificazione ed effettivamente, tale
classificazione non esiste. Bisogna poi aggiungere che il grande sviluppo d i c u i i l s e t t o r e h a
avuto esperienza negli ultimi anni, con il relativo aumento dell’offerta, ha portato,
similmente a quanto avviene nel mercato dell’auto, alla comparsa di nuove imbarcazioni
ibride che si prestano ancor meno delle altre ad una classificazione esaustiva e
soddisfacente.
Una prima fondamentale classificazione è quella stabilita dalla legge in base alla lunghezza
degli scafi
1
. Questa classificazione normativa è valida non solo in Italia ma, con piccoli
scostamenti, un po’ i n t u t t o i l m o n d o e v e d e l e i m b a r c a z i o n i d a d i p o r t o d i v i s e i n t r e
categorie:
NATANTI
unità a motore aventi una lunghezza fuori tutto fino a 10,00 mt.
u n i t à a v e l a c o n o s e n z a m o t o r e a u s i l i a r i o e d i m o t o v e l i e r i d i l u n g h e z z a f u o r i t u t t o
fino a 10,00 mt.
IMBARCAZIONI
unità a motore aventi una lunghezza fuori tutto superiore a mt. 10 e fino a 24,00 mt.
u n i t à a v e l a c o n o s e n z a m o t o r e a u s i l i a r i o e d i motovelieri di lunghezza superiore a
10,00 mt. e fino a 24,00 mt.
1
Decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171 del Codice della Nautica da diporto.
15
NAVI
u n i t à a m o t o r e o a v e l a c o n m o t o r e a u s i l i a r i o a v e n t i u n a l u n g h e z z a f u o r i t u t t o
superiore a 24,00 mt. e senza alcun limite massimo.
Per completare questa breve introduzione, senza esagerare con termini e distinzioni troppo
tecnici, ci basta sovrapporre a questa classificazione normativa, un’altra semplice distinzione
adottata dagli ‘addetti ai lavori’, quella di yacht/megayacht.
Yacht, termine inglese per panfilo, denota un’imbarcazione da crociera per il diporto
turistico. C o n q u e s t o t e r m i n e s i i n d i c a n o g e n e r a l m e n t e b a r c h e a m o t o r e o a v e l a c o m p r e s e
tra i 30 e gli 80 piedi di lunghezza ed appunto sviluppate per un uso crocieristico. Con
megayacht, o anche superyacht, si indicano invece le imbarcazioni al di sopra degli 80 piedi
(24,38 metri) , s i a n o e s s e a v e l a o motore. Come si può notare, una distinzione
sovrapponibile alla prima classificazione normativa ma specifica per le imbarcazioni di lusso
dedicate al turismo nautico o, tuttalpiù, alle regate nel caso degli yacht a vela (anche detti
sailing yacht, megasailer o supersailer).
1. I NUMERI DEL MERCATO NAUTICO
1.1 L’industria della nautica da diporto in Italia
La produzione totale
Secondo gli ultimi dati forniti da UCINA
2
, il fatturato del settore nautico italiano dell’anno
2007 supera abbondantemente i sei miliardi di euro, derivati per l’80,3% dalla produzione
nazionale e per il restante 19,7% dalle importazioni.
Le stime vengono effettuate prendendo in considerazione tutti i quattro sotto-settori della
nautica
Cantieristica (inteso come sotto-settore dedito alla costruzione di unità da diporto)
Riparazione, manutenzione e rimessaggio
Accessori
Motori
2
UCINA (Unione Nazionale Cantieri Industrie Nautiche ed Affini), La nautica in cifre, Analisi del mercato per
l’anno 2007, 2008, p.40.
16
nel lasso di tempo che va da settembre ad agosto, noto come anno nautico.
Sempre secondo i dati UCINA, il 52,4% del fatturato nazionale viene assorbito dalla stessa
domanda interna ed il restante 47,6% è destinato alle esportazioni e diviso quasi equamente
tr a p aesi d el l’ U E e p aesi extr a U E . Le i mpo r tazio ni so n o in vec e p r o ven i en ti p er tr e q u ar ti d a
paesi extra UE ed un quarto da paesi appartenenti all’UE.
Il contributo del settore nautico sul Prodotto Interno Lordo e sul mercato del lavoro
Per il calcolo dell’impatto del settore s u l P I L , U C I N A
3
considera tre comparti: attività
cantieristica
4
, produzione di accessori e componenti nautici, produzione di motori marini.
Al valore della produzione del settore (al prezzo di mercato), per ottenere il valore
complessivo, vengono sommati:
valore aggiunto dei tre sottosettori
costi intermedi dei tre sottosettori al netto degli acquisti che ciascun sotto-settore
effettua presso gli altri settori
margini di intermediazione per collocazione della produzione sul mercato.
I conteggi restituiscono, per l’anno 2007 (ultimo dato disponibile al momento in cui si scrive),
un valore complessivo pari a € 5.548.690.000 che corrispondono a poco meno dello 0,4%
d e l P I L n a z i o n a l e d e l l o s t e s s o a n n o e p o r t a n o u n a v a r i a z i o n e s u l P I L d i + 1 3 , 2 % r i s p e t t o al
contributo dell’anno precedente. Dati, che continuano a sottolineare la crescita constante
del settore ed il suo valore a livello nazionale.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro anche il settore nautico, come ogni altro settore al
giorno d’oggi, è costituito da una parte di lavoratori dipendenti, quindi stabilmente impiegati
in una singola azienda, e lavoratori esterni che vengono impiegati temporaneamente
nell’Impresa, senza esservi assunti. La prevalenza è dei primi sui secondi, con differenze
percentuali più o meno importanti a seconda del sotto-settore.
I lavoratori dipendenti dell’intero settore sono quasi ventiseimila mentre quelli esterni
sfiorano gli undicimila, con aumenti complessivi rispetto all’anno precedente del 6% nel
segmento dei lavoratori dipendenti e del 7% nel segmento dei lavoratori esterni.
3
UCINA (Unione Nazionale Cantieri Industrie Nautiche ed Affini), La nautica in cifre, Analisi del mercato per
l’anno 2007, 2008, p.42.
4
Nel comparto attività cantieristica vengono raggruppate le attività che nel conteggio della produzione totale
erano ulteriormente divise in cantieristica e riparazione, manutenzione e rimessaggio.
17
Il valore di Import-Export
In linea con quanto avveniva gli anni precedenti, anche nel 2007 il settore continua ad avere
un buon potere di mercato grazie ad una limitata concorrenza straniera. Secondo l’analisi
UCINA
5
dei dati ISTAT, i l v a l o r e d e l l e e s p o r t a z i o n i s a r e b b e p a r i a l 7 0 % c o n t r o i l 3 0 % d e l l e
importazioni.
I flussi di importazione sono caratterizzati per il 65% da scambi con paesi appartenenti
all’Unione Europea e per il 20% da scambi c on gl i Stati U n i ti . Il r estan te 1 5 % si r ip ar te pi ù o
meno equamente tra gli altri continenti, Asia, Africa e Oceania, e paesi extra UE.
Le esportazioni seguono all’incirca il medesimo trend delle importazioni ma con valori
piuttosto diversi per Asia, A f r i c a e O c e a n i a , e p a e s i e x t r a U E . C o m e p e r l e i m p o r t a z i o n i
Unione Europea e USA si dividono rispettivamente primo e secondo posto con il 43,4%
dell’UE e il 32% dell’America. All’Asia è rivolto il 10,5% del flusso ed un altro 10,3% è rivolto
ai paesi extra UE, Oceania e Africa infine si attestano su valori del 3% ed 1%.
Il parco nautico
Secondo la legge vigente
6
, i n atan ti, u ni tà d a d i por to a vel a o mo tor e in f eri o ri ai di ec i metri
di lunghezza, non necessitano di immatricolazione e sono pertanto disponibili i soli dati
relativi ad imbarcazioni e navi da diporto.
La pubblicazione Il diporto nautico in Italia, anno 2006 del Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti testimonia un totale di 92.497 unità da diporto immatricolate che secondo le
stime UCINA
7
costituirebbero il 15% del parco nautico totale italiano. Il totale delle barche
i m m a t r i c o l a t e è c o m p o s t o p e r i l 1 7 , 3 % d a ba r c h e a v e l a e p e r l ’ 8 2 , 7 % d a b a r c h e a m o t o r e .
Sempre il totale delle unità immatricolate è poi composto per 99,6% da imbarcazioni e solo
dal restante 0,4% da navi da diporto
8
.
5
UCINA (Unione Nazionale Cantieri Industrie Nautiche ed Affini), La nautica in cifre, Analisi del mercato per
l’anno 2007, 2008, p.45.
6
Decreto legislativo 18 luglio 2005, Codice della Nautica da diporto.
7
UCINA (Unione Nazionale Cantieri Industrie Nautiche ed Affini), La nautica in cifre, Analisi del mercato per
l’anno 2007, 2008, p.52.
8
Elaborazione dei dati ministeriali in Il diporto nautico in Italia, anno 2006, Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
18
Quest’ultimo dato, pur essendo reale, non può essere considerato dato effettivo delle
barche oltre i ventiquattro metri possedute da armatori
9
italiani, in quanto la maggioranza di
tali unità battono bandiera straniera, per agevolarsi, illecitamente, di sgravi fiscali più
favorevoli.
1.2 L’industria della nautica da diporto nel mondo
Il parco nautico mondiale
ICOMIA, International Council of Marine Industry Association, svolge il compito di
monitoraggio del settore nautico nel mondo avvalendosi dei dati forniti dalle associazioni
nazionali preposte, dei paesi più rilevanti
10
. Data la composizione delle fonti, confrontare i
dati sul parco nautico internazionale, come è stato appena fatto sul panorama nazionale,
non è altrettanto semplice ed indicativo. La forma aggregata, o parzialmente aggregata, dei
dati di partenza e la non-univocità di classificazione, raccolta e trattamento dei dati dei
singoli paesi, dettati dalla legislazione locale in materia di immatricolazione, complicano
notevolmente le cose.
Nonostante i problemi statistici, i dati ICOMIA
11
sono comunque utilissimi in questa sede per
portare alla luce i trend a livello internazionale ed è indubbio che, tali trend, siano in linea
con i numeri nazionali esaminati nel paragrafo precedente:
grande prevalenza dei natanti sulle imbarcazioni
grande prevalenza del motore sulla vela con rapporto di circa quattro a uno.
I protagonisti del parco nautico internazionale sono anzitutto gli Stati Uniti che detengono
circa i tre quarti del parco nautico internazionale, grazie ad una diffusissima attività
diportistica legata allo sport, sui laghi dell’entroterra, oltre che sulle coste. A seguire,
nell’ordine, l’Europa (con una forte concentrazione nei paesi scandinavi oltre che in quelli
affacciati sul mediterraneo), Australia, Nuova Zelanda e Giappone.
9
Nel linguaggio nautico, con armatore ci si riferisce al proprietario dell’imbarcazione.
10
ICOMIA elenca tra i paesi più rilevanti del panorama nautico: Australia, Croazia, Finlandia, Francia, Germania,
Giappone, Grecia, Irlanda, Italia Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati
Uniti, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Turchia.
11
ICOMIA, Recreational Boating Industry Statistics 2006.