2
il “mito delle origini” in ogni concezione dell’autorità: da quella
cristiano-medievale (che porta ad una teocrazia egemonizzata da un
papa detentore della suprema “auctoritas”) al “divine right of kings”
del XVII secolo, frutto, quest’ ultimo, dell’unione del moderno concetto
di “sovranità assoluta” di Jean Bodin con l’interpretazione del “nulla
potestas nisi a Deo” dei teologi della Riforma. Gli effetti politici della
Riforma sono noti: l’autorità secolare, forte della nuova consacrazione
datale da Lutero (attraverso l’affermazione della sua diretta ed
esclusiva investitura divina e la teoria dei “due regni” ) acquista il
carattere della sovranità assoluta del politico. Ma il contributo della
Riforma alla modernità, pur essendo indiscutibile, risente
dell’ambiguità tipica di un pensiero che si posiziona al crocevia tra due
epoche. Nel corso di questo lavoro si paleseranno tutte le valenze anti-
moderne del progetto ginevrino.
Dopo un necessario confronto con il pensiero teologico e politico di
Lutero2, analizzeremo le conseguenze della concezione calvinista di un
Dio “législateur et roy” dell’universo, il quale, con un procedimento
del tutto irrazionale, destina alla condizione di “eletti” solo alcuni:
questi sono chiamati ad attuare, parallelamente alla riforma religiosa,
anche la riforma del mondo secolare (per “rimetterlo in ordine”).
2
Pur consapevoli dell’ importanza della Riforma nella Svizzera tedesca di Zwingli,
abbiamo considerato, nella trattazione, solo il confronto tra calvinismo e luteranesimo.
3
Nell’ambito di un progetto che vuole la realizzazione di una “santa
repubblica” nella quale ogni eletto abbia solo il pensiero della gloria di
Dio (soli Deo gloria), individueremo i passaggi che portano al
superamento della distinzione netta tra i “due regni” di Lutero,
all’affermazione della necessità di una cooperazione tra magistrati e
pastori secondo una razionale divisione di compiti, e alla piena
riabilitazione di una chiesa visibile ed istituzionalizzata.
Nel secondo capitolo illustreremo la proposta di Calvino per far
superare all’uomo “caduto” la sua condizione di ineluttabile
estraniazione da Dio: l’instaurazione di una disciplina religiosa, fondata
sull’obbedienza cosciente e sull’adesione ad un “patto” con Dio.
Elemento costitutivo della disciplina è la famiglia: distrutta in nome di
Dio, essa viene ricostituita come associazione non più naturale; diviene
una “piccola chiesa” e la paternità, privata delle sue caratteristiche di
fenomeno privato e biologico, assolve ad una funzione che è sia
religiosa sia politica. Il rapporto autoritario in seno alla famiglia diviene
la ratio fondamentale tutti gli altri rapporti collettivi. La nostra analisi
si concentrerà, quindi, sulla concezione patriarcale dell’autorità nel
pensiero del riformatore e seguirà gli sviluppi dell’ analogia
famiglia/Stato, per la quale la sottomissione alle autorità costituite va di
pari passo con l’obbedienza al pater familias. Continuerà poi,
4
soffermandosi sulle altre due istituzioni fondamentali dell’universo
sociale e politico di Calvino: la Chiesa (e il suo sistema di disciplina) e
lo Stato, considerato come ordine politico che, conformato
cristianamente, deve servire sia al fine religioso (il mantenimento della
vera religione) sia al fine sociale-utilitario (il mantenimento della pace,
dell’ordine e del benessere). A questo punto sarà completo il disegno di
un complesso unitario di vita e di società (famiglia-Stato-Chiesa)
motivato dal comune ideale cristiano e basato sul senso patriarcalistico
dell’autorità; che però accanto al volto “buono” di una forma di
“socialismo cristiano” presenta il volto cupo dell’integralismo religioso.
Infine, nel terzo capitolo, tratteremo del potere patriarcale nel pensiero
di Jean Bodin. L’occasione è data, naturalmente, dal comune utilizzo
della paternità, nei due pensatori, come metafora per esprimere
l’autorità politica; ma è nostra convinzione che una comparazione tra le
posizioni di Calvino e quelle di un suo quasi contemporaneo (che
utilizza anch’egli argomenti biblici ma, come vedremo, sfumati rispetto
ad argomentazioni storico-giuridiche) offra la possibilità di spunti
riflessivi interessanti e getti maggior luce sulla concezione patriarcale
dello stesso riformatore.
5
Capitolo I
1.1 Dalla teocrazia papale ai due regni
La definizione di governo teocratico, che ricorre spesso quando si
illustra il pensiero di Jean Cauvin,3 richiede una precisazione
preliminare sul significato di teocrazia, distinguendo tra due accezioni:
una indica un sistema di governo in cui l’autorità civile è dominata dal
clero ed un’altra un regime in cui tutta l’autorità deriva da Dio. Mentre
il principio della derivazione divina del potere è un elemento dal quale
non si può prescindere, essendo determinante nel qualificare qualsiasi
teocrazia, l’affermazione della supremazia del clero che finisce con
l’esercitare il potere politico identifica una teocrazia che ha un suo
preciso posto nella storia, quella della Santa Sede Apostolica realizzata
nel basso medioevo dai papi canonisti. Il sistema politico della visione
calvinista non è da intendersi come teso a stabilire il predominio delle
autorità ecclesiastiche su quelle civili. Come sostiene Giorgio Tourn:
“Ginevra è teocratica nella misura in cui pretende attuare nelle sue
3
(Noyon, Francia ,10 luglio 1509 – Ginevra, 27 maggio 1564). D’ora in avanti “Calvino”.
6
mura una riforma religiosa in cui siano egualmente impegnati Chiesa e
magistrati”.4
La presenza civile di Dio, cioè il suo rapporto con l'ambito del sociale e,
specificamente, del politico, è un problema che il Cristianesimo porta
con sé dalle origini. Cristo rompe una realtà caratterizzata dal monismo
politico-religioso quando afferma la dualità tra le spettanze di Dio e
quelle di Cesare: “date a Cesare quel ch'è di Cesare, e a Dio quel ch'è
di Dio”(Matteo, 22:21). In tal modo enuncia la distinzione tra i due
campi della religione e della politica e riconosce, a questa, una sua
specifica sfera di competenze. Il problema però sembra non risolto
quando Egli, rispondendo a Pilato dice “tu non avresti alcun’autorità su
di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto” (Giovanni 19:11). La
stessa cosa dice San Paolo, quando, nel famoso passo della lettera ai
Romani sull’autorità, ne conferma la derivazione da Dio e considera i
governanti ministri di Dio con funzioni di premiare o castigare i
governati a loro salvezza5. Comprendere la distanza tra i due modi
4
G.Tourn, Introduzione all’Istituzione della religione cristiana, Utet, Torino, 1971 pag.25.
Quando l’obiettivo di razionale divisione dei compiti tra pastori e magistrati verrà disatteso,
si configurerà una forma peculiare di teocrazia, il cui paradosso è un processo di
“politicizzazione” del clero. Sul concetto (che rientra nel “paradosso della
secolarizzazione” formulato da Giacomo Marramao) torneremo nel corso di questo lavoro.
5
Dalle Sacre Scritture: “Ognuno sia soggetto alle autorità superiori; poiché non c’è
autorità che non venga da Dio, e quelle che esistono sono costituite da Dio. Perciò chi si
oppone all’autorità resiste all’ordine stabilito da Dio; e coloro che resistono attirano la
7
d’intendere il “governo di Dio” a cui si accennava, significa anche
analizzare l’evoluzione interpretativa che ha riguardato la formula
paolino-agostiniana nulla potestas nisi a Deo6, assunta come “mito
delle origini” di ogni forma di potere legale, centrale in qualsiasi
dibattito di “teologia della politica” per tutto il medioevo fino all’età
moderna, da Sant’Agostino a Calvino, e supportata dal noto passo del
Vangelo che farebbe di Pietro il vicario di Cristo in terra.7 Una formula,
quella paolina, che, nonostante assuma significati e finalità diverse in
relazione al punto di vista di chi l’accetta- dall’interpretazione di
Sant’Agostino a quella dei teologi della Controriforma come
Bellarmino e Sùarez- si configura come una di quelle idee, strutture
mentali, permanenti della storia. L’arco temporale tra l’alto medioevo e
l’epoca della Riforma fa così da ponte tra due concezioni opposte del
mondo e della politica, che “attraverso l’interdipendenza delle loro
stesse opposte polarità, realizzano la sintesi di un coerente e
progressivo percorso della sovranità: si comincia con la costituzione di
condanna sopra se stessi”.(Lettera ai Romani 13:1-2) Per i testi biblici utilizzati vedi
Bibliografia.
6
“agostiniana” perché questa formula fu fatta propria da Sant’Agostino. Secondo Agostino
Iddio stesso, nella sua imperscrutabile scienza e nella Sua visibile onnipotenza, è colui che
“dà i regni ai buoni e a i cattivi” (De Civitate Dei, IV, 23, 1).
7
Dalle Sacre Scritture, Matteo 16:18-19: “ed io dico a te, che tu sei Pietro e su questa
pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno mai prevarranno contro di essa. A te
darò le chiavi del regno dei cieli…”
8
una teocrazia incentrata intorno al pontefice vicario di Cristo in terra e
si approda alla costruzione dello stato moderno nella forma
dell’assolutismo monarchico per diritto divino”.8
Fino a quando la chiesa di Roma ha assolto il suo compito di
congregatio fidelium, occupandosi esclusivamente della cura delle
anime, ha prevalso un’interpretazione della lettera paolina
sostanzialmente ultramondana; il precetto “ognuno sia soggetto alle
autorità superiori” invita il credente all’obbedienza passiva, assumendo
come prioritaria l’obbedienza a Dio: il messaggio è ultramondano e
apolitico, perchè è in funzione di un regno ultraterreno. Con la nascita
della religione cristiana di stato, al tempo di Costantino (IV secolo) e
l’inizio della politicizzazione della chiesa, la formula paolina è stata
invece interpretata in senso mondano e politico, alla luce della nuova
necessità di ridefinire il rapporto tra chiesa e stato.
La Riforma, nel rivalutare la missione pastorale della chiesa
(riportandola alla natura di congregatio fidelium) ha spostato il
“baricentro” verso l’autorità secolare, investendola dell’esclusiva
competenza ad esercitare l’autorità coattiva.
8
Per l’evoluzione che l’interpretazione della lettera ai Romani ha avuto nella lunga durata e
per l’importanza che l’idea -struttura mentale- del nulla potestas nisi a Deo ha avuto,
qualificandosi come “struttura permanente” della storia : M.Terni-La pianta della sovranità
-Laterza, Bari, 1995
9
Il conflitto tra le due sfere, mondana ed ultramondana, era al centro
della nota “dottrina delle due spade” di papa Gelasio I (V secolo), che
affermava la distinzione tra i due poteri -le due spade- ma in ultima
istanza stabiliva il primato della spada spirituale su quella temporale,
del sacerdotium sul regnum.9 Durante l’alto medioevo la dottrina fu
disattesa per una sostanziale preminenza del potere temporale,
arrivando il regnum ad essere sempre più determinante nella scelta dei
vescovi. Ma ciò che si deve mettere in evidenza è l’ambiguità del
conflitto: non si trattava di una lotta tra due spade qualitativamente
diverse per la supremazia nella sfera temporale o in quella spirituale,
ma piuttosto della lotta tra due papi per la leadership in un sistema
teocratico. Un sistema che configurava una monarchia definita a
“sovranità limitata” ed il cui principio universale era il diritto naturale
dei Padri della chiesa.10
A partire dalla riforma promossa da papa Gregorio VII nel sec. XI si
ebbe un inversione di tendenza, una progressiva preminenza del potere
9Come si evince dalla lettura della Epistola VIII ad Anastasium imperatorem, 494, nella
quale il papa smentisce l’affermata pariteticità delle due spade, sostenendo che sulla spada
spirituale gravano maggiori responsabilità, dovendo essa rendere conto al giudizio di Dio
anche per il re degli uomini; la spada spirituale ha un compito di supervisione rispetto a
quella temporale.
10
Cfr.M.Terni-La pianta della sovranità-Laterza, op.cit (pagg. 46-47); si veda
E.Kantorowicz -I due corpi del re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale,
Einaudi Torino, 1989.
10
spirituale. Da un dualismo tutto ideale e interiore si giunse a una
differenziazione propriamente giuridica e istituzionale dell'unità del
corpo politico. Gregorio VII mirava primariamente all'indipendenza
della Chiesa nelle cose spirituali, ma pose i germi di un'evoluzione
propriamente politica. Il Dictatus papae, una raccolta assiomatica di
ventisette enunciazioni di poteri arrogati al papa (tra gli assiomi, quello
per il quale “al Papa è permesso deporre gli imperatori”) demolì la
nozione del bilanciamento tra i due poteri, risolvendo a favore
dell’auctoritas (la Chiesa) l’eterno conflitto tra questa e l’imperium o
potestas (l’ Impero). Su quest’ onda, Innocenzo III e Bonifacio VIII
(secc. XIII-XIV) rappresentano il vertice delle rivendicazioni della
prerogativa papale, arrivando a teorizzare che anche il potere temporale
appartiene legalmente alla Chiesa, che ne concederebbe il mero
esercizio all'imperatore in vista del bene della cristianità tutta. Secondo
un’espressione di Innocenzo III, assertore della plenitudo potestatis del
pontefice, il papa è, si “più piccolo di Dio” ma è “più grande
dell’uomo”11. Egli non è solo il successore di Pietro ma è anche il
governatore di Dio. Egli è indestituibile.
Gli ideali teocratici affermati fin dal Dictatus papae saranno ripresi
dalla bolla Unam sanctam ecclesiam emanata da Bonifacio VIII
11
Citato in K.Heussi, G.Miegge- Storia del cristianesimo, Claudiana, Torino, 1975
11
durante la disputa con il re di Francia Filippo il Bello (18 novembre
1302).12Con il dissolversi dei concetti medievali dell'Impero universale
e della Chiesa universale, la plenitudo potestatis passa allo Stato, piú
esattamente al monarca o al popolo. Lo schiaffo di Anagni13 manifesta
l'acme della crisi dei rapporti tra i nuovi Stati nazionali e la Chiesa di
Roma e la volontà del potere laico di affermare la sua sovranità.
Più avanti le tesi autocratiche del papato si scontrano con le visioni
conciliariste portatrici di una concezione dell’autorità che capovolge la
tradizionale interpretazione del nulla potestas nisi a Deo e che
riprendono concetti già anticipati da Marsilio da Padova, nella prima
metà del XIV secolo. Tali tesi furono espresse chiaramente nel decreto
Haec Sancta del 141514 con il quale si affermava la supremazia del
12
“…Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono
due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero
“Ecco qui due spade” (che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare) il
Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada
temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando
dice: "Rimetti la tua spada nel fodero". Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la
spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa,
l’altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma
secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada
dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale…(dalla Bolla
Unam Sanctam, Bonifacio VIII)
13
Il noto episodio che nel settembre del 1303 portò alla cattura e detenzione, per tre giorni,
di Bonifacio VIII, attraverso una congiura organizzata dalla famiglia Colonna di Anagni e
dal Consigliere di Stato francese Guglielmo di Nogaret.
14
“…concilium generale faciens, et ecclesiam catholicam repraesentans, potestatem a
Cristo immediate habet, cui quilibet cuiuscumque status vel dignitatis, etiam si papalis
existat, obedire tenetur in his quae pertinent ad fidem et extirpationem dicti schismatis, ac
reformationem dictae ecclesiae in capite et in membris”. (dal Decreto Haec Sancta).
12
concilio anche sul papa, derivando esso la propria autorità direttamente
da Cristo. L’autorità investe i rappresentanti della Chiesa riuniti in
concilio, i governati e non i governanti, che diventano solo esecutori. I
conciliaristi riproponevano la tesi della “sovranità della comunità”
proposta da Marsilio da Padova nel Defensor pacis. Secondo Marsilio,
il compito di istituire le leggi -considerate dalla ragione umana giuste e
utili per la comunità- spetta al popolo, cioè all’intero corpo dei cittadini
o alla pars valentior; dice Marsilio:
“…il legislatore, o la causa prima ed efficiente della legge, è il popolo
o l'intero corpo dei cittadini o la sua "parte prevalente", mediante la
sua elezione o la volontà espressa con le parole nell'assemblea
generale dei cittadini... Con il termine "parte prevalente" intendo
prendere in considerazione non solo la quantità ma anche la qualità
delle persone in quella comunità per la quale viene istituita la legge”
(Defensor pacis I,12,1).
Pertanto la fonte del potere è il popolo, che può decidere di affidare il
compito di governare ad un principe dotato della forza capace di
garantire la pace (cioè un principe che sia defensor pacis), fondata sul
rispetto delle leggi. La funzione della Chiesa e dei sacerdoti è
13
meramente spirituale e consiste nel “conoscere e insegnare ciò che si
deve credere, fare o evitare per ottenere la salute esterna”. In casi di
contrasti su queste materie di fede, l’autorità suprema è -secondo
Marsilio- non il papa, ma il Concilio, il quale rappresenta la comunità
dei cristiani:
“…l'autorità principale per compiere tali definizioni, sia mediata che
immediata, spetta al solo concilio generale dei Cristiani, oppure alla
sua parte prevalente, o a coloro ai quali tale autorità sia stata concessa
dalla totalità dei fedeli cristiani” (Defensor pacis II,20,2).
La modernità di tesi simili è sorprendente, tanto da spingere uno
studioso come Harold Laski a dire che “le concezioni, che queste tesi
gigantesche implicano, adombrano quasi ogni punto della moderna
filosofia politica”15. Con questi argomenti Marsilio in sostanza rifiuta
l’interpretazione data dalla Chiesa alla frase del libro di Matteo “a te
15
“Le concezioni, che queste tesi gigantesche implicano, adombrano quasi ogni punto della
moderna filosofia politica. La sostituzione del popolo al sovrano quale vera fonte del
potere, l’insistenza sulla tolleranza religiosa, la riduzione del clero da una gerarchia che
domina la vita degli uomini a un ministero al servizio dei medesimi, tutto questo, esposto
nei minimi particolari, costituisce una profezia così audace da non avere uguali nella
storia del pensiero umano.” (Il pensiero politico del tardo medioevo- in Storia del mondo
medievale, vol.VII, pp.892-93).
14
darò le chiavi”16, che due secoli dopo sarà ancora viva nelle opere di
teologi della Controriforma quali Bellarmino e Sùarez. La loro
interpretazione del nulla potestas nisi a Deo è certamente un tentativo
di riaffermare la versione dei canonisti, ma porta ad un’interpretazione
della plenitudo potestatis decisamente più attenuata rispetto alle tesi
medievali. Il cardinale Bellarmino elabora una dottrina nota come
“teoria del potere indiretto” o potestas indirecta. Distingue tra un
potere diretto, istituzionale, del papa sulla Chiesa e la sua gerarchia ed
un potere indiretto sui re nella sfera temporale. Come i canonisti,
dunque, egli rivendica al papa sia la giurisdizione ierocratica, sia la
facoltà di punire; ma concepisce le due funzioni come un diritto di cui
usare solo per accidens, in casi eccezionali, o in questioni che, anche se
di natura secolare, possano essere avocate dal papa, caso per caso, alla
sfera spirituale, laddove si profilino gravi pericoli per le anime. Il
potere diretto del papa opera, quindi, indirettamente, ossia mediante un
16
Sulla frase “a te darò le chiavi” è basata la forma di potere che lo studioso Walter Ullman
definisce “discendente”. Nella sua prospettiva interpretativa Ullman individua , nel
pensiero politco medievale, due diverse dottrine circa l'origine del potere politico:
“discendente” e “ascendente”. Secondo la prima, il potere politico discende dall'alto verso il
basso, cioè è dato da Dio; per la seconda, il potere ascende dal basso verso l'alto, cioè è
dato dal popolo. L'origine di entrambe si trova nel pensiero espresso nei primi secoli: la
prima dalla lettera ai Romani di San Paolo, la seconda dai giuristi romani, in particolare nel
Digesto.(per la tesi di W.Ullman, Il pensiero politico del medioevo, Laterza, Bari, 1984)