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2.8 Clausola di esclusione della punibilità. Vale anche per l’Ente?
Rapporti con gli articoli 5 e 8 del D.lgs. 231/2001
A prevedere altre difficoltà interpretative ed applicative, il quarto comma
dell’articolo 648-ter.1 che disciplina una causa di esclusione della punibilità, la
quale recita che: “fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili
le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla
mera utilizzazione o al godimento personale”.
Anzitutto, a destare perplessità è stato l’inciso “fuori dei casi”, ossia il
significato che la locuzione avesse e per la quale due sono state le linee di
pensiero: la prima, quella per cui il legislatore abbia sbagliato a scrivere la
norma, dovendo invece ricorrere alla formula “nei casi”. La seconda, e
maggioritaria, invece ha ritenuto che la formula fosse un’inutile ripetizione di
un concetto che già logicamente funzionava. Tramite tale comma, il legislatore
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ha limitato e filtrato le condotte che assumono una rilevanza penale tale da
giustificare l’applicazione della pena. Il secondo problema consisteva nel
chiarire quella che fosse l’effettiva natura di tale esclusione della punibilità, se
si trattasse cioè di un’esimente, ovvero di una causa oggettiva di esclusione
del fatto tipico. Tra gli autori che ritenevano che si trattasse di esimente, vi
rientra il Magistrato R. Bricchetti, in virtù del quale l’utilizzo o godimento
personale non vale come elemento negativo del tipo: “perché esso opera nei
casi in cui ricorre l’autoriciclaggio, nel senso che intanto va richiamata tale
circostanza del comportamento del singolo, in quanto lo stesso, per la parte
rimanente della sua condotta, dovrebbe rispondere del delitto di cui all’art.
648-ter.1”
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. Questo comportava che, l’agente dopo aver posto in essere la
condotta di cui al primo comma, e quindi il perfezionamento
dell’autoriciclaggio, non poteva essere considerato punibile dal momento in
cui i proventi derivanti dall’illecito erano stati utilizzati per scopi personali.
Nell’ottica dell’esimente si andava a ridurre l’offensività del primo comma, e
nello specifico non si metteva il bene giuridico tutelato in pericolo, visto che
non c’era contaminazione nell’economia legale.
Tuttavia, dalla struttura del reato in generale e dalla lettura più analitica del
quarto comma in commento, si è evidenziato come in realtà quest’ultimo non
era stato pensato e voluto dal legislatore come esimente, quanto piuttosto
come una clausola oggettiva di esclusione del fatto tipico. Secondo questa
diversa interpretazione, viene considerata come penalmente irrilevante la
condotta di quell’autore che usi o goda di quei proventi ai fini di autoconsumo.
Anche in questo caso, la condotta è stata realizzata dall’autore, ma è sfociata
poi in una condotta atipica che ha fatto venire meno l’antigiuridicità del fatto.
E come tale non assoggettabile a pena. In quest’ottica, la clausola rappresenta
un limite negativo del tipo dato che il modo con cui l’agente realizza la
condotta è penalmente irrilevante. Di tale opinione, gli Autori Mucciarelli in
96
BRICCHETTI «Così l’autoriciclaggio entra a far parte del codice penale», in Guida
Diritto, 2014, 4, p.16, come riportato da C. SANTORIELLO «Il nuovo reato di
autoriciclaggio: alcuni profili problematici», disponibile su http://www.csac.it› wp-
content› uploads›2016/07› Intervento-Santoriello p. 16
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“Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio” e Cavallini – Troyer in “Apocalittici
o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici
all’ombra del vicino ingombrante”. Secondo questa tesi, quindi l’autore non
può essere considerato responsabile di alcuna condotta.
Di fronte a queste due tesi, la prima più restrittiva la seconda espansiva, la
soluzione viene data dalla Cassazione nel 2018
97
, tramite la quale i giudici per
la prima volta prendono parola sul tema e con il loro dictum pongono fine a
tali diverbi interpretativi. In prima battuta, i giudici hanno stabilito come “fuori
dei casi”, non possa più essere interpretato come “nei casi”, perché questa
era la volontà del legislatore. Riconoscergli una diversa interpretazione
significherebbe stravolgere quella che era l’intenzione del legislatore, nonché
del significato proprio delle parole e tutto questo comporterebbe una chiara
violazione del precetto contenuto all’art. 12 delle preleggi
98
. Proseguono gli
Ermellini affermando che la clausola mantiene una sua utilità pratica solo se
interpretata correttamente, id est come una clausola di esclusione oggettiva
del tipo. In questo modo la clausola rappresenterebbe un limite negativo alla
fattispecie di cui al primo comma dell’art. 648-ter.1, per cui non sarebbe
punibile colui che ha destinato il denaro, beni o altre utilità alla mera
utilizzazione o godimento personale. L’elemento che caratterizza tale comma
e lo differenzia dalla condotta descritta nel primo, è proprio quello della
destinazione: destinando il denaro a godimento personale non si crea alcun
pregiudizio o pericolo al bene giuridico tutelato dalla norma, che come
sappiamo è rappresentato dalla tutela del libero gioco della concorrenza ed
amministrazione della giustizia. Affinché l’agente possa non essere
considerato punibile è necessario che il bene sia indirizzato al c.d.
“autoconsumo”: il bene frutto derivante dal delitto deve essere utilizzato in
modo diretto da parte dell’agente.
97
Cassazione Penale, Sezione II, sentenza 7 giugno 2018, n. 30399
98
Art. 12 Preleggi
Interpretazione della legge. Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione
di esse, e dalla intenzione del legislatore.
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Inoltre, per fare in modo che si rientri nell’ambito di applicazione del quarto
comma, è necessario che non sia stata posta in essere alcun tipo di condotta
idonea ad ostacolare concretamente l’identificazione dei beni provenienti
dall’illecito. Trattasi questa di una conseguenza meramente logica: se infatti
l’agente non è punibile perché destina i beni al godimento personale, allora
non avrebbe motivo di dover realizzare delle azioni che abbiano il mero scopo
di ostacolare concretamente l’identificazione. Infine, la natura di clausola
oggettiva di esclusione del fatto tipico va fatta dipendere anche dalla ratio
sottostante l’introduzione della normativa sull’autoriciclaggio. Ricordando che
quest’ultima è rappresentata dalla necessità di congelare il profitto in capo
all’agente, al fine di evitare un inquinamento all’economia legale con
conseguenti danni, non avrebbe molto senso punire colui che tale profitto l’ha
destinato all’autoconsumo. Autoconsumo ed uso diretto che potenzialmente
potrebbe verificarsi nel caso in cui l’amministratore di una società, a seguito
di falso in bilancio, successivamente utilizzi le somme derivanti da tale illecito
per acquistare un immobile ad uno abitativo di cui solo lui godrà; oppure un
dipendente decida di conservare il denaro a casa senza usarlo. Lo stesso non
può dirsi nel caso in cui quell’amministratore acquisti l’immobile per destinarlo
a locazione, in questo caso il denaro proveniente dal delitto di autoriciclaggio
ha messo in pericolo il bene tutelato dalla norma, per cui non potrà trovare
applicazione l’esclusione della punibilità. Se in quest’ultimo caso, abbiamo la
certezza che il bene non sia stato diretto ad uso personale e diretto, possiamo
affermare con la stessa certezza che nel caso di acquisto di immobile destinato
ad uso abitativo proprio, sia realizzato quel godimento personale richiesto
dalla norma? E nel caso in cui quello stesso immobile fosse da lui comprato,
ma successivamente dato al figlio? Si realizzerebbe comunque l’esclusione
della punibilità?
Personalmente non convince la figura di tale esclusione della punibilità per una
serie di ragioni. Prima di tutto, ci sono troppi casi border line, per cui appare
notevolmente difficile affermare che rientrino o meno nell’ambito di
applicazione della stessa. In secondo luogo, anche se quel bene fosse stato
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usato personalmente dall’agente, comunque un illecito è stato posto in essere;
è vero che lui sarebbe punito per il delitto presupposto consumatosi, ma è
sufficiente? Possiamo non punire il fatto che poi abbia in qualche modo abbia
disposto di quel provento? O ancora, nel caso in cui il denaro derivante
dall’illecito non fosse usato, l’ordinamento può ammettere che l’autore
rimanga in possesso di quel denaro, che un giorno potrà anche decidere di re-
immettere nel circuito legale?
Affermando che la condotta di autoriciclaggio non si sia realizzata, poiché priva
di quell’elemento costitutivo che richiede l’uso dei proventi in “attività
economiche, finanziarie o speculative”, e fermo restando che risponderà per il
delitto presupposto, possiamo comunque non ritenere non penalmente
rilevante il fatto che quei soldi siano stati utilizzati dall’auto-riciclatore per
comprare quell’immobile anche se adibito ad esigenze strettamente personali?
Sul punto, permangono ancora molti dubbi.
Per mera completezza del discorso, si specifica come il legislatore abbia
puntualmente scelto i termini per descrivere tale comma. Nel termine
“utilizzazione” sono da farvi rientrare tutti i beni mobili comprensivi quindi del
danaro ed altre utilità di natura mobile, invece per quanto attiene alla parola
“godimento” questa si riferisce ai beni immobili o a questi equiparati. Con
riguardo al termine “mero” apposto solo dinanzi al termine “utilizzazione”, non
si deve pensare che non trovi applicazione anche per il “godimento” degli
immobili, in quanto è riferita ad entrambi sia per questioni semantiche che
logiche.
Chiarita la natura della suddetta clausola, con i restanti dubbi che ne
conseguono, si passerà ora della possibile esistenza di un rapporto tra il
suddetto quarto comma e la disciplina contenuta nel D.lgs. 231/2001.
Il punto della discussione verte su come coordinare la clausola di esclusione
della punibilità con il principio di autonomia riconosciuto dall’art. 8 del Decreto
231/2001, il quale sancisce che la responsabilità dell’Ente sussiste anche
quando l’autore del reato non è individuato o non è punibile, oppure il reato si
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estingue per causa diversa dall’amnistia. Quel che si può immediatamente
affermare è che la presenza dell’art. 8 del Decreto giustificava un’eventuale
responsabilità dell’Ente per autoriciclaggio anche quando sussisteva ancora il
c.d. “privilegio dell’auto-riciclatore” che valeva esclusivamente per la persona
fisica. Questa situazione teorica si andò poi a consolidare con l’introduzione
nell’art. 25-octies della fattispecie di autoriciclaggio. Tuttavia, questo non
significava che esisteva un autoriciclaggio proprio dell’Ente, ossia dove tanto
il reato presupposto che l’autoriciclaggio erano ascrivibili alla persona giuridica
e non quella fisica.
Immediatamente salta all’occhio come non possa esserci un legame tra le due
previsioni normative. Da un lato infatti, troviamo la norma penale che al
quarto comma afferma come non ci sia punibilità nel caso in cui il soggetto
che occupa una posizione apicale ovvero subordinato a questo, usi o goda
personalmente del provento derivante dall’illecito, non configurandosi così la
figura dell’autoriciclaggio. Dall’altro lato una norma che afferma la sussistenza
della responsabilità dell’Ente, anche nei casi in cui non sia più imputabile alla
persona fisica alcunché. La domanda che dobbiamo porci è allora questa, è
applicabile l’art. 8 del Decreto, ossia è ancora possibile parlare di una
responsabilità dell’Ente per autoriciclaggio (art. 25-octies), quando il
legislatore ha espressamente escluso la punibilità per la persona fisica alle
condizioni tassative del quarto comma dell’art. 648-ter.1? Può riconoscersi
nella clausola di esclusione del fatto tipico, una forma di estinzione del reato?
Unanime è la risposta negativa. Tra le cause di estinzione del reato, elencate
dal legislatore nel Titolo VI del codice penale al Capo I, abbiamo a morte del
reo prima della condanna; la remissione della querela; l’amnistia propria,
precedente cioè alla condanna; la prescrizione; l’oblazione nelle
contravvenzioni; la sospensione condizionale; il perdono giudiziale.
L’esclusione della punibilità non configura in questo elenco chiuso, ragion per
cui già abbiamo un primo elemento per accertare l’inesistenza di un rapporto.
Inoltre, da un canto la clausola prevista dal quarto comma richiede
necessariamente che per aversi esclusione della punibilità il bene sia diretto a
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soddisfare esigenze personali dell’auto-riciclatore, dall’altro la responsabilità
dell’Ente per autoriciclaggio sussiste laddove il provento sia rimesso poi
nell’attività aziendale o in ogni caso sia andato a interesse o vantaggio
dell’Ente stesso. Pertanto, ciò significa che se l’ipotetico amministratore il
quale ha commesso prima un’estorsione e successivamente abbia acquisito un
immobile per scopi personali con quei proventi, non può parlarsi in nessun
caso di responsabilità dell’Ente perché nulla è andato a suo interesse o
vantaggio, e l’auto-riciclatore va esente da pena in virtù del quarto comma.
Viceversa, se l’amministratore abbia poi reimmesso quei proventi per ottenere
un risparmio d’imposta, non potrà in alcun modo trovare applicazione il quarto
comma, in virtù dell’utilizzo non personale dei proventi, e l’Ente sarà sua volta
chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 25-octies.
Quindi in conclusione, l’art. 8 del Decreto in questo caso non trova alcuna
applicazione, visto che è in perfetta antitesi con la clausola di esclusione della
punibilità per la persona fisica. Viene fatto salvo il caso in cui l’autore non sia
imputabile o non è conosciuto: se l’autore usa o gode del bene personalmente,
non può riconoscersi all’Ente una responsabilità appellandosi all’art. 8. Perché,
infatti, l’Ente dovrebbe essere responsabile se non esiste il presupposto, ossia
l’interesse? Le due previsioni sono in perfetta antitesi, dal momento in cui se
trova applicazione una l’altra non può avere margine di applicabilità.
L’articolo 8 del Decreto va invece coordinato con l’ultimo comma dell’art. 648-
ter.1 del codice, argomento di cui si tratterà ampiamente nel paragrafo che
segue.
In realtà, la clausola di esclusione della punibilità va rapportata con quanto
previsto nell’art. 5 del D.lgs. 231/2001, secondo cui l’Ente risponde solo se il
reato – in questo caso, di autoriciclaggio – sia stato commesso nel suo
interesse o vantaggio. Confrontando le due previsioni normative, appare
evidente che verrebbe meno ogni forma di responsabilità in capo all’Ente, in
quanto non sussistente l’elemento costitutivo dell’interesse o vantaggio, dal
quale ne discende l’imputabilità e la punibilità.
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Ma può parlarsi di una esclusione della punibilità per l’Ente a seguito di utilizzo
o godimento “personale” del denaro, beni o altre utilità derivanti da
autoriciclaggio commesso dall’agente? Ritenere che l’utilizzo o godimento
possano essere riferiti direttamente all’Ente, trova un limite nel sopra citato
art. 5 che per l’appunto richiede che l’autoriciclaggio si sia realizzato nel suo
interesse o vantaggio, ma tale godimento non fa venir meno l’offensività della
condotta di impiego, sostituzione o trasformazione in attività economiche,
finanziarie o speculative, perché ad ogni modo la condotta si sarebbe
realizzata a monte. L’attenzione quindi deve spostarsi su un altro elemento
che la condotta di autoriciclaggio richiede espressamente: “ostacolare
concretamente”. Solo nel caso in cui l’Ente abbia goduto “personalmente” del
denaro in modo trasparente e palese, allora potrebbe venir meno la
responsabilità dell’Ente, poiché privo dell’elemento dell’ostacolo concreto che
non permette di integrare l’autoriciclaggio.
In conclusione, viene fatta salva la possibilità di non muovere un rimprovero
all’Ente legittimando non tanto sul piano dell’esclusione della punibilità ai sensi
del quarto comma dell’art. 648-ter.1, quanto piuttosto sull’assenza
dell’elemento dell’ostacolo concreto all’identificazione del provento.
2.9 Rapporto tra l’articolo 8 D.lgs. 231/2001 e l’ultimo comma art.
648-ter.1 c.p.
Come anticipato brevemente nel paragrafo appena trattato, l’articolo 8 del
D.lgs. 231 disciplina uno dei principi forse più innovativi di tutta la disciplina
in materia di responsabilità dell’Ente: il persistere della sua responsabilità,
sebbene sia venuta meno quella della persona fisica che ha commesso l’illecito
in presenza di condizioni tassativamente indicate dal legislatore. Ciò significa
che, nel caso di autoriciclaggio, anche se l’autore non fosse individuabile
ovvero punibile, o il reato in capo ad egli si fosse estinto per una causa diversa
dall’amnistia, l’Ente per il quale egli opererebbe sarebbe comunque chiamato
a rispondere ai sensi dell’art. 25-octies, in quanto non è venuto meno
l’elemento che giustifica la sua responsabilità: l’interesse o vantaggio
conseguito a seguito del reato, salvo che – come anzidetto – l’Ente non sia in
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grado di dimostrare che non vi sia stato alcun ostacolo concreto
all’identificazione dei proventi derivanti dall’illecito.
Dall’altro canto, l’ultimo comma dell’art. 648-ter.1 del codice penale che
rimanda espressamente all’ultimo comma dell’art. 648 (Ricettazione), il quale
recita quanto segue: “Le disposizioni di questo articolo si applicano anche
quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è
imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di
procedibilità riferita a tale delitto”. In prima battuta, si noti come tale ultimo
comma sia fortemente sui generis rispetto alle previsioni previste nel codice
penale. In tema di ricettazione, riciclaggio, impiego ed autoriciclaggio il
legislatore ha ritenuto doveroso, dato il prorompente impatto che tali illeciti
hanno sul funzionamento dell’economia, risparmio, ed amministrazione della
giustizia in generale, non far venir meno la responsabilità dell’autore, del
delitto presupposto, per il sol fatto che egli non imputabile o punibile, ovvero
manchi una condizione di procedibilità. L’ordinamento giuridico, infatti, non
può accettare che circoli all’interno del circuito economico legale denaro
sporco.
Il funzionamento della clausola non pone particolari problemi in tema di
autoriciclaggio, visto che l’autore del delitto presupposto è l’autore stesso del
successivo impiego di quei proventi in attività economiche, finanziarie o
speculative. Maggior perplessità, invece, potrebbero sorgere in tema di
riciclaggio, dove il riciclatore è soggetto terzo rispetto a chi ha commesso il
delitto presupposto: egli infatti ricicla, illegalmente, proventi da un precedente
illecito commesso da altri.
Quindi tornando all’art. 8, questi svincola la punibilità dell’Ente da quella della
persona fisica, e può discendere, sia da una condotta di autoriciclaggio anche
nel caso in cui l’autore della stessa non sia imputabile ovvero punibile, sia
dall’autoriciclaggio di beni derivanti da un illecito a monte realizzato da una
persona fisica non imputabile, che poi diviene a sua volta autore non
imputabile dell’autoriciclaggio.
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Dinanzi poi all’unicum indicato nell’ultimo comma dell’art. 648-ter.1, il
legislatore ha in qualche modo affiancato al funzionamento dell’art. 8, questa
peculiare previsione in cui, a differenza di altre figure di reato, è prevista
l’emissione della pena pur qualora la persona fisica non sia prontamente
individuabile, a fianco della pena emessa nei confronti dell’Ente.
Si passerà ora, nel capitolo che segue, a trattare quelle che sono stati e sono
tuttora i principali problemi relativi alla disciplina dell’autoriciclaggio descritta
nell’art. 25-octies del D.lgs. 231/2001, soprattutto nell’ottica di una possibile
violazione del principio di legalità.