6
sintattico sviluppato da Rick Altman) che lo rendono riconoscibile. Tuttavia, per non
rimanere legati ad una concezione puramente testuale e sincronica, sarà poi necessario
inserire tale analisi in una prospettiva temporale, al fine di osservarne lo sviluppo
diacronico, e successivamente all’interno di un punto di vista pragmatico e discorsivo.
Quest’ultimo passaggio richiede di indagare le diverse definizioni che produzione,
pubblico e critica (intesi però non come soggetti unitari al loro interno, quanto piuttosto
sfaccettati ed eterogenei), in aggiunta allo stesso autore dei film presi in considerazione,
danno di tale genere gilliamesque. Più precisamente, sarà necessario esaminare se questi
attori riconoscano effettivamente una tale categoria di genere, così da verificare se essa
ha un qualche peso all’interno della dinamica di generificazione.
La scelta è caduta sull’opera di Terry Gilliam, oltre che per interesse personale (il quale
deve essere necessariamente messo da parte al fine di garantire quel minimo di
oggettività necessaria a procedere in un lavoro di questo tipo), in virtù della particolarità
e della riconoscibilità che distinguono le pellicole del regista americano.
Per procedere in tale impresa, è innanzitutto necessario inquadrare gli ambiti teorici
all’interno dei quali essa si situa. A tale incarico sono dedicati i primi due capitoli: il
Capitolo Primo fornirà uno sguardo sull’attuale panorama della teoria dei generi
cinematografici, pur prendendo in considerazione la prospettiva classica da cui partono
tali studi. Il Capitolo Secondo servirà invece ad inserire in una prospettiva storica il
concetto di autore cinematografico, così da ripercorrere le differenti declinazioni che
esso ha assunto nel corso degli anni, fino ad arrivare ad una rivalutazione di tale
termine, che all’interno degli odierni studi cinematografici è stato messo relativamente
in ombra.
Il Capitolo Terzo provvederà ad approfondire l’oggetto di studio, ovverosia le opere di
Terry Gilliam, offrendo una rapida panoramica della vita del regista e analizzando
brevemente i film in questione.
Una volta dotata tale ricerca del necessario substrato teorico, sarà possibile nel Capitolo
Quarto passare all’analisi vera e propria dei tratti semantici e sintattici che
contraddistinguono le pellicole di Gilliam, così da verificare se effettivamente questo
genere gilliamesque sia dotato di caratteri ricorrenti e distinguibili. Infine, il Capitolo
Quinto provvederà ad inserire tali dati in una prospettiva diacronica, prendendo in
considerazione l’evoluzione che questi tratti caratteristici hanno subito nel corso del
tempo, oltre che esaminando gli influssi che tale presunta categoria di genere ha avuto
sull’operato di altri autori cinematografici, così da dimostrare che la sua azione non
7
rimane circoscritta ai soli film di Terry Gilliam. Inoltre, in esso l’analisi del
gilliamesque procederà anche da un punto di vista discorsivo e pragmatico, attraverso
la disamina delle definizioni che i sovracitati soggetti danno delle pellicole del regista.
Nel corso delle Conclusioni, sarà tratto il bilancio di questa ricerca, così da verificare se
sia possibile riconoscere una categoria di genere, dotata di particolari caratteristiche e
riconosciuta in qualche misura dalle parti in gioco, definibile come gilliamesque.
8
1. I generi cinematografici
1.1 Riconsiderando il concetto di genere cinematografico
Prima di intraprendere la trattazione vera e propria della presente ricerca, è necessario
fornire l’inquadramento teorico indispensabile a procedere oltre. I nuclei tematici
affrontati nell’ambito di questo lavoro sono principalmente due, e riguardano il concetto
di genere cinematografico e quello di autorialità, argomenti che più avanti saranno
indagati nelle loro intersezioni. Compito di questo primo capitolo sarà quello di
inquadrare la categoria di genere cinematografico, soprattutto in relazione ai
considerevoli mutamenti avvenuti in campo teorico nell’arco dell’ultimo decennio. Nel
corso degli anni Novanta, in particolar modo in ambito anglosassone, si è infatti
assistito ad una riconsiderazione di tale nozione, e sono emerse alcune opzioni di fondo
condivise che nel loro insieme hanno portato ad una vera e propria rivoluzione
copernicana all’interno della teoria sui generi. Le questioni aperte rimangono però
numerose, ed i possibili sviluppi di questa nuova impostazione teorica sono
difficilmente prevedibili, poiché l’attuale situazione è caratterizzata da estrema fertilità
e ampi margini d’indagine. A titolo di esempio, il concetto di autore cinematografico, a
lungo al centro del dibattito teoretico ma di recente trascurato in favore di altre aree di
studio, offre possibilità di recupero e riconsiderazione proprio all’interno della più
ampia questione dei generi. Tuttavia, per un’esauriente trattazione di tale argomento si
rimanda al secondo capitolo.
Nelle pagine che seguono, invece, verranno illustrate in primo luogo le tradizionali
concezioni di genere cinematografico, riconducibili pur nella loro varietà ad una serie di
assunti di base lungamente accettati, se non addirittura dati per scontati. Riassumendo,
si parte da una concezione dei generi cinematografici come categorie stabili e
metastoriche (prive cioè di un qualsiasi sviluppo ed evoluzione che non siano quelli
previsti da modelli unitari solitamente di natura organicistica), dotate di un’esistenza
propria, dai confini chiaramente definiti e costituite da una serie di tratti caratteristici
agevolmente identificabili, per lo più di natura tematica.
9
I generi rimangono rigorosamente separati fra loro, ed ogni film appartiene in maniera
univoca ad un unico genere, che si caratterizza proprio come corpus di opere. Queste
categorie sarebbero poste in essere dalla produzione e accettate in maniera pacifica dal
pubblico. Il ruolo della critica è invece residuale, e consiste nell’individuare e descrivere
i generi nella loro evidenza; basandosi su di un oggetto concreto e univocamente
definito, lo studio dei generi risulta quindi dotato di una sicura base scientifica.
Una volta esaurita questa prima ricognizione si intraprenderà la problematizzazione di
tali assunti, alla luce delle più recenti riconsiderazioni. Il nuovo scenario della teoria dei
generi assume nel suo complesso una direzione anti-ontologica: il genere non esiste di
per sé, ma è il risultato dialettico - sempre provvisorio - delle definizioni che i differenti
soggetti in gioco (non solo la produzione, ma anche la critica e lo stesso pubblico,
ognuno con le proprie finalità) cercano di affermare. Di conseguenza l’oggetto di studio
non è più visto come categoria stabile, ma è al contrario osservato nel suo continuo
divenire ed evolversi. Si afferma l’idea di genere come processo, dai confini instabili e
passibile di continue ibridazioni e mutamenti. L’immediata ripercussione sul piano
teoretico consiste in un cambiamento dell’oggetto di studio: non più la descrizione delle
caratteristiche oggettive dei vari generi, quanto piuttosto l’osservazione dei luoghi, degli
attori e delle dinamiche che intervengono nel processo di generificazione.
Questa rivisitazione della teoria dei generi costituirà il primo, imprescindibile
fondamento teorico alla presente ricerca. Procediamo quindi ora con una più esaustiva
trattazione di quanto accennato finora.
10
1.2 Le teorie classiche
1.2.1 Generi e miti: una prospettiva ontologica e sincronica
Pur strettamente legato nella sua origine alla teoria dei generi letterari, lo studio dei
generi cinematografici ha sviluppato negli ultimi decenni uno spazio di riflessione
autonomo. L’impronta di tali precedenti ricerche rimane per forza di cose presente, ma a
partire dalla fine degli anni Sessanta lo studio dei generi filmici ha conosciuto una
fioritura esponenziale, e si è progressivamente emancipato dalla sua matrice letteraria.
Le opere di autori quali Wright
1
, Neale
2
, Schatz
3
e Altman
4
sono divenute i punti di
riferimento a cui guardare, soppiantando i modelli mutuati dalla teoria dei generi
letterari. Come già accennato, le varie posizioni emerse nel corso di questo periodo, pur
mantenendo caratteristiche differenti, si sono basate su di una serie di presupposti
comuni che Rick Altman (in un primo momento sostenitore e successivamente fra i
principali sovvertitori di questo approccio), nel suo Film/Genre, ha raggruppato nel
descrivere quella che lui stesso ha definito la tradizione classica degli studi sui generi
cinematografici
5
.
Alla base di questa impostazione c’è la convinzione che i generi filmici abbiano
un’esistenza autonoma, ossia che non dipendano dalle scelte della produzione, della
critica e tanto meno del pubblico. Essi sono infatti visti come espressione di categorie
umane fondamentali, o ancora come moderne personificazioni dei miti, indipendenti
perciò da ogni azione o definizione volontaria dell’uomo. I vari generi affonderebbero
così le loro radici non tanto all’interno dell’industria cinematografica e delle sue
dinamiche, quanto in generi preesistenti in letteratura, teatro o in altre forme espressive,
da cui derivano in maniera diretta, poiché essi hanno origine nei grandi archetipi
mitologici esistenti da sempre. La necessaria conseguenza è un approccio sincronico ed
astorico ai generi cinematografici, in quanto essi sono mere espressioni di categorie
eterne ed immutabili, connaturate all’uomo e rispondenti a suoi bisogni essenziali. È
palese quanto abbia influito sull’emergere di questa concezione l’antropologia
1
W. Wright, Sixguns and society: A Structural Study of the Western, University of California Press,
Berkeley 1975
2
S. Neale, Genre, British Film Institute, London 1980
3
T. Schatz, Hollywood Genre: Formulas, Filmmaking and the Studio System, Random House, New York
1981
4
R. Altman, A Semantic/Syntactic Approach to Film Genre, «Cinema Journal», 23, 1984, pp. 6-18
5
R. Altman, Film/Genre, The British Film Institute, London 1999 (trad. it. Film/Genere, Vita & Pensiero,
Milano 2004, p.24)
11
strutturalista di Lévi-Strauss, con i suoi studi sul mito
6
, e sono altrettanto palesi i
vantaggi offerti a livello teorico da un’analisi sincronica del genere cinematografico. Far
risalire tale categoria a quella del mito consente innanzitutto di elevare la teoria dei
generi: affiancato a un così illustre parente, il concetto di genere popolare godrà in
questo modo di un’inedita nobilitazione. In secondo luogo, avere la possibilità di
studiare un oggetto statico e tendenzialmente immutabile, è senza dubbio più agevole
che decidere di concentrarsi su di un contenuto mutevole e dinamico. Resta però inteso
che, come rovescio della medaglia di tale impostazione, rimane esclusa qualsiasi
problematizzazione di carattere storico e diacronico.
Di fronte all’evidenza delle effettive trasformazioni che i singoli generi hanno subito nel
tempo, alcuni studiosi si sono trovati costretti ad affrontare la possibilità di un
mutamento all’interno di tali categorie. Pur mantenendo caratteristiche strutturali
identiche, i film di un dato genere devono negli anni introdurre alcune modifiche più o
meno significative, così da offrire al pubblico quel minimo di novità necessaria a
suscitare un qualche interesse. I generi, quindi, si evolvono. Dinnanzi a tale problema,
gli studiosi hanno spiegato questa tendenza al mutamento ricorrendo per lo più alle
metafore di ciclo di vita o di evoluzione biologica: il genere, paragonato ad un essere
vivente, attraverserebbe diverse tappe imprescindibili, partendo da una nascita univoca e
chiaramente definita, attraverso una presunta giovinezza (fase di scoperta) e un periodo
di maturità (fase della consapevolezza), fino ad un’inevitabile vecchiaia (fase di
prevedibilità)
7
. Punto fondamentale di tale concezione è comunque la regolarità
dell’alternarsi delle varie fasi; in questo modo, più che spiegare la variabilità di un
genere, tali modelli ne sottolineano la prevedibilità.
6
C. Lévi-Strauss, Antropologie Structurale, 1964 (trad. it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano
2002, pp. 231-262)
7
Tale esempio è tratto da "Chinatown" and Generic Transformation in recent American Films di John
Cawelti. Tuttavia simili definizioni sono presenti in altri autori, come Thomas Schatz o Jane Feuer, che
fanno sovente riferimento a concetti quali ciclo di vita o maturità di un genere.
12
1.2.2 La purezza dei generi e l'approccio semantico-sintattico
Forti quindi del supporto dei grandi archetipi, i generi cinematografici esistenti sono
stati dipinti dagli studiosi come dotati di identità e confini stabili. Con particolare
attenzione alla purezza dei generi, è stata sistematicamente esclusa ogni possibilità di
contaminazione o ibridazione. Al fine di preservare questa presunta integrità, i teorici
hanno più o meno inconsapevolmente messo in atto una duplice strategia di
conservazione: da un lato includendo nei loro studi solo quei film che risalissero in
maniera chiara ed univoca ad un unico genere, dall’altro marginalizzando tutte quante le
opere passibili di ambiguità. Ogni lavoro sul genere cinematografico si è infatti
concentrato su di un numero esiguo di testi, adducendo i più svariati motivi: è il caso ad
esempio di Will Wright
8
, che in Sixguns and Society decide arbitrariamente di limitare
la sua analisi sul western ai soli film che avevano incassato più di quattro milioni di
dollari, riducendo per forza di cose il target ad opere maggiormente conformi agli
standard di genere.
Supportati da tali operazioni esclusive, molti studiosi si sono armati della convinzione
che un dato film può appartenere ad un solo ed unico genere, e come ovvia conseguenza
dell’impostazione sincronica precedentemente trattata, è stata negata anche la possibilità
che un film possa cambiare di genere con il passare del tempo. Trovandosi ad osservare
i casi di opere che nel corso degli anni hanno subito differenti attribuzioni di genere,
studiosi quali Stephen Neale non si sono appellati tanto a possibili mutamenti o
evoluzioni categoriali, quanto a grossolani errori valutativi della critica precedente.
Ulteriore punto fondamentale di questa teoria classica dei generi cinematografici è la
convinzione che i film appartenenti ad un determinato genere, che si manifesta dunque
come un corpus definito di opere
9
, siano contraddistinti da una serie di caratteristiche
essenziali condivise. Quando però si tratta di individuare tali caratteristiche, la scelta si
limita quasi sempre ad attributi di stampo testuale o strutturale, trascurando così l’ampio
spettro di possibili criteri attraverso i quali sarebbe possibile individuare i diversi generi.
Nulla infatti vieta (come peraltro è stato fatto) di prendere come aspetti fondamentali di
appartenenza ad un genere le reazioni emotive del pubblico di fronte ad una pellicola
(divertimento, paura, commozione), i criteri produttivi (film prodotti da majors o film
8
W. Wright, op. cit.
9
Così Thomas Schatz, nel suo articolo Questions of Genre apparso sul n.1 di Screen del 1990: "Ogni
nuovo film di genere costituisce un'aggiunta ad un corpus di genere esistente e coinvolge una selezione
da un repertorio di elementi di genere disponibili in un dato momento nel tempo".
13
indipendenti) o la presunta artisticità dell’opera (opere d’autore o pellicole popolari). La
critica ha però preferito concentrarsi sugli aspetti eminentemente testuali, con l’evidente
vantaggio di potersi appellare a caratteristiche proprie dell’opera, arrivando così ad
affermare che i generi si trovano contenuti dentro al testo, in tutta la loro evidenza.
I film di genere sono stati solitamente individuati in base ad un soggetto o ad una
struttura condivisi, quindi o in base ad elementi semantici o in base ad elementi
sintattici comuni. Queste due posizioni sono rimaste a lungo contrapposte: da un lato un
approccio semantico che si concentra sugli elementi tematici (ambientazioni,
personaggi, situazioni…) dell’opera, dall’altro un approccio sintattico che si concentra
sul modo in cui tali elementi vengono organizzati (in sostanza sulla struttura narrativa,
sulla trama del film).
La necessaria mediazione è arrivata nel 1984 con l’articolo A Semantic/Syntactic
Approach to Film Genre di Rick Altman
10
, che ha proposto di riunire questi
orientamenti antitetici in un approccio semantico-sintattico al genere cinematografico.
Vengono così considerati appartenenti ad uno stesso genere quei film che condividono
sia elementi testuali, sia il modo di organizzare tali elementi. Non è così sufficiente, ad
esempio, una comune ambientazione cittadina per poter parlare di un genere
metropolitano; affinché tali film con una medesima locazione siano ricondotti ad
un’unica categoria, è invece necessario che siano strutturati in maniera analoga. I film
western classici, infatti, non hanno in comune solamente l’ambientazione di frontiera,
ma altresì una trama di fondo che vede contrapposto un buono ad un cattivo fino al
risolutivo duello finale in cui il primo trionfa.
1.2.3 Un percorso univoco: dalla produzione al pubblico
Un’ultima questione cruciale da affrontare rimane quella dei soggetti in gioco nella
definizione dei generi. Come detto, i generi avrebbero un’esistenza propria che affonda
le sue origini nei bisogni primari dell’essere umano e nei grandi archetipi del mito.
Quindi, produzione, distribuzione, critica e pubblico si trovano di fronte a qualcosa di
preesistente, che essi accettano in maniera aproblematica. I generi cinematografici
svolgerebbero infatti delle funzioni fondamentali che, in maniera quasi automatica,
metterebbero d’accordo tutte le parti in gioco: essi forniscono un sicuro modello
10
R. Altman, A Semantic/Syntactic Approach to Film Genre, op. cit.
14
produttivo all’industria cinematografica, che si ritrova così a disposizione regole precise
per confezionare un prodotto di successo; procurano ai distributori etichette in grado di
attirare un gran numero di spettatori; forniscono al pubblico un bagaglio di aspettative e
indicazioni sui film da vedere, regolandone così attraverso un ideale contratto
l’atteggiamento di visione; infine, si offrono alla critica teorica in tutta la loro evidenza
e oggettività.
Il percorso è univoco: la produzione si ritrova già fra le mani le istruzioni per realizzare
i propri film, e ha convenienza ad attenervisi. Appoggiata dalla distribuzione offre al
pubblico queste sue definizioni di genere, che vengono passivamente accettate. La
critica, dal canto suo, non farebbe altro che descrivere in maniera scientifica ed
oggettiva tali generi, evitando qualsiasi apporto personale, così da fornire a tali
definizioni un prezioso supporto teorico. Delle tre principali modalità di considerare il
concetto di genere individuate da Casetti
11
, vengono insomma privilegiate quelle di
dispositivo classificatorio, ovverosia qualcosa che permetta di collegare il singolo testo
ad un più ampio gruppo di testi, e di dispositivo generativo, ossia un meccanismo che
guidi tanto la produzione quanto la ricezione di un testo. Viene approfondita in misura
minore la visione del genere come dispositivo negoziale, ovvero un qualcosa che
favorisca il raggiungimento di un accordo fra l'emittente ed il ricevente a proposito di
ciò che il testo dice o mostra, poiché in questo caso il processo di negoziazione appare
univoco e predeterminato.
Il modello che ne consegue riesce così a conciliare tutte le differenti esigenze interne
all’industria cinematografica, e funziona in maniera incredibilmente lineare. Tuttavia,
tale apparente semplicità è stata possibile solo a patto di trascurare volontariamente una
serie di questioni, sufficienti da sole ad incrinare l’intera impalcatura della teoria
classica dei generi. In seguito ad un periodo di impasse privo di sviluppi interni allo
studio dei generi cinematografici, nel corso degli anni Novanta, come vedremo nelle
prossime pagine, è affiorata la necessità all’interno della critica di affrontare proprio tali
problematiche, con il risultato di stravolgere le rassicuranti acquisizioni degli anni
precedenti.
11
F. Casetti, Film Genres. Negotiation Process and Communicative Pact, in L. Quaresima, A. Raengo, L.
Vichi (a cura di), La nascita dei generi cinematografici, Forum,Udine 1999, p. 23
15
1.3 Attributi e sostantivi: il genere come processo
1.3.1 Uno sguardo alle origini dei generi cinematografici
Innanzitutto, l’assioma secondo cui i generi hanno un’esistenza propria, confini ed
identità stabili e trascendono qualsiasi dimensione storica, viene progressivamente
messo in crisi in favore di una concezione dinamica di genere come categoria
convenzionale, frutto di un continuo processo di ibridazioni e ridefinizioni. Il genere
cinematografico non viene più visto come prodotto definitivo di una genesi che affonda
in precedenti forme espressive, quanto come risultato temporaneo di un incessante
processo di generificazione
12
. I confini fra i vari generi appaiono ora come permeabili,
esposti a contaminazioni con generi differenti.
Per comprendere meglio questo mutamento prospettico, è opportuno fare caso alla
nuova attenzione posta alle origini dei generi cinematografici, che come detto erano
fatte risalire a precedenti mezzi di espressione quali la letteratura o il teatro, così da
permettere alla teoria di esimersi da un loro effettivo approfondimento. Alcuni studiosi
fra i quali Charles Musser
13
e, ancora una volta, Rick Altman, cominciano a porre
attenzione all’origine dei generi cinematografici non tanto in relazione alle categorie
utilizzate attualmente, quindi a posteriori, quanto a quelle utilizzate dai critici di allora
per descrivere i film considerati oggi capisaldi di tali generi. Sorprendentemente,
emerge una significativa discordanza fra l’odierna attribuzione di genere di tali film e
quelle passate, e tuttavia tale divergenza non viene più spiegata come frutto di errori
valutativi. Analizzando documenti e produzioni dell’epoca, Musser dimostra ad
esempio come La grande rapina al treno [The Great Train Robbery] di E.S. Porter
(1903), considerato primo western della storia del cinema, fosse piuttosto fatto risalire
allora al sottogenere railroad
14
, appartenente alla più ampia famiglia dei film di viaggio,
o tuttalpiù ai crime film
15
. E questo non andrebbe ricondotto ad una svista della critica
di quegli anni, per il semplice motivo che il genere western non esisteva ancora, in
quanto non sussistevano ancora elementi per identificarlo come tale.
12
Alain Lacasse, nel suo articolo intitolato On the Notion of Genre in Cinema, apparso sul n.20 di «Iris»
(1995), descrive pittorescamente questo processo di generificazione come: “geografia vivente e processo
senza fine”
13
C. Musser, The Travel Genre in 1903-1904: Moving Towards Fictional Narrative, «Iris», n.2, 1984
14
Film incentrati sull’ambientazione ferroviaria, in auge agli inizi del secolo
15
Film incentrati su azioni criminose
16
1.3.2 Attributi e sostantivi
Il western fu riconosciuto come genere solo alcuni anni dopo, e fino ad allora rimase
semplicemente un aggettivo accostato a generi già affermati, come vaga indicazione di
un’ambientazione comune. E lo stesso accadde per altre categorie di genere oggi date
per scontate, come ad esempio quella di musical, che in origine indicava la semplice
presenza di musica all’interno di film di vario tipo (commedia musicale, melodramma
musicale, ecc.)
16
. Tali attributi di genere assurgeranno al rango di veri e propri sostantivi
solamente quando gli elementi aggettivali secondari saranno affiancati da più importanti
elementi strutturali comuni. In pratica, finché i film con ambientazione di frontiera
saranno legati solamente da tali ricorrenze di luogo, il western rimarrà soltanto un
attributo da accostare a generi acquisiti quali i film d’avventura, i drammi o le epopee.
Quando invece i film con tale ambientazione cominceranno a spartire anche una
comune struttura di base che contrappone un buono ed un cattivo fino al duello
risolutivo, e quando tali film saranno ampiamente riconosciuti come appartenenti ad un
nucleo dotato di una certa unitarietà, sarà possibile parlare di western come vero e
proprio sostantivo di genere.
Quanto detto in precedenza a proposito della derivazione dei generi cinematografici da
precedenti riconducibili ad altri mezzi espressivi, è in parte vero. Tematiche, strutture
narrative, iconografie rintracciabili all'interno del cinema, preesistevano all'interno della
letteratura, del teatro, della pittura. Allo stesso modo, alcuni generi filmici sembrano
derivare in maniera diretta da antecedenti extracinematografici: per fare un esempio, i
film di cappa e spada si basano su di un illustre tradizione letteraria. Tuttavia,
nell'incontro/scontro con le specifiche proprie del medium cinematografico, tali generi
sono necessariamente trasformati, sia a causa delle differenti possibilità espressive che
dei diversi vincoli produttivi, in qualcosa di altro rispetto al proprio progenitore.
Brunetta descrive in maniera egregia, in un suo saggio, il processo che ha portato, nel
cinema dei primordi, all'assimilazione e all'alterazione degli stimoli provenienti da altri
ambiti espressivi, dando così origine ai primi generi cinematografici, che si vengono
però a costituire come a sé stanti
17
. Tale derivazione è infatti mediata, come detto, dalle
inevitabili differenze che contraddistinguono questo nuovo mezzo dai precedenti.
16
R. Altman, Where Do Genres Come From, , in L. Quaresima, A. Raengo, L. Vichi (a cura di), op. cit.,
pp. 38-41
17
G.P. Brunetta, Modelli temporali, prosodia, lessico, sintassi, in L. Quaresima, A. Raengo, L. Vichi (a
cura di), op. cit., pp. 55-67
17
Oltretutto, esaurito questo primo, imprescindibile debito, i generi cinematografici
successivi sembrano per lo più aver trovato origine all'interno di altri generi
cinematografici, piuttosto che in categorie provenienti da media alternativi (sebbene
non sia neppure da escludere una tale eventualità
18
).
1.3.3 Una dinamica incessante: il processo di generificazione
Riassumendo, i generi non appaiono quindi come categorie stabili, prodotti finiti di una
genesi extracinematografica, bensì come risultati di un processo che ha origine (o
meglio, ha molteplici origini) in ambiti svariati, e che vede la trasformazione di tali
classificazioni da attributi (ossia un insieme di elementi semantici comuni, concernenti
personaggi, ambientazioni o simili, da affiancare a categorie affermate) a sostantivi di
genere (un insieme di elementi semantici secondari e di elementi sintattici profondi,
concernenti quindi l’organizzazione strutturale dei primi, che ricorrono in un certo
numero di film). Tuttavia, si rivela erroneo considerare le tappe di questo processo
come definitive. È piuttosto opportuno vedere tali esiti come temporanei e suscettibili di
superamento. Ogni nuovo sostantivo di genere sarà infatti affiancato da altri aggettivi,
che se si dimostreranno sufficientemente flessibili da essere connessi a quanti più
sostantivi possibili, e se si organizzeranno attorno a un nucleo profondo di elementi
comuni, potranno ambire essi stessi al rango di sostantivo. Allo stesso modo, col tempo
è possibile che sostantivi un tempo affermati cadano in disuso all’interno di questa
continua dialettica di aggettivazione e sostantivazione.
I generi, tutt’altro che stabili, assumono un aspetto per così dire “magmatico”, dai
confini fluidi, e sono esposti a possibili ibridazioni con categorie differenti, in un
incessante processo di generificazione. Dal canto loro, i film sono passibili di revisione,
e ben lungi da appartenere in maniera univoca e definitiva ad un unico genere, sono di
volta in volta ricondotti a nuove e differenti categorie. Ne emerge un ritratto della critica
tutt’altro che neutrale, alle prese con un oggetto che non può essere definito in maniera
obiettiva e scientifica, ma che al contrario comincia ad apparire nel suo aspetto di
categoria arbitraria e convenzionale.
18
Ad esempio, film quali Alien versus Predator e Doom, peraltro entrambi tratti dagli omonimi
videogame, potrebbero essere ricondotti ad un genere cinematografico che mutua le proprie caratteristiche
dalla tipologia di videogioco detta "sparatutto".
18
Quanto detto finora, pur conferendo un’inedita dimensione dialettica alla categoria di
genere, può ancora rientrare all’interno della prospettiva semantico-sintattica
precedentemente descritta. Il discorso si è infatti basato su una visione del genere
cinematografico come insieme di tratti caratteristici definitori, una serie di elementi
tematici organizzati secondo precisi schemi narrativi. Tuttavia, ad un’attenta analisi
emerge come raramente nel corso della storia i criteri secondo cui sono stati individuati
tali tratti definitori risultino coerenti e omogenei. Per quanto, come detto, le
caratteristiche privilegiate siano state di stampo tematico e narrativo, non sono tuttavia
mancate proposte di definizioni di genere basate su differenti peculiarità: ad esempio
sulle promesse passionali ed emozionali del film
19
, sugli usi del film all’interno delle
pratiche quotidiane
20
, o ancora sull’articolazione spazio-temporale dei piani
21
. A ben
vedere, la prima definizione che viene in mente di un genere ampiamente riconosciuto
come l’horror è: “Fa paura”, con riferimento quindi ad una reazione indotta dal film
nello spettatore.
Tali modelli di definizione differenti sembrano coesistere in maniera disordinata, senza
che vi sia la possibilità di organizzarli secondo una precisa struttura gerarchica o di
trovare una caratteristica dominante rispetto alle altre. Anzi, questi criteri si intrecciano
dando vita ad “una rete mobile di riferimenti molteplici a classi o raggruppamenti
eterogenei”
22
in cui si trovano inseriti i singoli film (i quali, invece che appartenenti ad
un unico genere, paiono ora riconducibili a categorie di identificazione differenti).
Risulta perciò necessario integrare il precedente processo dialettico di aggettivazione e
sostantivazione con queste ultime osservazioni, al fine di evitare un’attenzione esclusiva
alle sole caratteristiche testuali di un film.
19
L. Malavasi, Passioni di genere, in R. Eugeni, L. Farinotti (a cura di), Comunicazioni sociali. Territori
di confine. Contributi per una cartografia dei generi cinematografici, N.2, Maggio-Agosto 2002, pp.
283-287
20
F. Casetti, op. cit., pp. 23-35
21
Come fa ad esempio Tom Gunning nel suo articolo Non-Continuity, Continuity, Discontinuity: A
Theory of Genres in Early Films, in cui utilizza come criterio di individuazione dei generi nel cinema
delle origini la differente articolazione della struttura spazio-temporale del film, distinguendo così fra un
genere unipuntuale, uno non-continuo, uno continuo ed uno discontinuo.
22
R. Eugeni, L. Farinotti (a cura di), Comunicazioni sociali. Territori di confine. Contributi per una
cartografia dei generi cinematografici, op. cit., p. 140
19
1.4 Usi e definizioni: il genere come categoria discorsiva
1.4.1 La produzione: strategie di mercato e riferimenti molteplici
Trovandosi di fronte ad un oggetto di studio improvvisamente problematizzato, fattosi
sfuggente ed instabile, la teoria dei generi cinematografici deve per forza di cose
rivedere il proprio approccio: non più la descrizione obiettiva delle caratteristiche dei
generi, bensì l’individuazione dei soggetti, dei luoghi e delle dinamiche coinvolti nel
processo di generificazione.
Concentriamoci ora sugli attori in gioco (produzione, distribuzione, critica, pubblico,
istituzioni e non solo), e partiamo dal percorso descritto nel precedente sottocapitolo a
proposito delle attribuzioni di genere. La posizione pacificamente accettata in
precedenza vedeva le case di produzione impegnate a realizzare film attenendosi
strettamente ai modelli di genere a loro disposizione, con motivazioni evidenti: tali
schemi fornirebbero all’industria formule sicure per confezionare prodotti di successo
che vanno incontro alle esigenze di un pubblico il quale, dal canto suo, accetta in
maniera automatica le definizioni dell’industria stessa. La produzione avrebbe quindi
tutti gli interessi a fornire film che aderiscano in maniera chiara ad un unico genere,
liberi così da ogni ambiguità interpretativa da parte del pubblico. Il ricondurre inoltre
queste loro opere, in tutti i momenti della comunicazione al pubblico (trailer, annunci
stampa, locandine e così via), ad un solo genere risponde inoltre alla duplice funzione di
attrarre il pubblico desiderato (corrispondente agli amanti del genere) e, altrettanto
importante, a tenere lontani coloro che, non apprezzando quella particolare tipologia di
film, genererebbero commenti negativi.
Ebbene, questo può essere in alcuni casi vero, ma alle volte nella pratica viene smentito.
In primo luogo molti produttori, soprattutto quelli di un certo peso (nel caso del cinema
americano, comunemente quello su cui si concentrano gli studi sul genere
cinematografico, si tratta delle grandi majors), hanno interesse non tanto a selezionare
un proprio pubblico, escludendo invece i restanti spettatori, quanto ad attrarre
un’audience più ampia possibile. La strategia migliore per ottenere questo risultato non
sarà allora quella di ricondurre il proprio film ad un solo genere, alienandosi così
automaticamente l’interesse dei non appassionati, bensì quella di fare riferimento a una
molteplicità di generi, così da attrarre i fan di differenti tipi di cinema. È
particolarmente appropriato l’esempio fatto da Vinzenz Hediger nel suo saggio La