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Il confronto con i grandi della storia ermeneutica (Gadamer,
Popper, Ricoeur, Bachtin, Todorov, Calvino ed Eco) ha tracciato le
linee del nostro percorso, secondo un concetto di interpretazione che
non veda solo la comprensione del testo, ma vada oltre il testo, dando
spazio all’immaginazione. Da Bruner, invece, abbiamo appreso i
riferimenti al pensiero narrativo e gli spunti metodologici che hanno
guidato la nostra sperimentazione.
Per poter osservare come la cultura potesse introdursi nella
comprensione di un brano, abbiamo deciso di proporre un testo a dei
lettori che provenissero dallo stesso luogo dell’autore e ad altri
completamente estranei, al fine di cogliere eventuali differenze.
La scelta dell’autore e del brano è dovuta al fatto che Joyce nei
Dubliners ci descrive una società, un modo di vivere e in The Dead
riesce a sintetizzare tutto il suo pensiero, trasmettendoci i valori di
una cultura caratteristica come quella dell’Irlanda.
Abbiamo così inteso mettere a confronto non un autore e un
lettore, ma questo autore e diversi lettori, lettori che non conoscono
l’autore, ma ne condividono usi, costumi e lingua, e lettori estranei,
comunque in grado di leggere in una seconda lingua.
Il nostro lavoro si articola in due parti. La prima è costituita da
due capitoli, uno sull’ermeneutica e l’altro sull’interpretazione. Nel
primo capitolo affrontiamo gli studi sull’ermeneutica, per capire che
cosa significa interpretare ed anticipiamo, quindi, il discorso
sull’interpretazione portato avanti nel secondo capitolo.
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Quest’ultimo riprende lo studio sull’interpretazione, intesa più che
altro come critica letteraria, e si sofferma sul rapporto tra l’autore, il
personaggio e il lettore, sulla lingua e sul significato,
sull’immaginazione e sull’interpretazione in sé.
La seconda parte comprende tre capitoli: il primo sulle metodologie
di Bruner, il secondo sulla traduzione e sull’analisi del testo scelto e
l’ultimo sulle produzioni discorsive insieme all’analisi.
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CAPITOLO PRIMO
L’ermeneutica
In questo primo capitolo affrontiamo il tema dell’ermeneutica, per
capire che cosa significa interpretare. La nostra ricerca sperimentale
si è basata sugli studi avanzati dai grandi autori che incontreremo
nei prossimi paragrafi, proprio perché il nostro compito è quello di
mettere in pratica quanto essi hanno affermato.
Abbiamo intrapreso una ricerca che prevede la lettura della parte
finale del brano, The Dead, tratto dai Dubliners, di James Joyce e la
risposta ad una serie di stimoli narrativi che abbiamo formulato per
orientare la nostra indagine. I nostri soggetti sono volontari,
provenienti da due realtà culturali diverse: italiana e irlandese.
La nostra ipotesi di studio si focalizza su due punti importanti:
l’influenza della cultura sull’interpretazione e il rapporto tra autore e
lettore, ovvero quel legame che si crea tra chi scrive e chi legge e
anche quello che si instaura tra il lettore e i personaggi.
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1.1. Echi ermeneutici
La nostra ricerca sull’interpretazione comincia con una
panoramica storica sull’ermeneutica. Vediamo che cosa ci riportano
gli studi che si sono susseguiti fin qui. Innanzitutto ci spiegano che
cosa significa. L’ermeneutica può essere definita come la teoria
dell’interpretazione, iniziata come esegesi dei testi sacri ed evolutasi
come critica testuale. Nata dalle controversie teologiche emerse dalla
Riforma, si è sviluppata poi nei vari campi del sapere: filologico,
storico e giuridico.
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Le interpretazioni nascono dalle esperienze che l’individuo fa nel
percorso della propria vita e, come afferma Reale, “l’uomo cresce su
se stesso, è un gomitolo di “esperienze” e ogni nuova esperienza è una
esperienza che nasce dallo sfondo di quelle precedenti e che lo
reinterpretano.” (Reale/Antiseri 1994, p.491)
Partendo da quest’affermazione, notiamo come la cultura sia
determinante nell’interpretazione.
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Durante il Romanticismo F. Schlegel e F. Schleirmacher diedero all’ermeneutica
un posto di rilievo all’interno della filosofia. E, dopo di loro, W. Dilthey ha cercato di
porre l’ermeneutica a fondamento dell’intero edificio delle scienze dello spirito.
Dilthey concepì l’ermeneutica non solo come un insieme di questioni tecniche, cioè
metodologiche, ma anche come una prospettiva di natura filosofica da porre a base
della ‘coscienza storica’ e della ‘storicità dell’uomo’. Fu Heidegger a comprendere,
tra i primi, lo statuto filosofico delle concezioni di Dilthey, nel senso che ha visto
l’ermeneutica o il ‘comprendere’ non tanto come uno ‘strumento’ a disposizione
dell’uomo quanto piuttosto come una struttura del Dasein, ovvero come una
dimensione intrinseca dell’uomo.(Reale/Antiseri 1994)
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L’esperienza, che ognuno di noi si fa durante gli anni attraverso le
letture di giornali, di libri o attraverso le relazioni con gli altri, dà vita
ad un mondo interiore ricco che è sempre a disposizione
dell’individuo. L’uomo interpreta filtrando i nuovi significati con la
cultura e la tradizione che ha alle spalle. Leggendo un romanzo si dà
ad esso un senso in base al proprio vissuto, reinterpretando quanto
si è letto. Il lettore non distingue il nuovo significato dal vecchio,
perché nel primo è intrinseco il secondo. Questo significato si trova
all’interno delle parole, degli enunciati e dei testi. Come afferma
Bleicher (Bleicher 1986, p.21) l’ermeneutica è impegnata in due
compiti: a) deve accertare l’esatto contenuto significativo di una
parola, un enunciato o un testo; b) deve scoprire le istruzioni
contenute nelle forme simboliche.
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I Romantici avevano basato il loro studi ermeneutici su problemi differenti
rispetto alle ricerche più recenti. Friedrich Schlegel (1772-1829), assieme al fratello
Wilhelm (1767-1845), fu animatore del circolo di Jena. Per lui era fondamentale la
concezione dell’Infinito, raggiungibile solo attraverso la filosofia e l’arte. Per
entrambe ci si avvale solo di mezzi finiti. Qui sta la vera difficoltà: trovare l’accesso
all’Infinito coi mezzi del Finito. Importante è, inoltre, l’idea che egli ha dell’arte,
opera del genio creatore, il quale, appunto in quanto genio, “opera una sintesi di
finito e di infinito”. L’artista diventa un veicolo dell’Infinito annullandosi come
Finito. Friedeich Danill Ernst Schleirmacher viene ricordato per diversi motivi, uno
dei quali, molto importante, è perché viene ritenenuto un precursore
dell’ermeneutica. L’ermeneutica per Scleirmacher non solo è una semplice tecnica
di comprensione e quindi di interpretazione dei vari tipi di scritti, ma comincia a
diventare comprensione della struttura interpretativa, che caratterizza il conoscere
come tale. Questo porta a capire il tutto, la parte e l’elemento. Per cui testo, oggetto
interpretato e soggetto interpretante devono appartenere ad un medesimo orizzonte
in maniera, per così dire, circolare. Per Schleiermacher esistono due tipi di
interpretazione, la grammaticale e la psicologica. Per la prima, egli sviluppò 44
canoni (Kanones). I primi due sono della massima importanza e sicuramente
possono chiarire l’approccio globale di Scleirmacher: a) “tutto ciò che, in un dato
testo, richiede una determinazione più completa, può essere determinata solo in un
riferimento al campo linguistico condivisi dall’autore e dal suo pubblico originario”;
b) “il significato di ogni termine in un dato passaggio deve essere determinato in
riferimento alla sua coesistenza con i termini che lo circondano”. (Wach, 1926,
p.129)
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Il testo origina un significato, che può avere più di un senso. Si
parla infatti di significato superficiale e di significato profondo.
Quest’ultimo è più difficile da raggiungere soprattutto quando siamo
di fronte a simboli, ma come affermava Friedrich Schlegel l’Infinito
può essere raggiunto solo attraverso la filosofia e l’arte. Quindi
attraverso l’immaginazione il lettore può penetrare a fondo il testo e
arrivare al pensiero dell’autore, calandosi nelle scene,
immedesimandosi nei personaggi, creando un feeling con lui.
Il testo è già una rielaborazione del pensiero dell’autore, che con la
sua immaginazione ha creato un racconto o un romanzo. Se
pensiamo a Joyce, vediamo come egli sia riuscito con The Dead a
portare nel testo la sua immagine della Dublino del tempo, quello che
egli vedeva e pensava della sua città, quando si trovava a Roma, dove
ha iniziato a scrivere i racconti dei Dubliners. Il suo background si
intravede tra le righe del brano, dal quale traspaiono il suo sapere, le
sue emozioni e i suoi sentimenti. I personaggi a loro volta inseriscono
nei loro discorsi i loro pensieri e il lettore non riesce così a distinguere
quello che appartiene all’autore da quello che appartiene all’eroe.
I canoni sviluppati per l’interpretazione psicologica vertono sulla ricerca del
momento in cui il pensiero emerge dalla totalità della vita di un autore. L’interprete,
data una adeguata conoscenza storica e linguistica, è in grado di comprendere
l’autore meglio di quanto questi comprendesse se stesso. Secondo Schleiermacher
l’interprete deve avvicinarsi il più possibile alla statura intellettuale – spirituale –
dell’autore.
Il fatto che esistano gradazioni qualitative diverse tra persone, che possono essere
separate nello spazio e nel tempo, fornisce l’incentivo e la giustificazione razionale
per il compito ermeneutico. Comprendendo l’alterità, ovvero ciò che abbiamo di
fronte, e riuscendo a vedere il mondo dalla prospettiva dell’altro, rafforziamo e
mettiamo in risalto i processi spirituali in noi stessi.
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I due mondi si fondono in uno solo. Il lettore ne porta con sé un
terzo, che si confonderà con quelli. Alla fine avremo un “trio” che
parteciperà dell’evento narrativo.
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1.2. L’impronta degli storicisti sugli studi ermeneutici: Wilhelm Dilthey
Il senso che diamo alla storia è un’interpretazione che può variare
in base alle diverse idee che ognuno di noi ha. La storia può essere
intesa come l’insieme degli eventi umani, o di determinati eventi
umani, considerati nel loro svolgimento (History), ma anche la
narrazione di un fatto particolare, vero o inventato (Story). Comunque
venga concepita l’interpretazione è necessaria per calarci nelle diverse
realtà.
Esiste una concezione filosofica, lo storicismo, che vede la realtà
come storia, ovvero divenire, sviluppo, per cui ogni accadimento è
storicamente condizionato, cioè possibile e comprensibile solo nella
determinata situazione storica che l’ha prodotto. Il risultato
dell’interpretazione di un racconto diventerebbe così una storia
comprensibile solo nel contesto in cui viene inserito. Se consideriamo
la rappresentazione di The Dead che i nostri soggetti hanno dato,
dovremmo riscontrare nelle loro interpretazioni degli spunti che ci
facciano capire come conoscere il luogo degli eventi aiuti la
comprensione.
Qualsiasi cosa leggiamo è una realtà, un punto di vista diverso dal
nostro su un qualcosa. Se quello che leggiamo è un racconto, questo
ci descrive una realtà storica che prima non conoscevamo, ad
esempio noi possiamo essere stati a Dublino, come in qualsiasi altra
città, ed esserci fatta un’idea di essa, poi leggiamo i Dubliners e
scopriamo che quello che abbiamo visto e vissuto noi non corrisponde
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a quanto letto. Il risultato è un nuovo modo di vedere le cose, in
questo caso una città. Questo capita proprio perché la nostra cultura
ci permette di affrontare il mondo circostante in modo differente.
Joyce, quando scrisse questi racconti, stava vivendo in un particolare
periodo della sua vita. Era distante dalla sua patria e voleva dedicare
alla sua città un’opera che trattasse dell’ospitalità, tipica del suo
paese. Ma nell’opera pervade un senso di “paralisi” più che questo
spirito di “ospitalità”. Ciò accade poiché, rifacendoci anche al
pensiero di Wilhelm Dilthey, i fatti sociali si possono comprendere dal
di dentro e riprodurre in noi, tenendo conto dei nostri stati, e
intuendoli noi accompagniamo la rappresentazione del mondo storico
grazie al gioco dei nostri affetti. Lo stato d’animo di Joyce è molto
importante, perché su di esso si fonda la sua opera d’arte.
Dilthey vuole dare al sapere storico autonomia rispetto sia alla
metafisica sia alle scienze naturali; di qui la contrapposizione tra
scienze della natura e scienze dello spirito: le prime volte allo studio
di ciò che è esterno a noi, le seconde volte a studiare ciò che è interno
a noi stessi. L’esperienza è il mezzo attraverso il quale riusciamo ad
interiorizzare il mondo esterno, così che “il fuori” diventa un “di
dentro”. Questo è uno spunto molto importante, perché ci porta a
vedere l’interpretazione come un passaggio di informazioni
dall’esterno all’interno.
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Non solo, ma ci fa notare anche come le esperienze di tutti entrino
a far parte di un comprendere storico, che si fonda proprio
sull’analogia esistente tra la nostra esperienza vissuta e quella altrui.
L’insieme di queste esperienze dà vita alla cultura di un popolo. Con
la cultura l’interpretante si pone di fronte al testo cercando in esso
degli elementi noti, di cui ha fatto esperienza. Qualcosa di simile può
avvenire nel caso del lettore irlandese che ritrova nel racconto
immagini a lui conosciute. Secondo Dilthey inoltre il vivere umano è
caratterizzato da un complesso di oggettivazioni, il cui significato
viene inteso solo attraverso uno sforzo di comprensione. “Gli stati di
coscienza si esprimono continuamente in suoni, in gesti del volto, in
parole, ed hanno la loro oggettività in istituzioni, stati, chiese e
istituti scientifici: proprio in queste connessioni si muove la storia”.
(Reale/Antiseri 1994, p.351)
La comprensione ci permette di raggiungere quanto c’è di più
profondo nella vita dell’uomo o nella vita di un personaggio. Ma il
personaggio è il prodotto di un artista, quindi attraversando la vita
del personaggio possiamo arrivare a quella dell’autore. Conoscere
bene la vita di Gabriel, quale ci appare da The Dead, è come
riconoscere quella di Joyce.
La storia si tramanda attraverso il linguaggio. Se dovessimo vedere
la vita e la storia parallelamente rispetto alle lettere di una parola
oppure ad una particella o una congiunzione ci renderemmo conto
che hanno un senso, anche perché nella vita e nella storia vi sono
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momenti sintattici che hanno significato (Op. cit., p.353). L’uomo vive
nella vita e nelle storia contemporaneamente, mentre il senso e il
significato vivono all’interno dell’uomo e della sua storia, solo
penetrando in essi possiamo scoprire ciò che gli appartiene, qualcosa
che non è soltanto suo, ma anche di proprietà delle generazioni
precedenti e del mondo che lo circonda.