6
In primo luogo viene analizzato il rapporto tra autonomia individuale e
collettiva - e tra queste due e la fonte legislativa - in prospettiva storica per poter
meglio comprendere i cambiamenti avvenuti, soprattutto per quanto riguarda la
politica del diritto perseguita, indubbiamente accompagnata da una rivalutazione
dell’autonomia individuale e, conseguentemente, da un forte ridimensionamento
dei poteri di controllo collettivo.
Si vedrà come la politica del diritto enunciata nel Libro Bianco del Governo del
2001 appare più chiara ed univoca delle soluzioni in concreto adottate dal
legislatore.
Dall’analisi condotta emerge che il legislatore ha voluto abbandonare il
modello della legislazione neo-istituzionale che affidava alla contrattazione
collettiva l’autorizzazione ad accedere alle principali forme contrattuali
(specialmente nel contratto a termine e di formazione) diverse da quelle standard
o a fruirne nelle versioni più flessibili (part-time con clausole flessibili).
In altre parole al contratto collettivo cessa di essere attribuita una funzione di
tipo regolativo del mercato del lavoro, che il legislatore ha avocato a sé in modo
pressoché esclusivo.
A scorrrere il d. lgs. 276/2003 sorprende il profluvio di richiami al sindacato:
si contano ben quarantatrè rinvii alla contrattazione collettiva.
Purtroppo l’analisi quantitativa non può rispondere alla domanda sulla qualità
degli spazi riservati alla sfera sindacale, infatti sono pochi gli autori che ravvisano
7
nei frequenti rinvii ai contratti collettivi una ulteriore garanzia per la tutela dei
diritti del lavoratore.
Da un altro punto di vista si deve rimarcare la novità della significativa
funzione non soltanto genetica, ma anche regolamentare, attribuita all’autonomia
individuale delle parti .
Allo scopo di analizzare con maggiore profondità critica questo aspetto della
riforma, la seconda parte della tesi è circoscritta all’analisi delle tipologie
contrattuali a orario ridotto, modulato o flessibile, disciplinate dal Titolo V del
decreto legislativo.
Si dimostrerà come il legislatore riesca a modificare il rapporto classico tra le
due forme di autonomia, individuale e collettiva, nel senso che in una serie
crescente di situazioni esse si rivelano sostanzialmente fungibili.
L’indagine è compiuta analizzando i punti deboli e quelli di forza di tali
contratti a “orario ridotto, modulato o flessibile”, non dimenticando di sottolineare
i problemi giuridici sollevati dall’esigenza di flessibilizzare il mercato del lavoro.
La prima tipologia contrattuale è il contratto di lavoro ripartito, anche
conosciuto come job sharing, che viene definito nel decreto come “uno speciale
contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido
l’adempimento di un unica e identica obbligazione lavorativa”.
Questa fattispecie non è nuova nel nostro ordinamento ma si può considerare
come la tipizzazione di un contratto già presente nel mercato del lavoro.
8
Infatti, la Circolare ministeriale n. 43 del 7 aprile 1998, riconosceva la
compatibilità di un contratto di lavoro ripartito con le norme lavoristiche vigenti,
e, dunque, la sua applicabilità, pur in carenza di normativa specifica.
La regolamentazione del lavoro ripartito è demandata alla contrattazione
collettiva nel rispetto delle previsioni contenute nel decreto; in assenza di
contratti collettivi, trova applicazione la normativa generale del lavoro
subordinato in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro
ripartito (art. 43 d.lgs. 276/03).
Sono lasciate al contratto individuale ampie possibilità in ordine all’eventuale
previsione dei particolari modalità di distribuzionine degli obblighi fra i due job
sharers, dall’introduzione del diritto di farsi sostituire da terzi sino alla riduzione
della facoltà dei condebitori di autogestire l’orario di lavoro.
Tuttavia la medesima competenza di tipo regolamentare spetta anche alla
contrattazione collettiva, la quale ha la possibilità di porre argini all’autonomia
individuale.
La seconda tipologia presa in esame è il lavoro a tempo parziale, che viene
distinto in tre varianti: lavoro a tempo parziale verticale, orizzontale e misto.
Il d.lgs. 276/2003 ha introdotto modifiche alla disciplina del part-time,
contenuta nel decreto legislativo n. 61 del 2000, tanto da modificarne la sostanza;
il motivo ispiratore della riforma è notevolmente mutato, così come i suoi vincoli.
9
L’obiettivo del legislatore è di incentivare l’utilizzo del contratto attraverso la
flessibilizzazione nell’utilizzo dello stesso, avvicinando, di fatto, la logica e la
disciplina del part-time a quella del full-time.
L’introduzione delle clausole elastiche e flessibili non è più subordinata alla
preventiva conclusione di contratti collettivi, infatti, in mancanza di previsioni
dell’autonomia collettiva in funzione limitativa o regolativa, l’esercizio dello ius
variandi richiede il solo consenso individuale del lavoratore interessato.
Tale patto scritto può essere anche contestuale alla conclusione del contratto,
cosicchè la genuinità del lavoratore appare del tutto discutibile.
Valutazione leggermente diversa può essere operata per quanto concerne
lavoro supplementare e straordinario, la cui esigibilità da parte del datore di
lavoro deve essere richiesta e concessa volta per volta: tuttavia, lo stesso
consenso individuale è ora sufficiente anche in mancanza di disposizioni
collettive, ma non è più necessario quando il contratto collettivo attribuisca
espressamente il diritto potestativo al datore di lavoro.
In questo caso il rifiuto del lavoratore, pur non potendo integrare gli estremi
del giustificato motivo di licenziamento, legittima l’adozione di sanzioni
disciplinari, rafforzando, in tal modo, la pretesa all’adempimento del datore di
lavoro.
La terza tipologia è il lavoro intermittente, definito nel decreto come un
“contratto mediante il quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di
lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa” (art. 33).
10
Il job on call , sconosciuto nel nostro ordinamento, ebbe un momento di
notorietà nel dibattito politico e sindacale nel 2000 quando fu previsto da un
accordo aziendale tra il gruppo Electrolux-Zanussi e le rappresentanze sindacali
della Fiom- Cisl e Uilm-Uil; i lavoratori, tuttavia, bocciarono quell’intesa,
rifiutandone la sperimentazione.
Tale tipologia risulta probabilmente la più flessibile all’interno delle proposte
contrattuali previste dal d.lgs. 276/2003 e anche quella che presenta maggiori
problemi ricostruttivi.
Il modello contrattuale è previsto in una duplice versione, ossia con o senza
obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda della scelta del
lavoratore di vincolarsi o meno in tal senso.
La normativa apre ampi spazi per il potere unilaterale del datore di lavoro
nella regolamentazione del contratto, potere al quale soltanto la contrattazione
collettiva e , in mancanza, quella individuale possono porre limiti o regole.
Tuttavia, nessun Ccnl rinnovato dopo la legge 30/2003 ha accettato tale
istituto tra quelli adottabili; pertanto ne emerge un giudizio “condiviso dalle parti
sociali” circa la sua odiosità e la sua inefficacia.
11
Capitolo I
La riforma “Biagi”
Premessa
Con l χemanazione del decreto legislativo n. 276/2003 si è realizzato l χassetto
definitivo della liberalizzazione del mercato del lavoro già avviata dal libro bianco
sul mercato del lavoro (ottobre 2001); assetto proseguito con la presentazione del
d.d.l. n. 848 in materia di occupazione e mercato del lavoro (15 novembre 2001);
con la legge delega 14 febbraio 2003 n. 30;con la prima approvazione da parte del
consiglio dei ministri (6 giugno 2003) dello schema di decreto attuativo della
stessa legge n. 30/03 e infine, con la seconda approvazione (31 luglio 2003), con
cui si è varato ilo decreto legislativo in esame.
L χapprovazione della decreto ha scatenato “ una vera e propria guerra di
religione tra i sostenitori della riforma del mercato del lavoro e una nutrita quanto
variegata schiera di oppositori che, talvolta ancor prima di aver avuto modo di
conoscere il contenuto del decreto, non hanno esitato a parlare di <<flessibilità
da pezzenti>>, <<occupazione usa e getta>>, <<mercificazione del lavoro>>”
48
.
48
M. TIRABOSCHI, La riforma Biagi : finalità e campo di applicazione,in M. Tiraboschi, La
riforma Biagi del mercato del lavoro,Giuffrè, 2004.
12
Non sono mancati coloro che hanno voluto minimizzare il senso e la portata
della riforma, adottando una lettura “minimalista”, ipotizzando una scarsa
operatività delle nuove tipologie contrattuali sul piano pratico e nella prassi
aziendale
49
.
Tuttavia oggi prevale la consapevolezza che siamo di fronte ad una riforma
che segnerà in modo indelebile gli sviluppi del nostro mercato del lavoro nei
prossimi decenni
50
.
L χeffetto dirompente della riforma nasce sia dai contenuti del decreto che dal
numero elevato di istituti riformati e istituiti; concetti nuovi si affacciano nel
panorama legislativo che obbligheranno sia i datori di lavoro sia i lavoratori a
misurarsi con una nuova cultura del lavoro.
49
P. ALLEVA, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato del
lavoro, in RGL, 2004, n.4,, pp. 887 ss.
50
M. TIRABOSCHI, Riforma Biagi e strategia europea per l’occupazione, in La riforma Biagi del
mercato del lavoro ( a cura di ) M. Tiraboschi, Giuffrè, 2004, p. 40 ss.
13
1 La riforma Biagi del mercato del lavoro.
1.1 Finalità e analisi della riforma
La recente riforma del mercato del lavoro attua politiche di inclusione
sociale di segno ben diverso da quelle delle precedenti legislature: politica ispirata
ad una forte flessibilizzazione dei contratti e dei relativi rapporti di lavoro .
La scelta di fondo di politica del diritto sulla quale si impernia la riforma è
quella di recuperare tutta la domanda di lavoro esistente regolarizzandola
attraverso forme negoziali flessibili ricondotte nell’ ambito del lavoro
subordinato.
Lo sviluppo del sistema economico ha reso necessario un ripensamento
ampio e globale del sistema delle tutele che, peraltro, è in atto in tutti i paesi dell’
Unione Europea e si esprime esplicitamente attraverso le linee guida che
costituiscono la Strategia Europea per l χOccupazione.
Questa strategia si snoda attraverso i due pilastri dell’ occupabilità e dell’
adattabilità, che sostengono il testo del nuovo mercato del lavoro.
I temi dell’occupabilità - cioè del rafforzamento delle tutela del lavoratore
nel mercato del lavoro piuttosto che nel singolo rapporto contrattuale - e
dell’adattabilità - cioè della flessibilità del prestatore rispetto alle esigenze
imprenditoriali dettate dal loro bisogno di miglioramento costante e di
competitività - sono un riferimento costante della riforma.
14
La legge delega ed il relativo decreto attuativo contengono, infatti, chiari
riferimenti agli orientamenti comunitari in tema di occupazione.
Nell’art. 1 del d.lgs 276/03 si legge che”le disposizioni di cui al presente
decreto legislativo, nel dare attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nella
legge del 14 febbraio 2003 n. 30, si collocano nell’ ambito degli orientamenti
comunitari in materia di occupazione e di apprendimento permanente[…].
Nella legge delega il legislatore delegante ha indicato al governo la necessità,
nell'esercizio della delega, di rispettare “gli obiettivi indicati dagli orientamenti
annuali dell'UE in materia di occupabilità (articolo 1, comma1).
Queste disposizioni da un lato vengono lette nel senso che la l. 30/03 e il d.lgs
276/03 forniscono risposte puntuali alle sollecitazioni che provengono dalla
Strategia europea per l'occupazione
51
, dall'altro, invece, vengono considerate
come una giustificazione offerta dall’esecutivo relativamente alle disposizioni
contenute nel decreto, quasi la creazione di un “muro di protezione” contro
possibili attacchi provenienti dall’esterno.
In tema di occupabilità, il decreto interviene principalmente attraverso un
ampio progetto di riforma degli strumenti di gestione dell'incontro tra domanda e
offerta di lavoro attraverso un implicito riconoscimento delle difficoltà del sistema
pubblico attuale - rigido e burocratico - di essere garante dell’efficienza e
dell’efficacia di tale incontro.
51
M. TIRABOSCHI, Riforma biagi e strategia europea per l’occupazione ecc. , op. cit.
15
In questa direzione si pongono la riforma del collocamento, la borsa continua
del lavoro, operatori debitamente autorizzati e/o accreditati e la certificazione dei
contratti di lavoro.
Si tratta di strumenti che tendono a ridurre la “debolezza” del lavoratore,
consentendogli di avere informazioni sulle opportunità di lavoro in tutto il
territorio italiano e di poter stipulare un contratto che sia coerente con le sue
esigenze.
Nel segno dell’ occupabilità della persona sono i nuovi contratti
(apprendistato e contratto di inserimento) che vogliono coniugare formazione e
lavoro e che consentono l'ingresso o il ritorno nel mercato del lavoro.
In tema di adattabilità la riforma predispone contratti flessibili (part-time,
lavoro ripartito, lavoro intermittente) con lo scopo di conciliare esigenze dei
lavoratori e delle imprese con forme contrattuali tendenzialmente stabili .
È da notare che, nell'ambito del lavoro subordinato, la flessibilità è stata
attuata non già con una rimodulazione delle tutele nell’ambito del contratto
standard, bensì attraverso una moltiplicazione dei sottotipi.
In altre parole, in linea di continuità con la legislazione precedente, il
contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato non ha conosciuto interventi
peggiorativi se non in termini di una maggiore flessibilizzazione dell'orario di
lavoro.
In ordine ai contratti flessibili, invece, elementi di discontinuità attengono sia
alle condizioni di accesso, sia all'apparato protettivo applicabile, inferiore, specie
16
con riguardo alla stabilità del rapporto, nei confronti dei lavoratori a tempo pieno
e indeterminato
52
.
Il legislatore interviene anche attraverso una razionalizzazione di figure già
esistenti, come le collaborazioni coordinate e continuative, la cui attività si
caratterizza rispetto ai dipendenti per la mancanza di subordinazione nei confronti
dei datori di lavoro.
Il d.lgs 276/03 stabilisce che le nuove co.co.co siano ricondotte a uno o più
progetti specifici, programmi di lavoro o fasi di esso, senza peraltro fornire una
definizione né di programma né di progetto.
Una delle novità più significative della riforma è costituita
dall’attribuzione alle imprese di una libertà di scelta dei fattori produttivi
fortemente accresciuta con riguardo al potere di ricorrere a contratti diversi da
quelli di lavoro, quali somministrazione di lavoro, appalto di opere e servizi e
cessione di un ramo di azienda.
Ne consegue una maggiore elasticità dell’organo aziendale e, indirettamente,
una maggiore libertà nelle riduzioni di personale.
La tendenza a favorire operazioni di outsourcing è stata inaugurata negli anni
'90 e ha conosciuto un improvvisa accelerazione in questi ultimi anni allo scopo di
ridurre al minimo i rischi di gestione legati alla crescente imprevedibilità del
mercato.
52
C. ZOLI, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del
lavoro, 2004, p. 32.
17
Un ultimo profilo assolutamente innovativo della riforma riguarda la
previsione dell’istituto della certificazione dei rapporti lavoro (c.d. derogabilità
assistita) il cui obiettivo dichiarato è di “ridurre il contenzioso in materia di
qualificazione dei contratti di lavoro”, quindi una deflazione del contenzioso
giudiziario.
Altri effetti che l’istituto dovrebbe produrre sono quelli del superamento
dell’asimmetria informativa esistente tra le parti del rapporto di lavoro e la
risoluzione di una serie di incertezze interpretative.
1.2 Brevi considerazioni generali sulla riforma
In sintesi la flessibilità dei rapporti di lavoro troverebbe una duplice
giustificazione: l’una “sociale”, per innalzare il tasso di occupazione e migliorare
le condizioni dei lavoratori; l’altra economica, per fronteggiare le sfide indotte
dalla globalizzazione e dall’internazionalizzazione dei mercati, nonché per
sostenere la competitività del sistema Italia non più mediata dalla politica
monetaria
53
.
Senza dubbio , la riforma non può che essere salutata positivamente per
gli obiettivi che intende raggiungere anche se forti perplessità suscita il postulato,
mai dimostrato, né mai dimostrabile
54
, per cui la flessibilizzazione delle regole in
materia di lavoro, comporterebbero, quale inevitabile conseguenza, la crescita dei
livelli occupazionali.
53
E. GHERA, La flessibilità: variazioni sul tema, in RGL, 1996.
54
L. GALLINO, Se tre milioni vi sembran pochi, Einaudi, Torino, 1998, p. 71.
18
Dai redattori del Libro Bianco si afferma l’esistenza di una correlazione
positiva tre flessibilità e occupazione, che si può riassumere in questo senso: una
maggiore flessibilità migliora la produttività e i conti economici delle imprese e di
conseguenza, aumenta la propensione delle stesse ad assumere.
Pur volendo condividere la prima parte della preposizione , non si comprende
come un aumento della produttività possa avere effetti benefici sulla produzione.
La produttività è il rapporto tra il volume dei beni e servizi prodotti e la quantità
di lavoro impiegato; un suo incremento può comportare che, fermo restando la
produzione, la quantità di lavoro impiegato diminuisce, oppure pur aumentando la
produzione, il lavoro non aumenterà nella medesima proporzione; in altri termini,
un raddoppio della produzione anche in presenza di maggiore flessibilità, e quindi
di maggiore produttività, non determinerà il raddoppio del personale.
Dando per scontato che una maggiore flessibilità favorisce l’occupazione,
come dimostrerebbero i dati di alcuni paesi (es. USA e Inghilterra), si tratta di
occupazione mal retribuita, come risulta dalla moltitudine di “working poors”:
lavoratori che non esercitano i fondamentali diritti sociali, a cominciare dalla
libertà sindacale e dal diritto di sciopero
55
.
Spesso questa maggiore flessibilità non si traduce in un aumento dello stock
occupazionale, bensì in un più rapido turnover, con l’effetto di scatenare la
concorrenza tra i lavoratori e, quindi, di abbattere ulteriormente la loro forza
contrattuale.
55
F. MAZZIOTTI, Flessibilità del lavoro e legge delega, in DML, 2003, n. 2-3 ; F. MAZZIOTTI,
Limiti alla flessibilità, in LG, 2001, p. 8.
19
In effetti la flessibilizzazione estrema delle regole lavoristiche in assenza di
un forte contrappeso in grado di ampliare le possibilità di controllo di tali regole
sul mercato del lavoro ha condotto ad una “smobilitazione delle garanzie previste
dall’ordinamento a favore del soggetto debole”
56
. Sotto tale punto di vista il
messaggio che la riforma sembra trasmettere è quello della mercificazione del
lavoro, della precarizzazione come condizione inevitabile e accettata della nuova
economia e del diniego dell’idea del lavoro come mezzo di espressione e
realizzazione della personalità umana
57
.
La riforma anziché produrre una modernizzazione del diritto del lavoro
58
risulta espressione di precise scelte politiche ed economiche, dirette alla
disgregazione della classe lavoratrice, scelte che sembrano andare al di là delle
reali esigenze della produzione.
In tale contesto va analizzato uno dei più discussi e controversi temi toccati
dalla riforma che riguarda il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva
all’interno del nuovo mercato del lavoro.
Tale profilo sarà oggetto di ampio approfondimento nel corso della tesi ma è
che secondo la massima parte della dottrina la linea di politica del diritto
perseguita è accompagnata da un forte ridimensionamento dei poteri del controllo
56
M. RICCI, Autonomia collettiva e individuale nella revisione del mercato del lavoro, 2004, p.
4.
57
P. ALLEVA, Il D.D.L. delega al governo sul mercato del lavoro,in www.cgil.it/giuridico,
2003.
58
M. TIRABOSCHI, L’attuazione della L. 30/03. Considerazioni introduttive, in Commentario
allo schema di decreto attuativo della legge delega sul mercato del lavoro , GL, 2003, 4, pp. 4 ss.;
M. TIRABOSCHI, La riforma del mercato del lavoro: approvato il decreto di attuazione della l.
30/2003, in RGL, n. 34, 2003, pp. 30 ss.