5
rimessa nelle mani dei propri fondatori, i quali sanno dare vita e impulso a quella che
nell’arco di qualche decennio diverrà la più importante societas dell’epoca medievale.
Alla base della costituzione dell’università vi è la volontà di reciproco aiuto e
assistenza, l’esigenza del mutuo soccorso per tutti quegli studenti, e ne esistevano a
migliaia, che migrando in terra straniera cercavano sostegno e tutela. L’organizzazione
studentesca è dignitosa, destinata a crescere e ad espandersi fino ad assumere
dimensioni transnazionali quando, intorno alla metà del 1100, sarà senza confini.
Se il bisogno di prestarsi aiuto reciproco è fondamentalmente l’elemento
motivazionale delle corporazioni universitarie italiane, questo stesso elemento, per altri
aspetti, spiega il perché della mancanza iniziale di relazioni con i poteri pubblici
3
. Gli
studenti nel periodo feudale, almeno nell’alto medioevo, non possedevano la loro
residenza nel luogo in cui fondavano la corporazione, essi, in realtà, si legavano
attraverso un accordo ai loro maestri e concordavano con queste lezioni,
approfondimenti, esercitazioni, insomma l’intera didattica del tempo. Andavano inoltre
alla ricerca dei maestri più famosi dell’epoca per attingere dal loro sapere e dalla loro
saggezza. Non avevano quindi la residenza presso il luogo in cui sorgeva l’università;
erano continuamente in viaggio e potevano trasferirsi in altri luoghi se richiamati da
altri maestri di più ampia fama e merito.
Così, l’animus corporativo della categoria studentesca, se da un lato consentiva ai
giovani di stringere tra loro un’alleanza, dall’altro permetteva agli stessi di non
piantare radici e di muoversi liberamente da una parte all’altra dell’Europa ben
sapendo che dovunque si sarebbe potuto ritrovare lo stesso spirito e desiderio. D’altra
parte, questo popolo migratorio, stretto intorno a sé e attento ai propri interessi, era in
grado di autogovernarsi.
3
Finocchi R., Le università, in Trattato di Diritto Amministrativo, AA.VV., (a cura di S. Cassese),
Giuffrè, 2001.
6
Basta pensare al funzionamento di una università italiana (ad esempio la stessa
Scuola di Bologna
4
) per capire che quella dello studium era una struttura
autoreferenziale. Il governo era autonomo dal momento che gli studenti, insieme ai
loro maestri, sceglievano tra loro un Rector il quale, con l’ausilio di alcuni
rappresentanti delle varie nationes, provvedeva alla tenuta delle matricolae e alla
raccolta delle collectae; la giurisdizione universitaria era anch’essa autonoma poiché
sottratta a quella dei Comuni e degli altri poteri ed in generale l’intero funzionamento
dello studium era retto da regole proprie racchiuse nello statuto universitario, fonte
normativa primaria ed esclusiva di ogni ateneo. Infine la didattica poggiava sullo
svolgimento di lezioni concordate con i docenti e su contenuti ed approcci
metodologici che risultavano uniformi in tutta l’Europa. Anche dal punto di vista
finanziario, lo studium, nei suoi primi anni di vita, si regge su proprie fonti di
sostentamento rappresentate per lo più dalle citate collectae, ossia dai contributi versati
annualmente dagli studenti per i servizi ricevuti “pro sapientia” o “pro doctrina” (al
docente per l’insegnamento), “pro pensione” o “pro bancis” (al dominus della scuola
per l’aula e per le altre attrezzature didattiche), “pro bedello” (al bidello, per la pulizia
e altri servizi).
L’indipendenza economica, sintomatica della più ampia e generale indipendenza
delle università dalle istituzioni locali, rafforza enormemente il distacco tra le parti e
soprattutto impedisce alle stesse istituzioni di appropriarsi degli spazi vitali della
societas universitaria; anzi, esse assistono impotenti alla diffusione e alla riproduzione
degli studia in grado di operare in un regime di libera concorrenza.
4
Capanna A., Storia del diritto moderno in Europa, Giuffrè, 1982.
7
2. La funzione educativa e politica dell’università: i rapporti con le autorità
medievali
In parte si è già detto dell’autonomia universitaria rispetto ai poteri locali,
soprattutto nei primi anni di vita dello studium; quella che ora va evidenziata è
l’esigenza sociale cui si rivolge la formazione universitaria e i rapporti con i sistemi
politici del tempo.
Lo scopo dell’educazione universitaria nell’età del diritto comune è quello di
formare dei docenti, se si vuole, dei teorici, provvisti di un bagaglio culturale il più
possibile completo, abili nelle arti oratorie, meno in quelle pratiche. La preparazione
universitaria non è rivolta all’esercizio di pubblici uffici, anche se, come si è detto,
sono proprio i legum doctores i protagonisti della vita politica e di quella pubblica, a
loro si richiedono pareri, consulenze, soluzioni internazionali e diplomatiche, giudizi
nei tribunali ecc…
Sebbene, quindi, non sia impartito con lo scopo di far apprendere una professione,
l’insegnamento porta di fatto a questo risultato pratico; un risultato, a ben vedere,
notevole dal momento che ancora oggi molti testi di storia italiana ed europea,
nell’individuare i caratteri predominanti della società medievale, parlano
dell’istruzione universitaria come di una forma eccelsa di istruzione, costruita su basi
teoriche talmente ingegnose da permettere la risoluzione di qualsiasi caso pratico. Non
si potrebbe spiegare altrimenti, se così non fosse stato, il potere in mano ai dotti del
tempo e la loro fama al cui confronto quella dei Papi e degli Imperatori si offuscava.
Inoltre, la preparazione universitaria è uniforme. Il piano di studi che adotta, ad
esempio, la Scuola di Bologna, prima tra le scuole di diritto, è fatto proprio da tutte le
università, non solo italiane ma anche europee, e questo non fa che accrescere il
prestigio dei docenti, soprattutto bolognesi, che esportano i loro metodi di studio e di
apprendimento in Francia, Germania, Inghilterra, riscotendo ovunque grandi successi.
L’università si rafforza e trae beneficio dall’insegnamento che in essa si impartisce,
e diventa la sola organizzazione internazionale esistente tra molte organizzazioni
8
nazionali e locali. Diventa anche una realtà ingombrante, con la quale le autorità
politiche sono costrette a misurarsi.
Il confronto avviene in modo pacifico, almeno inizialmente; le più alte autorità
della Chiesa e dell’Impero vedono nell’universitas una valida alleata per contrastare i
poteri dei signori locali, e fanno di tutto, quindi, per lusingare i maestri e gli studenti.
Un chiaro esempio di questi intenti è rappresentato dalla Costituzione Habita del 1158
con la quale l’Imperatore Federico Barbarossa, in occasione della Dieta di Roncaglia,
concede a Irnerio e ai suoi adepti, invitati per prestare la loro consulenza intorno ai
diritti imperiali, alcuni favor tra i quali l’esercizio del potere punitivo sugli studenti,
l’esonero per questi ultimi dal pagamento delle tasse, alcune immunità da rappresaglie
per debiti e, da ultimo, l’esonero dall’osservanza dei diritti comunali.
L’utilizzo dell’universitas come strumento di alta politica, però, è fatto non solo
dal potere papale e temporale nei confronti delle egemonie locali, ma anche dai due
poteri tra loro, nella battaglia secolare che li vede contrapposti. Gli stessi Imperatori e
Papi, a partire dal secolo XIII, cominciano ad istituire con propri atti autoritativi alcune
università, che via via diventano più numerose, fino a sostituire in toto quelle nate
spontaneamente, come Bologna o Parigi: si arriva al punto che le università, per poter
rilasciare centiae ubique docendi, devono ricevere un crisma di ufficialità dal Papa o
dall’Imperatore.
La prima università di stato, quella di Napoli, sorge nel 1224 con Federico II “per
accrescere la classe dei dotti e diffondere la scienza e il culto della giustizia, in
servizio di Dio e a soddisfazione del sovrano, per risparmiare alla gioventù studiosa i
disagi, i pericoli e le spese dei viaggi fuori dal regno” (il che si risolve in una
proibizione a recarsi a studiare fuori dal regno).
Gli interventi politici, più o meno diretti, sull’istituzione universitaria non
intaccano comunque le libertà delle corporazioni studentesche e di quelle dei docenti;
anzi, questi ultimi sono sempre, e lo saranno ancora per molto tempo, gli interlocutori
9
principali dei sovrani e dei papi, abili risolutori delle loro questioni, anche le più
intricate. In fondo, città e governi hanno ben chiari la gloria e i vantaggi che
scaturiscono dall’importanza delle università, dal loro prestigio e per ciò non sono
avari di dotazioni e favori. Comprendono, in pratica, quello che noi, oggi,
chiameremmo l’indotto.
10
3. L’università nel processo politico degli Stati assoluti
L’Europa del 1500 è caratterizzata da forze centralizzanti che preannunciano
l’avvento dello Stato assoluto.
La nascita delle monarchie è un processo di monopolizzazione del potere che si
afferma in un primo momento, durante l’era feudale, in Francia e poi, dopo ripetute
spinte decentralizzatici, si estende a tutta l’Europa occidentale. Tale processo
monopolistico ha enormi ripercussioni sulle istituzioni esistenti e determina il
potenziamento di alcune di esse e il declino di altre.
L’università è tra queste ultime; essa viene dapprima investita da una sorta di
“burocratizzazione” della struttura organizzativa per essere poi modificata nella sua
principale attività, quella didattica, incidendo sulla libertà d’insegnamento.
Le modifiche organizzative iniziano già a partire dalla fine del secolo XV quando
il Comune, dopo molti tentativi, riesce a imporsi su questa istituzione e a controllarne
alcuni aspetti cruciali. I mezzi di cui si serve per raggiungere questo scopo sono:
1. vincolare sotto giuramento i professori a non insegnare per un certo periodo di
tempo in altre città;
2. sostenere con il proprio bilancio il pagamento degli stipendi loro dovuti;
3. esercitare il potere di tassazione sugli studenti;
4. disciplinare con la propria legislazione lo studium.
In alcune città, inoltre, nascono organismi di controllo dell’università: organismi
istituiti con lo scopo di vigilare l’osservanza, da parte del corpo accademico, degli
obblighi a questo imposti dalle autorità locali. A Bologna questo organismo è una vera
e propria magistratura, detta dei “Riformatori”, chiamata a controllare le cose
universitarie. Le politiche di controllo producono l’effetto di incrinare ulteriormente i
non idilliaci rapporti tra realtà comunali e universitarie e offrono altri terreni di
scontro, altri motivi di ostilità, prima rappresentati essenzialmente soltanto dalla
diversità dei diritti difesi, statutario, con valore particolare, per il Comune, romano,
11
con valore universale, per l’università. I cambiamenti imposti all’organizzazione
universitaria sono sintomatici di quel diverso clima politico e culturale che si diffonde
in Europa alle soglie dell’illuminismo. Un clima caratterizzato da grandi attese, da
grandi aspettative, soprattutto nei confronti dello Stato.
Di Stato, infatti, si può cominciare a parlare nei secoli XVI e XVII, quando le
esigenze militari e tributarie si fanno impellenti tanto da richiedere un’organizzazione
forte e stabile che le soddisfi. E sono le Corone, quelle a cui si è fatto riferimento
poc’anzi a proposito del processo monopolistico, a rappresentare per prime lo Stato;
innanzi tutto quella di Francia, che assurge a modello monarchico nel 1600, e poi
quella d’Austria, dal 1700 fino agli albori della codificazione, con i paesi tedeschi e
italiani da essa influenzati. Lo Stato assoluto è lo Stato che può e deve occuparsi di
ogni cosa che giovi al benessere dei cittadini ed è lo Stato che assume una quantità di
nuove attribuzioni nei vari campi, da quello imprenditoriale a quello culturale a quello
della pubblica istruzione
5
.
L’università si fa, così, strumento nelle mani dello Stato; uno strumento politico-
culturale che per servire allo Stato deve essere da questo plasmato e modellato. Ecco
dunque quell’intervento, decisivo nell’evoluzione del governo universitario, sui metodi
e sui contenuti dell’insegnamento.
Lo Stato comprime l’autonomia didattica universitaria essenzialmente per un suo
bisogno primario, fisiologico, che è quello di avere uomini professionalmente preparati
al suo servizio. La presenza di burocrati di mestiere, che secondo Weber costituiscono
la stessa ragion d’essere dello Stato modernamente inteso, può essere garantita solo
dalle istituzioni universitarie che dovranno provvedere al loro ricambio. Diventa
questa la funzione assolta socialmente dall’università negli Stati assoluti, in particolare
in Germania dove è più evidente che altrove l’esigenza di formare degli amministratori
5
Secondo E. Forsthoff nello “Stato di diritto in trasformazione”, Giuffrè, 1973, “lo Stato territoriale
moderno è un prodotto dei giuristi. I giuristi lo hanno creato nel secolo XVI, i giuristi lo hanno
accompagnato nel suo cammino, e il significato di questo Sato in tutti i tempi è consistito solo
nell’assicurare ai cittadini un’esistenza degna dell’uomo…”.
12
e funzionari dello Stato, tecnicamente educati secondo quegli schemi di
razionalizzazione delle istituzioni pubbliche che intorno alla metà del Settecento
caratterizzano ormai pienamente i programmi di riforma dell’assolutismo illuminato.
Per le dette finalità sono necessari piani di studio ad hoc; così lo Stato entra
nell’università, compromettendone la libertà d’insegnamento. Un esempio dei piani di
studio riformati è costituito da quello della facoltà di Vienna del 1753, che poi verrà
gradatamente inserito in tutte le facoltà dell’Impero asburgico (da quelle di Praga e di
Innsbruck a quella di Pavia nel 1771). E’ un piano “illuministico” in cui il diritto
naturale è inserito – come materia fondamentale – entro un sistema di discipline
completamente ricostruito ex novo: diritto naturale, istituzioni, storia del diritto (1°
anno); ius civile, con trattazione anche del ius germanicum e del diritto austriaco (2°
anno); diritto ecclesiastico, storia dell’impero germanico (3° anno); diritto pubblico
naturale e positivo, diritto feudale, prassi dei sommi tribunali (4° anno).
Anche il metodo d’insegnamento cambia: ora è sistemico e non più casistico
come in epoca medievale.
Non tutte le università, però, appartengono a una stessa tipologia; quelle diffuse
entro l’area germanica, influenzate dall’impero asburgico, sono del tipo analizzato,
mentre quelle presenti in Francia, sotto il dominio di Luigi XIV, sono deputate alla
formazione di uomini del foro e quindi allo svolgimento di attività forensi. Cambiano
le finalità della didattica universitaria, ma non la didattica in sé e per sé considerata.
Anche quella francese, come quella tedesca, è espressione del volere del monarca, il
quale stabilisce tanto le discipline quanto i metodi per insegnarle. Anche questi ultimi
sono sistemici, mentre la novità sostanziale nell’ordinamento didattico è la comparsa
del droit francais (a fianco dello studio del diritto romano) formato da ordinanze regie,
dalle coutumes provinciali e dalla giurisprudenza dei Parlements del regno. In Francia
questo cambiamento viene storicamente ricondotto ad un celebre editto del 1679 con il
quale Luigi XIV decide anche per la nomina regia dei professori universitari.
13
Le università, e gli insegnamenti in essa impartiti, diventano strumenti politici di
preparazione, affiancamento e sostegno delle riforme illuministiche e poi della
codificazione; è quanto accade in Austria, Prussia e negli altri paesi italiani governati
dalla Casa d’Asburgo (i docenti come Carl Anton Martini, titolare della cattedra di
diritto naturale a Vienna nel 1790, presiedono importanti commissioni come quella
deputata alla elaborazione del Codice Civile Austriaco).
14
4. La formazione dell’università moderna nel secolo XIX
Le vicende dell’università italiana e degli altri paesi europei fanno parte di un più
ampio processo di riforma e di cambiamento che l’Europa, tutta, vive nel secolo XIX.
Se il secolo precedente aveva registrato l’avvento dello Stato assoluto, e quindi la
concezione secondo cui lo Stato può e deve occuparsi di tutto, ora nell’Ottocento lo
Stato, scosso dagli eventi rivoluzionari, primo fra tutti la Rivoluzione di Francia del
1789 e poi, sul finire del secolo, quella industriale, si trasforma in un’organizzazione
diversa, profondamente trasformata.
Le strade attraverso cui si realizza la trasformazione sono però differenti
nell’Europa continentale e in quella di ceppo inglese. Nella prima, infatti, lo Stato è
entificato
6
: è una persona giuridica pubblica, presente, agli occhi del popolo, anche nel
più piccolo ufficio periferico o metrico; nella seconda, invece, lo Stato non è una
persona giuridica perché sono tali i suoi organi. La differenza tra i due modelli non è
tanto nella coesione dell’apparato statale quanto nella presenza operativa e nella
percezione dell’azione pubblica.
Nello Stato ente, la funzione, anche quando è svolta da un ufficio decentrato, è
<<dello>> Stato e ad esso è imputata; nello Stato ad organi enti, <<l’autore>> è invece
il Governo, o il Parlamento, o anche lo Scacchiere, l’Ammiragliato, la contea e ad essi
l’azione va riferita. La dicotomia tra i due tipi di Stato non comporta conseguenze di
rilievo sul piano pratico; in entrambi è comunque lo Stato, e la sua amministrazione, a
farla da padrone nel continente europeo, stante l’assenza di qualsiasi altro pubblico
potere di rango proprio.
E’ dunque l’amministrazione statale quella ad avere un ruolo primario, e di fronte
ad essa anche la più accurata delle amministrazioni locali si offusca; in realtà, soltanto
l’amministrazione pubblica ha anche un potere politico, proveniente dall’essere
<<apparato del Governo>>
7
.
6
M. Severo Giannini, Il pubblico potere (Stati e amministrazioni pubbliche), Il Mulino, 1986.
7
M. Severo Giannini, op. cit.
15
Quest’ultimo, d’altra parte, è uno dei traguardi raggiunti con la rivoluzione
francese e con l’affermazione del principio della divisione dei poteri dello Stato; un
principio di organizzazione dello Stato che vede nel legislativo, nell’esecutivo e nel
giudiziario i tre poteri di cui lo Stato stesso si compone e che ne costituiscono le varie
espressioni. Giova notare come nello Stato monoclasse liberale, cioè lo Stato
ottocentesco, l’organo centrale costituzionale è rappresentato non tanto dal
Parlamento, quanto dal Governo, chiamato a svolgere le funzioni “esecutive” ed anche
quelle di rilievo costituzionale, quali lo studio e l’elaborazione dei disegni politici
generali e di settore, la preparazione dei disegni di legge, la redazione degli atti
normativi secondari del Governo, particolarmente importanti in questo periodo (ad
esempio, quelli con cui regolamentare tutta l’organizzazione amministrativa), la
predisposizione dei materiali per i rapporti tra ministri e Parlamento ecc…
Dire che il Governo rappresenta l’organo centrale dello Stato significa dire che la
pubblica amministrazione, di cui lo stesso si serve per ogni sua incombenza, ha in esso
un ruolo di prim’ordine. E lo stesso dicasi per il corpo di professionali
8
, ossia di
burocrati, di cui l’amministrazione è formata. Le competenze richieste per lo
svolgimento appropriato delle molteplici funzioni pubbliche, che, lo si ricorda, vanno
dalla consulenza per il Parlamento e per lo stesso Governo fino all’applicazione delle
leggi nei vari campi, presuppone una preparazione elevata e di tipo “flessibile” data la
mancanza, soprattutto nell’applicazione delle leggi, dell’ausilio della giurisprudenza e
della dottrina.
Il legame che si stringe nel corso del XIX secolo tra l’università e lo Stato lo si
può, a questo punto, meglio comprendere alla luce delle brevi riflessioni svolte circa
l’evoluzione e il consolidamento dell’apparato statale e soprattutto della sua branca
amministrativa. Le università servono allo Stato per la preparazione di quello che è
stato definito come corpo dei professionali, consentono il ricambio del personale
8
M. Severo Giannini, op.cit.
16
amministrativo garantendo la necessaria preparazione dei nuovi allievi e
contribuiscono così, in concreto, al successo dello Stato stesso.
Quel processo di <<nazionalizzazione>> dell’università e della sua
<<funzionalizzazione>> verso la formazione delle classi dirigenti viene portato a
compimento proprio nel secolo XIX
9
.
a) Il sistema universitario francese del “doppio binario”
Le politiche attuate in Europa, soprattutto quelle di Francia e Germania, hanno
fortemente influenzato l’Italia. A tali Paesi bisogna fare riferimento per capire come da
essi l’Italia abbia mutuato modelli e caratteri, adattandoli al contesto nazionale con una
certa elasticità.
La vicenda francese del 1800 inizia con la costituzione napoleonica dell’università
imperiale il 10 maggio 1806.
Per la prima volta, alle università si sostituisce l’università al singolare, intesa
come un sistema unitario, uniforme e governato dal centro. I caratteri di tale sistema,
più precisamente, sono rappresentati dagli insegnamenti, dettati dallo Stato, come pure
i curricula studiorum, dalla durata degli studi e dalle modalità di esame, anch’essi
previsti dallo Stato. Quest’ultimo, oltre all’attività didattica, si occupa integralmente
del personale docente reclutandolo e assegnandolo alle varie sedi, nonché
disciplinandone la carriera. Anche lo status degli studenti è disciplinato dal centro;
infine, l’università vive solo grazie al finanziamento statale.
Tutto questo fa certamente pensare all’università più come a un ufficio periferico
dello Stato piuttosto che a un’istituzione autonoma, ma lo statalismo e il centralismo
del sistema universitario francese è attenuato dal dualismo dell’istruzione superiore;
accanto all’università, vi sono le grandes ecoles, ossia le grandi scuole che anziché
rilasciare un titolo, insegnano un mestiere. Sono scuole nelle quali non si fa ricerca, ma
9
R. Finocchi, Le università, in Trattato di diritto amministrativo, AA.VV. diretto da S. Cassese,
Giuffrè, 2001.
17
soltanto attività didattica, insegnamento, e sono destinate a formare le elites del tempo,
le categorie sociali e professionali più alte esistenti in Francia. Garantendo un posto
prestigioso, è naturale che l’accesso alle grandi scuole fosse limitato ed estremamente
selettivo, contrariamente a quanto previsto per l’università dove l’accesso è invece
aperto a tutti.
Data la compresenza di un doppio binario nell’istruzione superiore, l’università in
Francia non possiede quel ruolo dominante che le è proprio, ad esempio, in Italia o
anche in Germania; la forte concorrenza con le grandi scuole le impedisce di
assicurarsi il monopolio dell’alta istruzione. D’altra parte, la compresenza in Francia di
un doppio percorso educativo è una costante che accompagna lo sviluppo storico,
politico e sociale di questo Paese divenendone la sua peculiarità, il suo tratto
caratteristico, oltrechè l’elemento differenziatore rispetto a quei sistemi, propri di altri
paesi europei, di tipo uniforme
10
.
b) Il modello tedesco di tipo uniforme di Wilhelm Von Homboldt
Tra i paesi europei a sistema uniforme vi è la Germania che, come accennato
poc’anzi, conta su un unico tipo di istituzione superiore che è l’università.
Il modello tedesco dell’ottocento è quello basato e sviluppato sulle idee di Wilhelm
von Humboldt
11
, responsabile del dipartimento dell’istruzione e del culto nel ministero
prussiano dell’interno; non a caso, gli anni cruciali dello sviluppo dell’università
tedesca sono proprio quelli di reggenza da parte di von Humboldt del citato
dipartimento, il 1809-1810 (l’università di Berlino viene istituita nel 1808).
L’università humboldtiana è costituita da una comunità di liberi ricercatori, insegnanti
e allievi che lavorano in solitudine e libertà ( Einsamkeit und Freiheit) alla
10
L’organizzazione binaria dell’istruzione superiore caratterizza ancora la Francia nel secolo
successivo; soltanto con la Legge Savary del 26 gennaio 1984 – della quale si parlerà più diffusamente
nei capitoli successivi – si cerca di superare la frattura università-grandi scuole unificando il servizio
pubblico dell’insegnamento superiore.
11
Sul modello tedesco, lo studio nella traduzione italiana di W. Von Hummoldt è Università e unità,
Napoli, Guida, 1970.
18
elaborazione di una scienza funzionale per sé e per questo non è tanto importante cosa
si insegna, ma che, attraverso lo studio, venga esercitata la memoria, aguzzata
l’intelligenza, disciplinato il giudizio ed educato il sentimento morale
12
.
Stando a tale concezione, l’università appare come un centro educativo dove la
formazione e la ricerca ne rappresentano le funzioni fondamentali; essa non sembra
avere rapporti diretti con lo Stato, anzi, da esso si discosta in nome della propria libertà
e autonomia. A ben vedere, però, è lo stesso Humboldt a ribadire che attraverso la
formazione dei giovani l’università adempie i propri scopi e al tempo stesso assicura
ad essi una guida per le necessità dello Stato; inoltre, è attraverso l’università che si
forma la futura classe dirigente, indispensabile alla sopravvivenza e continuità
dell’apparato statale
13
.
Humboldt concepisce dunque l’università come istituzione che, seppur
indirettamente, realizza le finalità di maggior interesse per lo Stato, tant’è che è proprio
lui, negli anni del suo mandato amministrativo, a stabilire la nomina statale dei
docenti. Se a questo si aggiunge che nel modello tedesco non sono previste altre
istituzioni, oltre quella universitaria, deputate alla ricerca, né scuole speciali, rette da
regole diverse da quelle degli atenei, ecco allora che si possono comprendere le ragioni
per cui l’università è vista come parte dello Stato.
12
W. Von Humboldt, op. cit., come ripresa da S. Cassese in L’università e le istituzioni autonome nello
sviluppo politico dell’Europa, op. cit.
13
W. Von Humboldt, op. cit.