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Automazione e Standardizzazione della produzione multimediale
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rappresentato dal metalinguaggio di Markup HTML (Hyper Text Markup Language),
derivazione del più complesso SGML (Standard Generalized Markup Language), basato su dei
marcatori (TAG) che definiscono il contenuto e la forma della parte di documento che
racchiudono. Questo, unitamente all’introduzione dei protocolli di comunicazione di rete TCP-
IP, rappresentò senza dubbio una delle svolte determinanti nell’evoluzione di Internet verso ciò
che oggi è. Nei suoi primi passi però questa evoluzione mancava ancora di alcune delle
componenti che sono poi risultate determinanti nel far seguire una certa linea evolutiva alla rete:
l’approccio delle masse alla produzione web nella misura odierna e il crescente peso della
complessità delle esigenze di coloro che creavano pagine da pubblicare in rete. Proprio una delle
ragioni per le quali fu studiato e sviluppato HTML, che ancora oggi è una delle poche certezze
del Web, quella di fornire un metalinguaggio facile ed accessibile a tutti, in grado di descrivere i
documenti circolanti su Internet e in grado di renderli accessibili a tutti, fu una delle principali
artefici del web-caos.
HTML fu originariamente pensato come una soluzione facile per visualizzare e
scambiare dati e doveva offrire uno strumento universale per poter facilmente descrivere le
strutture e il formato di ciò che si trasmetteva. L’accrescere frenetico del numero di coloro che si
affacciavano a Internet non solo come utenti, ma anche come autori di ipertesti, evento che ha
visto nel corso degli anni novanta il moltiplicarsi esponenziale del numero di coloro che per
studio, per lavoro o per diletto si rivolgevano con crescente continuità alla Rete, ha fatto sì da un
lato che fossero conseguiti alcuni degli obiettivi originali di coloro che negli uffici di Ginevra
progettarono e svilupparono HTML, ma ha anche sottoposto il metalinguaggio della Rete ad
un’evoluzione frenetica, non sempre rigorosa nel rispettare le specifiche originali. Infatti le
Software House produttrici dei principali Browser e dei principali programmi di accesso e di
utilizzo delle risorse distribuite su Internet, consce della non sempre accurata preparazione di
coloro che si cimentavano con la produzione Web, incominciarono a commercializzare prodotti
tolleranti, capaci di leggere e interpretare anche documenti non ineccepibili da un punto di vista
formale. A patto che non comportassero l’impossibilità di interpretare il documento, vennero
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gradualmente accettate alcune imperfezioni sintattiche, come ad esempio la non chiusura di
alcuni marcatori specifici.
Un altro fattore di incoerenza nell’evoluzione della produzione multimediale orientata
alla Rete fu il crescere delle esigenze produttive, un sistema nato per la trasmissione di dati si
trovò con crescente intensità a dover dialogare con DataBase di immagini, suoni, testo, filmati.
L’eterogeneità e la quantità delle informazioni da visualizzare ha nel tempo distorto l’originale
orientamento metalinguistico di HTML, portandolo verso una maggiore attenzione al come
presentare le informazioni e distogliendo l’attenzione dal tipo di dati o dalla struttura degli stessi.
Inoltre la non espansibilità di HTML ha portato a risolvere le nuove esigenze introducendo nuovi
marcatori, troppo spesso proprietari, che hanno reso gran parte dell’odierno patrimonio della rete
non universalmente interpretabile, ma visualizzabile solo attraverso un determinato browser
capace di accettare parte di questi nuovi marcatori. Questa crescente situazione ha fatto sì che
non si possa più, se non teoricamente, parlare di HTML standard, bensì si debba prendere atto
della coesistenza non sempre pacifica di differenti dialetti HTML, con le ovvie conseguenze che
ne derivano.
Per risolvere il problema della complessità dei contenuti della Rete si è sviluppato nel
corso degli ultimi anni anche un nuovo approccio, che ha a sua volta creato un altra sorta di
Babele. Dover descrivere tipi differenti e specifici di informazioni, definire relazioni complesse
di collegamenti fra documenti, trasmettere informazioni in diversi formati non erano compiti per
i quali HTML era stato pensato, ma le esigenze produttive lo chiamavano sempre più a fornire
soluzioni in questa direzione. Per superare questi problemi, sono state create delle estensioni
dell’HTML, spesso fra loro incompatibili ed anche in questo caso assolutamente proprietarie o,
più raramente, di uso gratuito, ma che comunque obbligano a scelte verso l’una o l’altra
soluzione, impedendo il mantenimento di uno standard assoluto.
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Alla luce di queste considerazioni, e visto il modo in cui la produzione Web si è evoluta,
ci si può rendere facilmente conto di come i limiti di HTML discendano proprio da quelle
caratteristiche che, in fase di studio, furono considerate peculiari, soprattutto perché di queste se
ne è troppo spesso fatto un uso distorto. Non essendo richiesta una strutturazione sintattica rigida
delle informazioni, risulta insufficiente per risolvere e creare applicazioni di elaborazione dei
dati, problema che nel tempo è stato interamente demandato a linguaggi di scripting, ad
applicazioni server-side, all’uso di applet esterne. Inoltre HTML non possiede una struttura
estensibile, limite che lo rende inapplicabile in ambito industriale ad esempio, dove le esigenze
di scambio di informazione sono state risolte studiando standard differenti per ogni diversa
applicazione e demandando nuovamente al software il compito di elaborare i dati per il
trasferimento delle informazioni sul Web. In un panorama tanto eterogeneo diventa inoltre un
problema il controllo della visualizzazione di ciò che si produce. Il modo in cui all’utente
appariranno le informazioni da noi pubblicate, infatti, qualora questi non abbia un dispositivo
video del tipo previsto da chi ha implementato l’informazione (ad esempio utenti che accedono
alla Rete mediante dispositivi per il braille o monitor non grafici), non è controllabile con il solo
HTML.
E’ curioso notare come spesso nella storia di HTML quelli che in fase di studio
apparvero come principi guida della filosofia di questo strumento, si siano poi all’atto pratico
rivelati armi a doppio taglio, che il più delle volte si sono ritorte contro coloro che utilizzano
questo linguaggio. Ad esempio lasciare al browser la decisione di come presentare un
documento fu un’esplicita specifica di progetto, il quale voleva creare proprio un descrittore di
documenti. Il browser doveva conoscere e lasciare impostare all’utente le proprie preferenze, in
base all’ambiente in cui egli opera abitualmente. Il poter decidere come visualizzare un
documento fu pensato proprio per quegli utenti con particolari esigenze, come ad esempio utenti
che non dispongono di un browser grafico, oppure utenti con problemi di vista, o addirittura
utenti non vedenti. Anche in questo caso sono state le case produttrici di browser a non capire la
filosofia di HTML: allo stato attuale delle cose un gran numero di pagine sul Web contengono
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marcatori specifici e proprietari, addirittura vincolati a determinate versioni dello stesso software
di navigazione, con il risultato che per parte dell’utenza di Internet questo materiale risulta
illeggibile.
Per superare questi problemi, in un primo momento, furono inseriti “nuovi” marcatori,
come ad esempio il tag “<FONT>” per specificare il tipo di carattere, per tentare di imporre e
controllare un certo tipo di formattazione della pagina. Gli utenti però, per come è stato ideato il
Web, possono ignorare queste specifiche e utilizzare le loro. Inoltre queste soluzioni offrono
strumenti di formattazione e non di descrizione, caratteristica che per un linguaggio di questo
tipo dovrebbe essere di primaria importanza. Tutte queste componenti in gioco fanno sì che chi
redige le pagine Web non abbia mai la certezza del controllo di cosa poi verrà visualizzato da
coloro che fruiranno della sua produzione. Per ovviare a questa problematica il W3C , resosi
conto che creare una moltitudine di nuovi tag che rispondessero a ogni possibile esigenza di
formattazione non era una strada percorribile, perché troppo complessa ed incoerente con i
principi ed i concetti dell’HTML, introdusse i CSS (Cascading Style Sheet) che, attraverso
norme di stile definite a priori in un documento esterno, permettevano di controllare come
determinati elementi di un documento debbano apparire. Anche questa però risultò presto una
soluzione limitata, poiché con i CSS, dei quali in pochi anni sono state rilasciate diverse
specifiche, l’assortimento di proprietà di formattazione gestibili era limitato, in quanto
predefinito.
Preso atto di queste problematiche crescenti, il W3C, in collaborazione con la Sun
Microsystems ∞, allestì già nel 1996 un nuovo gruppo di lavoro per studiare nuove soluzioni,
l’XML Working Group (originariamente noto come SGML Editorial Review Board).
L’obbiettivo era di creare un nuovo metalinguaggio standard per il Web, semplice come HTML,
ma che implementasse alcune funzionalità dell’illustre genitore SGML, come l’estensibilità , che
permette di definire nuovi marcatori ed attributi, l’organizzazione gerarchica della struttura del
documento in livelli di complessità e la possibilità di descrivere per ogni documento una
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“grammatica” che consenta una validazione non solo formale dei documenti. Questo gruppo di
lavoro aveva inoltre la specifica di limitare le caratteristiche più complesse e meno accessibili di
SGML, creando così un linguaggio molto simile a quest’ultimo per potenzialità e flessibilità, ma
allo stesso tempo di facile accesso ed utilizzo. Il risultato fu la nascita di XML (Extendible
Markup Language), ormai giunto alla sua versione 2.0.
Proprio dalla vasta gamma di possibilità offerte da questa nuova frontiera del Web trae
spunto la mia Tesi di Laurea, che cerca di proporre qualcosa di molto personale, la mia visione,
sotto alcuni punti di vista onirica, della Rete vista come un’entità indipendente, dominata da
standard universali e profondamente strutturata, tanto da poter arrivare a ridurre al minimo gli
sforzi umani per inserire nuovi materiali, nuovo sapere. Una rete insomma attiva, capace di
dialogare con chi si infila tra le sue maglie e di interpretare tutto o quasi ciò che in essa è
presente, riducendo al minimo la presenza ed anche la tolleranza dell’utente verso scomodi plug-
in da scaricare, verso macchine virtuali che troppo spesso bloccano tutto il sistema del client sul
quale operano. Chiunque acceda alla rete dovrà poter reperire tutte le informazioni di cui
necessita con pochi sforzi e soltanto attraverso l’utilizzo di un semplice browser, di qualunque
marca esso sia, e con la sicurezza di non essere spiato, o anche solo con la certezza che, una
volta reperite le informazioni che ha ricercato, non ci sarà nessun altro ostacolo alla loro
visualizzazione, che dovrà avvenire nel modo in cui egli predilige e sceglie.
XML infatti offre la possibilità di semplificare la produzione Web, offrendo la possibilità
di suddividere e distinguere in modo assoluto la redazione dei contenuti dallo studio del formato
migliore in cui presentarli, consentendo così un forte riciclo di stili e di strutture. Inoltre
consente anche a ciascuno di personalizzare il formato e il contenuto dei documenti, ignorando
le specifiche create dall’autore. L’affermazione di una simile possibilità potrebbe far pensare che
cambino i fattori in gioco ma non il risultato ottenuto, viene nuovamente a mancare il controllo
su ciò che l’utente visualizzerà, o meglio su come lo visualizzerà. Ma sarebbe il risultato di
un’analisi superficiale considerare questa possibilità, voluta e offerta da XML, equiparabile a
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quanto precedentemente esposto nell’analisi delle problematiche che evidenziano quelli che per
HTML sono ormai considerati dei limiti. Infatti là si profilava una generale mancanza di
controllo, ora invece ne stiamo portando alla luce una appositamente studiata: con XML
chiunque potrà attingere ad internet in modo “puro”, considerando la Rete come la più grande
base dati del pianeta, se vorrà potrà farlo passivamente, accettando ciò che gli viene proposto nel
modo in cui questo giunge fino a lui, ma se desidererà qualcosa di differente, se sarà in grado,
potrà ottenerlo, perché avrà il potere di manipolare le strutture che controllano le pagine per
organizzare la raccolta del suo sapere nel modo a lui più congeniale, il più vicino ai suoi schemi
mentali ed anche al suo gusto.
Come ciò che ho sopra esposto avvenga sarà argomento dei prossimi capitoli, dove
sviscereremo, o almeno proveremo a farlo, tutte le possibilità offerte da questo strumento, del
quale cercheremo con obiettività di evidenziare pro e contro. Quello che invece mi preme in
questa introduzione è fornire una buona panoramica delle potenzialità offerte da XML e far
comprendere come questo possa integrarsi in un Corso di Laurea DAMS indirizzato ai
Linguaggi Multimediali, così come possa effettivamente essere applicato in un reale progetto
multimediale. Proprio da quest’ultima affermazione trarrei lo spunto per applicare a XML il
concetto di multimedialità. Ormai tale concetto è ben noto ed affermato, qualunque sistema che
integri al suo interno e sia in grado di riprodurre dati di tipo eterogeneo è definibile
multimediale. Internet è da questo punto di vista un enorme deposito di prodotti multimediali,
sebbene da solo non sia in grado di riprodurli. Sulla Rete infatti circolano non solo informazioni
testuali, ma anche immagini, suoni, filmati, la riproduzione dei quali però sarà sempre, salvo
nuove fantascientifiche scoperte nell’ambito dell’informatica neuronale, affidata alla bontà di un
client. Con HTML era e naturalmente è possibile supportare svariati formati multimediali, a
patto che questi siano previsti. Quello che invece non era possibile è gestirne il risultato e
soprattutto espanderne i contenuti. XML invece offre la possibilità non solo di “trasportare” le
informazioni, ma anche di gestirle, di controllarne i formati e le eventuali differenti riproduzioni
su client eterogenei. Inoltre, caratteristica di non poco pregio, l’estensibilità offre anche la
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possibilità di creare una propria multimedialità, gestendo nuovi formati, ed il tutto
semplicemente espandendo il modello degli oggetti del documento (DOM – Document Object
Model), lo schema che costituisce lo scheletro sul quale i contenuti che vogliamo divulgare si
appoggiano, l’insieme delle possibilità sfruttabili nell’utilizzo di questa tecnologia.
Un’altra caratteristica da non sottovalutare è la possibilità di XML di dare uno strumento
di dialogo tra programmi diversi. Essendo uno standard facilmente accessibile infatti, si sta
affermando come l’ASCII del nuovo millennio, uno standard a cui far riferimento e a cui
guardare per rendere le proprie applicazioni aperte verso l’esterno ed in grado di comunicare non
più attraverso costosi e complessi sistemi proprietari, ma mediante un linguaggio universalmente
noto ed accettato.
Tra tutte le novità che XML ha portato sul Web l’estensibilità rimane comunque quella
di maggior peso. E’ un metalinguaggio che permette di generare nuovi linguaggi, plasmati sulle
proprie esigenze, caratteristica che deriva dal genitore SGML, standard internazionale per la
descrizione della struttura e del contenuto di documenti elettronici di qualsiasi tipo, del quale
mantiene tutta la potenza, semplificandolo nelle regole. È possibile scrivere, condividere e
trasmettere documenti facilmente, superando il grosso limite attuale del Web, la dipendenza da
un tipo di documento HTML, singolo e non estensibile. XML permette agli utenti della Rete,
gruppi di persone o organizzazioni, di creare il proprio linguaggio di markup, specifico per il
tipo di informazione che trattano. Esistono già in circolazione in diversi settori linguaggi, creati
dagli esperti del settore, specifici per un determinato contesto, laddove specifici non significa
chiusi ed inaccessibili, ma semplicemente organizzati in modo da semplificare determinate
operazioni. Ad esempio il Channel Definition Format (CDF) e il Mathematical Markup
Language (MML), che rappresentano al contempo strutture specifiche, ma anche insiemi aperti a
tutti, il cui Namespace è facilmente reperibile sul Web, e ulteriormente espandibile.
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L’altro aspetto della mia Tesi tratterà l’innovazione apportata anche nella produzione
Web dalla piattaforma .NET, potentissimo strumento immesso da Microsoft ∞ , la cui potenzialità
è ancora tutta da scoprire e accertare. Sinceramente il motivo per cui, in un primo momento, mi
sono affacciato a questa tecnologia di sviluppo è stato il riscontro presso il gruppo di lavoro del
progetto FAR dell’utilizzo dei vantaggi offerti dal FrameWork .NET, che nello sviluppo del
progetto offre loro la possibilità di ridurre di molto il numero di linee di codice necessario a far
funzionare le applicazioni sul Web. Io ero convinto infatti che per restare fedeli alle impostazioni
e alle specifiche di XML fosse necessario non contaminarlo con alcun linguaggio di
programmazione, poiché in passato la contaminazione di HTML con vari linguaggi di Scripting
fu proprio uno dei motivi per cui si verificò una tale disomogeneità di sviluppo sul Web. XML
invece, nelle mie idee, doveva restare uno standard puro, incontaminato, e che tutte le esigenze
dovessero essere studiate in funzione di questo e ricondotte alle possibilità offerte. In realtà
questa mia valutazione è poi risultata superficiale ed erronea, infatti la realtà è che comunque
XML da solo non è sufficientemente strutturato per soddisfare tutte le esigenze e giungere ad
equiparare i risultati ottenuti dallo sviluppo Web precedente. Originariamente, forse perché
studiato anche da personaggi della Sun Microsystems ∞, XML fu pensato per interagire con Java,
tanto che si definì XML come un linguaggio di markup pilotabile attraverso Java; tale soluzione
offriva sicuramente grossi vantaggi, in quanto come ben noto tale supporto è assolutamente
Cross-platform, a patto che sul client di turno sia presente una Virtual Machine della corretta
versione. Ragionando alla ricerca di solidi standard per il Web questa appariva quindi come la
soluzione più universale, poiché consentiva di creare pagine e risorse visualizzabili
indipendentemente dalla piattaforma client e dal tipo di Server sul quale queste risiedevano.
Purtroppo però, come tutte queste tecnologie, anch’essa presenta dei limiti, che ne minano la
bontà. L’esecuzione di Applet o Script Java infatti è subordinata alla presenza nella macchina su
cui questa avviene della famosa Java Virtual Machine, della quale, a seconda del tipo di
implementazione e delle caratteristiche del linguaggio che vengono usate, ne è richiesta l’una o
l’altra delle molte versioni presenti. Questo di conseguenza rende a volte incompatibili
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applicazioni e PC, limitando proprio quella caratteristica di universalità ricercata. Comunque
bisogna pur ammettere che la combinazione Java e XML resta un valido standard per il Web.
La soluzione adottata dal gruppo di sviluppo del FAR è invece orientata in una diversa
direzione di sviluppo, dove la compatibilità è legata al tipo di Server. Lo sviluppo in ambiente
.NET infatti vincola all’utilizzo di un WebServer con un sistema operativo di marca Microsoft ∞,
sul quale sono installati alcuni moduli e soprattutto il FrameWork .NET. Una simile soluzione
potrebbe apparire non conforme a quegli obbiettivi di universalità tipici di XML, ma offre
vantaggi non indifferenti, che giocano un ruolo determinante nella scelta di quale tecnologia
utilizzare nel momento in cui ci si accinge allo sviluppo di consistenti prodotti Web. Infatti
questa piattaforma consente una produzione voluminosa attraverso la scrittura di relativamente
poche linee di codice. Bisogna inoltre considerare che tale tecnologia vincola solo il tipo di
Server e i requisiti che questo deve avere ma, se ben sviluppata, può offrire una soluzione che
lascia indipendente il tipo di client ed offre un buon controllo sui risultati offerti. In questo
panorama anche XML ha un ruolo determinante, perché offre la possibilità di gestire i contenuti
separatamente dalla forma e consente di gestire dati senza l’utilizzo di costosi e complessi
DataBase. Ciò che a mio avviso resta comunque primario tra le specifiche di sviluppo, almeno
per quanto concerne la mia Tesi, è approfondire il più possibile l’argomento XML per sfruttarne
al massimo le caratteristiche ed intervenire con soluzioni alternative, o meglio complementari,
solamente laddove questa tecnica non risultasse sufficiente agli scopi da raggiungere.
I rapporti e i lavori svolti in collaborazione con il gruppo di lavoro del FAR saranno
comunque oggetto della terza parte della Tesi, nella quale verranno analizzate le fasi di un
progetto e come queste vengano sviluppate. Nella seconda parte della Tesi invece ci occuperemo
dell’aspetto estetico e funzionale del Web, oggetto già di numerosi corsi universitari, ma con un
occhio di riguardo a coloro che di Web non si sono mai occupati. Riprenderemo le teorie
principali che su tale argomento si sono sviluppate negli anni, proveremo ad approfondirle e, se
possibile, a rivederle. Tutto questo con un obbiettivo ben preciso: offrire uno strumento di
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formazione a coloro che si affacciano alla Rete, per imparare a scrivere nei modi e nelle forme
che il Web, per essere fedeli alle sue peculiarità, richiede. L’obbiettivo finale infatti vorrebbe
essere quello di creare uno strumento di lavoro efficace e veloce con il quale ognuno possa
redigere e pubblicare le proprie risorse sul Web nella forma più corretta e con il minimo
controllo di supervisione. La vera ricchezza del Web deve tornare ad essere l’informazione, il
dato, e non la forma in cui questo viene offerto, e tutti dovrebbero essere in grado di condividere
in una forma accessibile il proprio sapere, per arricchire il patrimonio comune, per arricchire il
proprio patrimonio di conoscenza.