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dalla totale distanza delle opere, che pure furono pubblicate a pochi anni
di distanza (la prima, in ordine di menzione, nel 1939, l’altra nel 1934)
ma, paradossalmente, anche dalla molteplicità dei legami tematici. In
L’Afrique fantôme (come in L’Age d’homme), non solo Leiris affronta le
sue ossessioni sentimentali e sessuali, il rapporto problematico con il
passato, il mondo dei sogni e dei ricordi e parla di sé con la massima
sincerità e lucidità, ma tutto ciò si realizza sullo sfondo della più grande
impresa di ricerca sur le terrain mai realizzata finora: la missione
etnografica e linguistica Dakar-Gibuti. Si è quindi sconvolti più che
dall’irregolarità (mi riferisco ancora alle definizioni trovate durante le
ricerche iniziali), dalla complessità e dall’eterogeneità della materia, dalla
molteplicità degli spunti e dalle riflessioni possibili. Un’opera vasta, non
soltanto in termini di pagine (che superano le 500), ma anche da un punto
di vista contenutistico, sia sul piano umano ed esistenziale che
disciplinare; soggettività ed oggettività (così come letteratura e scienza)
appaiono da subito come i principali poli di dispiegamento dell’avventura,
che se ne alternano a fasi alterne la gestione. Non c’è infatti una priorità di
narrazione fra le vicende personali di Leiris e gli eventi che concernono la
ricerca, ma un loro pacifico assommarsi che sfocia quasi
nell’indistinzione; L’Afrique fantôme rivela non soltanto aspetti
prettamente autobiografici, ma andò ad arricchire la documentazione
pubblicata sulla spedizione, unendosi agli articoli specialistici e più
strettamente scientifici e ai rapporti ufficiali redatti da Marcel Griaule,
responsabile e coordinatore della missione. In alcuni casi ne svelò i
retroscena, i particolari ufficiosi, più che ufficiali, operando una
demistificazione dell’approccio tecnicistico. All’origine di certi giudizi
negativi sul testo, ci sono quindi delle motivazioni specifiche, che
concernono la presentazione non preselezionata della materia scientifico-
letteraria da parte dell’autore e che, pur non essendo oggetto privilegiato
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della mia tesi, affronterò in corso d’opera. Voglio tornare invece alla
questione della difficile lettura, per esplicitare il ragionamento che mi ha
condotto a strutturare la tesi in un dato modo. Il lettore, superato il primo
impatto sconvolgente con il testo (dovuto alla constatazione della
bidimensionalità disciplinare ed oggettuale), riesce ad addentrarsi con
fatica nello spirito del racconto, e comunque non perviene a ricondurre
l’opera sotto una sfera di “normalità” per via della sua intensità e vastità
concettuale. Per questo, operando una forzatura alla naturale indistinzione
delle componenti dell’opera citata precedentemente, ho individuato tre
possibili chiavi di lettura del racconto di viaggio in questione;
l’allontanamento volontario (ciò che chiameremo spaesamento) dal
proprio supporto esistenziale è votato alla ricerca, al rifiuto del già detto e
del predefinito. Qual è quindi l’oggetto della ricerca? Leiris cerca se stesso
(1), vuole conoscere la diversità (2) ed esperire del sacro (3); questi sono
secondo me i principali moventi, non solo del viaggio, ma anche della sua
decisione di strutturarlo (e come vedremo “destrutturarlo”) in un racconto.
Tale “trilogia della ricerca” non vuole di certo esaurire la complessità e la
molteplicità di significati ravvisabili in L’Afrique fantôme, ma
semplicemente ricostruirne dei possibili percorsi di interpretazione, così
come questi si sono presentati nel corso della mia analisi. Pur essendo
l’approccio alla materia prettamente letterario, è stato necessario ampliare
lo sguardo al settore antropologico (e alle discipline ad esso connesse
quali etnologia, etnografia e sociologia), non soltanto perché attinente alla
mia formazione, ma perché l’argomento stesso lo richiedeva.
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INTRODUZIONE
L’Afrique fantôme, pubblicata per la prima volta nel 1934, cinque anni
prima di L’Age d’Homme, è da sempre stata ritenuta un’opera di minor
importanza nell’ambito della produzione letteraria di Michel Leiris,
probabilmente per via della sua natura ibrida, « à double entrée » (come
dirà l’autore nella prefazione dell’edizione del 1981), poiché è
simultaneamente cronaca giornalistica a carattere scientifico e diario
intimo. Intento e ambizione dell’opera è quello di annotare giorno per
giorno il vissuto oggettivo e soggettivo del viaggio compiuto dalla
Missione Dakar-Gibuti tra il 19 maggio 1931 e il 16 febbraio 1933, a cui
Leiris partecipò in qualità di segretario-archivista per volere di Marcel
Griaule. Al momento della partenza Leiris è poco più che trentenne, si è
da poco allontanato dalla cerchia dei surrealisti, è in cura presso lo
psicanalista Adrien Borel e ha un’insopprimibile bisogno di evadere : il
viaggio, l’allontanamento dall’ambiente borghese parigino, gli offrono la
possibilità di trovare nuove strade di relazione con il proprio io più
profondo e simultaneamente con l’alterità attraverso un coinvolgimento
totale, sia intellettuale che emotivo con gli intenti della spedizione. Leiris
si rende conto ben presto dell’impossibilità concreta di fuggire dai suoi
fantasmi ma il viaggio in Africa non sarà una disfatta assoluta; al
contrario, rappresenterà l’inizio della scoperta del paese più misterioso e
impenetrabile, quello dell’interiorità, ma anche la possibilità di avvicinarsi
ad un diverso modo di essere uomini. Solo dopo questa affascinante
esperienza Leiris sarà considerato un vero scrittore. All’interno della
produzione di Michel Leiris, L’Afrique fantôme rappresenta infatti un testo
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chiave, ciò che Geldof Koenraad definisce come “plaque tournante”
1
; se
prima della spedizione Leiris era noto soprattutto per la sua militanza nella
avanguardie e per la scrittura di testi (Leiris ha un rapporto problematico
con la narrazione) basati su abili giochi di parole, dopo la pubblicazione di
L’Afrique fantôme (che risulta pertanto un’opera iniziatica), la sua carriera
si dirama in due diversi percorsi : l’avvio della carriera letteraria; con
L’Age d’homme si inaugura infatti un lungo progetto autobiografico che
troverà però maggiore maturità nella tetralogia di La Règle du jeu, ove
scrittura e autobiografia si pongono per la prima volta in rapporto
problematico; in secondo luogo il lavoro da etnologo, poiché al suo
ritorno, dopo aver ultimato gli studi (ottiene la laurea in lettere con
indirizzo etnologico all’età di 35 anni), cura delle pubblicazioni a carattere
strettamente etnologico quale Croyance aux génies zar en Ethiopie du
Nord (1938), La Langue secrète des Dogons à Sanga (1948), Race et
civilisation (1950), Contacts de civilisation en Martinique et en
Guadeloupe (1955)e La Possession et ses aspects théâtraux chez les
Ethiopiens de Gondar (1958), in buona parte frutto delle ricerche
affrontate in Africa Occidentale, e inizia una lunga collaborazione con il
Musée de l’Homme. Lo studio sui riti di possessione « zar » a Gondar
(Etiopia del Nord), che sarà uno dei momenti culminanti dell’opera (anche
per via dell’incontro platonico con « la princesse au pur visage de cire »
Emawayish) avvicinano Leiris al senso del sacro, quale estremizzazione
dell’incontro con la diversità; la constatazione dell’ineliminabile distanza
con l’Altro, sarà un tramite verso un modo tutto personale e soggettivo di
vivere il misticismo. L’esperienza del sacro e il rapporto problematico con
l’alterità danno ragione dell’inestricabile legame esistente fra
autobiografia ed etnologia che, è costante in tutta la produzione leirisiana,
1
- Geldof Koenraad, Entre exorcisme et possession : Littérature, ethnologie et autobiographie dans l’Afrique fantôme
de Michel Leiris, in « Romanistishe Zeitschrift für Literaturgeschichte » / « Cahiers d’Histoire des Littératures
Romanes », Vol.23, n.1-2, 1999, p. 148.
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ma è addirittura fondamentale in L’Afrique fantôme. La decisione di
soffermarmi principalmente su L’Afrique fantôme nello studio
dell’autobiografia leirisiana, può dare l’impressione di sostare in piena
crisi esistenziale e conoscitiva dell’autore, senza vedere all’orizzonte
alcuna possibilità di immediata risoluzione. Il motivo della mia scelta è da
ricercarsi in primo luogo in una semplice considerazione a carattere
logico, ovvero partire dall’inizio, avviare la ricostruzione di un cammino
letterario e scientifico partendo dall’incipit, e porlo in relazione dinamica
con tutti gli aspetti particolari che riguardano un’opera così complessa. Il
mio lavoro di tesi, appurato il valore nodale dell’opera che ne è oggetto,
vuole testarne l’effettivo rilievo autobiografico (con un sotterraneo
desiderio di riabilitazione) e cerca, in maniera non secondaria, di spiegare
come Leiris sia riuscito ad affermare il valore della soggettività all’interno
degli studi scientifici che quindi per definizione si confrontano solo col
loro oggetto. Tenendo conto che il viaggio è principalmente bisogno di
“modificazione del pre-esistente” e quindi “ricerca di qualcosa”, la mia
analisi muove dalle principali chiavi di lettura applicabili ad un’opera
apparentemente inclassificabile e inqualificabile: quête de soi, quête de
l’autre e quête mystique (che sono a loro volta componenti di una quête
littéraire e scientifique) e fa grande riferimento agli studi di due grandi
pensatori quali Philippe Lejeune, per l’ambito più prettamente letterario e
autobiografico, e Jean Jamin, per il settore etnologico ed etnografico.
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L’interdipendenza di questi tre momenti comunicativi è data dal fatto di
essere in realtà degli ideali prolungamenti di una complessa situazione
psichica e, per questo, è spesso difficile operare un’analisi settoriale che
però qui si rende necessaria per motivi di studio. L’Afrique fantôme fu un
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Philippe Lejeune è membro dell’Institut universitaire de France e ha insegnato presso l’università di Paris-Nord.
L’interesse per il genere autobiografico, che si rivela in opere che rappresentano un punto di riferimento imprescindibile
nello studio del genere ( Le pacte autobiographique e Signes de vie, Le pacte autobiographique 2), l’ha condotto a
divenire cofondatore de l’Association pour l’autobiographie.
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testo motivo di scandalo: fu all’origine di dissapori tra Leiris e Griaule (la
dedica “All’amico Griaule” della prima edizione scomparve poi nelle
successive) poiché ritenuta un vero e proprio “sabotaggio al buon nome
della spedizione” per via di contenuti ritenuti scomodi. Ne fu vietata la
pubblicazione sotto il governo di Vichy ma, dopo un iter editoriale un po’
anomalo, divenne nonostante tutto un’opera simbolo di un nuovo modo di
fare etnografia e letteratura. Questo perché Leiris ha rivoluzionato il
mondo della comunicazione che, prima di dar voce agli scrittori o agli
scienziati, si realizza sostanzialmente fra uomini. Penso inoltre che la
relativa scarsità di studi specifici su L’Afrique fantôme e in particolar
modo sulla sua “letterarietà” sia un’ulteriore motivazione (e direi anche
legittimazione) ad affrontare un lavoro di questa portata.