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INTRODUZIONE 
 
 
 
«Alto circa un metro e ottanta, biondo, magro, Milloss aveva braccia e gambe dalle 
ossa lunghe e sottili. Sul volto dalla fronte spaziosa, vegliavano grandi e penetranti 
occhi azzurri dalle linee allungate, quasi a mandorla, segno  di  una  lontana 
ascendenza asiatica che talora affiora nella fisionomia degli ungheresi. Sempre 
intenso, imperioso era lo sguardo, capace di accendersi del fuoco di una vitalità 
trascinante, indemoniata, ma anche di arretrare in un’interiorità  misticamente 
esaltata, o misteriosamente arcana. Il ventiduenne Milloss già rivelava, nel suo pri- 
mo recital importante, quelli che sarebbero stati i registri espressivi a lui più 
congeniali: il demoniaco, il grottesco, l’estatico, danze di scatenamento ritmico  e 
danze di energia minacciosamente compressa, o sublimata in uno slancio ascetico.»
1
 
 
Aurel Milloss, di origine ungherese naturalizzato italiano, oltre che coreografo e 
danzatore di grande espressività e potere suggestivo, fu soprattutto un uomo di cultura, 
dai molteplici interessi umanistici e artistici, che lo condussero verso studi universitari 
filosofici, di musica, di arte drammatica, oltre naturalmente alla danza, e tutto ciò in un 
periodo politicamente molto complesso sotto il profilo della temperie culturale. 
Citando le parole di Roman Vlad «Un intellettuale nel senso più nobile e più alto del 
termine. E’ vero che la sua formazione di base era di tipo espressionistico, ma da quando 
lo conobbi si mostrò largamente aperto a tutte le esperienze estetiche, salvo a ricondurle 
immancabilmente a quello che era il fulcro della sua vita: la danza concepita come 
sublimazione dell’esperienza umana.»
2
 
Oggi, mentre ricorre il centenario della sua nascita, ci si può  interrogare sul se e sul  
come l’operato di questo artista abbia influenzato la danza d’arte nel paese in cui ha 
operato per oltre quarant’anni e che ha scelto come patria d’adozione: l’Italia. 
Aurel Milloss perseguì per tutta la vita un unico scopo: l’elevazione della danza a mezzo 
comunicativo  atto ad esprimere più che le azioni, l’interiorità umana, facendo  emergere  
la   complessità   della   natura  dell’uomo.   Attraverso  un  lungo   processo  di  riflessione 
 
 
 
1 
PATRIZIA VEROLI, Milloss. Un maestro della coreografia tra espressionismo e classicità, Lucca,  
LIM, 1996,  p. 94 
2  
Ibidem, p. 8.
4 
 
 
 
 
estetica e filosofica Milloss è pervenuto ad un suo linguaggio  proprio,  che  è 
sublimazione della danza, sintesi dei linguaggi, arte totale. 
Qual è stato il processo che l’ha condotto verso l’elaborazione di questo suo personale 
linguaggio, cosa è chi l’ha influenzato, come si è evoluto, cosa  ha  significato  nel  
contesto storico-sociale della danza italiana, e, infine,  quale  può  essere  oggi il  senso 
della sua eredità culturale?
3
 
La sua poetica affonda le radici non solo nella passione che gli faceva vivere quest’arte 
come una vera vocazione, quasi con religioso fervore, ma soprattutto nella temperie 
culturale dei primi anni ‘20 del Novecento dei quali accolse temi e valori, e che si 
sommarono alla sua formazione, dagli studi liceali classici, a quelli musicali in 
conservatorio, per giungere infine alle lezioni con i più grandi maestri di danza 
accademica e contemporaneamente con il fondatore della danza libera: Rudolf Laban. 
Tutto questo lo aveva condotto a considerare la danza come un fenomeno strettamente 
connesso al contesto storico-sociale, e come un’arte da elevare allo  stesso  livello 
artistico  delle  altre arti. Proprio per questo tipo     di formazione, come afferma lo  stesso 
Vlad, Aurel Milloss «era sensibilissimo ad ogni nesso che poteva essere rintracciato tra 
l’arte coreutica e le arti figurative, la letteratura e soprattutto la  musica.»
4
 
E’ lo stesso Vlad ad interrogarsi su cosa avrebbe prodotto un apprendistato come il suo, 
senza un indirizzo didattico preciso, «saltabeccando da un insegnante all’altro di anno in 
anno, anzi di giorno in giorno, anzi lo stesso giorno, e poi da un Laban a un Cecchetti, e 
dal latino al pianoforte, e da una capatina nella filosofia dell’intuizione al Bauhaus, e da 
Bucarest a Berlino e da Bòrlin a Petipa?». Ne è venuto fuori un coreografo  e  un 
ballerino nel quale, senza voler qui giudicare il suo valore artistico, bisogna riconoscere 
una facoltà di assimilazione fulminea, e un interesse insaziabile  per  gli  aspetti  più 
diversi  della  cultura  e  dell’arte  in  genere,  che  hanno  prodotto  «un  organizzatore   e 
animatore d’arte e di cultura eccezionalmente aperto, poliedrico, spregiudicato.»
5
 
Ribadendo che non vuole essere questa la sede per esprimere una valutazione positiva o 
negativa  delle  sue doti di coreografo  e ballerino,  bisogna  però  riconoscere che è   stato 
3 
STEFANO TOMASSINI, La coreosofia al potere: danza come pensiero e cultura, a 100 anni dalla 
nascita di Aurel M. Milloss, scritto critico per la rivista «Danza&Danza», in prossima uscita, su gentile 
concessione dell’autore. 
4  
VEROLI, Milloss, cit., p. 8. 
5 
AURELIO M. MILLOSS, 35 anni di balletto al Maggio Musicale Fiorentino, Firenze, Istituto degli 
Innocenti, Salone Brunelleschiano, 14 maggio – 7 giugno 1987, catalogo della mostra omonima, a cura di 
Moreno Bucci e Caterina D’Amico de Carvalho, Fedele D’Amico, p. 12.
5 
 
 
 
 
«l’anima e il motore della ripresa della danza in Italia» (M. Mila “L’Espresso” 31 marzo 
1957)
6
. Milloss elaborò il suo personalissimo gusto all’interno di  quel  fenomeno 
culturale e sociale che caratterizzò la diffusione della  danza libera in Germania,  e lo  
portò in Italia dove continuò a maturarlo, scegliendo di vivere in un paese che da un lato 
rappresentava storicamente la patria della cultura classica e quindi della  grande storia  
della danza accademica, ma che dall’altro versava in una situazione  di  stallo,  in  cui 
ormai «si poteva parlare a stento  di tradizione ballettistica  italiana  […]  i teatri   d’opera 
mettevano in scena raramente dei balletti e sempre a conclusione di una serata d’opera, e 
nessun teatro disponeva di un repertorio degno di questo nome.»
7
 
Fu così che nel 1937 Milloss approdò nel Teatro italiano, nel quale questa profonda crisi 
durava ormai da anni, soprattutto nel campo della danza. In un quarantennio circa 
l’attivissimo Aurel Milloss è stato «pontifex maximus della situazione italiana»; il solo in 
quel momento, nel nostro paese, che, culturalmente preparato, abbia  fatto  capire  che 
cosa sia un teatro di danza, dandogli nuovo slancio e talvolta  precorrendo  i  tempi. 
Milloss ha fatto per primo ciò che altri solo dopo hanno cominciato a fare, almeno  in  
Italia: ha cioè studiato alla scuola accademica (da Guerra attraverso Cecchetti sino a 
Gsovskij) e a quella libera moderna (Laban); dal suo eclettismo scolastico-tecnico è 
pervenuto al raggiungimento di una fisionomia propria, con una coerenza stilistica  sia 
sotto  il   profilo  del  contenuto  poetico,  sia   sotto  quello  dell’espressione   formale   e 
strutturale.
8
 
E’ doveroso sottolineare che ci si riferisce qui al contesto particolare dell’Italia, perché 
nel Centro Europa quello di Milloss non rappresenta assolutamente un caso isolato. 
Laban, primo fra tutti, aveva studiato la danza accademica prima di pervenire alla  
scoperta della nuova danza, la danza libera; e così molti suoi allievi, fra cui Kurt Jooss, i 
quali se pur per strade diverse, pervennero ad una sintesi delle due tecniche. 
In Italia invece è Milloss il promotore delle nuove correnti, colui che ha fatto conoscere i 
principi della danza libera innestandoli sulla tecnica accademica, incontrando, in questo 
modo, anche il favore di un pubblico fin troppo ancorato alle tradizioni, che non sarebbe 
stato   sufficientemente  preparato   e  aperto   ad  accogliere  in   maniera  pura  le nuove 
 
 
6 
Citato in CATERINA D'AMICO DE CARVALHO, Le stagioni romane di Aurelio Milloss, «La Danza 
Italiana», n. 4, primav. 1986, p.  105 
7  
Ibidem, p. 87 
8  
ALBERTO TESTA, Storia della danza e del balletto, Roma, Gremese Editore, 2005
6 
 
 
 
 
esperienze e la rivoluzione della danza mitteleuropea. 
I risultati del lavoro condotto da Milloss in Italia sono molteplici: solisti e corpi di ballo 
hanno fatto un salto di qualità radicale, lo standard che si richiede è ormai quello che 
Milloss ha proposto e talvolta raggiunto; ha fornito un esempio della cultura cui devono 
aspirare sia il ballerino che il coreografo, prima ancora di possedere la tecnica; ha  
sollevato il balletto da una posizione di sudditanza rispetto all’opera lirica, conferendogli 
autonomia e dignità; ha rinnovato nel pubblico l’amore per la danza accademica, 
vivificata dall’esperienza e dai nuovi slanci espressivi della danza libera; ha promosso la 
collaborazione creativa delle arti per una strutturazione completa ed essenziale del  
balletto teatrale in ogni sua componente
9
, circondandosi per primo dei più    famosi pittori 
e musicisti delle avanguardie del ‘900; ha promosso la conoscenza delle sperimentazioni 
coreografiche in evoluzione all’estero; ha dato autonomia al lavoro di coreografo, e ha 
conferito prestigio e autorità alla professione del critico di danza. Sostiene Caterina 
D’Amico:  «Se oggi in  Italia  si pensa che la  danza appartiene al mondo  della  cultura   e 
dell’arte, questo si deve a Milloss»
10
. 
Ma allora perché è rimasto in realtà ben poco delle creazioni di Milloss nel repertorio dei 
teatri e delle compagnie di danza? E perché sembra che la storia lo abbia «in gran parte 
costretto alla meno utile delle penitenze: l’oblio»?
11
 
Laban, Wigman, Jooss, capisaldi di quella danza libera che si è evoluta fino al Tanz 
Theater, sono ampiamente riconosciuti per il ruolo ricoperto nell’evoluzione della danza 
moderna. 
Milloss ha assimilato  e fatti propri i principi e i temi appresi da Laban e più in generale  
dal contesto della danza espressionista, li ha poi trapiantati nella tradizione del balletto 
classico ed è pervenuto ad una sintesi dei linguaggi artistici (in accordo anche con la 
lezione appresa da Djagilev). Non ha però lasciato una propria scuola, non ha “allevato” 
dei suoi successori, non si è occupato di fissare e tramandare la sua impronta. Volendo 
indagare le possibili cause si deve tener presente che il coreografo, come l’amico Roman 
Vlad, intendeva difendere e diffondere l’arte moderna al di sopra di ogni steccato 
ideologico  o  nazionale,   contro  ogni tipo  di limitazione  derivante  dai regimi  totalitari, 
 
 
9  
Cfr. LEONETTA BENTIVOGLIO, La danza contemporanea, Longanesi, Milano, 1985, p.  234 
10 
CATERINA D'AMICO DE CARVALHO, Le stagioni romane di Aurelio Milloss, «La Danza Italiana», 
n. 4, primav. 1986, cit., p.  108 
11  
TOMASSINI, La coreosofia al potere, cit.
7 
 
 
 
 
contro ogni forma di politicizzazione dell’arte. Milloss si adoperò per essere, in Italia, il 
propugnatore di un nuovo linguaggio coreutico  e  l’iniziatore  di un processo  evolutivo 
che puntasse a raggiungere una tecnica unificata, sintesi di una pluralità di chiavi 
stilistiche; ma, come lui stesso ebbe modo di affermare nel 1981, questo è un processo 
ancora  in  essere,  non è giunto  ad un risultato  concreto, preciso, codificato: «E’  chiaro 
che questa tecnica unificata (che io chiamerei sintetica, o meglio universalistica) non  
potrà essere elaborata che solo in base a lunghissime sperimentazioni pratiche.»
12
 
Quindi, a tutt’oggi, si può forse trascurarne la memoria in quanto  non ha formalizzato  
una sua tecnica, in quanto non è stato il fondatore di una scuola o di un metodo, in  
quanto potrebbe non essere considerato un coreografo o un ballerino eccelso, ma non si 
può dimenticare il contributo alla  sperimentazione  che la  sua personale chiave stilistica 
ha saputo dare alla danza d’arte nel nostro paese. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
12 
AUREL M. MILLOSS, Sull’evoluzione storica del balletto in Italia (1981), in Coreosofia, scritti sulla 
danza, a cura di Stefano Tommassini, Leo Olschki Editore, Firenze 2002, p.  197