Introduzione
Negli ultimi centocinquanta anni si è assistito ad un fenomeno che ancora oggi è in
continua evoluzione: l'arte e la tecnologia si contaminano continuamente fino a fondersi e
creare qualcosa di nuovo. Il problema della creatività dell’agire non è nuovo in sociologia:
basti pensare al concetto di effervescenza utilizzato da Durkheim per descrivere
determinati fenomeni di cambiamento del comportamento religioso collettivo; al carattere
di rottura di continuità proprio del potere carismatico rispetto a quello tradizionale, in
Weber; e alla riflessione di Simmel sulla carica innovativa dell’arte
1
. Il concetto di
creatività non è tuttavia di facile definizione e ad esso hanno dedicato la loro attenzione,
oltre alla sociologia, la psicoanalisi, la psicologia cognitivista e la psicologia sociale. Gli
studi recenti sulla creatività sembrano svilupparsi soprattutto lungo due linee direttive: da
un lato, vengono analizzate le modalità cognitive di funzionamento della mente e si tende
a cogliere la creatività in termini di efficacia e di efficienza, ovvero come capacità di
risolvere problemi; dall’altro, si sottolineano le condizioni sociali e relazionali che
favoriscono la creatività. Tre sono principalmente i livelli di indagine che, a questo
riguardo, possono essere presi in considerazione: “quello dei soggetti, definiti socialmente
creativi; quello delle relazioni o dei contesti, entro cui le esperienze considerate creative
avvengono; quello dei discorsi dei diversi attori coinvolti”
2
. L’organizzazione sociale del
sistema simbolico, all’interno della quale operano le istituzioni che presiedono alla
produzione culturale, può presentare condizioni di maggiore o minore favore per lo
sviluppo della creatività, a seconda delle risorse disponibili, sia materiali che intellettuali,
e a seconda delle forme culturali, che possono essere più o meno aperte all’innovazione.
Si pensi alle suggestioni di Marshall McLuhan intorno alla figura dell’artista, ovvero
l’unica persona che non sembra essere “intorpidito” dalla tecnologia, ma che sembra
essere consapevole dell’adattamento dei diversi fattori della vita individuale e sociale alle
sue nuove estensioni
3
. L’Autore aveva individuato le tre ere della storia umana ovvero
l’era tribale, caratterizzata dal mondo caldo dell’orecchio, quest’era pone l’accento sulla
parola orale, carica di sentimenti, emozioni e viva per colui che la riceve; “l’uomo
tribale”, non letterato, vive in uno stato di intensa accentuazione dell’organizzazione
uditiva di tutta l’esperienza: sente la parola come forza viva e ne esalta il suo potere
magico. E’ fortemente coinvolto nella vita della società a cui appartiene; caratterizzata da
1 Cfr. Crespi, F., Manuale di sociologia della cultura, Editore Laterza, Roma-Bari 1998.
2 Cfr. Crespi, F., Manuale di sociologia della cultura, Editore Laterza, Roma-Bari 1998, p. 251,
3 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967,
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uno spirito scientifico e analitico, l’era meccanica è, con l’invenzione dei caratteri a
stampa, l’era che maggiormente sintetizza l’estensione dell’occhio. La persona “subisce”
una trasformazione radicale e passa dal mondo caldo dell’orecchio al mondo freddo e
neutro dell’occhio. La parola diviene un semplice significato mentale spesso mancante di
un destinatario preciso. “L’uomo dell’era meccanica” non partecipa all’intero processo
sociale, ma soltanto ad un passaggio. Le tecnologie specialistiche dell’era meccanica de-
tribalizzano; e, la terza era, l’era elettrica caratterizzata da un ritorno allo spirito ed alle
dinamiche sociali di tipo tribale, seppur su scala planetaria, tale era sintetizza l’estensione
di tutti i sensi, in una sinestesia totale individuabile nel senso del tatto. La tecnologia
elettrica non specialistica ri-tribalizza. “L’uomo elettrico” si ritrova a vivere in un unico
spazio che risuona di tamburi tribali: il villaggio globale
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. Da tale vertice si comprende
come la persona sia anche il risultato delle sue produzioni tecniche, non solo nella vita
quotidiana, ma anche nei processi culturali e, ovviamente, nell’arte. Walter Benjamin
affrontò la questione della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, evidenziandone i fattori
positivi e negativi. Il Nostro sosteneva che da sempre l'arte è soggetta alla riproducibilità,
“una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta da uomini […] La
riproduzione tecnica dell'opera d'arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella
storia ad intermittenza, ad ondate spesso lontane l'una dall'altra, e tuttavia con una
crescente intensità
”5
.
La tecnologia è in grado di riprodurre l'opera d'arte in un numero di esemplari che
rasenta l'infinito, privando la stessa della sua “Aura” del suo “hic et nunc”
6
, ma anche
rendendola fruibile a tutti, senza distinzioni di classe o levatura sociale. Benjamin
constatava gli effetti negativi sull’esperienza elementare degli uomini che è prodotta dalla
società di massa, di cui la riproducibilità tecnica, anche degli artefatti culturali e artistici, è
l’aspetto prevalente, ma non si limita a questi, come farà Adorno
7
. La perdita dell'aura,
sostiene invece Benjamin, comincia con la fotografia quando dal ritratto si passa all'opera
di Eugéne Atget: le strade parigine vuote, impersonali, non trasmettono più sentimenti od
emozioni che erano tipiche della foto ritratto; evolvendosi, questo tipo di fotografia è
entrata a far parte dei giornali illustrati e sempre seguita da una didascalia che indica al
fruitore una sola via di interpretazione. Tutto ciò, sempre in continua evoluzione, porta al
cinema dove ogni singolo frame è vincolato e, inevitabilmente, decriptato dai “frame”
4 Ibidem.
5 W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi Torino, 1966, p. 20
6 W. Benjamin, op. cit., p. 22.
7 T.W. Adorno, M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1966.
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precedenti. Ma questa perdita dell'aura è completamente negativa ? Non è forse vero che
l'opera d'arte, nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, ha raggiunto un livello di
esposizione mai immaginato prima d'ora ? Ancor più, gli artisti hanno creato qualcosa di
nuovo o si sono appiattiti sfornando mere imitazioni di opere d'arte del passato ? Non si
può dare una risposta univoca a queste domande. È vero che si è perso qualcosa, ma
altrettanto vero è che qualcosa di nuovo si è formato; possiamo chiamarla arte universale
di cui tutti possono essere spettatori e parte integrante della stessa (si pensi alle comparse
nel cinema o agli spettatori di un happening interattivo). Molti artisti hanno sfruttato le
potenzialità della tecnologia per riprodurre le loro opere d'arte, si pensi alla “Pop art” di
Andy Warhol e alle sue “Campbell's Tomato Soup” o alle infinite riproduzioni di Marilyn
Monroe e autoritratti. Questa problematica investe ogni tipo di arte, da quella figurativa
alla letteratura, alla musica ed è proprio la musica che tenterò di osservare per
comprenderne meglio gli sviluppi, le contaminazioni e l'attuale crisi di creatività.
Cosa è la musica ? La musica (dal sostantivo greco μουσική) è l'arte e la scienza
dell'organizzazione dei suoni nel corso del tempo e nello spazio. Si tratta di arte in quanto
complesso di norme pratiche atte a conseguire determinati effetti sonori, che riescono ad
esprimere l'interiorità dell'individuo che produce la musica e dell'ascoltatore; si tratta di
scienza in quanto governata da leggi matematiche. Etimologicamente il termine musica
deriva dall'aggettivo greco μουσικός/mousikos, relativo alle Muse, figure della mitologia
greca e romana, riferito in modo sottinteso a tecnica, anch'esso derivante dal greco
τέχνη/techne. In origine il termine non indicava una particolare arte, bensì tutte le arti delle
Muse e si riferiva a qualcosa di perfetto.
Come per le arti visive descritte da Benjamin, la musica è soggetta alla stessa
riproducibilità tecnica, forse in misura ancor maggiore. L'aura mistica che contornava la
musica suonata alle corti dei castelli svanisce con lo scorrere del tempo; il benedettino
Guido Monaco (più noto come Guido d'Arezzo) intorno all'anno Mille "inventò" un codice
per il riconoscimento delle note e la loro scrittura dando modo di riprodurre quasi alla
perfezione la musica suonata, il pentagramma, come noi lo conosciamo, fu ultimato da
Ugolino da Orvieto intorno al 1400. Ancora si parla di opere umane riprodotte da umani,
ma avvicinandoci ai nostri giorni troviamo un invenzione che di lì a breve avrebbe
rivoluzionato il mondo. 1860, Edouard-Lèon Scott de Martinville era riuscito a registrare
una voce umana su un foglio di carta annerito, pochi anni dopo Thomas Alva Edison
inventò il fonografo e spianò così la strada alla registrazione musicale. A cavallo tra il
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1800 e il 1900 si assiste all'immissione nel commercio dei primi cilindri e dei primi dischi
registrati. La tecnologia cominciò così a ripetere ciò che fino a pochi anni prima solo altri
uomini erano in grado di riprodurre; l'hic et nunc tanto caro a Benjamin sembra lasciare il
passo ad una sovraesposizione del prodotto-musica fin troppo facilmente raggiungibile da
chiunque, volente o nolente, ma siamo sicuri che questa teoria sia completamente esatta?
O forse potremmo parlare di due tipi di arte: l'una riprodotta meccanicamente l'altra viva e
vibrante, che ancora emoziona colui che si trova ad osservarla nel suo hic et nunc ?
“Observe, taste, create...”
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. Sono queste le parole che mi hanno portato a riflettere sulla
"creazione" di un'opera artistica, in particolar modo di Musica.
« Senza la musica, la vita sarebbe un errore »
(Friedrich Nietzsche)
8 Tratto da “Hypotetical end” prima traccia dell' album “Under the sing of cancer” dei Light silent death, The
unlimited records, 2011)
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Capitolo I
La lezione di Paganini.
1.1 L'evoluzione della fonografia
Percussiva, cantata, suonata con strumenti rudimentali, teorizzata, codificata, abbellita,
miticizzata, politicizzata, amplificata, sintetizzata e distorta, la musica ha accompagnato
l’individuo dalla sua comparsa sulla terra fino ad oggi e con buona probabilità lo
accompagnerà fino alla sua estinzione e forse potrà anche sopravvivergli. Come abbiamo
già osservato la prima grande evoluzione è avvenuta nell'arco di circa quattrocento anni di
storia, ma nell'ultimo secolo il suo sviluppo ha avuto un' accelerazione inimmaginabile.
L'invenzione del fonografo (1877), generò subito uno sciame di reazioni degne di un
evento storico rivoluzionario; osteggiata da alcuni e osannata da altri, spalancò le porte a
nuove sperimentazioni sonore ottenibili attraverso la manipolazione dei rumori quotidiani.
“Il pittore e musicista futurista Luigi Russolo, autore del manifesto “L’arte del rumore”
(1913), ne rimase affascinato e vide nel nuovo potere delle macchine e nelle loro spigolose
sonorità, una neonata cultura musicale industriale […] Da qui in poi, tutta una progenie di
compositori, tra i quali Erik Satie, Edgar Varèse, fino ad arrivare alla scuola francese della
musique concrète e oltre, si preoccupò, grazie alla tecnologia di registrazione, di
espandere la propria paletta sonora ai ruvidi suoni quotidiani, manifestando in realtà, nel
proprio subconscio, la volontà di riordinare i rumori in suono”
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. La vera rivoluzione, però,
investe la sfera intima dell'ascoltatore. L’Autore infatti rimuove tutti i vincoli a cui era
legata l'arte del suono prima d'ora, facendola diventare parte integrante della sua vita.
V olente o nolente l'Uomo comincia così ad ascoltare musica in ogni momento e in ogni
luogo, per strada, sul posto di lavoro, nei caffè o comodamente seduto sulla poltrona di
casa. Ma vediamo in breve come si è sviluppato il mercato fonografico.
1.2 Radiofonia
Nei primi anni del 1900 assistiamo ad un'altra svolta epocale nella storia della musica.
Grazie all'elettricità e alle nuove scoperte scientifiche diventò possibile trasmettere segnali
audio (poi suoni e voci) a chilometri e chilometri di distanza tramite onde radio. Questa
1 F. Silva, G. Ramello, Dal vinile ad internet. Economia della musica tra tecnologia e diritti, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1999. Pag. 11
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