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Introduzione
Questo lavoro si pone l’obiettivo di contribuire alla necessaria e vitale integrazione dell’Italia nello
scacchiere continentale europeo. Il primo passo da sempre compiuto nelle grandi unificazioni
storiche è stato infatti quello di introdurre, o talvolta imporre, un linguaggio comune, capace di
permettere un confronto, una crescita, un dialogo tra le varie componenti del nuovo organismo
congiunto.
Ho appositamente utilizzato il termine linguaggio anziché lingua proprio per sottolineare come non si
tratti solo di omogeneizzare in qualche maniera un idioma, ma tutto un insieme di codici, protocolli,
normative.
Nell’ambito della sismologia in particolare, in varie parti del mondo, e quindi d’Europa, vengono
tuttora utilizzate differenti scale di intensità macrosismica, con le quali si vuole quantificare in qualche
modo un terremoto ed i suoi effetti. Questa disomogeneità è il retaggio di secoli di divisioni e conflitti
tra i diversi stati dell’Unione, che festeggiano proprio quest’anno il cinquantesimo anniversario della
firma dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957; la funzione della nuova scala EMS-98 (European
Macroseismic Scale 1998) consiste proprio nel superamento di tale anacronistica frammentazione.
La EMS-98 è stato il prodotto dell’impegno congiunto di un gruppo di lavoro della ESC (European
Seismological Commision) con il contributo di alcuni esperti esterni come R.M.W. Musson del
British Geological Survey, J. Schwarz della Bauhaus University Weimar e M. Stucchi dell’Istituto di
Ricerca sul Rischio Sismico del C.N.R; fondamentale è stata inoltre la supervisione del Consiglio
d’Europa tramite il Centre Europèen de Gèodynamique et de Sismologie.
In realtà la prima edizione di una scala macrosismica europea risale al 1992 ad opera della General
Assembly of the European Seismological Commission riunitasi a Praga. Da sempre infatti la ESC ha
posto grande attenzione alla classificazione dell’intensità dei terremoti, ma fino ad allora aveva
solamente suggerito l’utilizzo della preesistente scala MSK-64 e successiva modifica del 1981; è
proseguendo lungo questa linea alla ricerca di continui miglioramenti che nel 1992 dopo cinque anni
di intenso lavoro si giunge alla stesura di una Scala Macrosismica Europea. Si prevedeva per essa un
periodo di prova triennale per permettere modifiche e miglioramenti, durante il quale sarebbe stata
usata in parallelo con le altre scale esistenti non solo a livello europeo ma internazionale, includendo
così alcuni tra i principali eventi di quell’intervallo temporale come ad esempio Roermond in Olanda
nel 1992, Kilari in India nel 1993, Northridge negli USA nel 1994, Kobe in Giappone nel 1995,
Aegion in Grecia nel 1995, Cariaco in Venezuela nel 1997 e il sisma, oggetto del presente lavoro di
tesi, che colpì l’Italia centrale nel bienno 1997/98.
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Nel 1996 ad Acapulco l’11
a
World Conference on Earthquake Engineering tenne una sessione
speciale il cui tema era la scala d’intensità e le sue relative verifiche e sviluppi; in quest’ottica si
posizionava perfettamente la EMS, la prima scala che si prefiggeva in primis di incoraggiare la
cooperazione tra ingegneri e sismologi, piuttosto che essere destinata ad un utilizzo esclusivo da parte
di singoli sismologi. L’anno successivo la XXV General Assembly dell’ ESC approvò a Reykjavik una
risoluzione che raccomandava l’adozione di una nuova scala all’interno degli stati membri dell’ESC
stessa.
Tenuto conto di tutti questi processi che si susseguirono nel tempo si è così giunti alla stesura
definitiva della EMS-98.
Storicamente in Italia la scala macrosismica più utilizzata è quella Mercalli, in particolare la Mercalli-
Cancani-Sieberg; anche in occasione del terremoto che riguardò l’Umbria e le Marche nel 1997-98 le
diverse intensità attribuite alle varie località colpite sono tuttora valutate secondo questa scala. Le
rielaborazioni presenti in questa tesi permettono di traslare tali valori nei corrispondenti termini della
EMS, così da cogliere le analogie e le differenze significative tra le due classificazioni di intensità.
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1. Il terremoto in Umbria e nelle Marche
Un terremoto (dal latino terrae motus, movimento della terra) è un rapido scuotimento della
superficie terrestre causato da onde sismiche legate in genere al brusco rilascio dell’energia
accumulatasi in un punto interno alla litosfera detto ipocentro; il punto della superficie sulla verticale
di questo ipocentro è detto invece epicentro.
In realtà esistono diversi generi di terremoto che possono essere classificati in tre grandi categorie, in
base alla loro origine:
a) vulcanica: le eruzioni vulcaniche, specie se nella fase esplosiva, provocano onde sismiche di
notevole ampiezza, causando anche intensi maremoti. Sono comunque poco frequenti (circa
il 7% del totale) e di carattere locale.
b) tettonica: sono i più frequenti (circa il 90%) e quelli più estesi e di maggiore intensità. Sono
dovuti alla brusca liberazione dell'energia elastica accumulata gradualmente all'interno della
crosta terrestre e nella parte superiore del mantello durante fenomeni di piegamento e
dislocazione di masse rocciose per superamento del limite di rottura del materiale. A questo
tipo di terremoti sono legati una gran parte dei fenomeni sismici alpini e appenninici.
c) di crollo: sono i meno frequenti (3%) e quelli più locali e superficiali; sono dovuti al crollo
delle volte di cavità sotterranee e quindi tipici di terreni carsici, oppure sono riconducibili a
grandi frane superficiali, come ad esempio quella staccatasi dal Monte Toc nel 1963 che
provocò la fuoriuscita di gran parte delle acque contenute nel bacino idroelettrico del Vajont.
Il terremoto del 1997 è l’evento naturale più disastroso verificatosi in Umbria e nelle Marche negli
ultimi decenni. Ciò comunque non dovrebbe sorprendere gli esperti poiché quest’area si colloca nel
settore di catena dell’Appennino centrale caratterizzato da un prevalente regime estensionale,
interposto tra la fascia peritirrenica tosco-laziale in distensione e la fascia padano-adriatica in
compressione, la cui continuità lungo tutto l’arco appeninico è interrotta da importanti zone di
svincolo trasversali a prevalente cinematica trascorrente. L’evento sismico in questione si è perciò
originato in una complessa zona sismogenetica lungo la catena appenninica centrale caratterizzata da
un sistema fagliatico, il cui segmento principale è noto come "faglia di Costa Cesi", correlato ad un
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altro posizionato poco più ad est ed attraversante il bacino di Colfiorito. Tali fratturazioni, per
qualche chilometro corrono tra le frazioni di Cesi, Costa e San Martino nel comune di Serravalle del
Chienti (monte Talagna), e da Dignano all'incirca fino ad Annifo passando per il Monte delle Scalette
ed il Monte della Croce, ovvero a nord del bacino di Colfiorito. Le faglie sono di tipo normale,
estensivo, normoinclinato con andamento SO/NE. Nota da secoli, questa situazione
sismomorfologica pare abbia dato origine diretta a rilevanti fenomeni sismici solamente nel XIII
secolo (terremoto di Serravalle del 1279) o a cui si possono far risalire alcuni antichi episodi nella
frazione di Casenuove di Foligno, pur insistendo in una zona sismogenetica importante come quella
dell'alto maceratese. Ancora oggi sono ben visibili sul territorio alcuni particolari effetti superficiali di
fagliazione, originati o amplificati dalle scosse del ‘97.
A fianco è visualizzata, con cartina geologica, la zona
epicentrale del sisma del settembre ‘97. Sono indicati
sistemi di faglia responsabili degli eventi. In
particolare la faglia di Costa Cesi ed il suo naturale
prolungamento a nord del bacino di Colfiorito.
Geologicamente la zona del Monte Talagna è
costituita da Calcari Diasprini umbro-marchigiani del
Titoniano inferiore – Calloviano, formazione del
Bosso e del Sentino e da detriti di falda dell'Olocene-
Pleistocene superiore-medio; il bacino di Colfiorito
da depositi lacustri del Pleistocene superiore.
Dunque i terremoti della sequenza sismica umbro-
marchigiana sono correlati all’attività di strutture che,
seppur non continue longitudinalmente, sono tuttavia
prive di barriere trasversali rilevanti, mostrando
pertanto una interconnessione che si segue fino
all’area aquilana.
La lunga sequenza sismica, durata circa 8 mesi, è
iniziata il 23 agosto 1997 con una serie di scosse di
piccola intensità. L’attività sismica vera e propria ha
però avuto inizio il 4 settembre con una scossa di magnitudo locale pari a ML = 4.4, localizzata nella
zona di Colfiorito. Tale scossa è stata seguita da una serie di repliche di piccola magnitudo e bassa
energia. Il 26 settembre alle ore 02:33 si è verificata una scossa di ML = 5.5 nella zona di Cesi-
Colfiorito, seguita, dopo una serie di scosse del IV o del V grado Mercalli, alle ore 11:40 da una
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scossa di ML = 5.8 che rappresenta il “main shock” dell’intera sequenza e che ha prodotto danni fino
al IX grado della scala MCS in numerose località dei comuni di Chienti, Foligno, Sellano e Nocera
Umbra, soprattutto al patrimonio artistico; purtroppo direttamente o indirettamente le scosse hanno
provocato anche la morte di 11 persone e un numero elevato di feriti. L'attività sismica è però
proseguita a lungo, raggiungendo ancora livelli elevati di intensità: così il 3 ottobre alle 10.55 si è
verificata un'altra forte scossa del VII-VIII grado, con epicentro a Colfiorito, frazione di Foligno e alle
17.23 del 14 ottobre una scossa del VIII-IX grado MCS, con epicentro nella zona di Sellano-Preci, in
Umbria, ha squassato di nuovo Umbria e Marche, venendo sensibilmente avvertita dalla Toscana fino
alla Campania. Altre manifestazioni della medesima attività sismica si sono ripetute il 26 marzo, il 3 e
5 aprile 1998, per valori di magnitudo 4,5-5,5. Questi dati di cronaca risultano senz’altro dolorosi alla
luce delle conseguenze sulla popolazione e dei gravissimi danni inferti al patrimonio artistico e storico
(un bilancio approssimativo porta a circa 1500 gli edifici di pregio danneggiati, molti concentrati tra i
principali centri colpiti quali Foligno, Assisi, Perugia e Nocera Umbra.
Globalmente quindi la sequenza appenninica iniziata nel Settembre 1997, può senz'altro essere
inquadrata in tre distinte fasi sismiche.
La prima è quella iniziata il 4/9 e con i due eventi principali del 26 con epicentro tra le frazioni di
Colfiorito, Cesi e Casenove. E' quella caratterizzata dalla magnitudo massima e, ovviamente, dagli
effetti macrosismici più devastanti. Gli ipocentri di quasi tutte le 7000 scosse verificatesi sono posti ad
una profondità compresa tra gli 8 ed i 15 km e giacciono, uniformemente distribuiti e per una
lunghezza di circa 12 km, sui medesimi piani di faglia.
La seconda ha avuto inizio il 9/11 con un rilevante evento di magnitudo 4.6 con localizzazione
epicentrale tra i comuni di Preci e Sellano, nella media Valnerina, quindi più a sud del bacino di
Colfiorito. Tale sequenza, protrattasi in maniera rilevante per circa 3 mesi con eventi comunque
inferiori, può essere considerata "satellitare" alla prima, non essendo nota la presenza in zona di
un'autonoma faglia. Le analisi geofisiche hanno portato a ritenere che, l'imponente movimento a
settentrione, abbia causato una concatenante e più estesa linea di fratturazione, con margine
meridionale appunto in tale zona.
Stessa soluzione può adottarsi per la terza fase, quella incentrata nella poderosa scossa del 26 marzo
‘98, anche se con distinguo maggiori. L’epicentro è localizzato nella fascia montana tra i comuni di
Nocera Umbra e Gualdo Tadino, una decina di km a nord/nord-ovest di Colfiorito. L'anomalia più
evidente rispetto alle sequenze antecedenti è l'elevata profondità ipocentrale, circa 45/50 km quindi
già negli strati superficiali astenosferici. La magnitudo stimata è stata di Mb 5.5 con replica di poco
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inferiore (Mb 5.1 il 3/4/98). La profondità se da un lato ha prodotto un risentimento macrosismico
esteso (evento avvertito in tutta l'Italia centrale ed oltre), dall'altro ha di fatto limitato i danni
superficiali alle già compromesse strutture abitative.
Ma l’evento tellurico non è stato caratterizzato unicamente da queste grosse scosse ma anche dal
continuo sciame sismico che ha originato una serie di piccoli fenomeni estremamente frequenti
nell’arco temporale in esame. Anche selezionando solo gli eventi al di sopra di una certa soglia di
magnitudo, ad esempio con Ml ≥ 3.8, si ottiene un elenco abbastanza numeroso, di cui nel grafico
successivo vengono riportate le magnitudo e le relative energie rilasciate.
Alcuni commenti possono essere fatti sui seguenti aspetti:
· l'andamento delle scosse nella giornata del 26 settembre 1997 (con epicentro verso Colfiorito)
ha significativamente limitato il numero delle vittime: infatti, a seguito della violenta scossa
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della notte, già con danni significativi ma con crolli molto limitati, le persone erano in spazi
aperti e molte scuole erano chiuse quando è sopraggiunta l'ancora più violenta scossa delle
11.40;
· le scosse delle due settimane successive hanno determinato problemi anche al lavoro dei
tecnici impegnati nei sopralluoghi per le valutazioni di agibilità delle strutture, con significative
caratterizzazioni di energia liberata per gli eventi del 3, del 7 e del 12 ottobre 1997;
· la violenta scossa del 14 ottobre 1997 (con epicentro verso Sellano) ha evidenziato, usando le
parole del Sottosegretario alla Protezione Civile Prof. Franco Barberi (apparse sul Corriere
della Sera del 17 ottobre), che "..la crisi sismica.. ha attivato una struttura sismogenetica, cioè
generatrice di terremoti, lunga circa 30 Km, da Nocera Umbra a Sellano-Preci. In particolare,
si sono attivati vari segmenti di faglia, uno centrato su Colfiorito e poi, da domenica 12
ottobre, un secondo centrato su Sellano. Le grandi dimensioni della struttura attivata spiegano
perché vi sono state una ventina di scosse con magnitudo superiore a 4...";
· l’assenza di eventi con risentimenti significativi per i primi tre mesi circa del 1998 aveva fatto
sperare nell’esaurimento della crisi sismica, che si è invece ripresentata con veemenza con il
terremoto del 26 marzo 1998, con nuova zona epicentrale dislocata più a nord (tra Nocera
Umbra e Gualdo Tadino). Si è subito evidenziata l’anomalia della nuova violenta scossa,
risentita anche a notevoli distanze (fino in Slovenia) data la sua notevole profondità
ipocentrale (oltre i 40 km) di gran lunga superiore a quelle ipotizzate (tra 2 ÷ 3 e 8 ÷ 9 km,
comunque inferiori ai 10 km) per tutte le altre scosse. Ciò fa anche ben comprendere come,
pur a fronte di un alto valore di Ml = 5.5 (quindi pari a quello della scossa notturna del 26
settembre 1997) e nonostante la preesistenza di gravi e diffusi quadri lesionativi, si sia parlato
di effetti epicentrali mediamente non superiori al VII grado MCS. Su questa stessa entità di
effetti dovevano poi attestarsi le due ulteriori scosse (del 3 e 5 aprile 1998) nella settimana
successiva: molto meno energetiche rispetto a quella del 26 marzo 1998, ma anche di nuovo
molto più superficiali (h < 10 km).
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2. L’intensità macrosismica
In sismologia esistono due grandi classi di scale attraverso le quali valutare e classificare i terremoti:
î
í
ì
soggettive o che macrosismi scale
oggettive o i strumental scale
L’intensità macrosismica, come dice già il nome, è perciò una scala soggettiva, poiché non è un indice
dell’energia rilasciata dal sisma, che sarebbe una misura univoca, ma descrive gli effetti del terremoto
in un determinato sito, e varia generalmente in corrispondenza del medesimo evento da sito a sito.
Infatti l’intensità macrosismica permette la classificazione della severità del moto del suolo sulla base
degli effetti osservati in un’area limitata
§ sull’uomo
§ sulla natura
§ sui manufatti
L’intensità quindi non è una grandezza fisica direttamente misurabile, ma una sintesi di descrizioni
qualitative di fenomeni accaduti, da non intendersi inoltre come valore puntuale (estremamente
variabile), ma come una misura mediata su un’area di riferimento. L’assegnazione dell’intensità ad
ogni località permette di ottenere un piano quotato; unendo i luoghi di pari intensità si ottengono
delle linee continue dette isoiste.
Gli steps da seguire per determinare l’intensità sono:
1. Acquisizione dei dati tramite questionari compilati durante sopralluoghi;
2. Organizzazione dei dati in forma interpretabile dall’utente (standardizzata);
3. Assegnazione dell’intensità sulla base dei dati raccolti in relazione ad una prefissata scala
macrosismica.
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2.1 Pregi e limiti delle scale macrosismiche
La scala macrosismica per quanto detto è lo strumento tramite il quale vengono assegnati i vari valori
di intensità. Deve perciò godere di due fondamentali proprietà:
- robustezza: piccole differenze nella diagnostica non devono portare a grosse differenze nella
valutazione dell’intensità (scarsa sensibilità a parametri di poco conto, come ad esempi l’aver
avvertito il sisma al 2° o al 3° piano)
- semplicità: chiarezza nella definizione degli effetti prodotti dal sisma; la raccolta dei dati infatti
è effettuata da varie persone, è necessaria una certa codificazione dei criteri di valutazione
È ovvio che nell’utilizzo di scale macrosismiche si abbiano degli inconvenienti legati alla soggettività
intrinseca della scala stessa. Non basandosi su dati strumentali, al medesimo evento possono essere
attribuiti livelli di intensità anche molto differenti sia per le diverse caratteristiche di resistenza delle
opere presenti nell’area che per le valutazioni soggettive degli operatori preposti al rilevamento dei
danni. Se ci si affida anche al reperimento di informazioni locali, interessandoci degli effetti e non
dell’energia rilasciata dal sisma, occorre filtrare tali informazioni in base a ciò che viene rilevato nel
sito in esame: ad esempio se si ha una preponderanza di edifici molto flessibili sarà necessario tenere
in conto ciò poiché i residenti avranno “sentito” di più il terremoto per la scarsa rigidezza delle
strutture. Anche il numero dei crolli può impressionare il rilevatore facilitando l’assegnazione di
un’intensità più elevata. Occorre aver cautela anche nell’utilizzo delle isoiste che in genere vanno a
seguire la direzione preferenziale dei centri abitati e presentano spesso dei colmi legati più ad una
maggiore vulnerabilità degli edifici presenti piuttosto che ad effetti di vera e propria amplificazione
locale.
Tuttavia questo criterio di valutazione, sebbene affetto da questi inconvenienti, è molto utilizzato
poiché è l’unico che permette l’analisi dei dati storici e quindi un’analisi statistica degli eventi sismici.
L’uso di scale d’Intensità infatti è storicamente importante perché non richiede nessuna
strumentazione e tutte le “misure utili” del terremoto possono essere fatte da un osservatore del tutto
privo di equipaggiamento.
Il primissimo utilizzo di una Intensità sismica oggi noto si può far risalire ad Egen per la descrizione
di un terremoto in Belgio nel 1828 anche se delle definizioni estremamente semplici di
quantificazione del danno sono riconducibili al secolo precedente ad opera dell’italiano Schiantarelli
successivamente al sisma che colpì la Calabria nel 1783. Un dettaglio della mappa usata da