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nonostante la strenua resistenza dei Calvinisti, costretti a rinnegare o ad emigrare in
Francia inseguiti dalla pena di morte. L'eresia si estinse solo nella metà del 1600. Dopo
queste vicende la storia della valle è legata al Ducato di Saluzzo e al regno d'Italia. Nel
1744 la Valle Maira divenne il teatro della guerra franco-spagnola di cui resta traccia la "
strada dei cannoni ", la traversata che unisce le valli Varaita, Maira, Grana e Stura. In
questo periodo vissero qui personaggi illustri come Alessandro Riberi, Gustavo Ponza e
Giovanni Giolitti. La gente venne utilizzata per combattere nella prima e seconda guerra
mondiale: gli uomini partirono ignari della destinazione e spesso non tornarono più.
L'ultimo dopoguerra portò grandi trasformazioni nella Valle: vennero abbandonati gli
antichi mestieri artigianali e molte persone emigrarono in città o all'estero per lavorare
nelle industrie. Ora l'alta e media valle sono quasi disabitate ad eccezione che per le
persone anziane, legate a questa zona incontaminata (Cordero et al., 2002).
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1.2 Situazione attuale della Valle Maira: lineamenti ambientali e
cenni naturalistici
La valle Maira (foto 2), percorsa dall’omonimo fiume è situata nel cuore delle Alpi Cozie,
con andamento ovest-est (dalla sorgente allo sbocco nella pianura) per circa 60 km, si
presenta in basso piuttosto angusta in strette gole, mentre nella parte superiore si apre in
ampie conche E’ separata dalla Valle Varaita dai massicci del Pelvo d’Elva e del
Chersogno (foto 1) e si unisce alla Valle Stura sul grandioso altipiano pascolivo Gardetta-
Rocca La Meia, racchiudendo in un amplesso la più corta vallata del torrente Grana.
Sono quattordici i comuni compresi nel territorio della Comunità, dei quali quattro ubicati in
alcuni degli ampi valloni laterali e precisamente di Celle, di Elva, di Marmora e Canosio.
Foto 1 – Lago Camoscere nella conca del Monte Chersogno
A valle di Dronero il Maira devia con ampia curva verso NE confluendo da ultimo nel Po
presso Lombriasco, già in provincia di Torino per poi sfociare nel mare Adriatico.
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Risalendo la vallata, si osservano banchi rocciosi di diversa composizione ed età
geologica; alcuni sono attraversati quasi perpendicolarmente dal solco vallivo, altri sono
lambiti longitudinalmente.
Per erosione fluviale si sono formate strette e profonde incisioni lungo linee di discontinuità
strutturale (ponte della China, vallone di Elva) sottolineando la successione stratigrafica.
Incontriamo dapprima gneiss e micascisti del massiccio Dora-Maira a cui succedono
dolomie di età triassica e giurese e nella parte superiore, verso lo spartiacque, imponenti
masse calcaree.
Foto 2 – Cartina fisica della Val Maira
Le conche e gli altipiani a monte di Chiappera presentano pareti dall’aspetto dolomitico. In
passato, durante la sua formazione, tutta l’area ha subito azioni di compressione e
stiramento che hanno lasciato imponenti esempi di contorcimenti, faglie, dislocazioni in più
punti (Stroppia, Elva, Sautron,…).
La catena alpina occidentale è tuttora in fase di movimento, come lo testimoniano saltuarie
scosse sismiche. Le conche superiori a carattere terroso-sassoso ospitano numerosi
fenomeni crionivali come pietraie semoventi, suoli a gradinata, imbuti criocarsici, poligoni e
lastricati di pietre, di cui spesso sono fraintesi l’origine e il meccanismo di formazione.
Durante le passate ere geologiche un imponente ghiacciaio scendeva probabilmente fino
a bassa quota, ma ormai rimangono ben poche tracce dei resti morenici inferiori. Più a
nord invece sono ben osservabili i profili ad U della vallata principale, mentre parecchi
valloni laterali si presentano come “valli sospese” che sono state incise meno
profondamente a causa di una minor esarazione
(escavazione del ghiacciaio). Sono presenti grandi cumuli di detriti alle falde delle pareti
superiori per degradazione delle stesse dovuta ad azioni meteoriche.
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In basso sono da rilevare gli spessi e durissimi conglomerati ciottolosi postglaciali spesso
formanti tetti e pinnacoli (San Damiano, Dronero, Busca).
Alcuni valloni notevolmente importanti sia per estensione superficiale che per il contributo
idrico confluiscono nell’alveo principale; a quote elevate soggiornano specchi d’acqua di
un certa ampiezza, alcuni in conche di origine glaciale, altri in ambiente detritico.
Non tutti presentano emissario ed immissario e frequentemente percorrono vie occulte fra
i blocchi; taluni poi hanno vita stagionale, riducendosi di molto in estate se non addirittura
dissecandosi. Analogamente le imponenti cascate di Stroppia sono ricche di acqua in
primavera, ma esigue in altre stagioni. Le sorgenti, alcune anche cospicue (come quelle
del Maira a Saretto), sono allineate lungo i contatti fra banchi rocciosi di età e costituzione
litologica diverse, più o meno permeabili. Presso di esse si sono insediati gruppi di baite e
casolari.
Il regime aerologico è quello tipico delle vallate alpine, con brezze a regime giornaliero
ascendente-discendente; in valle, soprattutto nei mesi invernali, giungono spesso dalla
pianura padana masse d’aria fredda, mentre alle quote superiori il cielo limpido consente
temperature miti sulle pendici ben esposte.
Può anche formarsi la nebbia risalente dalla pianura, e nelle ore calde estive cappe di
foschia intorno alle cime rocciose a matrice calcarea si dissolvono poi in serata. Non sono
rari violenti temporali estivi.
Foto 3 – La Valle Maira dopo la nevicata del 2 dicembre 2005
Le precipitazioni sono relativamente abbondanti, nevose (foto 3) nei mesi invernali e
piovose in autunno e primavera.
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Verso la fine dell’inverno, si osservano precipitazioni giallo-rossastre per la presenza di
finissime polveri di origine nordafricana giunte fin qui trasportate da correnti aeree di alta
quota.
In passato sono state tentate ricerche minerarie ora abbandonate; restano attive
solamente alcune cave di marmo presso Acceglio e di materiale argilloso e pietrisco
presso Dronero
Data l’esposizione e il regime aerologico i fianchi della valle sono rivestiti di estese foreste
di conifere (abete bianco, pino cembro, abete rosso e larice che predomina nell’alta valle),
più fitte e con diversità botaniche sulla destra idrografica.
Il versante sinistro si presenta invece più arido, tant’è che non è raro il manifestarsi di gravi
incendi. La fascia del castagno, con sottobosco di brugo ricco di muschi e di funghi, si
spinge sino alla strettoia di Lottulo, mentre la media valle è caratterizzata dal ceduo di
faggio.
Tra i 2000 e i 2500 metri di quota, dove il bosco cede il passo ai pascoli, le grandi praterie
ospitano specie botaniche interessanti (nigritella, Silene multiflora, ranuncolo doppio,
rododendro, stella alpina) costituendo elemento di grande importanza per l’economia della
valle mentre le erbe d’alta quota colonizzano i campi e le conoidi detritiche.
La fauna, stanziale o di passo, è quella tipica delle Alpi con camosci, cinghiali, tassi,
donnole, marmotte. Alcuni rapaci come le aquile reali sono osservabili presso le impervie
pareti superiori, mentre gli insetti sono diffusi ovunque; nei laghi, situati per la maggior
parte nell’alta valle, la fauna ittica non è abbondante. In bassa valle furono introdotti i daini
che sembrano aver trovato condizioni ambientali favorevoli.
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1.3 Lo spopolamento e l’emigrazione
La Valle Maira ha sempre vissuto di emigrazione.
Le case, le borgate, i piccoli paesi a partire dal secolo scorso e fino ai primi decenni del
Novecento scoppiavano di gente con famiglie patriarcali, però con troppe bocche da
sfamare in rapporto alle aree coltivabili e alla povertà del territorio.
A metà ottobre, alle altitudini delle borgate della Valle Maira, finiva la stagione agricola e la
neve scendeva a coprire ogni cosa. Da ottobre a maggio l’alpigiano aveva una sola
alternativa: rimanere a lavorare nella stalla oppure partire e cercare così il pane altrove.
Le vie di questa migrazione erano precostituite da generazioni.
Ogni borgata possedeva l’atlante dei siti propizi per i suoi abitanti.
La Francia era la regione più vicina che offriva lavoro. Il colle del Sautron (2719 m), il più
praticato, che da Saretto d’Acceglio portava direttamente a Larche in Val de l’Ubaiyette. E
gli altri passi: il colle delle Munie (2531 m) ed il colle del Bue (2630 m), oltre i laghi di
Visaisa e Apzoi (foto 4); il colle Feuillas (2749 m) e il passo della Scaletta, raggiungibili dal
vallone d’Unerzio e usati per accedere in Val d’Ubaye; il colle del Maurin (2637m) che
portava a Saint Paul e da lì, scavalcando il col di Vars nel Queyras.
Così, giunto l’autunno, terminati i lavori di campagna più importanti, schiere di uomini e di
giovani prendevano la via della Francia. A casa bastavano le donne che fino a primavera
inoltrata dell’anno successivo accudivano i bambini, i vecchi ed il bestiame.
Gli stagionali si diffondevano per tutto il Delfinato, la Provenza e la Linguadoca, sino alla
Guascogna a compiere i lavori più svariati.
Dall’alba al tramonto nelle distese campagne lavoravano come dissodatori, tagliaboschi,
raccoglitori di olive e vignaioli.
Nei grandi allevamenti di pecore Merinos della zona di Arles e della grande Camargue
dedicavano giorno e notte alla tosatura e alla nascita degli agnelli.
Nei cantieri all’aperto, lavorando spesso a cottimo, operavano alla costruzione di strade,
linee ferroviarie e alla posa di cavi elettrici. Le fabbriche e gli opifici, dove si lavorava al
chiuso, li accolsero più tardi, quando molti di loro rinunciarono al ritorno annuale nel paese
nativo.
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Negli anni seguenti l’Unità d’Italia, quando ogni risorsa era indirizzata verso altre zone che
non fossero le valli alpine (e cuneesi in particolare) giunse il tempo di partire ed espatriare
anche per le donne e i ragazzini.
Le donne erano attratte dalle “baldassières”, le azzurre distese di lavanda coltivata
nell’alta Provenza, dalle grandi coltivazioni di fiori della zona di Hyères e di ortaggi delle
Bocche del Rodano.
Le ragazze trovavano buone occupazioni andando al servizio nei rinomati alberghi della
Costa Azzurra o presso distinte famiglie nelle città del mare e dell’entroterra, da Nizza a
Marsiglia. Molte erano assunte nella raccolta delle rose e nelle industrie dei profumi di
Grasse. I ragazzini, tra gli undici e i tredici anni, forse il capitolo più triste dell’emigrazione,
venivano condotti nei giorni di maggio a Barcelonnette (Val d’Ubaye) sulla piazza del
mercato per esser affittati a proprietari di terre e di bestiame che li adibivano alla custodia
delle mandrie e delle greggi, fino al ritorno della brutta stagione, a fine ottobre o ai Santi.
Più tardi, perdurando per anni e decenni le carenze e i disagi nei luoghi nativi, questi
stagionali si mutarono in emigranti definitivi, destinati ad essere sempre più numerosi e
sparpagliati per tutta la Francia. Ciò provocò naturalmente il trasferimento e il
ricongiungimento in terra straniera di molte famiglie.
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Foto 4 – Lago di Apzoi, Acceglio
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1.4 Il quadro socioeconomico generale: breve storia sulle
attività economiche principali della Val Maira
L’emigrazione e il conseguente spopolamento hanno danneggiato profondamente
l’economia della Valle Maira, come e più che in altre valli del cuneese. Tuttavia il
paesaggio che oggi si presenta allo sguardo attento del visitatore porta ancora le tracce
dell’economia tradizionale, basata sostanzialmente sul bestiame ed il legname. Nel
pianoro a triangolo all’imbocco della valle venivano coltivati i cereali: granoturco, frumento,
miglio, grano saraceno, canapa, lino. I prati stabili naturali erano sempre alberati a meli
mentre i campi coltivi e i prati artificiali a gelsi. Si esportava quindi frutta e seta che fino a
non molto tempo fa veniva filata in sito (la filanda che dava occupazione ad un centinaio di
donne oggi è chiusa). I fianchi collinari sono ancora oggi popolati di vitigni, mentre più in
alto appaiono i castagni. La segale veniva coltivata sotto i castagneti, là dove erano radi. Il
reddito principale, se non unico, come lo diverrà più in alto con il procedere della valle, era
dato dall’allevamento del bestiame; si prestava molta attenzione al pollaio, meno alla
conigliera e al porcile.
I dati del censimento del 1918 danno come presenti nella valle 10.020 bovini.
L’esportazione in legnami poteva valutarsi in 15.000 m
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all’anno, a queste erano da
aggiungere le rimesse degli emigranti oggi del tutto cessate.
Il bestiame era la maggior ricchezza di Acceglio già nel 700 quando l’intendente Bradizzo
vi contava “500 bestie bovine,100 e più mule e oltre 4000 bestie tra lanute e caprine”. Vi si
tenevano due fiere l’anno, una il 17 maggio, l’altra il 6 ottobre dove si negoziava
unicamente bestiame.
I castagneti (oggi prevalentemente utilizzati come ceduo oppure abbandonati) cessavano
A San Damiano (foto 5), di qui prevaleva la coltivazione della patata e della segale
accanto ai pascoli per il bestiame.
Nel comune di Cartignano, le maggiori attività artigianali erano situate lungo la strada
statale e producevano un tipo molto ricercato di vasellame in terra