2
Una particolare cura verrà in ogni caso osservata per lo studio delle strategie
attualmente in corso per valorizzare l'esercizio cinematografico e degli effetti a
livello territoriale dell'apertura di multisale e soprattutto dei multiplex
1
.
Lo studio della distribuzione dei locali di esercizio cinematografico sul territorio,
ed un particolare riferimento per il bacino di Bari a seguito dell’apertura del
multiplex della Warner Village a Casamassima, e l’ipotesi di un ulteriore
complesso nel tessuto urbano, costituisce un interessante argomento geografico.
Pur con riferimento ad un quadro e a delle finalità di carattere geografico-
economico, tale lavoro si avvale di discipline quantitative (statistica, economia
aziendale, marketing), mutuando criticamente schemi di analisi, effettuando
elaborazioni, corredando lo studio di un flusso di tabelle, grafici e mappe.
L'auspicio è che la consapevolezza della complessità dei caratteri dell'industria in
esame, ma al tempo stesso la potenzialità ed il fascino delle modalità gestionali
costituisca uno stimolo per l'assunzione di decisioni e per lo svolgimento di
politiche che portino al rilancio su scala europea, e in particolare nello scenario
italiano, del cinema.
1
Sale cinematografiche con più di otto schermi.
3
Capitolo 1
Il cinema oltre il duemila
1.1 Il cinema nella società post-industriale
Una volta tanto, scienziati sociali e naturali concordano nell'identificare i caratteri
salienti delle moderne ed evolute società umane e, soprattutto, delle
configurazioni che queste assumeranno nel futuro prevedibile.
"Al di là delle differenti denominazioni proposte (società post-industriale
1
, società
post-fordista, società dell'informazione, ecc.), questi caratteri salienti sono
sostanzialmente riconducibili a due:
1. Il peso crescente dell'informazione e della capacità tecnologica di produrla,
elaborarla e distribuirla, in quanto risorse fondamentali per il benessere
economico e sociale;
2. L'importanza progressiva e strategica della comunicazione in quanto attività
determinante per il successo e l'affermazione di tutti gli agenti economici e
sociali (imprese, consumatori, associazioni politiche o di volontariato,
governi, ecc.)" (RICCIARDI C. A., 1996, p.193).
Il settore dell'audiovisivo, considerato nel suo complesso, sta attualmente
attraversando una fase di profonda trasformazione, soprattutto a causa della
continua e rapida evoluzione tecnologica, che ha condotto all'affermazione della
logica multimediale e interattiva, caratterizzante l'attuale società
dell'informazione.
4
Tale trasformazione ha coinvolto, pur con problematiche differenti, tutti gli
ambiti del settore dell'audiovisivo - da quello dei programmi cinematografici e
televisivi a quello degli operatori delle telecomunicazioni, dall'editoria alla
produzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione -
comportando nuove interazioni tra le molteplici implicazioni di natura industriale,
tecnologica e culturale che convergono in questo settore.
Nel settore della comunicazione cinematografica possiamo comprendere
quell'insieme di imprese che, con l'obiettivo di ottenere un profitto, concorrono,
tecnologicamente ed economicamente, alla ideazione, produzione, distribuzione e
commercializzazione del prodotto cinematografico, interpretabile in chiave di
prodotto composito: da un lato, infatti, esiste un bene fisico, il film, dall'altro,
tramite esso, si offre un servizio rappresentato dallo spettacolo cinematografico.
Il prodotto cinematografico è idoneo a soddisfare un bisogno ricreativo che il
consumatore manifesta quale modalità alternativa di fruizione del suo tempo
libero, sia un bisogno culturale ed informativo, per i valori di tipo artistico ed
intellettuale che si presta a trasmettere.
L'industria cinematografica si muove oggi all'interno di un contesto audiovisivo
globale: lo sviluppo delle tecnologie applicate all'intrattenimento, la modifica dei
modi di consumo e del comportamento del consumatore impongono a tutti gli
operatori coinvolti nel settore uno sforzo, in termini di ridefinizione delle strutture
e di strategie di mercato.
Se lo sviluppo e l'avanzata di altri media importanti (televisioni, giornali, ecc.)
può aver colto di sorpresa gli operatori del settore nei primi anni '80, è essenziale
con l'avvento del duemila prendere atto dei fenomeni di interdipendenza tra i
diversi mezzi audiovisivi, in vista di una progressiva attenuazione, ed infine del
superamento, della tradizionale concorrenza tra i mezzi medesimi.
5
1.2 Il sistema comunicativo audiovisivo
Il panorama mediale odierno appare sempre più articolato. Le trasformazioni
tecnologiche prodotte dall'affermazione del digitale riposizionano di anno in anno
formule e funzioni di media tradizionali, ponendoli a confronto con mezzi di
comunicazione alternativi. In particolare immettono sul mercato nuovi prodotti
che mobilitano le nuove forme di consumo di immagini.
Così, la diatriba che solo negli anni Ottanta metteva in contrapposizione il cinema
con la televisione, rimarcando le diversità di ruoli, di tipo di pubblico, e di
prodotto proposto, in una certa misura appare ormai spenta, superata da scenari
del tutto diversi in cui le reti informatiche, l'uso dei satelliti e del cavo
conferiscono al panorama mediale una configurazione più complessa. È evidente
che la trasformazione del mondo della comunicazione interessa non solo l'offerta
di prodotti, sempre più legati al mezzo di comunicazione cui sono destinati, ma
anche la domanda del pubblico e i modi, le abitudini di fruizione. Di fronte al
dipanarsi di una offerta sempre più allargata e poliedrica, comincia a delinearsi
infatti sul fronte opposto una domanda che si prospetta ampia, magmatica,
diversificata.
In questo contesto il cinema sembrerebbe destinato ad occupare uno spazio in
qualche modo residuale. Sullo sfondo di uno scenario mediale così ricco e
articolato la domanda di cinema si potrebbe considerare alla stregua di una delle
componenti più marginali di una vasta domanda di immagini. In realtà, la
posizione del cinema appare oggi quanto mai salda e centrale nell'universo dei
mass-media. Esso rimane ancora il medium trainante, il volano di una domanda di
entertainement, che per gli altri media più innovativi stenta a delinearsi con
6
chiarezza a causa del permanere di resistenze culturali, economiche (ad esempio i
costi da sostenere per dotarsi di nuove apparecchiature) e tecnologiche alla
ristrutturazione del mondo della comunicazione. "Dal lato della domanda
agiscono tre principali tendenze propulsive:
1. La prima tendenza è lo stabile aumento del tempo libero, correlato a
mutamenti strutturali della società (allungamento della vita, estensione dei periodi
di prelavoro, incremento quantitativo dei tempi di vacanza).
2. La seconda tendenza è la diffusa richiesta di un incremento della gamma di
scelte accessibili sia dal lato dei contenuti sia dal lato delle modalità di consumo
(si arricchiscono le prestazioni inerenti ai processi di acquisizione dei contenuti:
software di navigazione tra titoli e canali, moduli di accesso a database);
3. La terza tendenza è la ricerca costante di standard di qualità più elevati, tali da
accentuare nel consumo il carattere di esperienza intensa e memorabile (dal CD al
DVD, dalla pay-tv alla pay-per-view fino al video-on-demand e all'alta
definizione)" (OSSERVATORIO BNL, 1998, p.202).
Ma nella fase attuale e nel medio periodo la domanda di servizi interattivi resta
debole nell'area dell'immagine e in generale nell'intrattenimento; sembra
concentrarsi invece sul mercato business che richiede soprattutto di trattare e di
scambiare testi. Il pubblico mostra una certa riluttanza a spostare le abitudini
acquisite e i profili della spesa domestica appaiono stabili se non vischiosi.
7
Tabella 1.1. Evoluzione della spesa per famiglia in prodotti audiovisivi in Europa
(milioni di ECU)
1992 1993 1994 Var. 1994 su 1993 (%)
Box-Office (sala) 2.576 2.926 2.989 2,2
Canone TV 6.854 7.121 7.430 4,3
Pay-TV 4.441 5.411 6.356 17,5
Videocassette 4.066 4.434 5.040 13,7
Totale 17.937 19.892 21.815 9,7
PIL 5.835.000 5.716.000 5.985.000 4,7
Quota audiovisivo sul Pil (%) 0,30 0.35 0,36
Fonte: Osservatorio Europeo dell'Audiovisivo; Omsyc.
Alla presumibile lentezza della domanda, che oggi dispone di un'ampia scelta a
elevata qualità e può essere portata a differenti standard di consumo solo con
un'intensa revisione della mentalità, corrisponde però una vivace pressione dal
lato dell'offerta, ovvero da parte dell'industria che produce contenuti e prodotti
per l'entertainement. Pur tuttavia un gran numero di nuovi supporti hanno fallito
l'impatto con il mercato e le applicazioni più promettenti o si sono sviluppate
entro un involucro ideologico dominato dal principio della condivisione gratuita
(internet) o hanno incontrato forti ostacoli sul piano della gestione tecnica (video-
on-demand).
8
1.3 Il cinema: audiovisivo per eccellenza
Nell'area dei contenuti, dove da tempo l'audiovisivo detiene un peso dominante, il
cinema costituisce insieme con lo sport e la musica, la fabbrica primaria e ciò lo
rende insieme forte e fragile: capace di decidere orientamenti ed esperienze di
milioni di persone, ma sempre oscillante e arrischiato nei suoi assetti.
"Rispetto al panorama che abbiamo disegnato, ciò che caratterizza il cinema
sembra essere:
1. Un assetto stabile per quel che riguarda i modi di produzione, le forme di
consumo, il tipo di prodotti, i linguaggi usati. Tale caratteristica deriva da una
lunga e feconda storia del mezzo e fa sì che ogni innovazione sconti delle
resistenze.
2. Un evidente guadagno ad acquisire nuove funzioni, nuovi formati di prodotto,
nuovi sbocchi di mercato, ma anche la paura di perdere la propria identità
pregressa (per molti il cinema è ancora un lungometraggio di finzione
consumato in sala).
3. Una perdita della centralità posseduta a lungo nel segmento dell'audiovisivo, a
fronte dell'emergere di altri media quali tv e videogiochi; ma anche un'intatta
capacità di offrire prodotti guida in termini di contenuti e di lungometraggio,
tali da influenzare l'intero segmento e, più ampiamente, l'intero settore
entertainement.
4. La presenza di due grandi quadri di riferimento, ciascuno con i suoi valori: da
un lato il film si propone come bene di consumo, come merce; dall'altro il film
è anche uno strumento espressivo, un oggetto estetico. Nel cinema da sempre
espressione dell'arte e del mercato, della cultura e dell'economia, si combinano
tra loro" (OSSERVATORIO BNL, 1998, p.202).
9
Quello che può essere interamente indagato è il tentativo di un settore specifico di
affrontare la rivoluzione informatica sia cercando di rispondere ad alcune
sollecitazioni, sia offrendo non pochi punti di resistenza; per cui sarà preminente
analizzare la domanda di cinema, la tipologia dei prodotti, i modi di produzione
in uso e i canali di distribuzione che si stanno aprendo.
1.4 Il tempo libero e il crescente bisogno di comunicazione
Negli ultimi venti anni si è assistito ad una graduale e generale trasformazione dei
comportamenti individuali rispetto alle scelte di utilizzo del tempo libero e alle
conseguenti spese sostenute per i "divertimenti". Il cinema, che assorbiva negli
anni Settanta la quota più alta di spesa per spettacoli (circa il 40%, dicono i dati
Siae), ha subito una caduta che è proseguita fino al 1984, stabilizzandosi nei dieci
anni seguenti e finalmente una confortevole rinascita negli ultimi anni. Spettacoli
musicali, teatrali e sportivi sono stati caratterizzati da un trend di spesa solo
leggermente crescente, mentre sono i "trattenimenti vari" a crescere
maggiormente nei tempi più recenti.
Dopotutto in Occidente è avvenuta, quasi in sordina, la sostituzione del modello
organizzativo della società della divisione del lavoro, secondo il quale le funzioni
di grado superiore del terziario e del quaternario occupavano lo spazio centrale
della città, con il modello della società dei consumi. Tale modello, separato
dall'organizzazione dei luoghi di lavoro, ha portato, tra l'altro, alla ridefinizione
della struttura e della funzione della città. La piena realizzazione della città della
società dei consumi non si è compiuta in Europa, ma nel Nordamerica, dove il
decollo delle aree suburbane è sostenuto dalla società dei consumi. Nel frattempo
10
la stessa è minacciata dalla concorrenza della società del tempo libero. In Europa
si tende però ad una separazione spaziale della società della divisione del lavoro e
della società del tempo libero, delegando quest'ultima alle zone rurali. Per le zone
d'insediamento così collegate fra loro, nel corso della settimana e delle stagioni si
susseguono fenomeni ritmici di sovraffollamento e di vuoti spettrali. Per evitare
che nel futuro la società urbana del tempo libero si sposti completamente nello
spazio rurale bisogna accettare, come nuova premessa della pianificazione
urbana, che essa sia considerata allo stesso livello della società della divisione del
lavoro: occorre quindi sviluppare un modello urbano bipolare in cui verranno
presi in considerazione anche gli spazi necessari per la società del tempo libero.
La teorizzazione di un tale modello è urgente, poiché un'ulteriore diminuzione del
tempo di lavoro è imminente (vedi le proposte parlamentari di riduzione
dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali); per ancorare bene la società del tempo
libero al nucleo centrale bisognerebbe prevedere, in analogia con la città
commerciale e con quella amministrativa, una "city" per il tempo libero, con una
vasta offerta che risponda ad interessi specifici; in corrispondenza al piano di
costruzione gerarchico della vita commerciale, occorre delegare i servizi per il
tempo libero ai vari centri di quartiere, distretti e vie. Infine sarebbe da prendere
in considerazione un'esigenza di spazio sempre crescente per il tempo libero e per
i suoi mezzi nelle vie, negli isolati, nelle case e negli appartamenti.
Rimangono aperte molte domande: "non esiste un modello di localizzazione per i
servizi per il tempo libero nell'area urbana che offra un approccio utopico per il
futuro, come il superamento della concezione di cintura verde nella periferia:
grandi prati, superfici per le attività ricreative e sportive dovrebbero stare nel
centro della città, accessibili a tutti" (LICHTENBERGER, 1993, p.275).
11
Un altro problema fondamentale riguarda le relazioni tra spazio pubblico e
privato nell'assegnazione delle superfici e dei servizi per il tempo libero, che
saranno decise a livello ideologico dal sistema politico a cui si fa riferimento.
La nostra analisi, in particolare, si occuperà degli effetti e delle motivazioni che
spingono le società di esercizio cinematografico ad installare siti e complessi
architettonici "multischermo" negli spazi suburbani o lungo nodi stradali
nevralgici, il più delle volte accanto a centri commerciali. Questa situazione, in
Italia, sarà ulteriormente accelerata dall'effetto di una importante innovazione
legislativa del 1998 che ha comportato l'avvio alla "liberalizzazione" per il
rilascio delle autorizzazioni per l'apertura delle sale cinematografiche
2
.
1.5 Il ruolo del cinema nella comunicazione
In termini antropologici e culturali, il cinema risponde ancora ad una domanda
diffusa di racconto per immagini e oggi sembra il mezzo di comunicazione per
antonomasia destinato ad assolvere questo compito. Svuotato della funzione
informativa e documentaria assolta fino agli anni Cinquanta (al cinema si andava
anche per conoscere ciò che succedeva nel mondo, per es. i Cinegiornali
dell'Istituto Luce), il cinema ha conservato una sua rilevanza proprio nel
presentare delle storie in immagini, nella spettacolarità della messa in scena (si
pensi oggi alle proiezioni Omnimax) e nel richiamo anche culturale che ancora
suscita (pensiamo ai festival internazionali, ai premi della critica) ritagliandosi il
ruolo di "aedo" di questo fine secolo. La sua funzione non si limita però a mettere
in scena un racconto e a spettacolarizzarlo, ma si apre anche a dinamiche di
natura sociale. I film, ad esempio, sono fondamentali per definire identità
12
individuali e collettive; confermano o mettono in discussione alcune realtà
nazionali, accendono un dibattito politico, sollecitano l'opinione pubblica. Non
solo, a volte individuano correnti culturali o si aprono a culture diverse.
È in questa direzione che si possono leggere gli innumerevoli festival dedicati alle
cinematografie extraeuropee o alcuni film dedicati a particolari emergenze
sociopolitiche come la disoccupazione. Sotto questo aspetto il cinema è ancora un
mezzo di comunicazione capace di aggregare delle comunità su un territorio, di
offrire la possibilità di rispecchiamento e di incidere anche su dinamiche legate
all'opinione pubblica.
Testualità, azione sociale e culturale, dimensione territoriale: queste appaiono le
caratteristiche salienti di cui il cinema si fa portatore. Tuttavia anche queste
funzioni dipendono in prima istanza dai modi di fruizione e di distribuzione che
l'industria culturale modella.
1.6 Il cinema nella classificazione dei beni culturali
Nel considerare il cinema ormai un prodotto altamente commerciale, non bisogna
dimenticare che esso è un importante bene culturale e come tale va salvaguardato,
protetto ed incentivato. Ma perché consideriamo il cinema un bene culturale?
Tra i geografi italiani, Domenico Ruocco (1979) ha tentato una definizione: “per
bene culturale si deve intendere qualsiasi manifestazione o prodotto dell’ingegno
umano, che abbia carattere di eccezionalità o valore artistico, qualunque
testimonianza dell’evoluzione materiale o spirituale dell’uomo e del suo sviluppo
civile, qualunque oggetto o fenomeno naturale che abbia interesse scientifico o
commuova il nostro animo”. Definizione che però include troppi parametri
soggettivi e finisce col perdere il valore universale. Quel che per qualcuno è
13
eccezionale o commovente, spesso non produce in altri alcuna emozione. Molto
valida è l’osservazione che “un bene culturale è in genere un prodotto di cultura,
frutto e fattore di civiltà” (BELLEZZA, 1999, p. 344).
Una classificazione riportata da Nunzio Famoso (1998), il quale rileva come la
locuzione “bene culturale” sia stata usata inizialmente nella Convenzione firmata
all’Aia nel 1954, distingue quattro settori:
a) Arti visuali (visual arts), includenti monumenti, pitture, sculture, ma anche
biblioteche e beni ambientali;
b) Arti rappresentative (perfomed arts), includenti le varie forme di spettacolo;
c) Cinema;
d) Editoria.
Il bene culturale, però, non è detto che non possa avere un utilizzo economico e
suscettibile di sfruttamento commerciale. Ed infatti per il Guarrasi (1994) “il bene
culturale può essere opera di un singolo, ma solo dopo esser stato riconosciuto
come tale da una società umana assumerà pure un valore economico”. Per alcuni
puristi monetizzare un bene culturale è una operazione scandalosa, quasi
moralmente illecita.
Se consideriamo il cinema, attualmente non ci si pone particolari problemi circa
la liceità della monetizzazione dei beni culturali, non tanto perché pagare il
biglietto è considerato equo, ma perché i beni che si possono considerare
veramente culturali il cinema attuale, purtroppo, quasi non ne produce.
Ciononostante il cinema, quale specchio di una civiltà e progresso di un popolo,
va sempre e comunque difeso. In termini strettamente economici, negli anni ’90 il
cinema statunitense dominava largamente il mercato; nei Paesi della Comunità
Europea copriva il 72% delle programmazioni e a livello globale assorbiva nove
decimi delle entrate del cinema mondiale (l’esportazione dei prodotti
14
cinematografici e televisivi era superata negli Stati Uniti solo da quella relativi ai
settori aerospaziali ed elettronico). Ne sono sorte controversie tra i Paesi aderenti
al trattato internazionale sui commerci firmato nel 1947 e denominato GATT
(General Agreement on Tarifs and Trade), secondo il quale tutti i prodotti
debbono potere circolare senza alcun vincolo. La Francia, ritenendo che a causa
dell’invasione cinematografica gli Stati europei perdessero le proprie identità
culturali e di valore per adottare quelle statunitensi, tentò di porre una limitazione
all’accordo del Gatt. Negli anni ’80 si era cominciato a discutere del commercio
internazionale in genere, per garantire in qualche modo i Paesi più deboli, fino a
far nascere una nuova associazione, la World Trade Organisation (WTO).
In queste discussioni la Francia pose il problema del cinema, e con l’aiuto degli
altri Stati europei nella riunione del 1992 a Montevideo (Uruguay Round) riuscì a
far applicare una delle clausole particolari fissate fin dall’incontro del 1947. In tal
modo si ottenne che i prodotti audiovisivi fossero esclusi da quelli privi di
vincoli, con l’obiettivo che in pochi anni le varie reti televisive europee
trasmettessero almeno il 50% di film prodotti nel continente (clausola detta di
eccezione culturale). In pochi anni , però, la battaglia vinta in linea di principio è
stata perduta di fatto, e alla Francia è mancato l’appoggio dei Paesi della
Comunità: se le reti televisive statali tendono a mantenere il limite del 50%, tutte
quelle private lo superano, e nessun Governo è riuscito ad imporre ai loro
proprietari il rispetto della “eccezione culturale”. Per cui attualmente parlare di
bene culturale significa distinguere in esso due componenti, uno materiale,
rappresentato da interessi di natura patrimoniale, regolato dal diritto comune
3
;
l’altro immateriale e pubblico quale l’interesse culturale, su cui lo stato-
amministrazione ha delle potestà che non riguardano l’utilizzabilità patrimoniale
15
della cosa, bensì la conservazione alla cultura e la fruibilità nell’universo
culturale.
1.7 Brevi cenni di evoluzione storica del cinema in Italia
Il cinema è una forma d’arte recente, nella quale i reperti più antichi hanno poco
più di un secolo. È generalmente fissata al 28 dicembre 1895 la data della nascita
del cinematografo, semplicemente perché in quel giorno, a Parigi, i fratelli
Lumière nel leggendario Salon Indien del Grand Café, sul Boulevard des
Capucines, gestito dall'italiano Volpini, effettuarono la prima proiezione di un
programma di dieci brevi film, per un pubblico pagante. Si trattava, dicono le
testimonianze, di non più di trentasei spettatori. È noto che Antoine Lumière,
padre di Louis e Auguste, dichiarò che il cinematografo era soltanto una curiosità
scientifica, senza avvenire commerciale, destinata a suscitare un relativo
interesse, limitato alla scrittura del movimento e alla realizzazione della
fotografia animata. Ma furono due francesi a contraddirlo: Georges Méliès, uomo
di teatro e prestigiatore, che vi intravide subito una inesauribile fonte di trucchi, e
il produttore Charles Pathé, che profetizzò il cinema come "lo spettacolo, il
giornale e la scuola di domani".
Tra gli inventori del cinematografo, oltre ai fratelli Lumière, si ricordano
l'americano Thomas Alva Edison con il suo kinetoscope (15 aprile 1894), il
francese Léon Bouly che ottenne in brevetto (1892) per un apparecchio per la
ripresa delle immagini detto cinematografo ed infine l'italiano Filoteo Alberini
che inventò il kinetografo "apparecchio per riprendere, proiettare e stampare film"
e, per la lentezza della burocrazia italiana, non ottiene il brevetto che il 2
16
dicembre 1895. E, in Italia, fu lo stesso Alberini a produrre il primo film ossia La
presa di Roma ovvero La breccia di Porta Pia proiettandolo simbolicamente il 20
settembre 1905 nel piazzale di Porta Pia.
Nel 1906 l'Alberini con il socio Santoni fondano uno stabilimento per la ripresa
dei film, la "Cines"
4
, e sin dall'inizio non riescono a far fronte alle richieste
sempre maggiori avanzate da nuovi esercenti. I pochi film prodotti e importati in
quell'epoca, le prime cineattualità e le prime comiche, ormai erano insufficienti a
soddisfare la curiosità e l'interesse sempre maggiori del pubblico. Così la modesta
ditta si trasformò in società anonima per azioni, auspice un coraggioso e giovane
industriale, l'ingegnere Adolfo Pouchain, e con il concorso del Banco di Roma,
con capitale iniziale di 500.000 lire e con azioni di 50 lire ciascuna. Da Parigi
furono chiamati registi e scenografi. Fu commesso, pare, anche qualche atto di
pirateria, con pedissequa copiatura di pellicole già girate dal francese Pathé. In
pochi anni la produzione salì vertiginosamente raggiungendo nel 1910 la cifra
massima di 134 film realizzati in una sola stagione, oltre 36 documentari e 57
comiche. Dopo il periodo traballante del 1923-1924 il cinema italiano rinasce nel
1930 con l'avvento del sonoro.
La prima pietra della città del cinema fu posta il 29 gennaio 1936. Il 28 aprile
dell'anno successivo, con un tour de force encomiabile, Cinecittà veniva
inaugurata: aveva sedici teatri di posa e piscine per scene acquatiche, uffici,
servizi tecnici e ristoranti. I tempi brevi furono resi indispensabili dall'incendio
che il 26 settembre 1935 aveva distrutto gli stabilimenti Cines (Verdone, 1995,
p.96).
La nuova concentrazione tecnico-industriale, in ragione delle nuove esigenze
produttive, permetteva di realizzare riprese sonore più accurate, trucchi ed effetti
speciali perfezionati, concentrare magazzini e sartorie sempre attrezzati per masse
17
di figuranti. Si potevano così girare film che comportavano la necessità di
laboratori spaziosi, circhi, fori, templi, avere a disposizione spazi per più
produzioni, e contribuire così alla vita di una cinematografia nazionale dalle
tendenze molteplici. È da questo momento che Cinecittà e quindi Roma diventano
il polo di sviluppo dell'industria cinematografica italiana, accogliendo,
all'indomani della Seconda Guerra le super produzioni americane: Quo vadis? di
Merwyn Le Roy (1950), Ben Hur (1959) con Chalton Heston e Vacanze romane
(1953) con Audry Hepburn di William Wyler, Cleopatra (1963) di Joseph
Mankiewicz con Elisabeth Taylor.
Ma è il "Neorealismo"
5
e la bravura di autori come Roberto Rossellini, Vittorio
De Sica, Cesare Zavattini, Pietro Germi, Luchino Visconti a far decollare, anche
fuori dai confini nazionali, un nuovo modo di fare cinema. Siamo nel periodo in
cui fare cinema significava "rischiare" i propri capitali, ipotecare proprietà per
ottenere prestiti, periodo in cui i produttori cominciavano ad avere un ruolo
fondamentale ed assumevano la figura di colui che finanziava il film. Federico
Fellini, Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi, Mario Monicelli, Pierpaolo
Pasolini, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Ettore Scola, Sergio Leone,
Nanni Moretti, Massimo Troisi e gli "Oscar" Giuseppe Tornatore, Gabriele
Salvatores e Roberto Benigni sono la sequenza magica, e non completa di
personaggi, che hanno reso l'Italia un Paese con una specifica cinematografia.
Autori che fanno tuttora scuola in tutto il mondo ed invidiati, studiati ed
addirittura "copiati" in ogni dove.