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degli eroi epici: basti ricordare la letteratura classica, nella quale
viene citata la descrizione di Omero (libro 23° dell’Iliade) relativa
alla partenza della corsa dei cocchi: “….e Achille indicò la meta…..
e gli aurighi stavano ritti entro le casse, batteva il cuore a ciascuno
nell’ansia di vincere……” (vv. 358-371). Altre descrizioni sono
riportate da Virgilio nel libro V dell’Eneide quando racconta lo
svolgimento dei ludi funebri in memoria di Anchise.
Sotto l’aspetto religioso, i giochi erano espressione di culto,
preceduti infatti da un solenne giuramento e da sacrifici che
dovevano svolgersi nel sacro recinto dei templi di Zeus ad Olimpia
e di Apollo a Delfi.
Con il passare del tempo, già in epoca ellenistica, ma soprattutto
romana, con l’introduzione dei ludi circensi, e in epoca medievale
con la diffusione di tornei (giostre e cacce), l’attività agonistica
perse del tutto il carattere originario di natura sacrale, per diventare
occasione di spettacolo, di forza fisica ed abilità combattiva.
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Soltanto nell’800, in Inghilterra con l’avvento dell’Era industriale,
le migliorate condizioni del ceto medio ed una maggiore
disponibilità di tempo libero, comincia a delinearsi la nuova
concezione di sport intesa appunto come divertimento, per svago e
senza motivi di lucro.
Oggi, che la gran parte degli atleti sono professionisti, che le
società sportive hanno affari miliardari, che lo sport, per effetto
dell’enorme risonanza conferita dai mass media, è divenuto un
fenomeno sociale di vaste proporzioni, è evidente che tale
definizione è da considerarsi superata e non più aderente alla realtà
odierna.
E’ vero che normalmente si usa dire, che fa dello sport chi pratica
una qualsiasi attività fisica, (ad es. ginnastica in palestra) per fini
esclusivamente salutistici, però è innegabile che quando si parla di
sport si allude ad un concetto molto diverso dall’originario.
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Per quanto ci riguarda, riteniamo che possa rientrare nell’ampia
definizione di sport, qualsiasi attività caratterizzata da uno sforzo
fisico, da un certo grado di destrezza esercitata agonisticamente,
con l’osservanza di regole prestabilite.
In questo caso, i requisiti essenziali sono tre: che essa comporti, per
chi la esercita, utilizzo di energia psicofisica, che sia finalizzata a
conseguire la vittoria sugli altri partecipanti alla competizione, che
venga esercitata secondo le regole convenzionali e proprie di quella
competizione.
Le esigenze di migliorare il rendimento dell’atleta, nella
performance agonistico-sportiva, ha da sempre favorito la
diffusione del convincimento di poter ricorrere, spesso a discapito
dell’integrità psicofisica, all’assunzione di farmaci o di altre
sostanze esogene, capaci di indurre un’azione stimolante-
energizzante e quindi migliorativa sulla prestazione
2
. Tale
2
Gagliano-Candela, Tossicologia forense, Milano, 2001, pag.89
9
problematica è diventata più cogente, negli ultimi anni, a causa
delle numerose sollecitazioni e pressioni di varia natura, tra le quali
e soprattutto quelle di natura economica, che incidono sul
rendimento di quanti primeggiano nelle specifiche discipline
sportive.
Il ricorso a sostanze “miracolose” può ritenersi una pratica antica
quanto l’uomo, ove si consideri che, già nelle civiltà del passato gli
atleti, ma soprattutto i soldati, ricorrevano all’assunzione di miscele
di droghe o particolari estratti di erbe, contenute per esempio in
alcuni funghi o a quant’altro la tradizione popolare attribuiva effetti
stimolanti, idonei a vincere la fatica.
Si narra che Filippide, il quale portò ad Atene la notizia della
vittoria di Maratona, fosse drogato al punto da non accorgersi, che
era andato oltre le sue possibilità e che il cuore stava cedendo. Si
ricordi a tal proposito, presso l’antica Grecia, la somministrazione
agli atleti di funghi ad azione stimolante; ciò viene riportato da
10
Filostrato e da Galeno, nei loro commenti sull’etica degli atleti ai
Giochi Olimpici. Si menziona la assunzione di droghe da parte dei
gladiatori, prima dei loro combattimenti, l’idromele somministrato
ai cavalli e ai soldati prima di una cruenta battaglia.
Anche nella mitologia nordeuropea si riporta come i guerrieri
assumessero bevande a base di amannita falloide (alcaloide
eccitante) e nella Cina imperiale si impiegavano allo stesso scopo
estratti di edera contenente efedrina, così come potremmo citare
numerosi altri casi riguardanti l’America del sud o l’Africa.
Solo alla fine del secolo scorso, negli Stati Uniti, tale consuetudine
fu per la prima volta denominata “doping”, termine con il quale si
volle indicare nello specifico la somministrazione di una miscela, di
oppio e tabacco, ai cavalli da corsa per incrementarne la
prestazione.
La parola “doping” sembra trarre origine dall’olandese “doop” nel
suo significato di salsa o da “dopen” adoperato nel significato di
11
mescolare. Da queste etimologie sarebbero poi derivati sia il verbo
inglese ”to dope” (alla lettera “drogare”), che il termine “dope”, nel
senso di estratto liquido denso. Taluni autori riconducono invece
l’origine del termine al “dop”, bevanda alcolica primitiva, usata
dagli indigeni africani della tribù Kafir nelle danze cerimoniali. In
questo ultimo secolo, tra gli sportivi, si è osservato il frequente
ricorso a sostanze per lo più esogene in grado di potenziare, non
solo la prestazione durante la competizione, ma soprattutto il
training preparatorio alla gara, trasformando quindi l’assunzione di
tali sostanze da occasionali ad abitudinarie.
Una prima ragione, che induce gli atleti ad utilizzare tali sostanze
ed a sottovalutare i rischi che esse comportano è di carattere
psicologico, va ricercata nell’eccessiva attenzione che i mezzi di
comunicazione di massa dedicano a taluni avvenimenti sportivi e
nel conseguente, esasperato desiderio di autoaffermazione di molti
atleti ossessionati da pagelle, classifiche e tabelle spesso
12
propedeutiche a sponsorizzazioni, ingaggi miliardari e, non ultime,
scommesse.
Alcuni studi sui farmaci utilizzano i placebo per identificare le
possibili interferenze psicologiche. Per esempio, se si dice ad una
persona che una certa pillola l'aiuterà a correre più velocemente
(suggestione), essa potrebbe correre più velocemente per il solo
fatto che le è stato detto così. Un placebo è una sostanza inerte, con
caratteristiche fisiche identiche a quelle del farmaco originale. Ciò
dimostra molto efficacemente gli effetti psicologici che hanno
alcuni farmaci sulla prestazione fisica.
Un’altra ragione è di ordine fisiologico: l’atleta infatti nel compiere
l’attività sportiva, sottopone il proprio organismo ad un super
lavoro, che comporta una drastica perdita di acqua e di elementi
essenziali che debbono essere prontamente reintegrati, ma che una
comune dieta non è in grado di assicurare. Ad ogni modo si può,
con spirito critico, osservare che quello che in passato ha
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maggiormente contribuito alla diffusione del fenomeno è stato, da
un lato la colpevole leggerezza con cui sono stati talora adottati e
somministrati nuovi prodotti e metodiche, senza preventiva
sperimentazione e valutazione dei relativi rischi, dall’altro l’assenza
di un’adeguata normativa.
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CAPITOLO I
STORIA DEL DOPING NEL NOVECENTO
SOMMARIO: 1. Primi interventi atti a contrastare il fenomeno doping.- 2. Metodologie
di doping sistematico.- 3. L’Italia e il doping di Stato.- 4. La Convenzione di Strasburgo
contro il doping.- 5. Illecito sportivo per doping.
1. PRIMI INTERVENTI ATTI A CONTRASTARE IL FENOMENO
DOPING
Solo nel 1960, in occasione della riunione del Comitato Olimpico
Internazionale (C.I.O.) a San Francisco, USA, fu sottolineata la
necessità di indagare sulla diffusione di anfetamine tra gli sportivi,
procedendo nel 1961, nell’incontro dello stesso Comitato Olimpico,
ad Atene, all’istituzione di una commissione medica del C.I.O.
incaricata di procedere alle opportune verifiche
3
. Tuttavia è solo del
1963 la prima definizione ufficiale di doping, allorquando il
Comitato Europeo per l’Educazione extrascolastica lo adoperò per
indicare la ingestione o l’uso di sostanze non biologiche, in forma o
per via anormale, da parte di individui sani, con il solo scopo di
3
Gagliano-Candela, op.cit., pag.90 e ss.
15
migliorare realmente la propria prestazione in vista di una gara.
Così si prospettava ufficialmente per la prima volta, l’interesse per
la tutela della salute degli atleti, unitamente alla verifica della
correttezza delle competizioni.
Era un’epoca in cui i mass media diffondevano notizie relative
all’esistenza del rapporto causale tra i decessi di alcuni atleti e
l’assunzione di sostanze dopanti, come per il ciclista danese Jensen
deceduto durante i Giochi Olimpici di Roma 1960 o per l’inglese
Simpson nel Tour de France del 1967.
Negli anni 60 pertanto, le varie Federazioni sportive cominciarono
a predisporre periodici controlli sugli atleti affiliati alle proprie
discipline, al fine dunque di tutelarne la salute e l’integrità
psicofisica ed offrire contestualmente una adeguata immagine di
etica dello sport.
In virtù di tali eventi il Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa approvò, nel 1967, la risoluzione n°12 relativa al “doping
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negli atleti”, con la quale definiva doping “la somministrazione ad
un soggetto sano o l’utilizzazione, da parte dello stesso per qualsiasi
mezzo, di sostanze estranee all’organismo o di sostanze
fisiologiche, in quantità o per via anormale, e ciò al solo scopo di
influenzare artificialmente e in modo sleale la prestazione sportiva
di detto soggetto, in occasione della sua partecipazione ad una
competizione”. Definizione questa che troverà proseliti sia in
ambito scientifico che legislativo.
La risoluzione comprendeva inoltre, una serie di raccomandazioni
rivolte ai singoli Stati della Comunità Europea perché
sensibilizzassero le Federazioni nazionali al problema, sia sotto il
profilo etico-sociale che disciplinare.
Sulla scia di tale impostazione, si rese necessario individuare quali
fossero le sostanze classificabili come “dopanti”, per prevenirne e
controllarne l’uso e stabilirne le sanzioni per i trasgressori.
17
Nello stesso anno, la Commissione Medica del C.I.O. diffuse un
elenco di classi e liste di sostanze considerate doping, nonché di
pratiche denominate: “metodi doping”, partendo dal presupposto
che una mera lista, di principi attivi ad azione dopante, non sarebbe
mai stata sufficientemente esaustiva, visto il continuo evolversi
della ricerca farmacologica. L’elencazione non fu priva di critiche
4
:
per alcuni, infatti, la stesura dell’elenco avrebbe potuto costituire
una implicita conferma delle potenzialità migliorative di certe
sostanze sulle prestazioni.
Così, si cominciò a svolgere un controllo sistematico e furono
eseguiti i primi test anti-doping sugli atleti, ai Giochi invernali di
Grenoble, nonché tra i partecipanti alle Olimpiadi di Città del
Messico, mentre la lista delle sostanze proibite subì la sua prima
revisione.
4
Gagliano-Candela,op.cit.,pag.94
18
Il Consiglio d’Europa nel 1973 ridefiniva il doping, come
somministrazione o assunzione, da parte di individui in buona
salute, di sostanze estranee all’organismo e non naturali, al fine di
migliorare artificialmente e scorrettamente la prestazione in un
evento sportivo. Inoltre sono considerati doping anche gli interventi
psicologici attuati per migliorare la prestazione.
A completamento di tali contromisure fu istituita una sub-
commissione all’interno di quella medica del C.I.O.
5
denominata
“Doping e Biochimica dello sport” che aveva lo scopo di preparare
la lista delle sostanze da vietare agli atleti, sia perché lesive della
salute dello sportivo, sia perché responsabili del potenziamento
artificiale della prestazione e si potè procedere, inoltre,
all’accreditamento dei laboratori in grado di effettuare test
antidoping.
5
Capilli-Putti, La responsabilita’penale nello sport,Milano,2002,pag.618
19
Siamo nel 1986, quando la Commissione Medica del C.I.O.
affermò che il doping consiste nell’impiegare sostanze, comprese in
farmaci, che non si devono usare, ma anche in altri interventi
illeciti, come l’emotrasfusione o doping ematico, consistente nella
somministrazione di sangue o di prodotti affini, contenenti globuli
rossi. Tale pratica è pericolosa in quanto comporta reazioni
allergiche, possibili trasmissioni di malattie infettive, sovraccarico
del sistema circolatorio e shock metabolico (ad esempio, gli atleti si
trasferiscono, per un certo periodo di tempo, ad allenarsi in luoghi
la cui altitudine supera i m. 2500. Qui la minore concentrazione di
ossigeno stimola nel sangue la produzione di globuli rossi,
responsabili della ossigenazione dell’organismo. A questo punto si
effettuano prelievi di sangue che conservato, verrà trasfuso
all’atleta prima dell’evento agonistico, con effetti stimolanti).
Un chiaro messaggio di lotta al doping fu proclamato nel 1988 dal
C.I.O. che, facendo proprie le istanze antidoping suggerite dal