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Parlando di benessere occorre considerare un insieme complesso di molte dimensioni,
siano esse biofisiche, psicologiche e socioculturali.
La QdV quindi è un insieme multisfaccettato di queste dimensioni che si confrontano
e si intersecano in una fitta rete di:
• relazioni
• aspettative
• bisogni soggettivi ed oggettivi
Naturalmente la percezione del raggiungimento di una buona QdV è molto
individuale, e dipende dalle aspettative di ciascuna persona, nonché dal suo stato di
partenza (disabilità, costrizione all’immobilità, ritardo mentale).
Sono comunque le sfere socioeducativa e sanitaria che devono garantire e fare loro
obiettivo la realizzazione del raggiungimento di una QdV accettabile per l’individuo.
Si pensi ad esempio a quanto una persona si sente a proprio agio nel suo ambiente
familiare, a quanta importanza riveste il grado di soddisfazione raggiunto nelle
relazioni interpersonali e quanto sia essenziale la capacità di effettuare mansioni alla
propria portata senza ricorrere all’aiuto di terzi.
“…Una buona qualità di vita è comunque uno “status” che non può dirsi
definitivamente raggiunto, ma anzi va rappresentato come una retta, che ad
un’estremità colloca lo stato di malessere e patologia, e all’altra quello di salute e
benessere.”(Soresi S., 1998)
Il movimento di un indicatore lungo questa retta rappresenta il livello di soddisfazione
e benessere da noi raggiunto, ed è soggetto a spostarsi da un’estremità all’altra a
seconda della nostra età, del nostro più o meno felice invecchiamento e delle malattie
a cui andiamo incontro.
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2. Strumenti per la valutazione della QdV
In letteratura esistono numerose definizioni di QdV: si ritiene ad esempio che essa sia
“…determinata dalle condizioni della vita, dalla soddisfazione per le proprie
condizioni e dalle aspirazioni, valori e aspettative dell’individuo”.(Borthwick-Duffy,
1992)
Anche la soddisfazione personale può essere la risposta soggettiva alla misurabilità
oggettiva di parametri quali salute fisica, relazioni sociali e ambiente di vita.
(Landesman, 1986)
Un altro aspetto interessante, che coinvolge pienamente la categoria degli anziani, è la
possibilità che la persona ha di mantenere o cambiare le proprie condizioni di vita e
quindi la propria QdV. (Edgerton, 1990)
Come già evidenziato, occorre tenere ben presente l’importanza che ogni singola
persona da agli aspetti che concorrono a determinare le proprie condizioni di vita.
E’ quindi un ruolo centrale quello che viene ad assumere la scala di valori
dell’individuo nel definire il concetto di QdV, (Cummins, 1992 ) è cioè fondamentale
come la QdV viene autopercepita.
Nell’analisi di vari studi (Hughes et all., 1995 ) aventi come oggetto d’interesse la QdV
sono emerse ben quaranta definizioni e più di mille differenti misure in grado di
definire la QdV.
Tra le più interessanti e ricorrenti figurano: benessere psicologico e soddisfazione
personale, benessere fisico e materiale, autonomia, autodeterminazione, competenza
personale, capacità di vivere in modo indipendente, integrazione comunitaria,
sviluppo e realizzazione personale, tempo libero e normalizzazione.
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Tutte queste componenti, se da un lato dimostrano l’interesse che la società e la sanità
stanno dimostrando nei confronti della QdV, dall’altro denunciano la complessità e la
multidimensionalità dell’argomento: occorre infatti considerare la moltitudine di
interazioni interpersonali e di fattori individuali che concorrono a determinare una
buona QdV.
Tali considerazioni hanno dato vita ad alcuni “modelli”di QdV.
Halpern (1985) sviluppò un modello articolato in quattro dimensioni fondamentali di
qualità che devono integrarsi tra loro : occupazione, residenza, supporti sociali e
soddisfazione personale.
Al 115° Convegno dell’Associazione Americana sul Ritardo Mentale viene proposto
un modello “multidimensionale”(Schalock, 1991), che da particolare rilevanza a tre
aspetti fondamentali: alle caratteristiche personali, alle condizioni oggettive di vita e
alla percezione che gli altri hanno a proposito delle persone con disabilità, in modo da
inglobare sia aspetti del “macrosistema” (tendenze e fattori culturali) che del
“microsistema” (la sfera personale del soggetto).
Tale modello determina la struttura del Quality of Life Questionnaire, (Schalock, Keith,
Hoffman, 1990) basandosi soprattutto su : indipendenza, intesa come possibilità di
esercitare un controllo sul proprio ambiente, produttività ed integrazione comunitaria
ed infine soddisfazione nel realizzare i propri bisogni.
Murrel e Norris (1983) fanno notare come l’analisi che occorre effettuare per avere
una buona indicazione della QdV deve essere di tipo ecologico, cioè considerare le
caratteristiche fondamentali dell’ambiente di vita del soggetto, comprendendo quindi
tutto ciò che egli considera necessario per ricavare benessere, avere la possibilità di
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intrecciare relazioni interpersonali, senza tralasciare l’eventuale produttività sul
lavoro e il tipo di partecipazione alla vita quotidiana.
E’ proprio l’ultimo punto quello da tenere maggiormente in considerazione, in quanto
è strettamente connesso al sentimento di autoefficacia, importantissimo indicatore
della QdV.
Per valutare la QdV occorre sia utilizzare indicatori facilmente rilevabili, come stato
di salute, situazione economica e qualità dell’ambiente dove il soggetto vive, che
indicatori piuttosto difficili da definire, come ad esempio la qualità dei rapporti
interpersonali o l’autopercezione a proposito della propria condizione.
A tutto ciò andrebbe anche aggiunto (Edgerton, 1990) il fattore “fragilità”, ossia le
capacità residue che permettono alla persona disabile di cambiare o mantenere le
proprie condizioni di vita di fronte ad una nuova variabile che potrebbe andare a
minare il già precario equilibrio in cui il soggetto si trova.
Non va dimenticato come la QdV per una persona che versa in uno stato di disabilità
può essere soddisfacente anche in condizioni di vita che per la maggioranza delle
persone potrebbero essere intollerabili, si ritiene quindi opportuno (Holland, 1990) fare
ricorso a misure oggettivamente rilevabili, nello stesso interesse delle persone
monitorate.
Quando invece si analizzano situazioni dove la disabilità sia di media o lieve entità,
allora è possibile utilizzare tabelle o lavori di altri autori (Cummins, 1992), (Emerson,
1985), (French, Rogers e Cobb, 1974) che puntano sull’esistenza di legami significativi tra
percezione individuale e bisogni, valori e aspettative.
Uno dei capisaldi dell’analisi della QdV è il confronto tra le indicazioni fornite dal
soggetto sulle proprie condizioni e la propria soddisfazione e tutta la popolazione di
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riferimento, proprio per controllare se esse si distribuiscono allo stesso modo o se, e
di quanto, se ne discostano. (Donegan e Potts, 1989)
Interessante l’introduzione (Likert e Cummins, 1992) del coinvolgimento nella
valutazione dei familiari e degli operatori che, essendo a stretto contatto con il
soggetto, ne possono fornire un’ulteriore attendibile valutazione.
In letteratura sono disponibili vari strumenti di valutazione noti ed utilizzati.
La “Lifestyle Satisfaction Scale”(Heal e Chasey-Rusch , 1985), che è strutturata in 29 item
che cercano di esaminare il livello di soddisfazione per il proprio domicilio, per le
attività del tempo libero e per i servizi disponibili.
Simile è il “Quality of Life Questionnaire” (Schalock, 1990), che utilizza una scala di
valutazione a tre livelli per definire grado di benessere, soddisfazione e caratteristiche
negativizzanti come sentimenti di solitudine o sensazioni di inadeguatezza.
E’ inoltre in via di definizione una batteria di valutazione della QdV costruita
pensando all’integrazione fra tutti gli individui coinvolti nella sfera personale del
soggetto.
Si richiede quindi la compilazione di una “checklist” da parte dei familiari, atta a
stimare la QdV del proprio congiunto; un’analoga procedura viene richiesta agli
operatori di un istituto di riabilitazione al quale, eventualmente, la persona si appoggi
ed infine uno strumento di osservazione diretto delle capacità comunicative e abilità
sociali dell’anziano intervistato. Tale batteria di analisi si rifà a proposte di molteplici
autori: ad esempio si suggerisce di utilizzare descrittori oggettivi e valutazioni
soggettive del benessere fisico, materiale, sociale ed emotivo, che si andranno a
sommare alla prospettiva di sviluppo e miglioramento cui la persona può aspirare a
raggiungere partendo dalle sue capacità residue. (Felce e Perry, 1995)
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3. La Qualità di Vita nel soggetto anziano
Il grande interesse di fronte al miglioramento della QdV e all’introduzione di uno stile
di vita attivo, soprattutto per fare in modo che l’invecchiamento sia un processo “di
successo” e non un percorso doloroso e peggiorativo ha naturalmente coinvolto
profondamente l’ Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il punto sulla situazione ha avuto come teatro Madrid, dove dall’8 al 12 Aprile del
2002 si è tenuta la “Seconda Assemblea Mondiale delle Nazioni Unite
sull’Invecchiamento”.
Dall’Assemblea è scaturito un interessante Documento, sotto forma di Rapporto sul
Progetto del Piano d’azione Internazionale sull’invecchiamento. (World Health
Organization: Active Ageing. A policy framework. April 2002)
Nel rapporto si legge come il XX° secolo sia stato segnato da un considerevole
aumento della longevità, che in proiezione futura è destinata a crescere
esponenzialmente.
Il numero delle persone anziane passerà da circa 600 milioni di unità nel 2000 a 2
miliardi nel 2050, passando in percentuale dal 10% della popolazione totale nel 1998
al 15% nel 2050.
Tale progressione sarà particolarmente rapida e decisa nei paesi in via di sviluppo,
dove la popolazione anziana è destinata a quadruplicare nei prossimi 50 anni.
Tale fenomeno interesserà soprattutto l’Asia e l’America Latina, dove la percentuale
totale di anziani passerà dall’8% al 15%, mentre in Africa l’aumento sarà molto
meno elevato (dal 5% al 6%) a causa di difficoltà economiche e sociali e all’epidemia
di Aids e altre malattie dovute a scarsa igiene e malnutrizione.
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In Europa la percentuale totale di persone anziane passerà dal 20% al 28%.
Una tale trasformazione demografica avrà profonde conseguenze su tutti gli aspetti
della vita individuale e comunitaria. (World Health Organization: Active Ageing.A policy
framework.April 2002)
L’OMS con il proseguimento del Documento fa notare come il mondo moderno
disponga oggi di ricchezza e capacità tecnologiche senza precedenti e come debba
utilizzarle per permettere a uomini e donne di avvicinarsi all’anzianità con migliori
condizioni di salute, rendendo possibile l’integrazione degli anziani nella vita sociale,
permettendo loro la possibilità di contribuire attivamente al progresso della società,
godendo di migliore assistenza in caso di bisogno.
Condizione fondamentale per creare tale integrazione è cambiare il modo di vedere la
vecchiaia: se si considera l’invecchiamento come un progresso, una crescita non solo
limitante ma al contrario la possibilità di fare ricorso a competenze ed esperienze
allora sarà naturale vederlo come un fattore positivo per la crescita di una società
matura, pienamente integrata e a misura d’uomo.(Plan on action on ageing[G-77 proposed] )
Le linee guida dell’OMS si traducono quindi in un programma per l’invecchiamento e
la salute incentrato sulla promozione dell’attività fisica per le persone anziane.
Per la prima volta si sostiene in modo marcato che un’ appropriata attività fisica può
e deve essere vantaggiosa per le categorie più deboli, cogliendo l’essenza stessa del
rimettersi in moto, andando oltre la sterile idea del noioso gesto meccanico ripetuto.
Si punta inoltre, da parte dell’OMS, a sottolineare gli aspetti sociali del rilancio della
persona che, grazie ad una rinnovata percezione del proprio corpo in movimento, si
integra nella società, amplia i propri rapporti sociali, incontra nuove generazioni e
contribuisce inoltre al superamento degli stereotipi legate all’invecchiamento.
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E’ naturale pensare e porre l’accento sui benefici derivati per l’intera collettività: i
ridotti costi dell’assistenza sociale e sanitaria dovuti all’aumento di uno stile di vita
più attivo e ancora la promozione di una immagine della vecchiaia positiva ed attiva,
in netto contrasto con quanto per secoli è stato il “pensiero comune”.
Il Documento auspica l’istituzione di programmi specifici di attività fisica per tutti
anche relazionati allo stato di salute della persona, per cui occorrono differenziazioni
in seno ai programmi, che per esempio separino anziani indipendenti da altri che
hanno perso l’autosufficienza, il tutto per cercare di raggiungere e conquistare il
recupero di uno stile di vita attivo. (OMS, 2002)