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INTRODUZIONE
In un supermercato, al ristorante, in giro per la città, è ormai frequente vedere bambini,
magari seduti nel passeggino, con in mano uno smartphone. Questa immagine, ormai così
comune, suscita nell’adulto diverse reazioni: c’è chi è contento perché il bambino sta
giocando in silenzio e non disturba, chi è preoccupato per l’impatto che lo smartphone
potrebbe avere sul suo sviluppo, chi è indifferente perché questa sembra essere la “nuova
normalità” a cui ci si è abituati. La relazione tra bambini e dispositivi digitali sembra
essere ormai parte integrante della quotidianità di moltissime famiglie.
I bambini osservano gli adulti e ne imitano i comportamenti. Sono attratti da ciò che
cattura l’attenzione dei più grandi e questo li spinge ad avvicinarsi, fin da piccoli, a quei
device che interessano così tanto i genitori. In questo modo per i bambini risulta essere
naturale interagire con lo smart speaker Alexa presente in casa, con l’app di Youtube sulla
televisione, con le app sullo smartphone o i giochi sul tablet, creando così una relazione
con i device digitali che è ormai stabile e costante, anche tra i più piccoli.
Riconoscendo questa “nuova realtà” si è voluto approfondire, all’interno di questo
elaborato, il rapporto tra i bambini e i dispositivi digitali, osservando come l’uso dei
device porti a dei cambiamenti nelle capacità dei bambini, approfondendo in particolare
il loro effetto sull’attenzione sostenuta.
La presente tesi di ricerca si basa su due aspetti fondamentali: l’attenzione sostenuta e
l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte di bambini in età prescolare. Per quanto
riguarda il primo aspetto si sono approfondite le caratteristiche ed il funzionamento
dell’attenzione sostenuta. Analizzando in particolare la teoria del flusso di
Csikszentmihalyi, che ha permesso di individuare una situazione specifica, denominata
esperienza ottimale, in cui l’attenzione viene mantenuta senza che l’individuo ne
percepisca lo sforzo. Il secondo aspetto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da
parte dei bambini in età prescolare. Sono stati riportati studi e dati relativi ai tempi medi
di permanenza su un dispositivo, i rischi e i benefici che ne derivano e le tipologie di
proposte che vengono offerte.
Questi due temi sono stati uniti al fine di analizzare l’influenza dell’utilizzo dei dispositivi
digitali sull’attenzione sostenuta dei bambini in età prescolare. Dagli studi condotti è
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possibile affermare che non è lo strumento in sé ad essere dannoso per i bambini, ma
piuttosto la tipologia di proposta che viene fatta attraverso questi strumenti a determinare
la diminuzione o l’aumento dei tempi di attenzione. Se l’utilizzo che viene fatto dei device
si limita ad applicazioni che non stimolano le attività cognitive dei bambini, l’effetto sarà
quello di una diminuzione dell’attenzione, in particolare dell’attenzione sostenuta.
Sulla base di questa riflessione, è stato sviluppato il progetto di ricerca, descritto nel
capitolo III. L’obiettivo del progetto è stato quello di dimostrare come una proposta
ragionata rispetto all’utilizzo del tablet possa favorire l’aumento dei tempi di attenzione
sostenuta dei bambini della scuola dell’infanzia durante un’attività specifica. Il progetto
è stato strutturato in modo da proporre ai bambini il gioco in coppia o individualmente.
Ogni bambino ha sperimentato due modalità di gioco: una con il gioco di carte Dobble e
l’altra utilizzando l’app Spotter find it fast! su tablet, che riproduce il gioco di carte
Dobble in formato digitale. In questo modo è stato possibile rilevare la variazione dei
tempi di attenzione dei bambini nei due momenti di gioco, analizzando l’influenza che il
diverso strumento ha avuto sull’attenzione.
L’approccio utilizzato durante lo svolgimento del progetto di ricerca è stato quello della
ricerca empirica per esperimento, in cui è stata variata la modalità di proporre il gioco,
attraverso le carte o il tablet, con lo scopo di rilevare gli effetti di questa variazione sui
tempi di attenzione sostenuta dei bambini. In questo modo è stato possibile raccogliere
dati qualitativi e quantitativi. I dati qualitativi sono stati documentati attraverso la stesura
di un diario di bordo che ha permesso di registrare diversi atteggiamenti e reazioni dei
bambini durante il gioco. I dati quantitativi sono stati rilevati attraverso la misurazione
del tempo in cui i bambini hanno mantenuto la propria attenzione, in questo modo è stato
possibile confrontare la durata dell’attenzione sostenuta nel gioco con le carte e in quello
con il tablet.
Le conclusioni del progetto di ricerca suggeriscono che l’utilizzo delle tecnologie digitali
da parte dei bambini possa favorire l’engagement verso l’attività proposta, portando ad
un aumento dei tempi di attenzione sostenuta. In effetti, nella maggior parte dei casi, i
tempi di attenzione sono stati maggiori quando i bambini hanno utilizzato il tablet rispetto
alle carte.
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Le argomentazioni riportate precedentemente sono state articolate in tre capitoli.
All’interno del primo capitolo viene fornita una base teorica rispetto al funzionamento
dell’attenzione sostenuta e dell’utilizzo dei device da parte dei bambini in età prescolare.
Al termine del primo capitolo è presente una sezione conclusiva in cui questi due elementi
si intrecciano e dove viene descritta l’influenza della tecnologia sui tempi di attenzione.
Nel secondo capitolo viene fatto un affondo rispetto alla tematica delle applicazioni, le
loro funzioni e caratteristiche. È presente l’analisi di diverse app sulla base delle funzioni
esecutive che vengono utilizzate nel gioco, questo ha permesso la stesura di una guida
dedicata ai genitori rispetto all’utilizzo del digitale da parte dei bambini.
L’ultimo capitolo è dedicato alla ricerca empirica in cui viene presentata la struttura e il
contesto dove è stato svolto il progetto, illustrando il metodo scelto e l’organizzazione.
Nella parte finale del capitolo si trovano l’analisi dei dati qualitativi e quantitativi che
derivano dall’attuazione del progetto di ricerca e che hanno portato alle conclusioni sopra
riportate.
La motivazione che mi ha spinto ad approfondire queste tematiche deriva
dall’osservazione di come i bambini, già dal nido e dalla scuola dell’infanzia,
interagiscono con i dispositivi digitali. Ho notato che, molto spesso, i genitori o gli adulti
in generale affidano lo smartphone ai più piccoli senza conoscere le conseguenze che
questo gesto potrebbe avere. Il rischio è che smartphone o tablet vengano utilizzati come
“ciuccio” o babysitter, in modo che i piccoli stiano “calmi”. Questo, però, porta ad uno
“spegnimento cognitivo” che limita le scoperte e le esperienze che i bambini in età
prescolare devono vivere per sviluppare capacità e competenze necessarie per un corretto
sviluppo. Per questo, all’interno del progetto di tesi, è stata inserita una sezione dedicata
ai genitori, trasformata poi in una guida pratica. La guida è stata condivisa con i genitori
della scuola in cui ho svolto il tirocinio e fornisce loro indicazioni, emanate da pediatri e
da esperti, rispetto al corretto uso degli strumenti digitali. Inoltre si sono volute indicare
delle app ritenute adatte ai bambini e che possono permettere lo sviluppo di competenze
e funzioni esecutive, in modo da utilizzare i device digitali come strumenti che
permettono di continuare le esperienze e gli apprendimenti che caratterizzano i bambini
di questa età.
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L’obiettivo della guida e della tesi nel suo insieme è quello di riconoscere come sia
anacronistico pensare di eliminare completamente l’utilizzo del digitale da parte dei
bambini, ma di riconoscere la necessità di guidare tale rapporto. Genitori ed insegnanti
hanno il compito di educare i bambini verso lo sviluppo di competenze che possano
permettere un utilizzo critico e funzionale dei device digitali. Questo è possibile solo se
tutte le figure educative lavorano insieme, concordando lo scopo e le modalità
dell’utilizzo dei dispositivi tecnologici.
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CAPITOLO I – I tempi di attenzione sostenuta e l’utilizzo
delle tecnologie
Nella prima parte di questo elaborato verrà esposto il quadro teorico riguardante i due
argomenti su cui pone le basi questa tesi: l’attenzione sostenuta e l’utilizzo delle
tecnologie da parte di bambini dai 4 ai 6 anni. Al termine di questa prima parte teorica
verrà presentata ed approfondita la relazione che intercorre tra questi due aspetti.
1.1 L’attenzione sostenuta
“Devi stare attento”, “Concentrati!”, “Guarda qui”. Queste sono solo alcune delle frasi
che i bambini si sentono ripetere in continuazione. A cosa fanno riferimento i genitori o
gli educatori quando chiedono ai bambini di “stare attenti”? L’attenzione è un elemento
fondamentale nella quotidianità di ognuno, si attiva la propria capacità attentiva in diverse
situazioni, per esempio quando si attende lo scattare del verde al semaforo, durante una
conversazione con un amico oppure nella lettura di un articolo. Questi sono solo alcuni
esempi di azioni che si compiono tutti i giorni e che richiedono attenzione, una funzione
esecutiva che è presente fin dalla nascita e che matura insieme all’individuo nelle diverse
tappe della crescita.
La definizione di cosa sia l’attenzione risulta essere non immediata, infatti ha diverse
sfumature: è possibile intendere quel processo mentale con cui vengono selezionati alcuni
degli stimoli rilevati dai sensi, in modo da attivare il sistema cognitivo solamente su
elementi rilevanti; si può intendere le risorse mentali che ogni individuo ha a disposizione
per elaborare delle risposte; è possibile fare riferimento alla funzione di integrare diversi
tipi d’informazioni che ci permettono di agire nella realtà in cui viviamo.
Si può quindi affermare che l’attenzione è:
“quel processo che opera una selezione tra tutte le informazioni (esterne o interne) che
in un dato istante colpiscono i nostri sensi permettendo solo ad alcune di essere
elaborate” (Rumiati & Nicoletti, 2006).
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1.1.1 Il funzionamento dell’attenzione
L’attenzione è un processo cognitivo che permette di selezionare e concentrare la capacità
di elaborazione mentale su determinati stimoli o informazioni che siano rilevanti per
raggiungere un obiettivo specifico, ignorando gli stimoli irrilevanti.
Il funzionamento dell’attenzione a livello cognitivo coinvolge diverse strutture cerebrali
che hanno una funzione specifica: il sistema reticolare attivatore ascendente (ARAS) che
ha la funzione di mantenere l’attenzione generale; la corteccia prefrontale che è coinvolta
nella pianificazione e nell’elaborazione di informazioni sensoriali; il lobo temporale è
necessario per la percezione uditiva e la comprensione del linguaggio; il lobo occipitale
è coinvolto nell’elaborazione visiva; il lobo parietale controlla le attività visuo-spaziali
(Cherubini et al., 2021).
Se consideriamo il punto di vista funzionale, legato all’aspetto anatomico, sono stati
individuati (Posner & Dehaene, 1994) tre principali sottosistemi attentivi: il sistema
attentivo anteriore (area prefrontale) che risulta essere responsabile dei segnali per
l'elaborazione focale conscia e per il controllo del comportamento; il sistema attentivo
posteriore (area parietale) che è responsabile dell'elaborazione dettagliata di oggetti e per
la focalizzazione dell'attenzione; il sistema attentivo che è responsabile della
conservazione di uno stato di allerta o di vigilanza.
Esistono diversi modelli che spiegano il funzionamento del processo cognitivo
dell’attenzione, ne verranno approfonditi alcuni di essi nei prossimi paragrafi.
Analizzando il modello dell'attenzione di Knudsen (2007) è possibile sottolineare il ruolo
del controllo top-down dell'attenzione. Questo modello mostra come ci siano quattro
componenti essenziali dell'attenzione: la memoria di lavoro, la selezione competitiva, il
controllo top-down della sensibilità e i filtri di salienza. Le informazioni sensoriali
vengono filtrate dall’attenzione per individuare gli stimoli maggiormente importanti dal
punto di vista comportamentale, quelli istintivi o quelli poco frequenti, secondo un
approccio bottom-up. Questi stimoli vengono codificati e sottoposti ad un processo di
selezione che sceglie cosa può avere accesso alla memoria di lavoro e cosa no, in base
alla forza relativa del segnale. La memoria di lavoro è una funzione esecutiva
fondamentale, che utilizza le informazioni per dirigere i comportamenti e l’attenzione,
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utilizzando un approccio top-down. La sensibilità alle informazioni viene regolata per
concentrare maggior attenzione solo alle informazioni necessarie per lo svolgimento di
una certa azione o decisione. Knudsen ha affermato che questi compiti dipendono dallo
sviluppo della corteccia prefrontale.
Anche il modello di Barkley sulla funzione esecutiva (Barkley, 2011) sottolinea, come
quello di Knudsen, la correlazione tra il controllo esecutivo e la scelta rispetto a cosa
prestare attenzione. La teoria di Barkley enfatizza lo sviluppo dell’autoregolazione e del
controllo top-down del comportamento. Vengono citate almeno sei funzioni esecutive
chiave: autocontrollo (inibizione esecutiva), azione sensomotoria autodiretta (memoria di
lavoro non verbale), discorso privato autodiretto (memoria di lavoro verbale),
emozione/motivazione autodiretta (inibizione di emozioni forti), gioco autodiretto
(pianificazione, innovazione, generatività) e attenzione autodiretta (consapevolezza di
sé).
Un approccio che si orienta maggiormente rispetto al mantenimento dell’attenzione
nell’ambito didattico per favorire l’apprendimento è quello dell’Universal Design for
Learning (UDL), che ha come fine quello di offrire pari opportunità di successo a tutti gli
studenti. Alla base di questo approccio riscontriamo come non tutti gli individui imparano
allo stesso modo, esistono diversi modi per apprendere e mantenere attiva la propria
attenzione. L’UDL si occupa di introdurre metodi flessibili e inclusivi in modo da
permettere a tutti gli studenti l’apprendimento. Questo approccio si basa sue tre principi
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fondamentali: il primo principio è quello di fornire molteplici mezzi di rappresentazione
e percezione, questo avviene fornendo agli alunni diversi modi per assimilare i contenuti,
permettendo loro di scegliere le modalità che maggiormente si adattano alle loro
predisposizioni; il secondo principio riguarda il fornire molteplici mezzi di azione ed
espressione, quindi diverse modalità per esprimersi e agire, utilizzando le proprie
strategie e sostenendo le proprie funzioni esecutive; infine l’ultimo principio è quello di
fornire molteplici mezzi di coinvolgimento (engagement), quindi motivare gli alunni e
renderli protagonisti delle proposte.
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Il DigComp (Digital Competence Framework for Citizens) è il quadro europeo per lo sviluppo delle
Competenze Digitali per i cittadini e delinea i tre principi dell’UDL. Nella versione 2.2 l’ordine in cui
vengono proposti i tre principi è stato riorganizzato, è stato qui mantenuto il vecchio ordinamento perché
permette una progressione più lineare per questioni di percezione fino alla dimensione affettiva.
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Un’altra teoria fondamentale, rispetto al mantenimento dell’attenzione per permette un
miglior apprendimento, è la teoria del carico cognitivo che fornisce un insieme di principi
di progettazione didattica che permettono di sfruttare al meglio le capacità cognitive degli
alunni, permettendogli un processo di apprendimento più efficiente. La memoria umana,
così come la capacità attentiva, è limitata, è quindi necessario progettare un percorso che
permetta di sfruttare al meglio le capacità degli alunni. Nei primi anni ’80 nasce la teoria
del carico cognitivo dalle ricerche di Sweller che hanno mostrato come l’apprendimento
viene facilitato se allo studente vengono proposti problemi con un obiettivo libero oppure
esempi guidati. Se il carico cognitivo risulta essere troppo elevato, il rischio è quello di
non riuscire a portare a termine l’obiettivo di apprendimento a causa del limite della
propria capacità di elaborazione; se il carico cognitivo è troppo basso si può ottenere
mancanza di interesse ed essere maggiormente propensi alla distrazione. Esiste quindi un
carico cognitivo positivo che è quello che permette di effettuare uno sforzo mentale
soddisfacente.
Il carico cognitivo può essere diviso in tre parti: il carico cognitivo intrinseco, estraneo e
pertinente. Quello intrinseco è quello dato dalla natura dei contenuti e le abilità dello
studente, quindi la difficoltà della proposta rispetto alle proprie capacità; quello estraneo
dipende da fattori contestuali che non riguardano la proposta in sé; quello pertinente o
rilevante riguarda i processi direttamente rilevanti per l’apprendimento quindi la capacità
cognitiva che viene investita nella proposta. Per facilitare l’apprendimento e il
mantenimento dell’attenzione è importante ridurre il carico cognitivo intrinseco ed
ottimizzare il carico cognitivo rilevante.
Per favorire i processi cognitivi, e quindi per permettere il corretto mantenimento
dell’attenzione a favore di un apprendimento, vengono proposti dalla teoria del carico
cognitivo diversi effetti. Il primo è l’effetto dell’attenzione divisa che porta l’alunno ad
interfacciarsi con diversi elementi che devono essere elaborati insieme per la
comprensione, questo crea un aumento del carico cognitivo non necessario che non
favorisce l’apprendimento. Il secondo effetto è quello della modalità, prevede l’utilizzo
di due canali differenti, per esempio quello derivante da una fonte visiva e una uditiva,
che vengono utilizzati in forma complementare per fornire un’informazione, in questo
modo l’apprendimento avverrà attraverso due modalità differenti. L’ultimo effetto è
quello della ridondanza che prevede un peggioramento dell’apprendimento nel momento
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in cui l’alunno deve elaborare simultaneamente due fonti di informazioni che hanno lo
stesso contenuto.
1.1.2 Le tipologie di attenzione
Come si è sottolineato nella definizione di attenzione, non esiste un compito unico che
questa facoltà cognitiva ricopre. Nei prossimi paragrafi si analizzano diverse tipologie di
attenzione che definiscono al meglio le declinazioni di questa capacità.
1.1.2.1 Attenzione selettiva
Donald Broadbent nel 1958 ha sviluppato insieme a Colin Cherry la Teoria del filtro.
Questo modello analizza come il cervello concentri la propria attenzione uditiva su un
unico stimolo, andando a filtrare e scartare tutti gli altri che sono stati ricevuti
contemporaneamente. Questo portò l’autore a sostenere l’esistenza di un meccanismo di
filtraggio che inibisce alcune informazioni. Quando si ricevono due stimoli sensoriali
contemporaneamente uno solo dei due viene elaborato, mentre l’altro viene scartato
oppure può essere elaborato ma in un secondo momento. Senza l’azione del filtro si
rischierebbe di avere un sovraccarico di informazioni che non permetterebbe l’analisi e
l’approfondimento di nessuna di esse.
Questo modello sta alla base della definizione di attenzione selettiva o focalizzata. Questa
è la capacità di concentrare le proprie risorse mentali su alcune informazioni specifiche
piuttosto che su altre.
Un esempio di questo tipo di attenzione può essere l’esperimento dei passaggi e del
gorilla. L’osservatore deve guardare un video in cui ci sono dei ragazzi che si stanno
lanciando una palla, viene chiesto di contare quanti passaggi vengono effettuati.
Normalmente al termine del video tutti gli spettatori riescono a dare la giusta risposta
rispetto ai passaggi, ma pochi sono quelli che riportano di essersi resi conto della presenza
di una persona travestita da gorilla che camminava dietro ai giocatori durante la maggior
parte del video. Questo avviene perché il nostro cervello non è in grado di elaborare
contemporaneamente tutti gli input che riceve sia attraverso i sensi sia attraverso i sistemi
di memoria e di pensiero. Quindi viene data la priorità ad alcuni degli stimoli ricevuti,
mentre altri vengono filtrati.