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Introduzione
In psicologia, la ricerca sull'attenzione ha come obiettivo generale l’indagine delle
modalità con cui le informazioni provenienti dall'ambiente esterno vengono elaborate
dal sistema percettivo e cognitivo umano. Numerose ricerche si sono focalizzate sullo
studio delle limitazioni mostrate da tale sistema, analizzando come esso sia in grado di
sopperire all'impossibilità di elaborare contemporaneamente le migliaia di stimoli ai
quali è sottoposto di continuo.
Il modo più efficace per gestire una simile quantità di dati è assegnare delle priorità
alle informazioni da elaborare, in base a determinati obiettivi. Questa fondamentale
capacità ha a che fare con la cosiddetta “attenzione selettiva”, ovvero l'insieme dei
meccanismi che ci consentono di selezionare gli stimoli utili e/o interessanti all'interno
di un contesto, ignorando tutti gli altri.
All'origine della capacità di attenzione selettiva troviamo quei processi responsabili
del controllo sul comportamento cognitivo dell'individuo, che, in base agli obiettivi da
raggiungere, indicano al filtro attentivo quali sono le informazioni da ricercare tra le
tante fonti potenzialmente in concorrenza (Norman & Shallice, 1986).
Un ambito di studio utile per indagare il ruolo svolto dai processi di controllo è quello
offerto dal paradigma sperimentale del cambio di compito, o task switching, in cui si
chiede ai soggetti di alternare velocemente l'esecuzione di due o più compiti.
Nella letteratura sui processi di controllo si fa riferimento al termine costo del cambio
di compito, o switching cost, per indicare un peggioramento della prestazione durante
l'esecuzione della prima prova effettuata dopo che il compito da eseguire è stato
cambiato, in termini di rallentamento del tempo di risposta ed aumento del numero di
errori (Della Libera & Stablum, 2004).
Questo fenomeno mette in evidenza l'assunto di base comune a molti approcci teorici
sull'attenzione, ovvero il fatto che i processi cognitivi umani siano un sistema a capacità
limitata.
Un ulteriore paradigma sperimentale con cui tale assunto è stato indagato consiste nel
compito di presentazione visiva seriale rapida (RSVP), in cui due stimoli target di una
stessa categoria vengono presentati in rapida successione tra una serie di stimoli
distrattori: nel rilevare il secondo target, i soggetti mostrano una prestazione scarsa se
l'intervallo temporale tra i due stimoli (stimulus onset asynchrony; SOA) è compreso tra
i 200 e i 500 millisecondi (msec), fenomeno che è stato definito per la prima volta da
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Raymond, Shapiro ed Arnell (1992) come Attentional Blink (AB).
L’obiettivo della presente ricerca è la comprensione dei meccanismi sottostanti il
fenomeno Attentional Blink, nell’ipotesi che esso non dipenda esclusivamente dai limiti
delle risorse di elaborazione. Infatti, negli ultimi anni molti autori hanno dimostrato
come, in alcune circostanze, sia possibile modulare l’entità del deficit, arrivando così ad
attenuare notevolmente l’effetto, se non addirittura ad annullarlo.
Questa constatazione ha fatto avanzare l’ipotesi che l’Attentional Blink possa
dipendere, in realtà, dalla particolare configurazione dei processi di controllo, ritenuti
come una possibile determinante del fenomeno.
Al fine di indagare ulteriormente tale ipotesi, alcuni autori si sono serviti del
paradigma del cambio di compito come una modalità utile per comprendere il ruolo dei
processi di controllo nell’Attentional Blink. In effetti, da questi studi è emerso che il
controllo cognitivo esercita una notevole influenza sulla capacità di attenzione selettiva,
aprendo così un nuovo filone di ricerca sperimentale nel campo dell’attenzione.
Seguendo la strada intrapresa da questi ultimi studi, la presente ricerca ha indagato, a
scopo esplorativo, le modalità di azione dei processi di controllo nella comparsa
dell’effetto Attentional Blink. Nella procedura sperimentale adottata sono state inserite
due tipologie di prove RSVP, che differivano per la categoria di appartenenza dei
relativi target. I due tipi di prova sono stati alternati casualmente, al fine di comparare le
prestazioni mostrate dai soggetti in base alla tipologia di prova svolta in precedenza.
È stato quindi riscontrato che l’effetto AB non risulta indipendente dalla
configurazione attentiva adottata nella prova precedente, mostrando infatti un
significativo decremento nei casi in cui tale configurazione, invece di ripetersi,
differisce da quella attivata in precedenza.
Tali risultati sono stati interpretati alla luce dell’Overinvestment Hypothesis di Olivers
e Nieuwenhuis (2006), un modello che individua nell’eccessivo investimento delle
risorse attentive la causa sottostante il deficit di AB. Sulla base di questa interpretazione,
è stato ipotizzato che il sistema cognitivo non sempre tragga beneficio da uno stato di
forte concentrazione dell’individuo sul compito, soprattutto nei casi in cui è necessario
dover gestire con velocità il passaggio ad un nuovo obiettivo. Ad esempio, questo
accade quando diverse attività richiedono, più o meno contemporaneamente, la nostra
attenzione. È quindi possibile che i processi di controllo siano configurati per garantire
al sistema cognitivo una certa flessibilità tra obiettivi distinti, che implica una
distribuzione adeguata delle risorse attentive disponibili.
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1. CONTRIBUTI TEORICI
1.1 IL FENOMENO ATTENTIONAL BLINK
Il sistema attentivo umano è in grado di elaborare pienamente solo una piccola parte
della totalità di informazioni che afferiscono in continuo ai nostri sensi, essendo dotato
di appositi filtri che permettono di selezionare gli stimoli maggiormente utili al
comportamento, scartando tutti gli altri. Di conseguenza, soltanto alcune informazioni
guadagnano l'accesso ad un livello cosciente di consapevolezza, poiché vengono
registrate come rappresentazioni all'interno della memoria di lavoro.
Ma fino a che punto tale sistema di filtraggio riesca a svolgere correttamente la sua
funzione costituisce un importante aspetto da indagare. Ad esempio, una volta
selezionato uno stimolo, ci si può chiedere quanto a lungo l'attenzione si debba
soffermare su quel certo stimolo prima di poterne selezionare ed elaborare un altro.
Una soluzione sperimentale a simili quesiti consiste nel «sovraccaricare» il sistema
cognitivo stesso, al fine di comprendere la sua architettura funzionale e individuarne i
limiti di capacità (Pashler, 1994).
1.1.1 Procedura di presentazione visiva seriale rapida
Nelle procedure sperimentali che utilizzano un paradigma di presentazione visiva
seriale rapida (Rapid Serial Visual Presentation; RSVP) una serie di stimoli appaiono in
sequenza su uno schermo, ciascuno per una durata di presentazione variabile dai 15 ai
120 msec. Abitualmente, ai partecipanti viene richiesto di identificare/rilevare
determinati stimoli target (convenzionalmente definiti T1 e T2) sulla base di
caratteristiche fisiche e/o semantiche, ignorando i restanti stimoli distrattori.
In tal modo si realizzano frequenze di presentazione molto vicine ai limiti della soglia
percettiva, pari a 8-15 stimoli al secondo. Il paradigma prevede che le risposte siano
fornite dai partecipanti al termine di ciascuna sequenza, senza registrare i tempi di
reazione (TR). L'assenza di pressione temporale consente infatti di eliminare qualsiasi
possibile interferenza derivante dal dover fornire risposte accelerate.
La principale manipolazione sperimentale applicabile a questo tipo di compiti riguarda
l'intervallo temporale di presentazione tra i due target (stimulus onset asynchrony;
SOA), che viene manipolato variando il numero di distrattori interposti tra T1 e T2
(Sessa & Dell'Acqua, 2008).
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La logica alla base dei paradigmi di RSVP è che, sollecitando i meccanismi di
elaborazione fino ai loro massimi limiti, sia possibile valutare il livello al quale
l'informazione è analizzata e codificata (Chun & Wolfe, 2001; Coltheart, 1999).
1.1.2 Descrizione dell'effetto Attentional Blink
Sorprendentemente, è stato riscontrato (Lawrence, 1971) che anche a frequenze molto
alte di presentazione degli stimoli (16 items/sec) la capacità di selezione e codifica di
un singolo target risulta essere piuttosto buona, con un'accuratezza di risposta pari a
circa il 70%. Questo dato ci suggerisce che un intervallo temporale di soli 100 msec sia
sufficiente per portare a termine l'elaborazione di uno stimolo in una sequenza RSVP.
Tuttavia, può essere dimostrato che ciò non accade quando un secondo stimolo target
viene aggiunto alla serie. Infatti, ad una velocità di presentazione di circa 100
msec/item, i soggetti mostrano un marcato decremento nell'accuratezza di risposta al
secondo dei due target (T2), quando questo appare tra i 200 e i 500 msec di distanza dal
primo (T1; Broadbent & Broadbent, 1987; Raymond et al., 1992).
L'intervallo temporale compreso tra i 200 e i 500 msec può essere quindi considerato
la «finestra temporale critica» perché si possa osservare un effetto Attentional Blink
(AB), che in altri termini consiste nel decremento della prestazione al diminuire del
SOA tra T1 e T2. Tale effetto non si verifica durante la condizione di controllo, in cui
viene richiesto ai partecipanti di riferire solamente T2 ignorando T1; in questo caso, la
percentuale di rilevamenti corretti è piuttosto alta e non risulta dipendere dal SOA tra i
due target.
Figura 1. Rappresentazione della funzione di Attentional Blink. In ascissa è rappresentata la posizione di
T2 nella sequenza di stimoli rispetto a T1 (lag), in ordinata è rappresentata la proporzione delle risposte
corrette (%) nel compito associato a T2. Una misura dell’effetto AB è data dall’area tra le due funzioni
rappresentate, riferite alla condizione di controllo e alla condizione sperimentale (tratto da Sessa &
Dell’Acqua, 2008).
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Poiché T1 compare ugualmente sia nella condizione sperimentale che in quella di
controllo, ne consegue che il fattore determinante affinché si verifichi un effetto di
Attentional Blink non può essere la semplice presenza fisica di T1, bensì il tipo di
compito ad esso associato (Sessa & Dell'Acqua, 2008).
1.1.3 Interpretazioni dell’effetto Attentional Blink
Tra i diversi tentativi di spiegazione del fenomeno, la letteratura riporta soltanto due
modelli teorici a sostegno dell'ipotesi che l'AB abbia origine ad uno stadio di
elaborazione percettiva dell'informazione.
Il primo di questi, definito come Attentional Gate Model (Raymond, Shapiro & Arnell,
1992), ipotizza che all'interno di una RSVP contenente due stimoli target la rilevazione
di T1 avvenga a livello preattentivo sulla base di una sua caratteristica fisica (ad es. il
colore o la forma), e prevede che tale rilevazione determini l'inizio di un episodio
attentivo. Gli autori descrivono questa fase come l'apertura di un «cancello» che
consente all'informazione visiva di essere elaborata ad un livello superiore, e
attribuiscono l'Attentional Blink ad un meccanismo di inibizione che impedisce agli
stimoli post-target di oltrepassare il cancello, al fine di ridurre potenziali interferenze.
In altri termini, l'informazione contenuta nello stimolo T1+1 non potrà essere rilevata
fino a che il cancello attentivo rimarrà chiuso, al fine di permettere una piena
elaborazione di T1. Il modello è stato infatti definito anche come Shut-and-Lock Model,
ad indicare un'anomala e prolungata chiusura del cancello attentivo in risposta alla
potenziale minaccia costituita dagli stimoli distrattori della RSVP successivi a T1 (Sessa
& Dell'Acqua, 2008).
Raymond et al. (1992) stimano che l'intervallo di chiusura del cancello sia di circa
500 msec, e suggeriscono che l'AB si manifesti perché T2 appare all'interno di questa
finestra temporale critica, in cui ha luogo l'inibizione. Non appena T1 è stato
identificato, il cancello potrà essere riaperto, e solo allora la comparsa di T2 potrà
innescare un nuovo episodio attentivo.
Un secondo modello a sostegno dell'ipotesi che l'effetto AB sia determinato da limiti
di elaborazione percettiva è stato proposto da Duncan, Ward & Shapiro (1994; si veda
anche Ward, Duncan & Shapiro, 1996) e prende il nome di Modello ad ingaggio
temporale (Attentional Dwell Time Model).