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1 La pubblicità
1.1 Breve storia della pubblicità
«La pubblicità è l’anima del commercio» diceva Henry Ford, sintetizzando in poche parole
la vera essenza della pubblicità: una forma di comunicazione che dalle origini a oggi ha
permesso lo sviluppo del commercio, inizialmente assumendo il carattere di comunicazione
interpersonale, in seguito, trasformandosi in elemento essenziale per lo sviluppo delle civiltà
e mezzo di trasmissione fondamentale per gli scambi culturali tra i popoli.
Questa forma di comunicazione ha origini antichissime, anche se molti studiosi ritengono
che l’inizio della storia della pubblicità coincida con l’avvio del fenomeno dell’urbanesimo,
altri invece considerano l’invenzione di Gutenberg, lo strumento che ha permesso alla
pubblicità di svilupparsi.
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In ogni caso, si possono trovare esempi primordiali di pubblicità già nelle prime civiltà, le
quali avevano elaborato elementari sistemi di propaganda. Alcuni usano prendere come
esempio le scritte rinvenute sui muri di Pompei risalenti al I secolo a.C., in cui si faceva
propaganda politica, altri numerosi esempi di affreschi, mosaici e simboli.
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Altro esempio
arcaico che si può includere nello studio delle origini della pubblicità viene citato da
Arcangeli (2008, p.11), e riguarda la richiesta di aiuto da parte di un tessitore per recuperare
uno schiavo fuggito, nella quale, riporta in chiusura la frase: «Il negozio del tessitore Hapù
dove si tessono le più belle tele di tutta Tebe, secondo il gusto di ciascuno»
3
. Naturalmente
tutte queste forme primordiali non possono rientrare nella stessa accezione che oggi si
affida al termine pubblicità.
Nell’epoca medievale la pubblicità si manifestava in forma di messaggi orali annunciati da
banditori, che esaltavano le proprietà dei loro prodotti nelle vie della città, e sempre in
quest’epoca diventano caratteristiche le insegne a bandiera che abbellivano le botteghe
artigiane allo scopo di persuadere il cliente.
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Pur con il significativo avvento della stampa a caratteri mobili, ideata come è noto da
Gutenberg nel 1465, non ci fu nell’immediato una importante diffusione dei messaggi
pubblicitari, perché in questo periodo i pochi esempi di questa particolare forma di
comunicazione, possono essere considerati più che altro «avvisi propagandistici a fini
religiosi» (Arcangeli, 2008, p.12).
Bisognerà aspettare la fine del secolo XVII, quando con la comparsa del primo mezzo di
comunicazione di massa, il giornale, apparvero annunci nei quali professionisti di vari settori
offrivano i propri servizi; più precisamente comparvero nelle gazzette, considerate le forme
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Massimo Arcangeli cita nell’opera Il linguaggio pubblicitario l’affermazione di Gianluigi Falabrino: «se
aprite una storia della pubblicità e, all’inizio, leggete che i primi a scrivere messaggi commerciali sono stati i
soliti Cinesi, gli Egiziani o i romani di Pompei, chiudetela subito e passate a più proficue letture»
2
Per questo argomento si consiglia di approfondire con: CODELUPPI, Vanni (2001), Che cos’è la pubblicità,
Roma, Carocci.
3
Per approfondire confronta: VECCHIA, Marco (2003), Hapù. Manuale di tecnica della comunicazione
pubblicitaria, Milano, Lupetti, p. 25
4
Per approfondire si veda: CODELUPPI, Vanni (2001), Che cos’è la pubblicità, Roma, Carocci.
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primordiali dei moderni periodici, annunci contenenti elementi che caratterizzeranno la
pubblicità moderna, come ad esempio la persuasione e il testimonial.
Il primo annuncio apparso nel 1631 in una gazzetta fondata da un medico francese,
Théophraste Renaudot, pubblicizzava un’acqua minerale; il creatore, visto il successo
ottenuto, decise quindi di pubblicare un altro periodico chiamato Feuille du Bureau des
Adresses, dedicato esclusivamente agli annunci pubblicitari.
Nel secolo XVIII, in Europa come nel nord America, la presenza di annunci nelle
pubblicazioni periodiche si faceva sempre più frequente. Numerosi esempi di annunci in
inglese arrivavano infatti da pubblicazioni come The Tatler, The Spectator, The Pennsylvania
Gazette; la maggior parte era di carattere informativo e promozionava articoli come
parrucche, cosmetici, tè, caffè (Valdés Rodríguez, 2004, p.33).
Alcune volte i prodotti reclamizzati erano presentati da personaggi celebri dell’epoca, allo
scopo di garantire la qualità e l’utilità. Ancora però non si può parlare di pubblicità ‘di massa’
come la si conosce nell’epoca attuale, perché il mercato di questi prodotti si riduceva a un
contesto locale ed era rivolto a un pubblico concreto.
La grande diffusione della pubblicità arrivò nel XIX secolo quando diventò l’alleata
fondamentale della grande produzione, frutto della rivoluzione industriale in cui si iniziò a
produrre rapidamente grandi quantità di nuovi prodotti, permettendo una diversificazione
della produzione e un’offerta più varia di articoli. Questo processo modificò le tecniche di
scrittura dei messaggi pubblicitari perché gli annunci dovevano presentare il prodotto come
qualcosa di unico e diverso rispetto a ciò che produceva il fabbricante concorrente.
Il primo elemento che permise la differenziazione dei prodotti era il nome della marca
che spesso coincideva con il cognome del fabbricante o manteneva una stretta relazione con
le particolarità del prodotto. In Europa si diffuse l’abitudine di dedicare la quarta pagina dei
periodici alla pubblicazione degli annunci, in modo da garantire la sopravvivenza economica
del giornale. Cominciò a diventare frequente il gioco linguistico caratteristico degli annunci
moderni e in questo modo si produsse una riduzione considerevole del numero di parole
utilizzate.
La pubblicità subì una grande trasformazione nella seconda metà del secolo XIX, grazie
all’aumento della circolazione di periodici e riviste e alla diffusione dell’interesse per il
disegno creativo (Valdés Rodríguez, 2004, p.34). In questo periodo alcuni periodici imposero
il restringimento formale dello spazio concesso agli annunci e questo causò la progressiva
formazione della struttura del messaggio pubblicitario con le caratteristiche che conosciamo
oggi. Infatti, questa limitazione spinse i pubblicisti a ricorrere alla ripetizione dello slogan
tante volte quante lo permetteva la colonna a disposizione, e gli effetti furono straordinari
perché la memorizzazione di alcune frasi portò a un abituale uso linguistico di queste (Valdés
Rodríguez, 2004, p.35).
Il grande cambiamento, però, si produsse sul finire del secolo XIX, negli anni ottanta,
quando gli editori crearono «otro medio de prensa escrita financiado y creado casi con
totalidad a benefício de la publicidad: la revista con ilustraciones, en ocasiones pintadas por
artistas famosos de la época»(Valdés Rodríguez, 2004, p.35). La pubblicità iniziava a fare i
suoi primi passi nel terreno dell’arte; in questi anni, infatti, si assistette anche all’avvento
della “cartellonistica urbana d’artista” (Arcangeli, 2008, p.15) in cui creativi come Leonetto
Cappiello, Marcello Dudovich, Adolf Hohenstein, Leopoldo Metlicovitz, Giovanni Maria
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Mataloni sperimentarono prime forme di pubblicità persuasiva dipingendo enormi poster
che venivano affissi nelle vie delle città. Inoltre si assistette al passaggio dalla pubblicità
“statica” a quella “dinamica”, nella quale, prima nei cartelli dei cosiddetti ‘uomini sandwich’,
poi nelle fiancate dei vagoni della metropolitana, apparvero messaggi pubblicitari
‘ambulanti’(Arcangeli, 2008, p.15).
Agli annunci informativi sprovvisti di elementi figurativi, si affiancarono avvisi che
istituivano tra l’immagine e il testo verbale relazioni formali e semantiche, e questa
differenziazione nella creazione pubblicitaria, causò il dibattito tra i sostenitori della “reason
why advertising” e quelli della “impressive why advertising”. I primi volevano creare un
modello di comunicazione che fosse sempre contestualizzata, che non lasciasse troppo
spazio all’immaginazione, e che fosse caratterizzata da un testo semplice e informativo, i
secondi invece davano maggiore importanza all’immagine sempre accostata a un testo
evocativo e allusivo (Arcangeli, 2008, p. 17).
Nelle prime decadi del XX secolo apparvero nuovi mezzi di comunicazione come la radio e
i fumetti, ma ciò che è importante dire riguardo all’analisi storica del ruolo della pubblicità, è
che quest’ultima ebbe una funzione importante nel periodo tra le due guerre, in cui un
intenso sentimento di patriottismo si appropriò dei messaggi pubblicitari britannici per
sfruttare il fattore psicologico e promuovere la lotta dei soldati. In Italia divennero celebri le
frasi pronunciate da Benito Mussolini, il quale per comunicare e persuadere l’opinione
pubblica italiana spesso faceva ricorso alle tecniche di persuasione tipiche del messaggio
pubblicitario. Tra le frasi più celebri ed efficaci citiamo «Credere, obbedire, combattere!»
«Vincere e vinceremo!»
5
.
Dopo la seconda guerra mondiale si produsse la grande espansione internazionale
dell’attività pubblicitaria ritenuta elemento essenziale dello sviluppo di nuove forme di
comunicazione e di mercati del consumo. In quegli anni, infatti, il boom economico e
demografico sperimentato nelle culture occidentali si caratterizzò per la proliferazione di
nuovi prodotti seguita dall’apertura di vere e proprie agenzie pubblicitarie. L’obiettivo
principale delle agenzie diventò la creazione di messaggi che tenessero conto della
motivazione dei mercati, della motivazione del target, e ideassero strategie necessarie per
stimolare la domanda di un nuovo prodotto
6
.
Tutto ciò fu possibile anche grazie all’invenzione del mezzo di comunicazione di massa per
eccellenza: la televisione, per la quale i pubblicitari sperimentarono nuove forme di
comunicazione studiate per attirare il più possibile l’attenzione del cliente, ormai abituato
alla visione di infiniti annunci. Solo in Italia si produsse un programma originale, contenitore
di pubblicità televisive molto creative, che fece la storia e rimase nella memoria di molti: il
«Carosello, un programma giornaliero, che andava in onda subito dopo il telegiornale della
sera *…+, costituito da quattro o cinque telecomunicati intervallati da un siparietto»
(Arcangeli 2008, p.24), in cui si presentava una storiella che non aveva nessun fine
commerciale, seguita da un codino di chiusura in cui faceva ingresso il prodotto.
5
Per approfondire si veda: CODELUPPI, Vanni (2001), Che cos’è la pubblicità, Roma, Carocci.
6
Per approfondimenti ed esempi cfr. VALDÉS RODRÍGUEZ, María Cristina (2004), La traducción publicitaria:
comunicación y cultura, Valencia-Barcelona, Universitat Autònoma de Barcelona, Universitat Jaume I,
Universitat Pompeu Fabra, p. 36.
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Negli anni ottanta gli spazi occupati fino ad allora dalla pubblicità aumentarono
considerevolmente. I processi di regolazione e privatizzazione dei sistemi di comunicazione
aprirono nuove vie per fare arrivare i messaggi delle imprese a destinatari ai quali mai prima
d’allora ci si era avvicinati e la pubblicità divenne la principale fonte economica per i mezzi di
comunicazione moderni, consacrandosi come forza economica e sociale. La pubblicità
quindi, in questi anni, emerse come modo di comunicazione dominante tra gli individui e le
culture, incentivando la diffusione del consumo su grande scala.
Negli anni novanta si affinarono le indagini di mercato e ci si concertò maggiormente sui
comportamenti d’acquisto del consumatore. Iniziò l’era del consumismo, e si diffuse ciò che
Arcangeli (2008, p. 34-35), riprendendo il titolo di un romanzo di una scrittrice londinese,
definisce lo shopaholism
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, che «se non è proprio dipendenza, è sempre più esperienza
totale, full immersion nel magico mondo *…+ dei grandi marchi aziendali.»
In questi anni si sono moltiplicati i mezzi di comunicazione in cui la pubblicità ha trovato
le sue applicazioni: la televisione, la radio, il web
8
, i cartelloni che riempiono le vie delle città
e le autostrade, le riviste illustrate, gli spazi nei treni, negli autobus, nei camion, nella metro,
nei taxi, le buste dei supermercati, e dei negozi di moda, persino l’uomo si è convertito in
annuncio “ambulante” -per riprendere il termine che Arcangeli (2008) usa per
soprannominare gli uomini-sandwich, quando sfoggia capi firmati con il marchio esibito a
caratteri cubitali. Questa indigestione di simboli, colori e slogan ha causato una congestione
mentale del consumatore, che involontariamente assorbe quantità di informazioni utili per il
riconoscimento del marchio.
Con l’avvento della globalizzazione il mondo del marketing si è adattato alle nuove
tendenze socio-economiche modificando le principali strategie di comunicazione per
rendere più efficace il prodotto pubblicitario considerando non tanto l’influenza nel
mercato, quanto la possibilità di battere la concorrenza. Il fenomeno della globalizzazione ha
smussato le differenze culturali esistenti prima dell’apertura dei mercati internazionali, e ha
permesso che le persone possedessero gli stessi desideri e gli stessi valori in tutto il mondo.
Per questa ragione le imprese che oggi operano a livello globale si rivolgono a tutto il mondo
vendendo lo stesso prodotto con le stesse tecniche
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. Il vantaggio di questo processo si vede
nella creazione di un’immagine di marca riconoscibile mondialmente, ma il problema si crea
quando si deve commerciare il prodotto nei paesi nei quali si parlano lingue differenti, quindi
le imprese ricorrono alla traduzione del testo pubblicitario.
1.2 Target
L’enciclopedia Treccani
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definisce il target come «la fascia dei potenziali acquirenti di un
prodotto *…+ a cui un messaggio pubblicitario può essere indirizzato.»
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Il termine è tratto dal romanzo dal titolo Confession of a Shopaholic di Madeleine Wickham, in arte Sophie
Kinsella, New York, Bantam Dell, 2009
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In questo lavoro non ci vogliamo addentrare nel mondo nella pubblicità sul web, anche se è necessario
dire che è in costante e vertiginoso aumento grazie all’elevato fattore redditizio.
9
Per maggiori approfondimenti si consiglia di consultare LEVITT, Theodore (1983), The globalization of
markets, Harvard Business Review, <http://hbr.org/1983/05/the-globalization-of-markets/ar/1>,.
10
Enciclopedia Treccani online, <http://www.treccani.it/vocabolario/target/>.
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Il primo elemento che le agenzie pubblicitarie devono analizzare quando elaborano una
strategia comunicativa è proprio il target, che in inglese significa, non a caso, bersaglio-
obiettivo. L’analisi di questo elemento, rappresenta una fase molto importante nella
realizzazione di una campagna pubblicitaria, perché serve a individuare i soggetti che
possono essere davvero interessati al prodotto e questi soggetti non sono altro che individui,
che come afferma Giampaolo Fabris in La pubblicità. Teoria e prassi pensano, hanno un loro
modo di reagire ai tentativi di persuasione, un loro modo di percepire la pubblicità e «più in
generale hanno una propria personalità e reagiscono alla pubblicità in base ai tratti di tale
personalità.»
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L’agenzia pubblicitaria deve quindi conoscere le esigenze, le preferenze, i
gusti degli individui bersaglio, in modo da poter adattare una giusta e mirata persuasione.
Per ottenere il target finale si applica il cosiddetto approccio ‘sociografico’ che studia,
oltre i comportamenti di consumo, anche le variabili socio-demografiche quali l’età e la
classe sociale, e gli indicatori psicografici rappresentati dai valori e dai vari stili di vita.
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1.3 Medium
Per la pianificazione della pubblicità sui media, ossia sui vari mezzi di comunicazione di
massa, è necessario conoscerne la copertura e l’impatto sul target.
I principali media sono i quotidiani, i periodici, la televisione, la radio, Internet e la
pubblicità esterna. Ogni medium ha una sua specificità, una propria sintassi, ha un modo
particolare di attirare l’attenzione del potenziale consumatore, però ciascuno presenta
vantaggi e svantaggi che obbligano il pubblicitario a effettuare uno studio accurato sulle
potenzialità del medium ma soprattutto sulla psicologia del consumatore, prima di
impostare l’annuncio (Borello - Mannori 2007, p. 53).
La psicologia del consumatore si concentra sullo studio della sensazione, intesa come
l’insieme dei sensi attraverso cui l’individuo riceve degli stimoli, e sullo studio della
percezione che è il modo attraverso cui si interpretano gli stimoli per dare un senso alle
cose. Quest’ultima quindi assume un ruolo importante nello studio dei comportamenti del
consumatore perché consente di comprendere la relazione che esiste tra gli individui e i
prodotti commerciali pubblicizzati.
I sensi che entrano in gioco quando all’individuo si presenta un messaggio pubblicitario
sono principalmente la vista e l’udito perché i restanti olfatto, tatto e gusto, prevedono una
conoscenza pregressa del prodotto reclamizzato. La vista è l’unico senso che entra in
funzione quando il soggetto percepisce la pubblicità presente sui media come i quotidiani, i
periodici, Internet e la pubblicità esterna; viene invece accompagnata dall’udito quando il
soggetto percepisce gli spot televisivi, mentre per gli spot radiofonici si attiva solo l’udito. La
musica e il suono giocano un ruolo importante nel mondo dei consumi perché stimolano
ricordi ed emozioni del passato, influenzano l’umore e quindi condizionano la percezione del
consumatore.
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11
FABRIS, Giampaolo (1997), La pubblicità. Teoria e prassi. Milano, FrancoAngeli.
12
MAGGI, Stefano I social media e l’analisi del target dal punto di vista sociografico, www.wearesocial.it
<http://wearesocial.it/blog/2010/03/social-media-lanalisi-del-target-dal-punto-di-vista-sociografico/>.
13
Per gli argomenti che riguardano la psicologia del consumatore si veda: SIRI, Giovanni (2004), Psicologia
del consumatore: consumi e costruzione del significato, Milano, McGraw-Hill.
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Per chi si occupa di psicologia dei consumi è importante riuscire a comprendere come
attirare l’attenzione dei propri consumatori, quindi è fondamentale studiare quali sono i
vantaggi e gli svantaggi nel pubblicizzare un prodotto in uno specifico medium piuttosto che
in un altro.
La pubblicità per mezzo stampa è caratterizzata da una maggiore attenzione al target,
infatti si propongono messaggi mirati su target specifici a seconda della specializzazione
della rivista/giornale, inoltre il consumatore viene informato in modo esaustivo perché lo
spazio pubblicitario è sufficiente per includere maggiori informazioni e illustrazioni, rispetto,
ad esempio, al tempo limitato che caratterizza un annuncio radiofonico. A differenza della
pubblicità televisiva, quella su stampa non è “irritante” perché non interrompe i programmi,
inoltre presuppone un ruolo attivo da parte del lettore, diverso dal ruolo passivo del
telespettatore. E’ svantaggiosa la mancanza di movimento che non consente la
dimostrazione del prodotto nella stessa misura che viene offerta da altri media.
La pubblicità su media esterni, come la pubblicità murale o i mezzi di trasporto, utilizza
colori e figure ed ha il vantaggio di poter essere vista più volte dal potenziale compratore in
diversi luoghi e per un tempo non breve. Perde leggermente di efficacia perché non può
essere selettiva e quindi non raggiunge un preciso target.
La pubblicità sul web consente di applicare nuove tecniche di targeting precise, ma
spesso è considerata fastidiosa perché distrae l’attenzione dell’individuo che sta effettuando
una specifica ricerca online.
La pubblicità radiofonica seleziona bene l’audience e può comunicare anche fuori dalle
mura domestiche. A differenza delle pubblicità che prevedono l’uso della vista, la radio,
basando la propria comunicazione soprattutto sulla percezione uditiva, favorisce
l’immaginazione. Ha, però, un grande svantaggio: poiché accompagna il consumatore
durante il lavoro quotidiano, spesso non riceve un’attenzione adeguata. La pubblicità
televisiva, al contrario, combinando suono e immagini, udito e vista, può descrittivamente
illustrare i prodotti e mostrarne l’uso.
La televisione, essendo di solito guardata a casa, consente maggiormente di catturare
l’attenzione del consumatore, il quale, anche se non si trova davanti allo schermo, può
comunque ricevere il messaggio sonoro. Questo mezzo di comunicazione proprio per la sua
caratteristica di poter ricorrere a due distinti canali di trasmissione si presenta, quindi come,
il più efficace veicolo del messaggio pubblicitario. Lo spettatore può distrarsi, cambiare
canale, ma anche decidere volontariamente di soffermarsi a guardare gli spot che vengono
trasmessi durante l’intervallo televisivo. L’unico svantaggio si crea quando l’intervallo
pubblicitario interrompe eccessivamente la programmazione diventando quindi “irritante”.
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1.4 Mission
Con il termine Mission ci si riferisce agli obiettivi che un pubblicitario deve conseguire
attraverso la creazione di una campagna pubblicitaria.
La pubblicità serve a presentare un determinato prodotto o servizio al consumatore, ma
per raggiungere questo obiettivo sfrutta infinite forme di persuasione (attenzione,
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Per approfondire cfr. BORELLO, Enrico – MANNORI, Silvia (2007), Teoria e tecnica delle comunicazioni di
massa, Firenze, Firenze University press, p.53-64
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suggestione, ricordo, immaginazione)
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che agiscono sui sentimenti e sulle debolezze del
potenziale compratore. Nell’opera Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa, gli autori
definiscono le tre tipologie di obiettivi che la pubblicità può conseguire:
- la pubblicità informativa ha l’obiettivo di creare la domanda primaria e quindi
caratterizza il prodotto nelle sue prime presentazioni;
- la pubblicità persuasiva ha l’obiettivo di persuadere che il proprio prodotto è migliore
rispetto a quello presentato dalla concorrenza;
- la pubblicità del ricordo ha l’obiettivo di mantenere presente nella mente del
consumatore il prodotto reclamizzato.
Erich Fromm sosteneva che «la maggior parte della pubblicità non fa tanto appello alla
ragione quanto all’emozione» e in effetti, la pubblicità, deve stimolare il desiderio, e il
desiderio deve persistere fino al suo soddisfacimento che si concretizza nell’acquisto del
prodotto reclamizzato.
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IBIDEM p. 65-66