5
Capitolo 1
Attaccamento Infantile
1.1 Che cos’è?
L’attaccamento lo si definisce come uno stretto legame emotivo tra due persone, che
dura stabilmente, unendo il bambino o la bambina a un caregiver, ovvero alla persona
adulta che se ne occupa fin dalla nascita, la quale il più delle volte coincide con la figura
materna.
Non mancano i contributi teorici riguardanti questo tema, tant’è vero che, nell’andare a
delineare il costrutto di attaccamento, sotto le sue articolate sfaccettature, si sono
incontrati ed integrati tra loro tre paradigmi di studio diversi: la Psicoanalisi, l’Etologia
e la Cibernetica.
È in questo contesto pionieristico che va a collocarsi la teoria di Bowlby, studioso di
orientamento psicoanalitico, che riprende diversi elementi cruciali da ognuno dei
suddetti approcci, proprio per fornire il quadro più completo possibile
dell’Attaccamento.
L’Attaccamento empiricamente assume tre configurazioni diverse, non a caso in
perfetta proporzione con il numero dei paradigmi di ricerca sopra menzionati.
Lo si può dunque intendere come legame, come comportamento e come sistema, questi
ultimi tipicamente più manifesti e sotto gli occhi di tutti, come a certificare l’esistenza
del primo, che rimane più latente.
1.1.1 Il peso della Psicoanalisi
Dalla psicoanalisi, Bowlby conserverà l'attenzione per la relazione diadica, o oggettuale,
tra caregiver e infante.
Per spiegare tale tipologia di relazione, o legame, Freud diceva: “La relazione del
bambino con la madre è unica, senza paralleli, tale che una volta stabilita si mantiene
inalterabile per tutta la vita come la prima e più forte relazione d'amore, e come
prototipo di tutte le future relazioni amorose, e questo è vero per entrambi i sessi”.
Già con questa asserzione, il padre della psicanalisi si riferiva alle caratteristiche che
assume l'amore verso il proprio partner, in base alla tipologia di relazione instaurata da
bambino con il proprio genitore di riferimento.
Non a caso, è un dato di fatto che non tutti amano allo stesso modo, né i rapporti di
6
coppia hanno le medesime caratteristiche per ognuno di noi.
Tuttavia, nonostante le differenze individuali, il legame madre bambino si può davvero
reputare come il prototipo del legame di coppia nella sua impalcatura universale (Freud,
1912; Attili, 2004).
Se è vero che, fin dai primordi della nostra specie, i piccoli hanno sempre cercato di
stare il più vicino possibile alla loro mamma, fatto che si verifica in tutte le culture,
allora in base a quale motivazione i piccoli mantengono il contatto e si disperano se
vengono separati dal caregiver?
Freud aveva dato un'interpretazione del legame tra bambino e madre in termini di
motivazione secondaria; mentre Bowlby, basandosi sulle successive scoperte di stampo
etologico, avrebbe poi smentito tale asserzione parlando di motivazione primaria.
In ottica prettamente psicanalitica la madre è colei che può soddisfare i bisogni
considerati primari come l'essere nutriti, essere puliti e quelli di tipo sessuale,
riconducibili all'energia della libido.
Ed è incentrandosi sull’eventualità di un accumulo di suddetta energia che Freud parla
di “amore fortemente interessato”, in qualità di effetto collaterale della necessità di
eliminare il disagio venutosi a creare qualora i suddetti bisogni non venissero
soddisfatti.
La madre coinciderebbe, quindi, con l'oggetto sul quale il bambino può estinguere tale
disagio, come vera motivazione dell’esistenza del legame di attaccamento (Freud, 1912;
Attili, 2004).
È proprio qui che Bowlby arriva ad intendere che la formazione di suddetto legame si
fondi su una motivazione intrinseca primaria e non secondaria, come, invece, avevano
sempre sostenuto Psicodinamica e Comportamentismo, per quanto si tratti di due
approcci molto distanti tra loro.
Costruire questo tipo di legame, con una persona sufficientemente responsiva ed
accogliente, è un bisogno di tipo primario al pari di alimentazione e pulizia.
1.1.2 Il contributo dell’Etologia
Bowlby acquisirà importanti spunti dall’Etologia, a sostegno proprio dell’ipotesi di una
basilare motivazione intrinseca primaria nella costruzione del legame di attaccamento.
La prima serie di studi che egli ha preso in considerazione è stata quella di Harry
Harlow, un primatologo del Wisconsin, il quale ha condotto una serie di esperimenti sui
macachi Rhesus, con i quali abbiamo in comune un 96% di caratteristiche, secondi solo
7
agli scimpanzé (con cui, invece, condividiamo il 98% del patrimonio genetico).
Suddette ricerche hanno condotto a risultati di una portata tale da render meglio
comprensibile l’intera vita affettiva di varie specie, inclusa la nostra.
Un primo esperimento prevedeva che dei piccoli macachi fossero tolti alle madri
biologiche, subito dopo la nascita, e venissero collocati in gabbie di ferro e allattati con
biberon.
In un primo momento, emerse che le scimmiette sopravvivevano molto difficilmente,
poiché sviluppavano una vera e propria gamma sintomatologica, come diarrea, disturbi
del sonno e alterazioni cardiache, tipica di quella che viene chiamata ansia da
separazione.
A questo punto, Harlow e collaboratori inseriscono nelle gabbie delle sagome di
scimmia, dei simulacri di madre, detti surrogati, alcune costruite con un filo di ferro e
dotate di un biberon pieno di latte, altre ricoperte di un panno morbido, ma senza
biberon.
Usando il gradiente della preferenza come parametro di rilevazione sperimentale, hanno
constatato che tra il surrogato meccanico materno “nutritivo” e quello “accudente”, i
cuccioli Rhesus, dopo aver soddisfatto il proprio bisogno di fame, spendevano la
maggior parte del tempo presso la madre che dava loro calore.
Inoltre, in un’altra situazione sperimentale, la quale prevedeva l’esposizione a stimoli
paurosi, i cuccioli si rifugiavano dalla madre morbida e cercavano di ricavare conforto
da essa, abbracciandola (Harlow, 1958).
A seguire, un’altra condizione sperimentale, nella quale le scimmiette venivano esposte
a un surrogato accudente avente come testa una semplice palla di lana, dimostrando di
apprezzare particolarmente la conformazione di tale viso.
Nel momento in cui i ricercatori decisero di sostituire suddetta palla di lana con una
testa le cui sembianze rievocavano più fedelmente quelle di una scimmia vera, i piccoli
ne furono letteralmente terrorizzati, tanto da fuggire via.
Il tutto ha avuto luogo dopo che i cuccioli avevano compiuto i tre mesi d’età, ed erano
stati costantemente esposti alla presenza della testa fatta di lana nelle loro routine
quotidiane, meglio note col termine di Format, per usare un concetto molto caro a
Bruner (Bruner, 1983).
Quindi i piccoli di macaco non cercavano conforto in qualsiasi figura si palesasse loro,
purché morbida, bensì in una più specifica che avevano incontrato nei loro primi giorni
di vita e che avevano riconosciuto come la loro figura di accudimento primaria.
8
Dai risultati di questi esperimenti appare evidente come sia il contatto stretto con
qualcosa di morbido, soffice e caldo, a rendere possibile la vita, al punto che la madre si
pone come fattore determinante per la cosiddetta omeostasi fisiologica del cucciolo, ed
è proprio questo l'elemento che consente la regolazione delle funzioni adattative, garanti
della sopravvivenza.
Pertanto, il bisogno di contatto si configura come primario rispetto al bisogno di cibo.
Ed ecco perché primaria è anche la motivazione alla base del legame di attaccamento tra
l’infante e madre.
Il bambino risulta motivato intrinsecamente e primariamente a ricercare e preservare il
contatto, perché è tramite quest'ultimo che ha più chance di esistere e crescere (Harlow,
1958; Attili 2004).
Ma se consideriamo la prospettiva del Caregiver, come mai anche la madre biologica ha
la stessa motivazione intrinseca del piccolo?
Perché possiede un così grande interesse nell’accudire e nel difendere dai pericoli la sua
progenie?
Perché a livello evolutivo siamo programmati in modo da avere come scopo ultimo
della nostra esistenza quello di lasciare nel maggior numero di individui possibile le
nostre caratteristiche.
Dunque, dobbiamo chiamare in causa la Selezione naturale di stampo darwiniano, la
quale ha operato in maniera tale da far sì che i nostri comportamenti e l'intero format
della nostra mente, siano finalizzati ad agire ed operare per assicurare il nostro successo
riproduttivo, oltre alla sopravvivenza.
Nello specifico, la selezione naturale agisce in maniera tale da far scattare durante lo
sviluppo una sorta di orologi biologici, i quali vengono tecnicamente indicati con il
nome di Periodi.
In un primo momento erano etichettati con l'attributo “Critici”, ad indicare un intervallo
di tempo caratterizzato dall’irreversibilità dell’evento che accade al proprio interno, per
poi, con il progresso degli studi, arrivare alla sostituzione dell'attributo critico con
quello di “Sensibile”.
È entro questi periodi che i piccoli di tutte le specie riescono meglio a localizzare chi
meglio di altri risulta preferibile in qualità di caregiver accudente.
Ecco che nella sua teorizzazione, Bowlby ha introdotto ulteriori prove empiriche di
carattere etologico, facendo propri i concetti di Imprinting e di schema fisso d'azione.
Il primo, concetto ereditato da Konrad Lorenz, indica un fenomeno per cui i piccoli