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CAPITOLO 1
Introduzione sulle dimensioni affettive e sulla modalità di relazione
madre-bambino e l’influenza che hanno per lo sviluppo infantile.
Studiare lo sviluppo affettivo significa studiare in quale modo,
generalmente, si stabiliscono dei rapporti affettivi, e in particolare, quali
condizioni favoriscono la loro formazione, e quali invece la ostacolano, o
danno luogo addirittura a rapporti affettivi di segno opposto. Queste
condizioni possono essere innate (sotto forma di predisposizioni) o
ambientali quali, ad esempio, la maggior o minore presenza accanto al
bambino dei genitori nei suoi primi anni di vita, la qualità del loro
comportamento nei suoi confronti durante l’infanzia e la fanciullezza, la
presenza dei fratelli, la possibilità di precoci esperienze sociali con altri
bambini o adulti. Fra le predisposizioni, una di particolare rilevanza è
quella che dà origine all’attaccamento.
Il ruolo del legame fra il bambino e le sue figure adulte di riferimento e il
loro contributo allo sviluppo rappresentano, attualmente, uno dei temi di
maggiore interesse e riflessione in ambito psicologico.
L’obbiettivo primario del legame e dei comportamenti di attaccamento è la
funzione protettiva. Tuttavia, l’esistenza di modalità diverse di
organizzazione delle relazioni di attaccamento, pone il problema del loro
diverso significato adattivo e dell’impatto, da un punto di vista evolutivo,
che hanno sul bambino.
I principali teorici dell’attaccamento hanno ipotizzato, e parzialmente
dimostrato, come la sicurezza sia dipendente dalla qualità delle cure
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ricevute dal bambino. Per esempio, Ainsworth et al. (1978) hanno
osservato che le madri dei bambini sicuri apparivano più sensibili,
cooperative e disponibili psicologicamente rispetto alle altre. Per questo
motivo, hanno ritenuto che il modello Sicuro sia un fattore protettivo, in
quanto, avere a propria disposizione una figura di attaccamento sensibile e
responsiva, che rappresenta una base sicura, garantirebbe al bambino le
migliori probabilità di adattamento al proprio ambiente e faciliterebbe il
suo sviluppo complessivo. I meccanismi mediante i quali l’attaccamento
Sicuro favorirebbe ciò sono molteplici. La presenza di un adulto coerente
nel proprio investimento verso il bambino, adeguatamente affettuoso e
sollecito, capace di comprendere i segnali che il piccolo gli invia e di
accogliere le richieste di intimità e di rassicurazione, ma anche di
indipendenza e di autonomia, faciliterebbero da un lato l’interiorizzazione
di un sentimento interno di sicurezze e fiducia nei propri confronti e nella
possibilità di essere accettato e compreso dalle altre persone; dall’altro lato,
tale esperienza costituirebbe un importante primo banco di prova, una
matrice relazionale in cui apprendere e sperimentare capacità e strategie
interattive adeguate, utilizzabili successivamente con le altre persone.
A questo proposito, numerose ricerche hanno evidenziato come i bambini
Sicuri nella prima infanzia tendano, negli anni successivi anche fino alla
scuola elementare, ad avere mediamente, sia con i coetanei che con gli
adulti, maggiori competenze sociali e relazionali, e anche una migliore
capacità di regolazione del proprio mondo affettivo ed emozionale.
Un esempio di ricerca svolta in tale direzione è quella di Zimmermann e
Grossmann (1994). Essi rilevarono una scarsa capacità di regolazione degli
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affetti, con l'utilizzo particolare delle emozioni negative e dell'aggressività,
da parte di bambini classificati Evitanti a 12 mesi di età con la Strange
Situation e osservati a 4 e a 8 anni, nell' ambito di uno studio longitudinale,
identificando la tipologia di attaccamento come organizzatore delle risposte
emotive e comportamentali del bambino.
Parallelamente, è stato ipotizzato che l'attaccamento Sicuro possa
rappresentare un elemento di facilitazione anche rispetto ad altri ambiti di
sviluppo del bambino, pur se meno direttamente connessi ad aspetti di
competenza sociale, relazionale ed emotiva, quali lo sviluppo cognitivo e
linguistico. Per quanto riguarda l'influenza della qualità dell'attaccamento
sullo sviluppo linguistico, una metanalisi di van IJzendoorn, Dijkstra e Bus
(1995) sottolinea come poche siano le ricerche in questo particolare campo,
con risultati che non sembrano fornire un quadro del tutto coerente. Più
precisamente, la presenza di un legame di attaccamento Sicuro risulta
essere associata alla varietà e alla chiarezza dei primi segnali comunicativi,
ai gesti comunicativi prodotti a 12 mesi, all'ampiezza di vocabolario a 18
mesi, al numero di morfemi per enunciato rilevati a 20 mesi e alla
percentuale di frasi interrogative prodotte a 36 mesi (cfr. Salerni, Calvo,
D'Odorico, 2001). Negli stessi studi, tuttavia, non venivano riscontrate
differenze significative tra bambini con diverse modalità di attaccamento in
relazione ad altre misure comunicative e linguistiche.
In definitiva, nonostante il quadro complessivo richieda ulteriori
approfondimenti e conferme, vi sono alcune prove del fatto che la sicurezza
possa facilitare il successivo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino.
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Se da un lato la letteratura in genere sostiene che l’attaccamento Sicuro sia
un possibile fattore generale di protezione per il bambino, dall’altro,
attualmente, non si possono considerare le diverse modalità insicure come
veri e propri fattori di rischio.
Nel complesso, le caratteristiche di minore sensibilità dei genitori dei
bambini insicuri sembrano suggerire la possibilità che tali configurazioni di
attaccamento possano aumentare le probabilità di difficoltà nello sviluppo
del bambino e, per questa ragione, siano in senso molto ampio dei possibili
fattori di rischio. Per contro, tale posizione solleva alcuni interrogativi.
Vi sono ricerche che non hanno trovato lo stesso riscontro nell'ipotesi che
sia la sensibilità materna la condizione esclusiva, pur se importante, nel
determinare la sicurezza del bambino (De Wolff, van IJzendoorn, 1997).
Quindi, al momento attuale, i ricercatori tendono ad assumere una
posizione più prudente considerando l’attaccamento Sicuro come uno stile
relazionale che può promuovere l'adattamento del bambino, ma che non
considera le diverse modalità insicure come veri e propri fattori di rischio.
Queste ultime vanno considerate, infatti, come differenti stili relazionali
con caratteristiche specifiche che assicurano alla madre e al bambino una
vasta gamma di modalità relazionali attraverso le quali adattarsi alle
diverse condizioni ambientali.
Quindi, in senso generale, l'interfaccia tra lo studio dell' attaccamento e la
psicopatologia è costituita proprio dall'individuazione degli elementi
disfunzionali dell'attaccamento che possono generare un'incapacità di
adattamento del bambino al proprio ambiente, nonché dalla valutazione del
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peso che questi hanno nel favorire un'evoluzione sana o psicopatologica
nelle epoche successive dello sviluppo.
Un discorso a parte è rappresentato dalle modalità di attaccamento meno
usuali e meno presenti nei campioni normativi, quali l'attaccamento D
(Disorganizzato/Disorientato) o quello NC (Evitante/ Ambivalente), che
sembrano maggiormente costituire un indice predittivo di difficoltà,
rispettivamente nella relazione madre-bambino o riguardo all'adattamento
del bambino stesso, anche nelle età successive alla prima infanzia, in
quanto connesse a esperienze di accudimento già di per sé disfunzionali.
In tal senso, alcuni autori sembrano proporre una corrispondenza tra
l’attribuzione di tali categorie e alcuni elementi problematici nello sviluppo
del bambino o nella relazione con il genitore.
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CAPITOLO 2
Influenza di ordine affettivo-relazionale e dimensioni cognitive
La ricerca presentata di seguito riguarda, essenzialmente, l'analisi delle
relazioni diacroniche esistenti tra la sicurezza dell' attaccamento e il
comportamento di gioco simbolico, da un lato, e lo sviluppo della,
competenza linguistica, dall'altro.
Diversi autori hanno ipotizzato la presenza di una associazione, nella prima
infanzia, tra sviluppo in ambito cognitivo e linguistico. Sia l’approccio
piagetiano (Piaget, 1945) che la prospettiva teorica sviluppata da Werner e
Kaplan (1963), si basano sull'idea di parallelismo: l’associazione tra schemi
di tipo linguistico e gestuali sarebbe, cioè, determinata dall’esistenza di una
funzione simbolica comune ad entrambi i domini. Di conseguenza, la
produzione e la comprensione linguistica, come pure il gioco simbolico,
sarebbero manifestazioni di un’evoluzione generale che, da
un’elaborazione delle informazioni di tipo sensomotorio, porta all'utilizzo
dei simboli in diversi ambiti di sviluppo. Considerando, nell'insieme, i
risultati delle ricerche che hanno esaminato le eventuali relazioni esistenti
tra lo sviluppo del linguaggio e altri domini specifici di sviluppo cognitivo,
tuttavia, emerge un quadro alquanto controverso. Infatti, sebbene siano
state riscontrate diverse associazioni significative tra alcuni indici non
linguistici (ad es. comportamenti guidati dalla comprensione della relazione
mezzi-fini, utilizzo di strumenti, aspetti del gioco simbolico) e il
comportamento verbale (Bates, Camaioni e Volterra, 1975; Sugarman-Bell,
1978), d’altro canto è stato evidenziato come altre misure in ambito
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cognitivo (abilità di tipo spaziale, acquisizione della permanenza
dell’oggetto) non risultino, in realtà, chiaramente collegate all'abilità
linguistica (Corrigan, 1979).
Altri autori, contestando l’ipotesi sopraccitata, soprattutto se intesa nella
sua forma più radicale (l’esistenza, cioè, di un parallelismo in ambiti di
sviluppo diversi, fondato su di un singolo fattore), hanno ipotizzato che lo
sviluppo linguistico non sia collegato a quello di altri domini cognitivi ma
segua una linea evolutiva totalmente indipendente (Harris, 1983; Petitto,
1988). Questa posizione teorica è in linea con l’ipotesi di Chomsky, basata
su una visione del linguaggio inteso come un sistema cognitivo modulare,
autonomo e incapsulato (Chomsky, 1980; Fodor, 1983; Roeper e Williams,
1987). Anche quest’approccio, che enfatizza l’indipendenza tra i diversi
ambiti di sviluppo, non viene sostenuto da quelle ricerche, presenti in
letteratura, che hanno dimostrato l'esistenza di associazioni tra alcuni
domini non linguistici (ad es. l’attività di gioco simbolico) e lo sviluppo
linguistico. Bates e collaboratori (Bates, Benigni, Camaioni e Volterra,
1977; Bates, Benigni, Bretherton, Camaioni e Volterra, 1979), ad esempio,
trovano che l’utilizzo delle parole al fine di denominare gli oggetti emerge
in concomitanza all’uso dei gesti con la stessa funzione e che è possibile
riscontrare un notevole grado di sovrapposizione per quanto riguarda i con-
tenuti degli atti di gioco prodotti dai bambini e le prime parole.
Anche McCune-Nicolich (1981, 1995) suggerisce che l’abilità nel produrre
combinazioni di simboli, sia a livello linguistico che di gioco, si sviluppa
parallelamente e che è possibile individuare diversi altri tipi di
corrispondenze tra i due domini di riferimento. Alcuni studi, infatti, hanno
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evidenziato una chiara associazione tra gioco simbolico e competenza
linguistica, misurata in termini di accelerazione lessicale (questo termine
indica un improvviso e rilevante aumento dell’ampiezza del vocabolario),
comparsa delle prime combinazioni di parole e dei pronomi dimostrativi
(Casbye Ruder, 1983; Ogura, 1991).
Alla luce di questi risultati contrastanti, che non permettono di sostenere
pienamente le due impostazioni teoriche precedenti, altri autori hanno
sviluppato un’ipotesi alternativa, fondata sull’assunto che le relazioni tra
linguaggio e aspetti cognitivi dello sviluppo siano molteplici e di tipo
diverso (Bates et al., 1977; Corrigan, 1978; Fischer, 1980; Gopnik e
Meltzoff, 1986, 1987). Sulla base di questa prospettiva, quindi, sia il
comportamento di gioco che il linguaggio assumono un aspetto di
multidimensionalità e le relazioni riscontrabili tra i diversi domini
dipendono in larga misura dagli indici utilizzati per rappresentarli (Tamis-
LeMonda e Bornstein, 1993, 1994). In altre parole, il linguaggio viene
considerato una funzione in cui intervengono diverse abilità, alcune delle
quali possono essere condivise da altri domini cognitivi, giustificando, in
tal modo, l'esistenza di correlazioni significative presenti in determinate
tappe dello sviluppo.
Secondo questa prospettiva diviene, dunque, centrale la necessità di
ulteriori indagini che esplicitino con chiarezza le relazioni tra specifiche
abilità cognitive e linguistiche, con particolare attenzione alle misure
impiegate e alle fasi di sviluppo considerate.
Relativamente alla comprensione dei fattori che intervengono e/o
influenzano lo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino, un ulteriore
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elemento di rilievo è rappresentato dal ruolo eventualmente svolto dalle
componenti socio-affettive ed emotive. Da un punto di vista teorico, infatti,
è possibile ipotizzare che la qualità della relazione che si viene ad
instaurare tra il bambino e la propria madre possa influenzare entrambi i
domini a cui ci riferiamo. In particolare, gli studiosi che si rifanno alla
teoria dell'attaccamento, così come proposta da Bowlby (1969) e da
Ainsworth (1979), sottolineano l'importanza di una relazione
d'attaccamento sicura tra bambino e genitore nel fornire un sostegno
adeguato favorente la comparsa sia dell'utilizzo dei simboli, in generale,
che del linguaggio, compresi gli aspetti sintattici e semantici dello stesso.
A partire dalla teoria dell'attaccamento, è possibile sviluppare diverse
ipotesi riguardanti le associazioni riscontrabili tra la qualità della relazione
madre-bambino e lo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino stesso
(Bretherton, Bates, Benigni, Camaioni e Volterra, 1979). Ognuna di esse si
basa sul fatto che i bambini con un attaccamento sicuro dovrebbero, in
termini generali, manifestare un livello di sviluppo cognitivo e linguistico
superiore rispetto ai bambini con attaccamento insicuro.
La prima ipotesi, definita come «esplorazione favorita dall'attaccamento»
(attachment-exploration hypothesis), assume che i bambini sicuri si
sentono più liberi di esplorare l'ambiente fisico circostante in quanto,
rispetto agli insicuri, sperimentano un sentimento di fiducia nei confronti
della disponibilità e della responsività materne, bilanciando, in maniera
adeguata, il desiderio di vicinanza alla madre con la tendenza ad
allontanarsi per esplorare l'ambiente. In altre parole, una relazione
d’attaccamento sicura, aumentando il sentimento di sicurezza del bambino,
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può favorire dei periodi di esplorazione più lunghi, dandogli la possibilità
di contribuire autonomamente al proprio sviluppo cognitivo (Bretherton et
al., 1979).
Sulla base dell'ipotesi definita come «apprendimento nella relazione di
attaccamento» (attachment-teaching hypothesis), invece, è possibile
ipotizzare che nel caso in cui il bambino e la madre stabiliscano uno stile
interattivo caratterizzato da sensibilità e sincronia affettiva, tale da favorire
una relazione d'attaccamento di tipo sicuro, aumentino le possibilità del
bambino di acquisire abilità di ordine cognitivo e comunicativo attraverso
l'interazione medesima. Tale ipotesi spiegherebbe l’effetto predittivo della
qualità del legame di attaccamento sulla competenza comunicativa, e
cognitiva in genere, a partire da fattori di ordine motivazionale e di
apprendimento (Bretherton et al., 1979). Un legame di attaccamento sicuro
genererebbe delle interazioni mutualmente soddisfacenti, all’interno delle
quali i bambini scoprono più precocemente che il proprio comportamento
(segnali) produce degli effetti sulle altre persone e possiede una valenza
comunicativa. Ciò sarebbe, in gran parte, determinato dal fatto che le madri
dei bambini sicuri sembrano essere più sensibili e responsive ai segnali
emessi dai loro figli rispetto alle madri dei bambini con attaccamento
insicuro (Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978; Grossmann e
Grossmann, 1990; Grossmann, Grossmann, Spangler, Suess e Unzer,
1985).
La terza ipotesi prende in considerazione la natura sociale dello sviluppo
cognitivo.