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incisivi di tutela e di cura. Inoltre, è evidente la necessità di impegnare risorse per la
valutazione e il monitoraggio del fenomeno e per promuovere una legislazione
adeguata per la protezione delle vittime.
Il primo capitolo illustra le diverse modalità attraverso cui la violenza familiare
si esplica.
La violenza sulle donne è un fenomeno antico e complesso che solo da poco
tempo riesce ad ottenere un interesse psicosociale e legale.
Una forma è il mobbing familiare, “ quando la violenza del pensiero si articola
in tattiche sistematiche, preordinate, che si svolgono in una lucida e feroce strategia
di assalto e allontanamento dell’altro, fino al suo annientamento” (Bernardini de
Pace 2006, pag. 3).
Un paragrafo è dedicato alle diverse forme di violenza (maltrattamento fisico,
psicologico, trascuratezza e abuso sessuale) che possono trovare nel ruolo di vittima
sia gli adulti sia i bambini, con particolare attenzione alle cause e alle conseguenze.
Infine, il capitolo si conclude con una particolare forma di violenza: la violenza
assistita su fratelli. Si evidenzia come le conseguenze di tale fenomeno siano
diversificate e quali vissuti determinino.
Il secondo capitolo prende in esame i fattori di rischio e di protezione, ossia
quelle determinanti che possono peggiorare o contenere le conseguenze della
violenza assistita sul naturale sviluppo di un bambino. Il concetto di resilienza fa
riferimento, in tal senso, alla capacità adattivo-evolutiva del minore di andare oltre le
esperienze traumatiche vissute e di affrontare in modo funzionale le successive fasi
di sviluppo.
Il terzo capitolo prende in rassegna le importanti conseguenze che possono
interessare il bambino vittima di violenza assistita. Innanzitutto, il minore può
sviluppare il Disturbo Postraumatico da Stress: un disturbo che si manifesta
attraverso sintomi di tipo somatico, cognitivo, relazionale ed emotivo, risultante
dall’interazione di fattori biologici, psicologici e sociali.
I bambini che vivono in un contesto familiare violento mostrano un
attaccamento di tipo disorganizzato dovuto all’instabilità emotiva di uno o entrambi i
genitori.
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Le conseguenze dell’essere vittima di violenza intrafamiliare abbracciano
anche il contesto sociale. Questi bambini non hanno appreso delle modalità
comportamentali adeguate perciò tendono a trasferire all’esterno ciò che vivono nel
proprio nucleo familiare. Sono bambini violenti o vittime delle violenze altrui.
Infine, ad essere alterato nel bambino è anche il profilo emotivo e cognitivo.
L’ultimo capitolo presenta una panoramica sugli strumenti di prevenzione e
l’intervento che si rende necessario utilizzare di fronte al fenomeno della violenza
intrafamiliare.
L’intervento, in particolare, può essere difficoltoso da attuare perché ad essere
coinvolti sono tutti i membri della famiglia. Uno o entrambi i partner possono non
credere nell’utilità dell’intervento, perché inconsapevoli del disagio che creano ai
bambini; altri adulti possono addirittura ritenerlo pericoloso. I bambini stessi possono
ostacolare l’intervento per paura di tradire uno o entrambi i genitori. Anche la figura
dell’operatore è importante in questo processo; egli può facilmente incorrere in
errore o essere oggetto inconsapevole di manipolazione.
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CAPITOLO 1
VIOLENZA INTRAFAMIGLIARE
La famiglia costituisce, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, il suo
intero mondo affettivo e sociale. Si rende chiaro come le prime esperienze di vita del
bambino siano talora determinanti rispetto al suo sviluppo successivo. Nel momento
in cui i genitori vivono condizioni che ledono la loro capacità genitoriale, nelle
componenti fondamentali di cura e protezione, si possono avere concrete
ripercussioni sul bambino. La relazione genitore-bambino, difatti, è un’esperienza
importante che influenzerà la personalità di quest’ultimo, la struttura delle sue difese
e anche le rappresentazioni che egli si costruisce rispetto a ciò che è possibile
aspettarsi dagli altri.
Tutti i bambini hanno diritto a vivere in un clima familiare favorevole per il
loro sviluppo. La famiglia è senza ombra di dubbio una risorsa per il minore, ma può
anche andare incontro a difficoltà che ne possono minare l’equilibrio.
L’atteggiamento della società odierna che è quello di giustificare sempre il
comportamento dei genitori sostenendo che siano gli unici capaci di salvaguardare il
benessere dei propri bambini, è non solo sbagliato ma anche pericoloso. Bisogna al
contrario essere consapevoli delle problematiche interne alla famiglia (ansie, stress,
difficoltà emotive e relazionali) che possono avere conseguenze delicate per i suoi
membri, soprattutto i bambini.
Il bambino partecipa direttamente e molto precocemente a relazioni
affettivamente significative in un contesto relazionale caratterizzato da complessità
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ed è in grado di osservare la relazione tra i genitori riuscendo ad elaborare, a seconda
delle proprie competenze cognitive e percettive, l’esperienza relazionale. Ed è in
base a tale cornice di riferimento che possiamo affrontare la questione della violenza
intrafamiliare.
Si tratta di un fatto non privato, ma di un problema che interessa l’intera
società poiché comporta sofferenza e danni alle generazioni successive. Tale
problematica sociale presenta altresì gravi e diffusi costi sociali: ad essere impegnati
sono, d’altro canto, sia organismi nazionali sia internazionali (l’Ispcan –
International Society for Prevention of Child Abuse and Neglect – e l’Oms –
Organizzazione Mondiale della Sanità).
Nel 1999 il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e
l’Abuso all’infanzia (CISMAI) ha costituito una commissione di studio che ha
formulato una definizione per indicare i limiti necessari per una valutazione
dell’esposizione ai conflitti familiari in termini di violenza : “Si intende per violenza
assistita intrafamiliare: atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed
economica compiuti su figure di riferimento o altre figure – adulte o minori –
affettivamente significative di cui il/la bambino/a può fare esperienza direttamente
(quando la violenza avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il/la
bambino/a è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti.”
Secondo l’ART. 570 del Codice Penale “Il delitto di maltrattamenti in famiglia
è costituito da una condotta abituale che si estrinseca in più atti lesivi realizzati in
tempi successivi ma collegati da vincoli di abitualità e da una unica intenzione
criminosa di ledere in modo sistematico l’integrità fisica ed il patrimonio morale
della vittima”.
Quando parliamo di maltrattamento familiare facciamo riferimento non
soltanto alle percosse ma anche a minacce, ingiurie, atti di scherno, di disprezzo e di
umiliazione che causano sofferenza psicologica.
Le vittime di violenza assistita possono essere: uno dei genitori se l’altro
compie violenza sui figli o su un altro famigliare; i bambini che vivono situazioni di
violenza domestica, (quando, cioè, uno dei genitori,generalmente la madre, subisce
violenza da parte dell’altro, o da parte di un altro membro della famiglia o di un
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nuovo partner; ancora, i bambini che assistono a maltrattamenti fisici, psicologici,
abusi sessuali, trascuratezza a danno degli altri fratelli; infine, i bambini testimoni di
violenza contro un altro qualsiasi membro della famiglia.
Gli atti di violenza a cui i bambini possono assistere sono molteplici.
Rintracciamo: denigrare, insultare, deridere, svalutare, controllare, isolare da
relazioni parentali e amicali, tagliare fuori dalle risorse economiche, impedire di
mangiare, bere, dormire, lavorare, impedire ancora assistenza medica in caso di
malattie, sbattere contro il muro, buttare giù per le scale, prendere per i capelli,
prendere a calci e pugni, incatenare, imbavagliare, segregare in una stanza, buttare
fuori di casa durante la notte, stuprare, seviziare, uccidere o minacciare di suicidarsi,
minacciare con armi, causare invalidità o morte.
E’ da sottolineare come i bambini che assistono a violenza possono anche non
restare solo testimoni indiretti ma diventare essi stessi vittime di violenza. L’adulto
violento, difatti, tende a esercitare la violenza su i soggetti più deboli quindi
facilmente potrà coinvolgere dopo il coniuge anche i bambini.
McGuigan e Pratt (2001) hanno dimostrato che la presenza di violenza
domestica nei primi sei mesi di vita del bambino è un buon predittore che arriva a
triplicare il rischio di maltrattamento fisico e a raddoppiare quello di maltrattamento
psicologico e di trascuratezza nei successivi primi cinque anni di vita del bambino.
Holtzworth-Munroe e Stuart (1994) hanno proposto una classificazione dei
maltrattanti:
- Only Family: maltrattanti violenti solo all’interno della famiglia,
compiono violenza di minor gravità rispetto alle altre due tipologie e non
presentano psicopatologie;
- Dysphoric Borderline: uomini che compiono solo violenze domestiche di
elevata gravità; organizzazione borderline di personalità;
- Violent/Antisocial: compiono violenze sia all’interno sia all’esterno della
famiglia; organizzazione antisociale di personalità.