2
Il motivo per cui ho deciso di argomentare la mia tesi sulla violenza
sessuale è proprio questo, non è professionale né eticamente corretto farsi
trovare impreparati di fronte a donne che hanno subito una violenza, che di
tutto hanno bisogno tranne che le si trasmetta insicurezza ed imbarazzo.
Un’assistenza professionale e di qualità, utile per il paziente, la si
ottiene attraverso la formazione, anche se questo comporta scontrarsi con
argomenti che non si vorrebbero trattare.
In Italia tra le figure professionali formate per l’assistenza alle donne
vittime di violenze sessuali, l’infermiere occupa ancora una posizione
marginale, essendo preponderante la figura dell’ostetrica; questo
contrariamente a quanto succede all’estero, dove ci sono addirittura corsi di
laurea specialistica per infermieri.
Sarebbe auspicabile che anche l’Italia si adeguasse a questa linea
straniera, non per andare ad invadere laddove altre figure professionali già
lavorano, ma per integrarsi, nell’ottica di un’assistenza olistica e
multiprofessionale.
Scrivere questa tesi è stato molto formativo anche se per molti aspetti
complesso; essendo un argomento cosi delicato è stato molto difficile poter
accedere ai dati, ai documenti, molto spesso solo in lingua inglese o non
visualizzabili perchè protetti da indagini in corso della magistratura.
Nonostante questo, mi ritengo fortunata perchè ho potuto godere della
collaborazione del personale del CENTRO SOCCORSO VIOLENZA
SESSUALE dell’OIRM Sant’Anna che fin dall’inizio si è dimostrato molto
disponibile.Sebbene non fosse personale infermieristico,ci ha accumunato il
fine: informare sull’argomento, ancora troppe volte ignorato.
Durante la stesura della tesi è stato interessante, ad esempio, scoprire
quante organizzazioni di volontariato esistano nella nostra città che si
occupano di aiutare queste donne in difficoltà, trovar loro una sistemazione,
aiutarle nel lavoro o nella gestione dei figli; evitare il processo di
colpevolizzazione sull’accaduto e facilitare il recupero della propria integrità
fisica e psichica.
3
Certo diverse volte sono sopraggiunti i momenti di sconforto e di
tristezza, il vedere le statistiche, le grandi cifre delle donne che avevano
subito violenza, mi hanno fatto spesso interrogare sull’utilità della mia tesi;
nonostante tutto era un fenomeno così diffuso e cosi indisturbato che forse
era solo tutto uno sprecare tempo che poteva essere impegnato su altro; ma
poi erano questi stessi pensieri, questi stessi dubbi che mi riportavano
indietro e mi davano la forza per continuare a scrivere; era proprio perchè il
fenomeno era così grande che valeva la pena di approfondirlo.
La maggior parte delle infermiere che ho intervistato sull’argomento mi
han detto che di fronte a questo si sentivano impotenti, che non sapevano
come reagire, come trattare queste donne, come toccarle e che speravano di
non dover mai intervenire in una situazione del genere.
Ecco questo lavoro vuole solo metter luce su quello che è più giusto
fare in quei momenti, quali sono gli accorgimenti da prendere se ci si trova
davanti ad una donna abusata sessualmente e dove indirizzarla; perchè è
vero che di fronte alla violenza sessuale siamo impotenti, la maggior parte
delle volte non possiamo impedire che essa accada, però possiamo fornire
un’assistenza e un aiuto il migliore possibile per le vittime.
Il progetto iniziale della tesi conteneva anche una parte sperimentale,
costituita da interviste a donne vittime di abusi sessuali eseguite presso
l’ambulatorio del Sant’Anna durante la visita medica; poi dopo un’attenta
analisi, mi sembrava indelicato, in un momento cosi intimo dove già si viene
sommersi da test diagnostici, domande della ginecologa, della psicologa,
della polizia..., presentare anche un ulteriore questionario per la mia tesi di
laurea.
Per questo motivo la mia tesi si può dire più appartenente alla
tipologia documentativa/compilativa e le parti sperimentali presenti all’interno,
sono estrapolate da altri studi validati, condotti recentemente sull’argomento.
4
Introduzione al fenomeno
Il fenomeno della violenza si presenta complesso e carico di differenti
implicazioni, tanto per chi la violenza la subisce, quanto per chi su di essa è
chiamato ad intervenire.
Il riscontro clinico è fondamentale.
Infatti, dal momento che i processi per stupro si basano quasi sempre
sulla parola della donna contro quella dell’uomo, spesso basta una visita
ginecologica-medica tempestiva ed accurata e l’eventuale presenza del
medico legale, per raccogliere prove schiaccianti da portare in tribunale.
In questo momento cosi delicato bisogna aiutare la donna a
riappropriarsi del proprio corpo, non solo curandolo, ma ristabilendone anche
la dimensione privata, rispettandone i tempi, senza rischiare di farle violenza
per una seconda donna.
Infatti è fondamentale che il personale sanitario, così come chi ha la
responsabilità gestionali ed amministrative, riconosca che la violenza, lungi
dall’essere un evento eccezionale, può attraversare drammaticamente la vita
di moltissime donne e non può essere ignorata.
Sappiamo che ogni atto eseguito da parte degli operatori per aiutare la
vittima può rischiare di trasformarsi in un’ulteriore violenza nei suoi confronti:
uno dei problemi più rilevanti è quello del non riconoscimento che può
avvenire per diversi motivi che vanno dall’adesione al modello medico, che
privilegia gli aspetti biologici, ai motivi organizzativi, all’impressione di poter
far poco di concreto anche quando la violenza venga riconosciuta.
Per non parlare poi di una “violenza ordinaria”, cioè legata
all’organizzazione normale delle istituzioni, in cui non si tiene conto del diritto
alla riservatezza e alla protezione della propria intimità e del disagio legato
ad alcune procedure mediche.
5
Spesso ci si dimentica di quanto, in questi momenti sia importante il
counselling, cioè la parola come tipo di cura; un trauma spezza la normalità
interrompe il tempo, dopo nulla sarà come prima, tutto va in pezzi, i punti di
riferimento, l’immagine di se, i progetti immediati e quelli futuri.
Lavorando sugli spazi del counselling, sulle possibilità che la
comunicazione, la parola rappresentino un aspetto della cura, un aspetto
irrinunciabile, si è scoperto che dalla comunicazione con persone che hanno
appena subito un trauma si parla abbastanza poco: nel momento del
primissimo soccorso avvengono scambi comunicativi, e questi scambi
possono essere di conforto e di aiuto o non esserlo affatto.
L’intervento tecnico, la cura fisica scattano automaticamente; si è
preparati, si sa cosa fare e il fare tiene a bada l’orrore.
Lo scambio di parole, il confronto comunicativo, invece spaventa,
imbarazza, fa sentire inadeguati, incapaci di dire; inoltre chi lavora in ambito
sanitario ha mille esperienze che gli confermano che anche la presenza è
cura, la presenza non ha bisogno di parole, o almeno non di troppe parole, e
certamente non di rassicurazioni generiche o di esortazioni.
Richiede invece che il professionista sappia “stare” con la persona
sconvolta, terrorizzata, ferita, magari senza parlare, ma sappia fronteggiare,
senza giudicarle o smorzarle la paura, la disperazione, l’angoscia, il silenzio,
tutte le reazioni insomma che nei momenti che seguono un evento
traumatico emergono.
La violenza sessuale è un evento traumatico devastante e spesso le
conseguenze che ne conseguono sono più gravi dell’atto stesso .
Le conseguenze, generalmente, si riflettono in due fasi:
• La prima, immediatamente successiva alla violenza, è detta
fase di crisi acuta ed è tipica della violenza da parte di estranei. Consiste in
una forte reazione di paura a cui segue la negazione e la minimizzazione
dell’evento, con l’illusione di poter fare come se nulla fosse accaduto, rabbia,
6
spesso solo verso l’assalitore e senso di colpa, per aver ”lasciato” che
l’incidente accadesse o per avervi “contribuito”.
• La seconda fase è quella a lungo termine: fobie, insonnia,
incubi notturni, disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia), disgusto per
i rapporti sessuali. In molti casi la vittima tende a modificare radicalmente le
proprie abitudini di vita: lascia il lavoro, cambia casa, si trasferisce in un'altra
città, modifica il proprio modo di vestirsi.
E’ molto importante, al fine di fornire un’assistenza adeguata e
completa, distinguere il caso della violenza di strada, che comporta
soprattutto conseguenze psicologiche, e quello, di gran lunga più frequente,
in cui l’aggressore è il partner o un familiare.
In quest’ultimo caso, oltre a trauma psicologico grave e il grande
senso di smarrimento viene a sommarsi un problema sociale, infatti sarà
necessario attivare tutta una serie di servizi per trovare una nuova residenza
per la vittima e se minore, una nuova famiglia affidataria.
A differenza da ciò che comunemente si crede, il violentatore tipo non
è uno sconosciuto appostato in un anfratto buio pronto ad assalire la prima
fanciulla che gli capita a tiro.
La violenza come crimine da strada rappresenta infatti una
percentuale cosi relativamente bassa del fenomeno che è quasi difficile
crederlo.
Molto più frequente è la violenza che ha come scenario le mura
domestiche e come aggressore una persona ben conosciuta.
Questo tipo di violenza, oltre ad essere quelle che maggiormente si
concludono con una penetrazione completa della vittima, è anche quella che
più raramente arriva ai banchi processuali e quindi nel computo delle
statistiche.
Quanto è più forte il legame di familiarità, infatti, tanto più la vittima
tende a subire la violenza sessuale senza reagire.
7
Quando poi a perperarla è il coniuge, la legittimità implicita
nell’imposizione del debito coniugale porta la violenza alle sue forme più
estreme.
A complicare la situazione si aggiunge il fatto che, nella maggior parte
dei casi, l’aggressore nega decisamente la violenza oppure afferma che la
vittima aveva espresso il suo pieno consenso.
Affrontare un procedimento penale significa quindi per molte donne,
subire una seconda violenza, che può concludersi anche con un vero e
proprio crollo psicologico.
A causa delle difficoltà ad arrivare ad una denuncia, o anche
semplicemente ad una domanda di soccorso, è molto difficile capire se le
violenze sessuali siano in aumento rispetto agli anni passati, infatti chi si
occupa di questi problemi è a conoscenza che le denuncie altro non sono
che la punta dell’iceberg del fenomeno, tant’è che dagli ultimi studi condotti,
si evidenzia che le vittime di una violenza sessuale che procedono
legalmente contro il proprio aggressore sono tra il 10 e 50%; quindi
nonostante i notevoli progressi degli ultimi tempi, nella maggior parte dei casi
le donne continuano a subire in silenzio.
Proprio da questi dati e dal fatto che fosse necessario dare un
contributo affinché si raggiungesse un livello di assistenza completo per tutte
queste donne, è nata l’idea di creare un servizio ad hoc, un centro soccorso
violenza sessuale che partiva da tre diverse considerazioni:
1. in primo luogo dal fatto che gli operatori che devono occuparsi
di violenza sessuale lamentavano una mancanza di omogeneizzazione dei
comportamenti del personale medico ed infermieristico
2. in secondo luogo in quanto si riteneva indispensabile che ci
fosse un luogo a cui, chi ha subito una violenza sessuale, potesse ricorrere,
sia per una prima visita urgente, sia per i controlli successivi , sia per avere
chiarimenti in merito ad un eventuale denuncia
8
3. in ultimo ha dato una spinta a questi progetti il fatto che i casi di
violenze sessuali fossero sempre più in aumento.
In Italia sono presenti due soli centri soccorso violenza sessuale: a
Milano (presso la clinica Mangiagalli) e a Torino (presso Ospedale S.Anna)
che hanno tratto spunto da quello che è stato il centro pioniere per
l’assistenza delle vittime di abusi sessuali: l’S.V.S sito presso l’ospedale
HOTEL DIEU di Parigi; entrambi lavorano seguendo lo stesso tipo di
programma e avendo gli stessi obiettivi comuni: la tutela della donna.
Il centro soccorso violenza sessuale costituisce un modello innovativo
di organizzazione per garantire un’appropriata assistenza alle donne vittime
di abusi sessuali, cercando di dare una risposta tecnico, professionale e
relazionale sul piano psico-socio-sanitario nella fase di emergenza/pronto
soccorso e negli interventi di continuità assistenziale attraverso
un’organizzazione di servizi in rete ospedale e territorio.
Il valore aggiunto del progetto S.V.S. è rappresentato dalla
cooperazione di istituzioni pubbliche e private no profit, che fanno da sistema
con l’obbiettivo condiviso di tutelare la salute della donna in tutte le fasi della
vita.
L’obiettivo del centro soccorso violenza sessuale è quello di offrire
un’attenzione e un’accoglienza che vadano al di là del corpo violato e che
comprendano i molteplici aspetti e bisogni della persona che ha subito
violenza.
Purtroppo sono ancora rare le persone che hanno subito violenza che
accedono al centro; nonostante la prevalenza della violenza sessuale nella
nostra società sia molto elevata, al di là di quello che si pensa
nell’immaginario comune.
Si ritiene infatti, che il problema sostanziale stia nel fatto che
l’informazione sulla violenza sessuale non sia sempre corretta e che
l’opinione pubblica italiana non sia sufficientemente sensibilizzata e consideri
9
in modo troppo sommario questo problema sociale, come qualcosa di troppo
lontano dalla cosiddetta normalità, frutto di situazioni di miseria e povertà.
Ma non è così, la maggior parte dei casi di violenza, come abbiamo
già accennato, è perpetrata in famiglia o da persone conosciute; la violenza
per strada è riportata dai mass media e che suscita più allarme sociale è in
assoluto l’evento più raro.
La violenza sessuale non riguarda quindi solo le donne immigrate o
provenienti da ceti bassi, ma è diffusa trasversalmente tra tutti gli strati
sociali, e ancor oggi si stima che le denuncie rappresentino tra il 10% e il
50% dei reati commessi.
I motivi per cui la maggior parte delle donne tacciono sono la paura di
ritorsioni, il senso di colpa per non essere state capaci di difendersi,
l’imbarazzo di descrivere l’evento, il timore di non essere creduta, la
vergogna di dover affrontare l’iter giudiziario che renderebbe pubblica la
violenza subita.
E’ evidente che la percezione sociale del fenomeno e un’assistenza e
un soccorso corretti per le vittime sono variabili importantissime nel
determinare una maggiore propensione alla denuncia della violenza, bisogna
riuscire a trasmettere due messaggi importanti:
• LA VIOLENZA SESSUALE E’ UN TRAUMA GRAVE MA PUO’
ESSERE CURATO
• RICONOSCERE LA VIOLENZA E’ IL PRIMO PASSO VERSO
LA GUARIGIONE
10
Reati sessuali:
Innovazioni della legge del 15 Febbraio 1996,n.66
Applicazione e problemi
Il primo Codice Penale italiano unitario, il Codice Zanardelli del 1889,
contemplava i reati sessuali nel capitolo rubricato “dei delitti contro il buon
costume e l’ordine delle famiglie” che venivano visti come qualcosa che
offendeva la società, il pudore comune piuttosto che la dignità personale.
La previsione legislativa riguardava:
• La violenza carnale
• Gli atti di libidine
• La corruzione di minorenni
• La relazione incestuosa
• Le offese al pudore
• Il ratto al fine di libidine o matrimonio
Lo schema non muta sostanzialmente nel Codice Penale approvato
dal Re Vittorio Emanuele III, da Benito Mussolini e dal ministro Alfredo
Rocco(per questo denominato comunemente Codice Rocco), che rispecchia
in modo evidente il clima sociale e le vicende politiche del periodo storico che
lo hanno prodotto.
Anche dopo numerosi interventi legislativi, quasi tutti i reati di natura
sessuale, come la maggior parte dei comportamenti penalmente sanzionati,
sono attualmente disciplinati dal Codice Rocco.
La promulgazione della legge 15 febbraio 1996 n. 66 “norma contro la
violenza sessuale” , ridisciplina l’intera materia dei reati sessuali abrogando il
Codice penale vigente e riscrive tutte le norme in tema di violenza sessuale
11
come relative a “Delitti contro la persona, contro la libertà individuale e
personale”
Questa legge è giunta ad approvazione dopo quasi vent’ anni di
discussioni parlamentari, sviluppatesi nel corso di ben 5 legislature, di
lacerazioni e contrasti nel mondo politico e nell’ambito dei diversi movimenti
a tutela della donna.
La prima e più significativa innovazione consiste nel trapasso delle
norme penali relative alla violenza sessuale dalla categoria dei “delitti contro
la moralità pubblica e il buon costume” alla categoria “dei delitti contro la
persona”.
Non si è trattato di una pura e semplice rettifica verbale, ma la
modifica ha un indubbio valore etico-giuridico nel senso che la sfera della
sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della
moralità e del buon costume e viene affermata come diritto della persona
umana, la cui disponibilità spetta esclusivamente al soggetto che ne è
titolare.
Un secondo aspetto, che caratterizza la nuova legge, è l’unificazione
in una sola figura criminosa, denominata Violenza Sessuale, di fattispecie
che prime venivano differenziate in:
1. violenza carnale
2. congiunzione carnale
3. atti di libidine violenti
4. corruzione di minorenne
E’ quindi venuta meno a livello ideologico e normativo la gradazione
delle condotte che insidiano la libertà personale sotto il profilo della sfera
sessuale, pur restando al giudice, grazie alla discrezionalità legata ai
massimi e ai minimi di pena e alla previsione di attenuanti speciali, un ampio
margine di determinazione in concreto della pena da infliggere in relazione
alla diversa natura e gravità delle condotte.
12
A prescindere dal proprio parere personale, indubbiamente questa
unificazione ha il pregio della sinteticità ed è destinata a porre fine ad una
serie di indagini in sede giudiziaria umilianti per la parte offesa e al tempo
stesso imbarazzanti per il pubblico ministero e i giudici.
Purtroppo si è dubitato della validità della scelta legislativa perchè,
ferma restando l’instinguibilità di principio degli atti invasivi della sfera
sessuale, sarebbe stato logico scorporare le condotte che, pur assumendo
un significato ed una portata sessualmente connotati, si limitassero a
determinare mere situazioni di disagio o di turbamento; con la conseguenza
che le molestie sessuali (ben diverse dalle violenze sessuali) possono,
secondo valutazione del giudice, essere sopra o sotto valutate.
L’art. 609 bis del codice penale, adotta la locuzione “atti sessuali”
come omnicomprensiva delle condotte invasive della sfera sessuale altrui.
L’atto sessuale in sé è l’espressione di un istinto innato nell’uomo e
nella donna, a prescindere dalla considerazione che nella coscienza sociale
esso sia ritenuto, in ragione dei modi in cui è attuato: ”nomale”, ”anormale”,
”abnorme”.
L’atto sessuale di per se è naturale, legittimo ed appartiene al
patrimonio genetico e culturale degli esseri umani, soltanto i quali possono
essere passivi dei reati di cui si tratta.
Il parametro della normalità è relativo in quanto condizionato dalla
tradizione, dal costume, dalla società, dalla religione.
E’ un parametro mutevole nel tempo e nello spazio perciò non può
costituire un elemento oggettivo per definire la sua legittimità o illegittimità.
Ciò che rende illecito un atto sessuale è il costringimento ad esso
dalla parte offesa, è la mancanza del reciproco consenso al suo compimento.
La nozione di atto implica il realizzare, il portare a termine, il condurre
ad effetto un’azione, in sostanza richiede l’esercizio di un’attività materiale a
prescindere dal fatto che si raggiunga o meno il risultato cui è
13
tendenzialmente preordinato; è sufficiente che l’atto abbia interessato
materialmente, attraverso il contatto fisico, la sfera della sessualità altrui.
La cassazione ha fornito una definizione di atto sessuale, all’indomani
dell’entrata in vigore della nuova legge, nel senso che in esso rientra ogni
comportamento che, nell’ambito di un rapporto fisico interpersonale, sia
manifestazione dell’intento di dare soddisfacimento all’istinto, collegato con i
caratteri anatomico-genitali dell’individuo.
Ne deriva che la condotta deve insistere, quanto meno, in toccamenti
di quelle parti del corpo altrui, suscettibili d’essere, nella normalità dei casi,
oggetto diretti al conseguimento della piena eccitazione o dell’orgasmo.
Compiere un atto sessuale riguarda indifferentemente il corpo stesso
della vittima su cui essa è costretta ad eseguirlo, o quello della persona del
colpevole o di un terzo designato dall’agente su cui ugualmente è obbligata a
realizzarlo.
Non è necessario che il terzo sia connivente con il soggetto agente,
potendo a sua volta esserne vittima.
Il subire un atto sessuale significa supportarlo sul proprio corpo da
parte del soggetto agente contro la propria volontà.
E’ chiaro che i postumi a livello psicologico di questi due differenti tipi
di vittime saranno diversi: la persona che è stata costretta a subire un abuso
sessuale avrà su di se una sensazione di essere “sporca”, ”sentirsi come un
oggetto”; invece se la vittima è stata costretta a compiere un atto sessuale su
una terza persona, anch’essa vittima, oltre a provare le sensazioni ”di essere
sporca” ”di esser stata usata”, aleggerà un sentimento di colpevolezza per
aver causato dolore ed aver abusato su di un'altra persona, anche se sotto
costrizione.
Devono ritenersi esclusi dalla categoria degli atti sessuali gli
atteggiamenti di natura contemplativa (spiare col binocolo..) e gli
atteggiamenti esibizionistici, quando si limitano alla semplice ostentazione
degli organi sessuali in pubblico.