2
Il secondo tipo di intervento invece, ovvero la regolamentazione sociale,
mira a preservare la sicurezza dei consumatori di merci e servizi in tutti quei
contesti in cui il controllo diretto (caveat emptor3) sarebbe eccessivamente
oneroso o impossibile. In questa ipotesi la presenza di imperfezioni del mercato
ostacola la normale circolazione delle informazioni, rendendo così irrazionale il
comportamento dei singoli operatori, che per essere tutelati quindi si rende
necessario porre una serie di limitazioni e obblighi nei confronti delle imprese.
Tuttavia, questa forma di intervento presenta una serie di effetti collaterali,
in quanto la regolamentazione può essere soggetta ad un’influenza politica,
dettata dalla volontà di soggetti politici e burocrati, che per massimizzare il
successo elettorale, cercano di estendere i controlli ad aree sempre più ampie del
sistema economico4. La regolamentazione sociale si avvale, quindi, al contrario
di quella economica, di strumenti finalizzati alla definizione di modelli di
comportamento definiti in funzione degli interessi da proteggere.
Negli anni, l’accresciuta consapevolezza circa l’incapacità manifestata dalle
autorità di vigilanza nell’eliminazione dei fenomeni di instabilità presenti nel
funzionamento del sistema finanziario, insieme alle pressioni esercitate dagli
operatori (intermediari e non) per riconquistare i margini di discrezionalità
necessari per esprimere le legittime vocazioni imprenditoriali, ha reso inevitabile
il passaggio della regolamentazione finanziaria dalla logica economica a quella
sociale.
La coesistenza dei due modelli di regolamentazione, che continuano a
combinarsi nei singoli contesti nazionali con pesi chiaramente differenti, lascia
dunque aperto un problema di “ottimizzazione” dell’intervento pubblico (statale)
nella determinazione delle regole a cui gli intermediari devono sottostare. Questo
fenomeno deriva, da un lato, dal progressivo abbattimento delle restrizioni
esterne nella maggior parte dei settori economici, dall’altro, dalla convinzione
che la centralità del ruolo giocato dal sistema finanziario per il raggiungimento
3
L'espressione, nata in tempi in cui non vi era nessuna protezione legislativa rivolta agli attori economici,
è rimasta attuale nel corso dei secoli. Sebbene il diritto giurisprudenziale, attraverso la disciplina della
concorrenza sleale, abbia emesso delle regole che vietano tutti i comportamenti decettivi (volti cioè ad
ingannare il pubblico) e disonesti (cioè contrari ai principi di buona fede, lealtà ed onestà).
4
Sul punto cfr. Kane E., op. cit.
3
degli obiettivi di politica economica lo renda oggetto di particolare attenzione da
parte dei pubblici poteri. La comprensione delle ragioni che sono alla base della
regolamentazione del sistema finanziario risulta, dunque, estremamente rilevante
per due motivi principali: in primo luogo, le tesi basate sull’esigenza di
“plasmare” la struttura del mercato si sono dimostrate criticabili sotto diversi
punti di vista; in secondo luogo, una chiara consapevolezza degli obiettivi da
perseguire diventa fondamentale nella scelta delle forme di intervento più
consone ed appropriate.
Come è noto, il fondamento teorico tradizionale della regolamentazione in
campo economico si fonda sull’esigenza di rimediare ai cosiddetti “fallimenti del
mercato”, che non consentono il raggiungimento di condizioni efficienti
nell’impiego delle risorse, e sul duplice obiettivo di assicurare la stabilità
macroeconomica e perseguire un’equa distribuzione delle risorse5.
La regolamentazione del sistema finanziario non costituisce altro che un
capitolo del più ampio tema del controllo pubblico dell’economia.
L’accumulazione del capitale e l’allocazione delle risorse finanziarie
costituiscono un aspetto essenziale del processo di sviluppo economico di una
nazione; ne derivano quindi delle ragioni fondamentali del controllo pubblico sul
sistema finanziario riconducibili a quattro punti essenziali6:
a) la funzione “monetaria” dell’economia;
b) la tutela del risparmio e protezione degli investitori;
c) le esternalità negative;
d) l’asimmetria informativa e il fallimento del mercato.
In merito al primo punto, all’interno del sistema finanziario le banche sono
il punto nevralgico nella produzione e nell’offerta di moneta; ci sono aspetti
quindi che ci aiutano a comprendere l’esigenza o comunque l’utilità del controllo
da parte delle banche. Nella fattispecie la moneta è costituita non solo dalla
moneta legale (cioè emessa dalla banca centrale), ma anche dalla moneta
scritturale (o moneta bancaria) vale a dire speciali forme di debito delle banche
5
Sul punto cfr. Di Giorgio G. - Di Noia C., “Intermediari e mercati finanziari”, Il Mulino, 2004.
6
Sul punto cfr. Forestieri G. - Mottura P., “Il sistema finanziario”, Egea, 2003, pag. 51.
4
(depositi a vista) che sono comunemente accettate come mezzo di pagamento, la
moneta bancaria rappresenta così la componente più importante dell’offerta
complessiva di moneta. Vi è quindi da parte del soggetto pubblico un interesse
specifico al buon funzionamento del sistema dei pagamenti, sia per ragioni di
sicurezza, sia per ragioni di stabilità ed efficienza; ma vi è inoltre un interesse
ben preciso nel poter regolare la quantità di moneta a disposizione dell’economia
(equilibrio domanda/offerta) e a governare la condotta della politica monetaria
(tassi di interesse, base monetaria ecc.).
In merito al secondo punto, il sistema finanziario svolge un importante
funzione nella mobilitazione e nel trasferimento del risparmio finanziario tra le
unità in surplus e quelle in deficit. Vi è quindi un interesse generale nel far in
modo che il risparmiatore rafforzi la propria fiducia nei confronti degli
intermediari finanziari: l’opportunità o la necessità di fissare regole ben precise a
cui soggetti intermediari devono sottostare per offrire determinati servizi e forme
di investimento ai risparmiatori, permettono non solo di rafforzare l’affidabilità
dei debitori, ma anche di accrescere la capacità di valutazione da parte dei
creditori (cd. datori di fondi).
La terza questione riguarda le esternalità negative, ovvero quei
comportamenti o situazioni particolari che possono recare danno al sistema
economico (ad esempio le crisi bancarie); gli intermediari in stato di insolvenza
indurrebbero un vero e proprio “contagio” verso le altre istituzioni finanziarie,
provocando non solo una forte sfiducia da parte dei singoli investitori e dei
depositanti7, ma nel senso più ampio del termine, una vera e propria instabilità
nella stessa economia reale.
L’ultimo punto riguarda l’asimmetria informativa e i fattori che
determinano i fallimenti del mercato. Tale concetto si fonda sull’ipotesi che il
rapporto tra creditore e debitore sia caratterizzato da un “difetto” di informazione
a danno del creditore, il quale può subire il rischio del cd. comportamento
7
Un recente caso di crisi bancaria ha colpito la banca inglese Northern Rock nel settembre 2007, che a
causa della mancanza di liquidità determinata dalla crisi dei mutui subprime, ha indotto la Banca
d’Inghilterra ad un prestito d’emergenza. Per giorni file di risparmiatori sono rimasti in coda davanti agli
sportelli per ritirare i propri depositi, ciò a dimostrazione di quanto una situazione del genere possa
diffondere rapidamente il panico finanziario tra i piccoli risparmiatori.
5
opportunistico (moral hazard) della controparte, sfruttando così la propria
condizione di superiorità informativa. Ne deriva quindi un limite all’efficace
selezione dei “prenditori di fondi”, l’informazione non è così sufficiente a
stabilire una precisa graduatoria di rischio e, quindi, a definire il prezzo del
credito in funzione del rischio.
In sostanza, le carenze informative determinano il fallimento del mercato
poiché lo scambio di strumenti finanziari, il cui prezzo è strettamente legato
all’informazione, non può raggiungere un equilibrio se lasciato alle “libere forze
del mercato”. È compito delle autorità a livello nazionale e sovranazionale fissare
regole per rafforzare lo spessore e la qualità dell’informazione in modo tale da
avere una maggiore trasparenza nei confronti degli investitori.
Una buona regolamentazione può costituire una soluzione appropriata al
problema del fallimento del mercato a condizione che l’organo di vigilanza8
abbia il potere di dettare regole che presiedano al corretto funzionamento del
sistema economico risolvendo quella serie di problematiche citate in precedenza.
Il presente lavoro si sofferma dapprima sulla regolamentazione degli
intermediari finanziari e sui recenti interventi legislativi in materia, che hanno
portato negli anni ad un notevole cambiamento nell’organizzazione e nelle
competenze di supervisione. Inoltre, l’attenzione è stata posta sulle caratteristiche
operative del sistema finanziario europeo, ponendo l’accento su quelle che sono
le funzioni specifiche e il ruolo assunto dalla Banca Centrale Europea, in base a
quanto stabilito dal Trattato di Maastricht.
Nel secondo capitolo invece, ci si focalizza sui progressi fatti dall’Unione
Europea verso la realizzazione concreta di quello che è definito l’obiettivo
principale del cd. Libro Bianco del 1985, ovvero la creazione di un mercato
unico finanziario europeo “integrato”. E proprio in questa direzione si è mosso il
legislatore comunitario, approvando misure come il Financial Services Action
Plan, con lo scopo di indicare obiettivi generali e misure specifiche per la
creazione di un mercato unico in Europa, e, adottando successivamente, il cd.
8
Si può definire “organo di vigilanza” un ente pubblico, senza obiettivi di lucro, che si pone in una
situazione non concorrenziale con gli altri operatori e che abbia il potere di rendere esecutivo le regole e
vigilare sul loro rispetto.
6
approccio Lamfalussy, al fine di individuare una procedura “relativamente
rapida” per approvare regole comuni in materia finanziaria.
Istituire un mercato unico europeo significa avere regole comuni, ovvero
“armonizzate” e questo vale anche per la vigilanza per i vari Stati membri
dell’UE. In Europa, nonostante l’abbattimento delle frontiere e una presenza
sempre più massiccia dei conglomerati finanziari che operano
transnazionalmente, siamo di fronte a un assetto della supervisione piuttosto
frammentato e comunque costruito su base nazionale, dove, da un lato,
ritroviamo, in Stati come Regno Unito, Germania ecc… modelli caratterizzati da
un’unica authority (o mega-regulator) competente della supervisione per l’intero
sistema finanziario, e dall’altro (Italia, Francia, Spagna), troviamo modelli
“ibridi” o comunque multi-divisionali, caratterizzati dalla presenza di una serie di
autorità, di norma ognuna competente per uno specifico settore. Come
evidenziato all’interno del lavoro, non esiste un modello dominante nell’Unione
Europea, quindi ogni scelta che sarà adottata in futuro dagli organi comunitari,
sarà fortemente influenzata da ciò che accadrà a livello nazionale.
Nel terzo capitolo si esamina nel dettaglio il contesto nazionale,
analizzando la sua struttura e le competenze a carico delle varie autorità
creditizie, approfondendo i vari interventi normativi, partendo dalla Legge
Bancaria del 1936 fino ad arrivare al varo del Testo Unico Bancario, che hanno
portato il nostro paese a disporre dell’attuale assetto di vigilanza multi-
divisionale, caratterizzato quindi, dalla presenza di più autorità “settoriali”.
L’ultimo capitolo è dedicato ad una breve analisi comparativa tra vari Stati
che presentano un grado di completezza e di “avanzamento” dei sistemi e dei
mercati finanziari, comparabile, o comunque di interesse per il nostro sistema.
L’analisi comparativa ha messo in luce numerosi spunti di
approfondimento, specie se si considera il notevole incremento delle riforme che
hanno portato diversi Stati a modificare il proprio assetto finanziario, puntando,
nella maggior parte dei casi, ad una riduzione della frammentazione dei poteri a
carico delle varie autorità, e, di conseguenza, all’istituzione di un regolatore
unico.
7
Anche se nella pratica non esistono prove che un modello sia migliore
dell’altro, ciò che la maggior parte della dottrina e degli studiosi auspica, è che
con il passare degli anni ci sia un progressivo abbattimento dell’eterogeneità
delle politiche di vigilanza su base nazionale, puntando soprattutto all’enorme
sforzo compiuto dalle varie autorità e degli organismi internazionali, che nella
loro attività, mirano a definire standard e procedure comuni a livello
internazionale, in modo da creare una sostanziale omogeneità e comparabilità sia
nella regolamentazione, sia nelle pratiche di supervisione.
9
CAPITOLO 1 LA VIGILANZA A LIVELLO EUROPEO
1.1 PREMESSA
Storicamente, gli Stati aderenti all’UE avevano sviluppato differenti
ordinamenti sia delle attività finanziarie, sia dell’intermediazione finanziaria e di
tutti quei soggetti che la esercitavano; su questa base non era possibile quindi
istituire un “mercato unico” e mettere così in concorrenza i diversi ordinamenti
nazionali. Un primo passo importante verso l’armonizzazione delle regole nella
disciplina comunitaria è stabilito all’interno del Libro Bianco1 del 1985 con il
quale venivano adottati i principi dell’armonizzazione minima e del mutuo
riconoscimento delle legislazioni nazionali.
Per questo l’azione comunitaria si è proposta in primis come obiettivo
prioritario e preliminare la realizzazione di un livello di armonizzazione
“minimo” tra gli ordinamenti vigenti negli Stati membri, delineando così un
modello di ordinamento “baricentrico” rispetto agli assetti storici dei singoli
ordinamenti nazionali, al fine di ridurre il più possibile il divario tra ordinamento
comunitario e nazionale.
Nella fattispecie, l’ordinamento comunitario si basa su tre fondamenti: a) la
non specializzazione degli intermediari per tipi di attività svolta, quindi,
rifacendosi al concetto di “banca universale”, la possibilità di svolgere
congiuntamente attività di intermediazione mobiliare, creditizia e prestazione di
servizi finanziari; b) attribuire a organizzazioni specializzate le attività di
investimento collettivo in valori mobiliari; c) regolare il grado di separatezza fra
banca e impresa industriale, sia a monte, ovvero partecipazioni industriali nel
1
All’interno di questo volume intitolato “Il Programma Novanta” che preannunciava il programma di
lavoro per un decennio, sono contenute analisi e proposte per il rilancio dell’attività della Comunità
Europea presieduta in quel periodo da Jacques Delors, il Libro Bianco prevedeva interventi atti ad
eliminare gli ostacoli concreti alla libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi, oltre ad
auspicare una liberalizzazione dei “prodotti finanziari” (assicurazioni, banche, ecc.).
10
capitale bancario, sia a valle, ovvero partecipazioni bancarie nel capitale
industriale2.
Ogni Stato membro dell’UE è tenuto quindi a recepire nella legislazione
nazionale le direttive comunitarie e darvi attuazione entro certi termini. Nella
fase di recepimento gli Stati comunitari hanno una certa “discrezionalità” 3
nell’adozione di tali provvedimenti, discrezionalità che deve essere utilizzata per
adattare la normativa comunitaria a quella nazionale preesistente, tenendo
sempre presente il principio dell’armonizzazione minima.4
L’armonizzazione minima risulta quindi una condizione essenziale per far
sì che gli ordinamenti nazionali possano condividere alcuni principi cardine
dettati dal legislatore comunitario, come la libertà di prestazione e di servizio e la
libertà di stabilimento di ogni intermediario autorizzato nel territorio
comunitario, la possibilità quindi per tali soggetti di convivere nel mercato unico
dei servizi finanziari.
Questi principi si realizzano attraverso il cd. criterio del mutuo
riconoscimento (secondo principio dettato dal Libro Bianco), che consiste nel
dovere di ogni ordinamento di dare la possibilità ad un intermediario esterno di
operare al suo interno, tale obbligo si regge quindi su una reciprocità sia formale
sia sostanziale fra gli ordinamenti nazionali conformati alle direttive comunitarie.
All’inizio degli anni novanta si riteneva che i due principi potessero essere
sufficienti per la formazione di un mercato finanziario europeo. Questo sistema,
risultato molto efficace nella fase di avvio del mercato unico, è stato
2
Sul punto cfr. Cucurachi P.A., “I profili organizzativi dei sistemi di vigilanza bancaria”, EGEA, Milano
1997.
3
La direttiva, al contrario del regolamento, non ha lo scopo di unificare il diritto, bensì il riavvicinamento
delle legislazioni, così da permettere un'eliminazione graduale delle differenze tra le legislazioni
nazionali. Le direttive sono finalizzate al conseguimento di un determinato "risultato" da parte degli Stati
membri che sono, quindi, vincolati, a tale obiettivo. Invece, la forma dei mezzi adottati dallo Stato per la
realizzazione del risultato è lasciata alla libera iniziativa degli stessi. In tal modo, gli Stati membri quando
devono conseguire un obiettivo comunitario, possono nel contempo tenere conto delle loro peculiarità
nazionali. Ciò è possibile in quanto, a differenza del regolamento, la direttiva prescrive norme che non
sostituiscono automaticamente quelle nazionali, anche se gli Stati hanno l'obbligo di adeguare la propria
legislazione a quella comunitaria.
4
Questa scelta ha comportato che per alcuni aspetti il processo di avvicinamento delle legislazioni
finanziarie nazionali non sia ancora concluso. In tal senso, soprattutto con riguardo alla definizione del
core business delle banche e degli altri intermediari finanziari. Cfr. sul punto Szego B., “La definizione di
attività bancaria e finanziaria tra legge e innovazione”, Ente Einaudi, Quaderni di Ricerche, n. 43, 2003.
11
successivamente sottoposto a numerose critiche in quanto, secondo alcuni,
avrebbe consentito agli Stati membri di continuare a porre ostacoli all’esercizio
della libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi da parte di
intermediari di altri Paesi della comunità. La ragione di questa difficoltà è
evidenziata nella mancata armonizzazione di una parte importante della
regolamentazione dell’attività finanziaria, come la disciplina dei rapporti
contrattuali e nell’offerta dei prodotti.
Secondo i critici, un’altra motivazione è da ricercare nello spazio lasciato
dalle direttive comunitarie all’opponibilità da parte degli stati membri del cd.
interesse generale; questa tematica è stata oggetto di numerose sentenze da parte
della Corte di giustizia europea, che nella sua giurisprudenza ha delimitato in
maniera precisa l’ambito di applicazione delle norme di interesse generale5.
I dubbi sull’efficacia del processo di integrazione europea hanno condotto
così a importanti novità nel campo della regolamentazione comunitaria. In
particolare, è stata avviata una serie di proposte ed iniziative volte a disciplinare i
rapporti tra gli intermediari e la clientela, con l’obiettivo di tutelare6 il soggetto
utilizzatore di servizi finanziari. Ne è un esempio l’introduzione del “Piano
d’azione per i servizi finanziari” varato dalla Commissione Europea nel 1999, di
cui si parlerà approfonditamente nel prossimo capitolo, dove fra i principali
obiettivi vi è l’esigenza di istituire un mercato unico dei servizi finanziari
all'ingrosso, rendere accessibili e sicuri i mercati al dettaglio e rafforzare il livello
di protezione nei confronti dei consumatori7.
5
Il concetto di norme di interesse generale è stato oggetto di numerose decisioni della Corte di giustizia,
che ha precisato i settori che possono essere considerati di “interesse generale” (es: la tutela dei
lavoratori, la protezione dei consumatori, la politica culturale, la prevenzione delle frodi, ecc...), nonché
tutte quelle condizioni che debbono essere rispettate affinché una norma sia opponibile a un ente
creditizio comunitario: come la non discriminazione, l’assenza di armonizzazione precedente, la presenza
di un motivo imperioso di interesse generale, la non duplicazione, la necessità, la proporzionalità ecc.
Queste decisioni sono riassunte nella Comunicazione interpretativa della Commissione in materia di
libera prestazione dei servizi e di interesse generale nella seconda direttiva (97/C 209/04, GUCE 10
luglio1997) e in quella più recente riguardante il settore assicurativo (2000/C 43/03, GUCE 16 febbraio
2000).
6
Al tempo era vigente una sola direttiva in materia di tutela del credito al consumo, la direttiva
87/102/CEE.
7
Quest’ultimo obiettivo è affermato espressamente anche dal Trattato istitutivo della Comunità Europea
del 1957, negli artt.153 e 95.
12
Sono mutate inoltre le modalità di redazione delle direttive, con
l’individuazione di due linee di indirizzo distinte che configurano due settori di
applicazione: il primo concerne la vigilanza sugli intermediari, il secondo,
invece, il rapporto tra intermediari e clienti. In merito al primo punto, le direttive
settoriali redatte in questo ambito rimangono ancorate ai principi fondamentali
identificati nel Libro Bianco, ovvero armonizzazione minima e mutuo
riconoscimento8. Proprio quest’ultima direttiva ha una peculiarità, che distacca
dalle precedenti, perchè tende verso un regime di riconoscimento reciproco e non
contiene norme per l’armonizzazione minima della regolamentazione inerente
alle crisi bancarie. Essa, inoltre, afferma un principio molto importante che sarà
trattato successivamente, il principio dell’home country control9, stabilito con la
seconda direttiva in materia bancaria emanata nel 1989.
L’adozione del modello di armonizzazione minima da parte degli Stati
membri è stata accompagnata dall’introduzione di uno specifico schema di
allocazione delle competenze regolamentari e di vigilanza, che risponde al
criterio dell’home country control, che in sostanza mira a tutelare la stabilità
dell’intermediario che opera all’interno del territorio comunitario attraverso quel
sistema di regole e controlli dettati dall’ordinamento dello Stato membro
d’origine, conformemente alle prescrizioni minime dettate dall’ordinamento
comunitario.
La soluzione dell’armonizzazione minima nelle direttive quindi non ha
significato che gli stati aderenti all’Unione abbiano puntato solamente sullo
strumento della concorrenza tra ordinamenti per favorire la convergenza delle
regole, rinunciando ad altre modalità di intervento.
Nella materia dei controlli sugli intermediari un ruolo importante nella
omogeneizzazione normativa è affidato alla cooperazione fra le autorità nazionali
8
Gli esempi più recenti sono rappresentati dalle direttive sugli istituti di moneta elettronica (direttive
2000/28/CE e 2000/46/CE) e da quella su risanamento e liquidazione degli enti creditizi (direttiva
2001/24/CE).
9
In sintesi la direttiva prevedeva che la vigilanza sulle banche operanti su un territorio di paesi membri
della Comunità fosse affidato alle autorità del paese in cui si trova la sede legale, quindi la crisi della
banca dovrà essere quindi gestita secondo le procedure e la disciplina dello stato membro di origine con
riferimento a tutti i beni e i rapporti facenti capo alla banca stessa, a prescindere dalla loro ubicazione sul
territorio dell’Unione.
13
e l’attività di organismi europei, composti dalle autorità di vigilanza dei vari stati
membri. In particolar modo il Comitato Consultivo bancario (istituito con la
prima direttiva di coordinamento bancario 77/780/CEE, ora disciplinato
dall’art.57 della direttiva 2000/12/CE) ha importanti compiti di assistenza nei
confronti della Commissione europea nella redazione delle direttive e nei poteri
di esecuzione delle stesse10.
Le direttive riguardanti i rapporti tra gli intermediari e i clienti, il secondo
dei due settori, invece, tendono a realizzare già all’origine un’opera di
armonizzazione, che lascia quindi poco spazio di discrezionalità agli stati
membri11. L’idea di fondo della prima direttiva consiste nello sfruttare le
potenzialità del commercio elettronico per una diffusione maggiore dei servizi
finanziari al dettaglio, a tal fine la Commissione europea ha promosso l’idea di
estendere l’operatività della clausola del mercato interno, e dunque del mutuo
riconoscimento della regolamentazione del paese da cui originano i servizi
finanziari, che costituisce l’asse portante della direttiva sull’e-commerce.
Entrambe le direttive hanno comunque un elevato grado di armonizzazione in
materia di “informazione”12 dettato dalla volontà della Commissione di evitare
che i consumatori e i fornitori si trovassero a operare sulla base di regole di
ordinamenti diversi dal proprio.
Infine una novità importante nella regolamentazione comunitaria è indicata
nel cd. “Rapporto dei Saggi” (Lamfalussy Report) presentato nel febbraio 2001,
di cui si parlerà approfonditamente nel prossimo capitolo, che ha lo scopo di
valutare le condizioni di attuazione della regolamentazione dei singoli mercati
europei, al fine di dare una linea comune per la convergenza verso la normativa
primaria, ovvero quella comunitaria.
Dopo l’introduzione dell’euro, la quantità di norme di diritto comunitario
adottate per conseguire la massima integrazione finanziaria possibile, è cresciuta
10
Sul punto cfr. Godano G., Commento all’art. 57, in “Il diritto bancario comunitario” a cura di Alpa G.
e Capriglione F., Torino, UTET, 2002.
11
Ne è un esempio la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico e quella sulla vendita a distanza di
servizi finanziari.
12
Sul punto cfr. Carriero G., “Vendita a distanza, informazione precontrattuale, disciplina comunitaria:
la tutela del consumatore di servizi finanziari” a cura di Antonucci A., in E-commerce. La direttiva
2000/31/CE e il quadro normativo della rete, Milano, Giuffrè, 2001.