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INTRODUZIONE
Fino a pochi decenni fa il momento dibattimentale, in tutta la sua sacralità,
non poteva che aver luogo all’interno dell’aula del tribunale, anche nei processi
a carico di soggetti detenuti: l’imputato in stato detentivo doveva essere
tradotto dall’istituto penitenziario all’aula di udienza, sì da consentirgli di
esercitare il proprio diritto di partecipare al processo a proprio carico.
Tuttavia, l’avvento del progresso tecnologico ha scardinato tale assetto,
introducendo delle importanti novità sul piano della partecipazione
dell’imputato al dibattimento: non si tratta più necessariamente di una
partecipazione fisica, in presenza, ma, in alcuni casi, può essere una
partecipazione mediata dal supporto di strumenti audiovisivi, che realizzano
un’alterazione spaziale e temporale del processo.
Il legislatore, nell’accogliere tale innovazione, è stato chiamato ad operare
un prudente bilanciamento tra le esigenze che giustificano l’impiego di tali
mezzi audiovisivi e la necessità di fornire piena tutela ai diritti processuali
dell’imputato. Fondamentale, a tale scopo, è l’efficienza dell’apparato tecnico
impiegato per la realizzazione della videoconferenza, che deve essere in grado
di realizzare un collegamento a distanza tale da garantire il cosiddetto
“realismo partecipativo”
1
, vale a dire l’equiparabilità della partecipazione da
remoto a quella de visu.
1
Corte Costituzionale, sentenza 342/1999.
2
Partendo dall’esame dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p. introdotto con la legge
7 gennaio 1998, n. 11, l’elaborato propone una disamina dell’istituto della
partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento volta proprio a
verificare la sussistenza dei presupposti minimi atti a garantire la tutela del
diritto di difesa dell’imputato, ai sensi del secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione.
In particolare, si è portata l’attenzione sia sugli aspetti di carattere
prettamente giuridico, attraverso l’esame punto per punto delle disposizioni
contenute nell’art. 146-bis disp. att. c.p.p., sia sugli aspetti tecnici ed informatici
del videocollegamento, analizzando le caratteristiche delle strumentazioni e
dei software a disposizione dei tribunali e degli istituti penitenziari al fine di
valutarne l’idoneità alla realizzazione di un pieno ed efficace contraddittorio tra
le parti.
Infine, si è ritenuto interessante ed opportuno un focus sulla disciplina
emergenziale introdotta per contrastare la diffusione del contagio da
Coronavirus: il legislatore, per fronteggiare la fase più acuta dell’emergenza, ha
adottato delle misure eccezionali atte a consentire la prosecuzione delle attività
degli uffici giudiziari, nel rispetto del distanziamento sociale imposto dal
Governo. In particolare, ha individuato ulteriori strumenti per la realizzazione
della partecipazione a distanza al dibattimento, in aggiunta a quelli già in uso
per l’attuazione dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p.: è stato quindi effettuato un
esame delle caratteristiche tecniche e delle funzionalità di tali ulteriori
3
applicativi, al fine di indagare sull’opportunità del loro impiego in ambito
processuale.
4
CAPITOLO I
VERSO L’INTRODUZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA PARTECIPAZIONE A
DISTANZA DELL’IMPUTATO AL DIBATTIMENTO
Sommario: 1. La disciplina del “telesame” – 2. Le ragioni dell’estensione della partecipazione a
distanza nei confronti dell’imputato – 3. I lavori parlamentari e l’approvazione della L. 11/1998
– 4. Da norma a termine all’inserimento stabile
1. La nuova disciplina del “telesame”
La prima applicazione del collegamento telematico nell’ambito del processo
penale italiano si rinviene nella disciplina del “telesame”, contenuta nella legge
7 agosto 1992, n. 356, che ha convertito con modificazioni il decreto legge 8
giugno 1992, n. 306, recante “modifiche urgenti al nuovo codice di procedura
penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”. La legge in esame
ha introdotto l’art. 147-bis norme att. c.p.p., che disciplina “l’esame a distanza
delle persone che collaborano con la giustizia”, i cosiddetti collaboratori della
giustizia.
La definizione di “collaboratore della giustizia” è fornita dal decreto legge 15
gennaio 1991, n. 8 convertito in legge 15 marzo 1991, n. 82, recante nuove
misure per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia. L’art. 9
consente l’accesso a speciali programmi di protezione alle “persone esposte a
grave e attuale pericolo per effetto della loro collaborazione o delle
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio”; si tratta,
5
più in generale, di particolari forme di protezione nei confronti di coloro i quali,
avendo preso parte ad una determinata organizzazione criminale, dispongano
di una particolare conoscenza della struttura e dell’organizzazione della stessa
e decidano di prenderne le distanze per collaborare con la magistratura,
fornendo informazioni utili alle indagini.
Quello del “pentito” è certamente un ruolo essenziale nell’ambito dei
processi di criminalità organizzata, poiché la storia di tali processi coincide con
la storia della collaborazione. Il “pentito” infatti, essendo normalmente
associato al sodalizio criminoso, è in grado di fornire indicazioni preziose per la
ricostruzione processuale dei fatti oggetto di indagine
2
.
Proprio in ragione dell’importanza della sua collaborazione, si è reso
necessario prevedere un meccanismo di partecipazione ai processi che
garantisse la di lui protezione ed incolumità. Sebbene nell’originario modello
codicistico il dibattimento fosse pensato come inscindibilmente correlato alla
presenza fisica dei soggetti coinvolti ed alla unità del luogo di celebrazione dello
stesso, col tempo tale impostazione fu messa in discussione dai sempre più
frequenti avvenimenti tristemente balzati agli onori della cronaca nera che
vedevano coinvolti proprio coloro i quali fossero stati ammessi ai programmi di
protezione
3
. Inoltre, è noto che sovente tali soggetti siano sottoposti ad
intimidazioni e a minacce, aventi ad oggetto la loro incolumità personale o la
loro situazione patrimoniale.
2
D.CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, Milano, 2006, cit. p. 63.
3
S. SIGNORATO, L’ampliamento dei casi di partecipazione a distanza dell’imputato tra logiche
efficientistiche e menomazioni difensive, in www.lalegislazionepenale.eu, 20 novembre 2017.
6
All’indomani della strage di Capaci, dove morirono il giudice Giovanni
Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, fu emanato il
D.L. 306/1992 il quale, con l’art. 7, introdusse l’art 147-bis norme att. c.p.p. che
prevede la possibilità di procedere con esame a distanza del collaboratore della
giustizia ammesso al programma di protezione: la tecnologia diventa quindi
strumento per evitare condizionamenti sullo svolgimento delle attività
processuali. La nuova disposizione normativa forniva al giudice due strumenti
alternativi idonei a proteggere l’integrità fisica del collaboratore: lo
svolgimento dell’esame dibattimentale con le “necessarie cautele” (ad esempio
attraverso l’impiego di cabine in vetro antiproiettile) o l’utilizzo di collegamenti
audiovisivi, che consentano l’attuazione di un collegamento a distanza tra l’aula
di udienza e la postazione remota ove si trovi il collaboratore
4
. Queste due
modalità sono riconducibili a due finalità differenti: con l’adozione delle
“necessarie cautele” si intende tutelare e proteggere il collaboratore nel
momento in cui effettua la propria deposizione all’interno della sala d’udienza.
La partecipazione a distanza, invece, ha l’evidente scopo di sollevare il
collaboratore dall’onere di presentarsi fisicamente in aula e, di conseguenza,
consente di tener nascosto il luogo in cui si trova.
In sede di conversione del decreto legge, fu introdotto un ulteriore comma
all’articolo 147-bis disp. att. c.p.p. e tale scelta comportò un ampliamento delle
ipotesi di ricorso al “telesame” quanto ai soggetti che potevano usufruirne. In
4
G. P. VOENA, Il telesame, in L’esame e la partecipazione a distanza nei processi di criminalità
organizzata, 1999, cit. p. 88.
7
base al comma 2 dell’art 147-bis disp. att. c.p.p. l’esame a distanza viene quindi
ammesso anche in ipotesi che non presuppongono lo status di collaborante in
capo alla persona da sottoporre ad esame: la prima ipotesi riguarda l’esame
della persona di cui sia stata disposta “la nuova assunzione a norma dell’art.
495 co. 1 c.p.p.”. Il riferimento all’art. 495 co. 1 c.p.p. comporta il rinvio agli
artt. 190-bis e 238 c.p.p., estendendo in tal modo la possibilità di procedere con
esame a distanza anche in ipotesi diverse rispetto a quelle cui fa riferimento il
primo comma dell’art. 147-bis disp. att. c.p.p. La seconda ipotesi di estensione
è correlata alla possibilità di ricorrere al collegamento audiovisivo “nel caso di
gravi difficoltà ad assicurare la comparizione della persona che deve essere
sottoposta ad esame”. Si configura dunque un quadro ben diverso da quello
inizialmente rappresentato dal D.L.: la ratio della nuova disciplina normativa
non è più solo quella di tutelare la persona del collaboratore della giustizia, ma
si intravede anche un ulteriore scopo, cioè quello di consentire un più rapido
ed efficiente svolgimento dei processi.
2. Le ragioni dell’estensione della partecipazione a distanza nei confronti
dell’imputato
È proprio a partire dall’assetto configurato dal D.L. 306/1992 che prende le
mosse la riflessione che ha ad oggetto la possibilità di estendere l’utilizzo delle
risorse audiovisive a contesti processuali diversi dall’esame del collaboratore di
giustizia. In particolare, tale orientamento sottolineava l’utilità pratica
derivante dall’impiego dello strumento audiovisivo nell’ambito di processi
8
relativi a reati particolarmente gravi, primi tra tutti quelli di stampo mafioso: si
rilevava, in primo luogo, la necessità di porre rimedio ai pericoli riconducibili
alle traduzioni dei detenuti sottoposti alle misure di cui all’art. 41-bis
dell’ordinamento penitenziario
5
, introdotto con legge 26 luglio 1975, n. 354 e
s.m.i.
Si era infatti registrato il fenomeno cosiddetto del “gigantismo processuale”
correlato all’incremento dei procedimenti per reati di criminalità organizzata,
spesso caratterizzati da numerosi imputati e da numerose imputazioni, che
comportavano la necessità di continue traduzioni dei detenuti dal luogo di
detenzione alle aule dei tribunali. Ciò incideva sull’effettività del regime
penitenziario di rigore configurato dall’art. 41-bis ord. penit. e,
conseguentemente, comportava il rischio che fossero compromesse le finalità
cui tende tale disciplina: ridurre al minimo i contatti dei detenuti con l’esterno,
evitando che gli stessi, in occasione della partecipazione personale al processo,
possano ripristinare i rapporti, interrotti a causa dello stato detentivo, con gli
altri membri dell’associazione. La stessa Corte Costituzionale ha infatti più
volte
6
evidenziato che il regime ordinario di detenzione non produce un effetto
interruttivo dei rapporti con l’esterno e, di conseguenza, consente la
sopravvivenza del vincolo associativo e l’organizzazione di piani delittuosi
coordinati dall’interno del carcere. Solo attraverso l’isolamento di coloro i quali
si trovano ai vertici dell’organizzazione criminale è possibile determinare un
5
L. KALB, La partecipazione a distanza al dibattimento, in Nuove strategie processuali per
imputati pericolosi e imputati collaboranti a cura di A. A. Dalia, Milano, 1998
6
Corte Costituzionale, sentenza 349/1993 e sentenza 376/1997
9
dissesto dell’associazione stessa, la quale solitamente vi fa fronte individuando
un nuovo elemento da porre al vertice della scala gerarchica.
Si è rilevato dunque che l’efficacia così prodotta dal regime carcerario di cui
all’art. 41-bis ord. penit. rischiava di essere limitata proprio dalle numerose
traduzioni necessarie (cosiddetto “turismo giudiziario”) per consentire ai
detenuti la partecipazione personale ai processi che li vedevano coinvolti.
In secondo luogo, un ulteriore problema derivava dal necessario
rallentamento nello svolgimento dei processi dovuto ai tempi di traduzione,
con la conseguenza che spesso maturavano i tempi massimi di custodia
cautelare e ciò determinava la scarcerazione di soggetti anche particolarmente
pericolosi.
7
Tale problematica si verificava prevalentemente nell’ambito di
procedimenti tra loro connessi in cui fossero coinvolti i medesimi soggetti i
quali, “avendo diritto ad assistere a ciascun dibattimento”, imponevano una
“celebrazione coordinata dei vari dibattimenti” con conseguente estensione
della durata del processo e “scarcerazione per superamento del termine di
durata massimo” della fase processuale
8
.
Infine, un’ulteriore questione da prendere in considerazione era quella dei
costi da sostenere per lo spostamento dei detenuti dai luoghi di detenzione ai
tribunali. Si tratta infatti di operazioni che richiedono l’impiego di numerosi
7
L. KALB, La partecipazione a distanza al dibattimento, in Nuove strategie processuali per
imputati pericolosi e imputati collaboranti a cura di A. A. Dalia, Milano, 1998.
8
G. TINEBRA – P. GIORDANO, Durata dei processi e termini di scarcerazione: alla ricerca di un
difficile punto di equilibrio, in Guida al Dir., 1996.
10
agenti di polizia penitenziaria addetti alla sorveglianza delle operazioni e tale
esigenza comporta inevitabilmente un elevato costo di trasferta.
In tale senso, dunque, erano gli stessi magistrati impegnati nella lotta alla
criminalità organizzata a segnalare l’urgenza dell’intervento del legislatore ed a
sollecitare l’ampliamento della disciplina di cui all’art. 147-bis disp. att. c.p.p.
prevista nei confronti delle persone ammesse all’utilizzo del “telesame” anche
nei confronti degli imputati particolarmente pericolosi.
3. I lavori parlamentari e l’approvazione della L.11/1998
Per rimediare a tali inconvenienti, la partecipazione a distanza degli
imputati al dibattimento sembrava essere la soluzione più efficiente, in quanto
consentiva di economizzare sulle traduzioni, di rendere effettiva l’operatività
del regime carcerario differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit. e di impedire
che i detenuti potessero avere occasioni per ripristinare i rapporti con il mondo
esterno.
9
Ciò è quanto emerge dalle valutazioni effettuate nel corso dei lavori
parlamentari svoltisi in seno alla Commissione Giustizia della Camera ed alla
Camera stessa, in sede di esame del disegno di legge approvato dalla
Commissione, con emendamenti, nella seduta del 24 luglio 1997.
10
Alla Commissione Giustizia della Camera sono stati presentati quattro
progetti di legge (n. 481 del 9 maggio 1995, n. 1602 del 21 giugno 1996, n. 1845
9
M. BARGIS, La teleconferenza, in L’esame e la partecipazione a distanza nei processi di
criminalità organizzata, 1999, p. 23.
10
A. A. DALIA, Sintesi dei lavori parlamentari
11
dell’11 luglio 1996 e n. 3632 del 29 aprile 1997) che tendevano a disciplinare il
procedimento penale a distanza. Mentre le n. 481, n. 1602 e n. 3632 erano
proposte di legge avanzate su iniziativa di uno o più onorevoli, il progetto di
legge n. 1845 del 1996 era un disegno di legge governativo che presentava una
struttura più articolata rispetto agli altri progetti e che fu quindi adottato come
testo base per l’esame delle varie proposte.
Dall’esame dei lavori parlamentari emerge immediatamente la
consapevolezza della necessità di approvare con urgenza il provvedimento. Si
sottolineava infatti
11
che i tempi di definizione della fase dibattimentale,
specialmente nell’ambito dei processi della grande criminalità, continuavano a
dilatarsi a causa dell’elevato numero di imputati coinvolti e della necessità di
procedere all’audizione di numerosi testi, unitamente alla circostanza che molti
detenuti si trovavano a dover partecipare a più processi che potevano anche
svolgersi in sedi diverse, con la conseguente necessità di attendere i fisiologici
tempi di traduzione che, di fatto, comportavano uno stato di “attesa” e di
inutile decorso del tempo, sfociante molto spesso nella scadenza dei termini
massimi di durata della custodia cautelare.
Se sembrava essere maturata una visione concorde riguardo alle indicate
premesse, al tempo stesso diversi componenti della Commissione
12
evidenziavano che l’utilizzo dello strumento telematico avrebbe potuto
compromettere le ragioni di immediatezza del controesame, indispensabili per
11
Relazione dell’On. Folena nella seduta del 15 luglio 1997
12
Tra cui l’on. Gazzilli, come da relazione sulla discussione della Commissione Giustizia nella
seduta del 17 luglio 1997.