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resistere ad eventi traumatici, e mettendo in luce che non esiste una
correlazione diretta “causa-effetto” tra il trauma e la psicopatologia, ma una
serie di variabili e risorse (intra-individuali e sociali) che possono favorirne o
impedirne lo sviluppo.
Il quarto capitolo si apre con l’accertamento dell’attendibilità del minore. Tale
aspetto acquista un peso particolare nel percorso giudiziario in quanto spesso
(forse troppo spesso) il minore vittima di abuso risulta essere l’unico
testimone. La veridicità o meno dei suoi racconti e le prove acquisite lungo le
indagini costituiscono l’impianto su cui fondare l’accusa nei confronti
dell’adulto presumibilmente abusante. La testimonianza del minore,
rivestendo una tale importanza, deve necessariamente essere raccolta con
adeguate tecniche di interviste in maniera che questa risulti essere scevra da
contraddizioni, coerente nell’esposizione, e soprattutto non “inquinata” da
pratiche suggestive che potrebbero risultare distorcenti la realtà dei fatti.
Espongo le diverse fasi della Step Wise Interview, indicata dagli studiosi
come una corretta modalità di intervista del minore.
Nel quinto capitolo, attraverso il contributo di C. Foti, Presidente del Centro
Studi Hansel e Gretel, introduco il concetto di “empatia” ossia delle
competenze emotive e relazionali di cui lo psicologo può disporre nella
indagine psicologica del minore. Con l’ausilio di tale contributo si potrà
osservare come il colloquio con il minore all’interno del contesto giudiziario
può tradursi in una forma di “abuso dell’ascolto”. L’illusione di un ascolto
“neutrale e obiettivo” richiesto dal contesto giudiziario può far sì che l’abuso
resti “inascoltato”andando ad incrementare il numero sommerso e non
rilevato dalle indagini statistiche.
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Premessa
Il presente lavoro elaborato in seguito al master annuale Tutela dei minori e
Diritto penale minorile affronta il tema della violenza sui minori. L’aver avuto
per diversi anni la possibilità di lavorare all’interno di una struttura
comunitaria con l’incarico di educatrice, mi impedisce oggi di sottovalutare le
problematiche connesse a tale fenomeno. Entrare quotidianamente in
“relazione” con i vissuti di abbandono, abuso, prostituzione e maltrattamento,
di cui i minori ospiti erano portatori, mi ha dato modo, non solo, di
riconoscere la portata di sofferenza che tali esperienze comportano, ma anche
la consapevolezza che attraverso diversi meccanismi difensivi, l’adulto rischia
di negare e minimizzare la realtà del trauma psichico legato a tali forme di
violenza. Operare all’interno della comunità mi ha dato modo di vivere un
incontro relazionale con un gruppo di adolescenti e con il loro mondo
psichico tormentato dalle pressioni evolutive e danneggiato da precedenti
relazioni con gli adulti di riferimento; adulti che si sono rivelati inadeguati, e
per molteplici cause, a svolgere i loro compiti di cura, educazione e crescita
del minore. Tale esperienza mi impedisce di dimenticare ed è la forza
propulsiva che mi sprona ad approfondire la mia conoscenza del fenomeno,
analizzandolo, in modo da comprenderlo sempre di più.. Ho scelto di
occuparmi della violenza sul minore in quanto tale esperienza costituisce un
bagaglio emotivo, cognitivo e comportamentale che minaccia, se non
adeguatamente risolto, la sua crescita equilibrata.
E’ purtroppo estremamente frequente che il bambino vittima di violenza
diventi un adolescente con forti disagi relazionali, comportamentali,
esistenziali, e un potenziale abusante in età adulta. Sono numerose, infatti, le
ricerche che confermano il ciclo perverso della “vittima ieri” e “abusante
domani”, in un meccanismo di coazione a ripetere in cui la perpetuazione di
relazioni altamente conflittuali e/o violente appare inevitabile e la
trasmissione di tali modelli relazionali sembra addirittura essere inter-
6
generazionale. In un mio precedente lavoro di tesi, di taglio prettamente
psicologico, ho messo in luce come possa esistere una forma sottile, più
subdola ma non per questo meno incisiva, di “abuso istituzionale” in cui nel
pensiero degli adulti, stereotipato, acritico, e cieco non entra il pensiero del
minore abusato e abbandonato e resta quindi “non pensato”.
C. Foti, Presidente del Centro di Studi Hansel e Gretel, a proposito dell’abuso
sui minori osserva:
“Che la questione della violenza sessuale ai danni dell’infanzia abbia
faticosamente e contraddittoriamente cominciato ad uscire dall’alone di
silenzio, di tabuizzazione, di diniego culturale, scientifico e sociale che la
circondava, è un fatto. Che l’ascolto dell’abuso sessuale sui minori sia un
impegno sociale adeguatamente affrontato è una grave mistificazione.
Fatta emergere e precipitosamente accantonata dalla psicoanalisi freudiana
alla fine del sec. XIX riproposta negli Stati Uniti negli ultimi decenni del
secolo trascorso a partire dalla sensibilità emergente alle tematiche del
trauma, dello stupro e della protezione dei bambini, la questione dell’abuso
sessuale ai danni dell’infanzia inizia faticosamente ad essere affrontata in
Italia sul piano clinico e istituzionale a partire dagli anni ‘80. Da questo
momento il problema comincia a circolare nella comunicazione mediatica e
sociale con un’attenzione tutt’altro che costante: abbiamo assistito ed
assistiamo ad ondate oscillatorie tra il sensazionalismo, che si consuma con il
rapido logorarsi delle notizie usa e getta relative agli abusi e i movimenti
prolungati di rimozione del problema; tra picchi di indignazione forcaiola in
coincidenza di eventi drammatici e comportamenti continuativi di
deresponsabilizzazione della comunità adulta; tra enfatizzazione saltuaria del
tema della pedofilia e dimenticanza strategica dell’abuso sessuale
intrafamiliare; tra stentati avvii di una presa di coscienza istituzionale e
costante rinvio di una politica coerente per il sostegno dell’intervento di
prevenzione e contrasto alla violenza ai minori. Certo, in alcuni ambiti
7
istituzionali e sociali (comunque limitati!) s’è ridotta l’indicibilità e
l’impensabilità del problema dell’abuso sessuale sui minori, alcuni settori di
operatori (comunque ristretti) sono stati coinvolti in alcune iniziative di
sensibilizzazione e di formazione, il tema è stato, in qualche occasione, messo
nell’agenda dei problemi sociali dalla pur ambivalente attenzione mediatica e
le vittime, in questo contesto, hanno cominciato ad approfittare della
riduzione della stigmatizzazione sociale ai loro danni e delle nuove possibilità
offerte della comunicazione sociale.
Ma, detto questo, la questione dell’ascolto dell’abuso sui bambini resta tutta
da affrontare e molte valutazioni improntate ad una semplificazione
ottimistica rinviano ad una malcelata insofferenza difensiva nei confronti del
riconoscimento del problema e della radicata difficoltà strutturale a recepirlo
sul piano individuale, istituzionale e sociale. La parola che inizia a circolare
attorno all’appropriazione e alla strumentalizzazione sessuale dell’infanzia è
una parola che può cominciare a portare la luce in zone di buio, di segreto e di
sporcizia, che può liberare da vissuti di colpa e di stigmatizzazione e portare
elementi di chiarezza nella confusione dei ricordi e dei significati. È una parola
che inizia a produrre una nuova più dignitosa rappresentazione sociale della
vittima, a favorire risposte penali capaci di fermare il senso di onnipotenza e
d’invulnerabilità degli abusanti, ma è una parola che ancora può essere
facilmente soffocata, interrotta, spezzata; usata strumentalmente per fare
audience piuttosto che per fare riflettere; ritrattata da vittime non
adeguatamente sostenute; non presa sul serio e contraddetta da adulti a cui
viene aprioristicamente accordata maggiore credibilità; fatta oggetto di scempio
in molte aule di tribunali da parte di avvocati e consulenti; esaminata
criticamente e svuotata di senso da esperti che usano la scienza per difendere il
privilegio dei più forti e dei più ricchi”.
L’impegno di tutte le strutture che si occupano di minori, invece, dovrebbe
essere quello di contribuire alla rottura di questo circolo vizioso, stimolando
8
lo sviluppo d’analisi e di ricerche sul funzionamento adultocentrico delle
istituzioni minorili, sollecitando l'attivazione di strumenti di formazione e
d’elaborazione per far crescere la sensibilità degli operatori nei confronti della
crescita e della tutela dei soggetti in età evolutiva, favorendo una cultura
dell'integrazione e del lavoro in rete fra operatori di diverse istituzioni al fine
di cogliere la globalità e l'unicità del soggetto bambino e al fine di aumentare
la capacità di risposta adeguata ai suoi bisogni. Se, come ho dimostrato lungo
il primo capitolo, la prima istituzione in cui si consuma tale abuso è la
famiglia, oggi si può parlare anche di un abuso istituzionale.Approfondendo
una riflessione che ha caratterizzato in questi anni l’elaborazione del Centro
Studi Hänsel e Gretel, Gemma Rota (cit. in C. Foti, Chi educa chi?Sofferenza
minorile e relazione educativa 1995) ha proposto e argomentato le seguenti
tesi sull’argomento:
Prima tesi: l’abuso istituzionale può avere molti aspetti in comune con quello
familiare e muovere da analoghi dinamismi psichici, intrapsichici e
interpersonali risultando, per cosi dire, della stessa “qualità” dell’abuso
familiare.
Seconda tesi: le interazioni genitori-figli nelle famiglie maltrattanti e in
difficoltà presentano tipologie relazionali, comunicative e comportamentali
che talvolta si ritrovano nei rapporti tra operatori e utenti.
Terza tesi: il sistema degli operatori esperti di questioni minorili presenta al
suo interno dinamiche psicologiche parallele a quelle delle famiglie con le
quali è in relazione d’aiuto, d’intervento assistenziale, educativo, terapeutico
o giudiziario.
Esiste, quindi, aldilà delle intenzioni dichiarate, una sorte di
misconoscimento, della dannosità della violenza e dell’abuso ai danni dei
minori che portano molti professionisti dell’infanzia (giudici, psicologi, ed
operatori sociali) a identificarsi con l’adulto abusante e a difendersi dalla
sofferenza delle vittime, attraverso meccanismi ed operazioni difensive
9
-secondo i casi- di negazione [il problema in realtà non esiste], di rimozione
[questo problema preferisco accantonarlo], di razionalizzazione [voglio
argomentare e dimostrare che a ben vedere questo problema non riguarda il
mio gruppo sociale, il mio ruolo genitoriale e professionale], di proiezione [il
problema non riguarda me, ma gli altri].
Il rischio, quindi, è che le Istituzioni che dovrebbero essere garanti della tutela
del minore e proteggere contro la violenza e la sofferenza diventino luoghi in
cui tale violenza si genera e si ripete in un chiuso e vizioso circolo. Se
consideriamo, inoltre, che le istituzioni oggetto di studio nel presente lavoro
sono o dovrebbero agire per “l’interesse del minore” l’esigenza di tale studio
e analisi risulta necessaria e improrogabile.
Il misconoscimento e negazione del trauma psichico della realtà dell’abuso
quindi è un meccanismo ancora presente nel funzionamento delle istituzioni
minorili. Foti (op. cit.) formula una proposta di educazione permanente alla
relazione educativa intesa come: «la costruzione di momenti e spazi
comunicativi dove l’adulto possa pensare la relazione educativa, vuoi il
sistema familiare o istituzionale in cui è inserito, riflettere sul proprio
atteggiamento interiore e sul proprio comportamento, riprendere, per quanto
possibile, un qualche contatto con la propria infanzia e la propria adolescenza,
in altri termini mettersi in discussione».
E con questo invito a quanti operano nell’ambito dei minori chiudo questa
doverosa premessa.
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CAPITOLO PRIMO I Centri CISMAI e CE.P.A.M.M: un’esperienza
decennale e una nuova sensibilità territoriale
1 Brevi cenni sui Diritti dell'infanzia e dell'Adolescenza
Nel nostro paese, in ambito legale, si rileva attualmente una cresciuta
sensibilità nei confronti dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Innanzi
tutto, l’Italia, con la legge 27 maggio 1991 n. 96, ha ratificato la Convenzione
internazionale sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre
1989 che, oltre ad importanti disposizioni sulla tutela dei minori, prevede
precisamente l'impegno degli Stati contraenti a proteggere i bambini da ogni
forma di sfruttamento e violenza sessuale.
La legge n. 285 del 28 agosto 1997 introduce la possibilità di realizzare
concretamente interventi a favore dell'infanzia e dell'adolescenza costituendo
un fondo nazionale per finanziare l’attuazione di servizi e progetti che
promuovono i diritti, la qualità di vita, lo sviluppo, la realizzazione
individuale e la socializzazione dei bambini. Il fondo è istituito presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri. La legge 285 considera idonei al
finanziamento anche progetti che possono tradursi in strumenti utili per
contrastare l'abuso. Nello specifico, l'articolo 4 che disciplina le azioni e i
servizi finalizzati al sostegno della relazione genitore - figli e al contrasto
della povertà e della violenza, prevede la realizzazione di case di accoglienza
per donne in difficoltà con figli minori e interventi di prevenzione e assistenza
nei casi di abuso o sfruttamento sessuale. Oltre a ciò, su indicazione della
stessa legge, il Dipartimento per gli affari sociali ha istituito il Centro
Nazionale di Documentazione ed Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza. Il
Centro ha sede a Firenze e svolge una continua opera di raccolta di dati,
riflessione ed analisi. Pubblica periodicamente dei quaderni mirati su temi
specifici relativi alla tutela dell'infanzia e dell'adolescenza.
Nel mese di novembre 1998 si è tenuta a Firenze la prima conferenza
nazionale sull'infanzia e sull'adolescenza prevista dalla legge 285, organizzata
11
dal Dipartimento per gli Affari Sociali e dal Centro Nazionale di
Documentazione e di Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza (CNDAIA 1998;
Presidenza del Consiglio dei Ministri 1998).
Il 26 febbraio 1998 è stata istituita nel nostro Paese la Commissione
Nazionale contro gli abusi, i maltrattamenti e lo sfruttamento sessuale dei
minori, con l’obiettivo principale di progettare strategie di prevenzione del
maltrattamento, dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori. La
Commissione, composta da una rosa di esperti nel campo del maltrattamento
e dell’abuso provenienti da varie discipline (magistrati, funzionari, medici,
neuropsichiatri, psicologi, assistenti sociali, ecc.) dovrà promuovere in
collaborazione con il CNDAIA programmi di formazione e informazione,
oltre a protocolli d’intesa per facilitare il lavoro di rete tra servizi,
amministrazioni ed enti locali. La Commissione Nazionale ha prodotto un
primo documento in cui propone cinque strategie fondamentali di contrasto
del fenomeno del maltrattamento e dell'abuso all'infanzia e all'adolescenza: il
rilevamento dei dati e la mappatura delle risorse sul territorio; la formazione
degli operatori; l'integrazione in rete dei servizi; intese a livello nazionale e
internazionale per la lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini; la
sensibilizzazione dell'opinione pubblica.
Successivamente all'istituzione della Commissione Nazionale, si è provveduto
alla costituzione dell’ Osservatorio Nazionale per l'Infanzia e l’Adolescenza
(legge n. 451).
Infine, un gruppo di centri e servizi sia pubblici che privati impegnati nel
lavoro con i bambini maltrattati e le loro famiglie hanno fondato nel 1993 il
Cordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’
Infanzia (più conosciuto come CISMAI).
Per quanto riguarda nello specifico il tema dell'abuso, la legge italiana contro
la violenza sessuale (n.66, 15/2/1996) dimostra una maggiore sensibilità e
12
attenzione alla tutela dei diritti di bambini e adolescenti e favorisce la
diffusione di una nuova cultura dell’infanzia.
2 Il Cismai: la storia e i principi ispiratori
Il Coordinamento è nato nel 1993 in seguito all'iniziativa promossa dal CBM
(Centro per il bambino Maltrattato di Milano) con altri quattro Centri allora
operanti in Italia sul tema dell'abuso all'infanzia tra cui il CAF (Centro aiuto
alla Famiglia e al bambino maltrattato) - Centro privato no profit di Milano -,
il reparto di Psichiatria e Psicoterapia dell'Ospedale Bambin Gesù e il Centro
per l'Età Evolutiva (quest'ultimo scioltosi poco tempo dopo) - entrambi di
Roma - e il Servizio Numero Blu dell'Amministrazione Provinciale di
Cagliari. Grazie a questa azione pioneristica oggi sono più di sessanta i Centri
e i professionisti che si riconoscono nel CISMAI. Il Coordinamento "si
propone di costituire una sede permanente di carattere culturale e formativo
nell'ambito delle problematiche inerenti le attività di prevenzione e
trattamento della violenza contro i minori, con particolare riguardo all'abuso
intrafamiliare" (art. 1 dello Statuto).
1
Il Coordinamento venne ufficialmente
presentato al Pre-Congress della 4
a
Conferenza Europea dell'Ispcan
(International Society Prevention Child Abuse and Neglect) svoltasi ad Abano
Terme nel marzo 1993. L'allora presidente Alessandro Vassalli ne illustrò i
principi ispiratori basilari, messi a punto in seguito ad un lungo periodo di
confronto e di scambio tra i Centri fondatori sui problemi principali incontrati
sul piano operativo. Il nostro paese aveva iniziato ad aprire gli occhi sulla
drammatica diffusione dell'abuso all'infanzia in tempi più recenti rispetto ad
altri paesi, dalla seconda metà degli anni '80. Più che a livello istituzionale,
sono state le varie realtà locali (pubbliche e private) a muoversi per prime,
avviando significative esperienze operative di protezione e cura dei bambini
maltrattati e delle loro famiglie. Centri privati convenzionati e Servizi
pubblici si sono progressivamente diffusi a macchia di leopardo in tutto il
1
Approfondimenti sul CISMAI nel sito:http://www.minori.it/coordinamento/chisiamo/index.html
13
paese ed hanno cominciato ad affermarsi alcuni concetti basilari già
consolidati a livello internazionale:
♦il maltrattamento dei bambini in tutte le sue forme é un fenomeno diffuso in
ogni classe sociale;
♦ l'abuso all'infanzia nella famiglia non é solo l'effetto di un comportamento
patologico individuale, ma é il sintomo di una grave patologia delle relazioni
familiari che colpisce la famiglia nelle sue funzioni fondamentali;
♦ una patologia relazionale che deve dunque essere affrontata non solo a
livello del singolo individuo, ma anche nel suo insieme;
♦ gli interventi di prevenzione e trattamento, per essere efficaci, devono avere
un carattere multidisciplinare, che preveda cioè la capacità da parte di ogni
singolo soggetto professionale coinvolto di interagire adeguatamente con gli
appartenenti ad altre discipline (ad esempio la legge tutela sia sul piano penale
che civile i minori vittime di abusi ed obbliga gli operatori a denunciare alla
magistratura le situazioni di cui vengono a conoscenza). Gli operatori psico-
socio-sanitari devono dunque imparare ad orientare il loro intervento anche
nell'ambito di coordinate definite giuridicamente dall'esterno;
♦ la tutela del minore vittima di maltrattamento non può limitarsi agli
interventi immediati e contingenti di protezione, ma, ogni volta che sia
possibile, deve comprendere il tentativo di ripristinare relazioni sane e
funzionali all'interno della famiglia nell'interesse del minore;
♦ gli abusi quando emergono necessitano di interventi rapidi volti a
proteggere il minore ed ad aiutare la famiglia ad affrontare la crisi che ha
determinato il maltrattamento;
♦ in assenza di essi la situazione familiare tende facilmente a deteriorarsi,
passando da una patologia acuta e meno grave ad una patologia cronica e più
grave, spesso irreversibile.