Premessa I testi universitari dedicano al trust uno spazio insufficiente rispetto alla portata
che questo istituto ha ormai nella prassi degli operatori del diritto; e potrebbe
sembrare che il “problema trust ” nell'ordinamento italiano possa essere affrontato e
risolto semplicemente dal punto di vista del diritto internazionale privato,
interrogandosi sulla natura della Convenzione dell'Aja del 1985 e della legge di
ratifica da parte dell'Italia. Gli studenti non sono informati in modo adeguato circa
le resistenze che l'applicazione del trust nel nostro ordinamento incontra da parte
della dottrina (soprattutto) e della giurisprudenza (in misura minore). Non viene
dato conto di come la situazione del trustee possa conciliarsi coi principi generali
del diritto privato, quali la responsabilità patrimoniale illimitata del debitore, il
numero chiuso e la tipicità dei diritti reali. Il mio intento è quello di segnalare quali
sono (o quali sono stati) i “punti di attrito” tra il nostro ordinamento e l'istituto del
trust .
Negli anni passati il dibattito tra gli studiosi ha visto uno scontro vivace di
opinioni, che in certi casi è sfociato nella polemica. Io credo che non si sia trattato
soltanto di una disputa accademica (anche se in alcuni interventi gli autori mettono
esplicitamente in discussione la preparazione e la serietà scientifica dei “colleghi
rivali”).
E' vero che oggi si può dire conclusa la querelle che ha visto come protagonisti,
in particolare, autori prestigiosi come Gazzoni, Lupoi, Gambaro, cosicché certe
discussioni sui massimi sistemi non dovrebbero essere più attuali. Anziché
continuare a parlare in astratto sull'ammissibilità o meno del trust , sarebbe ormai
giunto il momento di prendere atto che i trust in Italia si “si fanno” (sia nella loro
fase istitutiva, che in quella della loro esecuzione prolungata nel tempo) e sono
accettati quasi unanimemente dai giudici (questo vale anche per quanto riguarda i
cosiddetti trust interni, sui quali rimanevano i maggiori interrogativi, anche a
seguito dell'entrata in vigore della legge di ratifica). In sostanza sarebbe l'ora di
discutere dei problemi interpretativi ed applicativi di un istituto la cui esistenza
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andrebbe data per acquisita.
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Tuttavia, al di là degli scontri a livello personale tra
sostenitori e detrattori del trust , credo di poter dire che nella letteratura
sull’argomento (per quella parte limitata che ho avuto occasione di leggere)
emergano impostazioni di fondo diverse; verrebbe da dire che lo scontro sul trust
sia l'aspetto visibile, superficiale, di un conflitto che in realtà riguarda il metodo di
approcciarsi ai fenomeni giuridici. Per Castronovo i due modi principali di vedere
le cose sono portati avanti rispettivamente da parte degli studiosi di diritto civile e
di diritto comparato: “ Il dibattito corrente su una figura per taluno ancora
misteriosa, da altri incompresa come il trust ha visto una sorta di incontro-scontro
tra comparatisti e civilisti, mettendo a confronto due sensibilità e due propensioni
diverse. La prima tutta tesa dall'entusiasmo del rendere disponibile una figura
ignota alla nostra tradizione e proprio per questo ritenuta in grado di comporre
interessi in maniera inusitata; la seconda giustamente preoccupata di verificare
che ne ricorrano i presupposti; che oltre al fine, cioè, ne risultino giustificati
anche i mezzi 2
Per semplificare al massimo, si potrebbe descrivere la posizione dei fautori del
trust nei termini di una necessaria apertura al nuovo, per favorire la quale sarebbe
ragionevole sacrificare determinati cardini del nostro diritto privato (si è accennato
sopra al numerus clausus ed all'art. 2740 c.c.). Per alcuni autori tale accettazione
del nuovo, soprattutto quando proviene da altri ordinamenti, è un fatto naturale, un
aspetto salutare (ed in fondo ineluttabile) che riguarderebbe l'evoluzione del nostro
ordinamento giuridico, nell'ambito di una progressiva internazionalizzazione dei
sistemi giuridici ed economici di paesi diversi)
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. A questo proposito è emblematico
un passo in cui Gambaro afferma espressamente che per ragioni di competitività
del nostro sistema economico finanziario il nostro paese (come anche altri di civil
law ) si è trovato nella necessità di adeguare il proprio ordinamento in modo tale
che vi sia possibile riconoscere l'operatività dei trust : “ Giova quindi ricordare che
1 Barla De Guglielmi, Elisa, “Brevi considerazioni a margine di due provvedimenti giurisdizionali in materia
di trust ”, Rivista del notariato , n. 4, 2005, p. 858 sg., “ Allo stato attuale, quindi, non sembra che il discutere
ancora della legittimità dei trust interni possa contribuire significativamente al dibattito giuridico in
materia, dibattito che, più opportunamente, potrebbe forse concentrarsi su altri aspetti dell'istituto, tra cui,
ad esempio, la molteplicità delle situazioni in cui ad esso è possibile far ricorso, la pronta reazione
dell'ordinamento innanzi a trust elusivi, e gli effettivi impieghi del trust rispetto a quanto era stato ipotizzato
in passato.”
2 Castronovo, Carlo, “Il trust e “sostiene Lupoi” ”, Europa e diritto privato , parte I, 1998. p. 441
3 Di Ciommo, Francesco, “Per una teoria negoziale del trust (ovvero perché non possiamo farne a meno)”, Il
Corriere giuridico , 5, 1999, p. 630-641 e 6, 1999, p. 773-785
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la XV Convenzione dell'Aia è scaturita dalla dichiarata intenzione di uniformare le
regole circa gli effetti dei trust . L'idea base del progetto,...,era la seguente: a) in
tutti i sistemi di common law l'istituto del trust è ampiamente utilizzato in tutte le
sue forme; b) nell'attuale epoca di apertura dei mercati (non si parlava ancora di
globalizzazione, ma il senso era quello) i trusts costituiti nei paesi di common law
operano anche in paesi che non conoscono la figura del trust ; c) il risultato che si
verifica è analogo a quello che si verificherebbe se solo alcuni ordinamenti
giuridici conoscessero le società di capitali e le persone giuridiche, mentre altri
non ne riconoscessero gli effetti, e non vi è chi non percepisca come un tale
scenario sarebbe insoddisfacente; d) occorre dunque che anche i trusts possano
operare in tutti i paesi membri della Conferenza senza alterare le proprie strutture
e conseguendo i medesimi effetti giuridici che potrebbero conseguire in patria.
Questa era l'intenzione ” ...”Il fatto è che la segregazione dei patrimoni
corrisponde esattamente ad una delle logiche fondamentali dell'investimento
finanziario, il quale si inserisce, anzi è il settore più globalizzato dell'economia
mondiale. Un investimento finanziario infatti necessita di garanzie -...-
esattamente calcolabili ex ante ; e ciò in primo luogo comporta la tendenza ad
escludere il concorso di altri creditori imprevedibili. Senza questa possibilità di
calcolare i rischi ex ante la capacità di un sistema paese di attrarre investimenti
finanziari viene seriamente danneggiata. L'Italia ha ratificato la XV Convenzione
dell'Aia non perché volesse il trust in sé, ma perché si prevedeva di accrescere la
sua capacità di attrarre investimenti in un mondo che appariva già allora sulla via
della globalizzazione dominata dai modelli giuridici anglosassoni. ” 4
Mi preme rilevare che, anche se in misura diversa, i sostenitori del trust
ricorrono spesso, per sostenere le proprie tesi, ad argomenti non propriamente
giuridici.
4 Gambaro, Antonio, “Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV
Convenzione dell'Aia” , Rivista di diritto civile , 2002, p 259 e 264. In senso analogo, si veda Di Ciommo, op.
cit ., p. 785. L'Autore spiega la maggiore efficacia del trust rispetto ad altri istituti del diritto italiano che
solitamente la dottrina ritiene affini, tra cui in particolare il negozio fiduciario (d'altra parte se così non fosse,
non si spiegherebbe perché il nostro ordinamento debba adoperarsi perché siano riconosciuti gli effetti del
trust ). Si veda anche Gambaro, Antonio, voce “ Trust ”, in Digesto delle discipline privatistiche (sezione
civile), vol. XIX, UTET 1999, p. 468. “Il fatto è che la corsa verso il trust altro non è che una
manifestazione episodica della vorticosa circolazione dei modelli oggi in atto in tutti i sistemi occidentali.
“...”In tale simile contesto ogni sistema giuridico è chiamato a giustificare le proprie regole sul piano della
razionalità economica e sociale, ma gli è vietato appellarsi alla sistematicità della propria tradizione
giuridica la quale peraltro è una sirena che attira solo i giuristi colti, ma lascia del tutto indifferenti gli altri
cittadini.
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Da una parte affermano che quelli che un tempo erano principi inderogabili del
diritto privato oggi non lo sono più (per esempio fanno notare che il legislatore ha
introdotto nel corso degli anni talmente tante ipotesi di deroga al principio dell'art.
2740 c.c., che ormai il rapporto regola-eccezione sarebbe quasi rovesciato). In vari
contributi gli studiosi fanno riferimento alle leggi speciali che hanno introdotto
fattispecie di separazione patrimoniale; e ravvisano in ciò una specie di “ trend
generale” seguito dal legislatore, in base al quale oggi si dovrebbe prendere atto
che l'art. 2740 non è più una norma imperativa e non può quindi essere invocata
come ostacolo al riconoscimento degli effetti di segregazione dei beni oggetto del
trust rispetto al patrimonio personale del trustee.
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Per la verità ancora diversi
autori considerano valido il principio dell'art. 2740, 1° c.c. Ma ritengono che
l'istituzione del trust possa produrre comunque l'effetto della separazione
patrimoniale, o perché fanno rientrare questo istituto in una delle ipotesi tipiche di
limitazione richiamate dall'art. 2740, 2°, oppure perché ritengono che spetti al
giudice del caso concreto effettuare un vaglio circa la meritevolezza (art. 1322 c.c.)
degli interessi perseguiti con l'operazione, ed in caso positivo riconoscerne gli
effetti segregativi.
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5 Si vedano: l. 448/1998, art. 13 (in materia di cartolarizzazione); l. 77/1983 (in materia di fondi comuni di
investimento, abrogata dal TUIF, d. lgs 58/1998), l. 130/1999 (cartolarizzazione dei crediti), l. 402/1999
(cartolarizzazione dei crediti INPS), l. 1966/1939 (società fiduciarie). Un'altra ipotesi in tal senso è la srl
unipersonale. Ma forse stilando questa rassegna si propone un “argomento suicida”, che casomai corrobora la
tesi opposta a quella che si vorrebbe sostenere. Infatti i numerosi interventi del legislatore probabilmente
stanno a significare che ogni volta si è sentita la necessità di provvedere, con un intervento espresso della
legge, per fare eccezione ad un principio generale che continua ad essere valido. In tal senso si veda
Castronovo, “Il trust e “sostiene Lupoi”” ,op. cit., p. 447: “E' vero, come ci ha ricordato Mazzamuto, che nel
nostro ordinamento abbiamo dei fenomeni di grande rilevanza, che tendono a diventare vieppiù numerosi, di
separazione patrimoniale, ma pure questi sono per così dire canonici e riconosciuti.”...” Vero è che non c'è
più la corrispondenza biunivoca tra autonomia patrimoniale e personalità giuridica, oramai superata da
decenni, ma è un non sequitur ricavarne tout court un potere dell'autonomia privata di instaurare situazioni
di separazione patrimoniale. “ Con argomentazioni analoghe ci sono studiosi che tentano di sminuire il
problema della tipicità dei diritti reali nel nostro ordinamento, attraverso richiami a precedenti in cui la
giurisprudenza avrebbe accolto nel nostro ordinamento fattispecie nuove di diritti reali; ed ancora, per
sostenere la possibilità di opporre a terzi il vincolo di indisponibilità che grava sui beni conferiti in trust ,
vengono invocate nuove fattispecie tipiche di trascrizione (gli artt. 2645/2 e 2645/3 c.c.) per dimostrare che le
norme in tema di trascrizione contenute nel c.c. sarebbero suscettibili di un'applicazione analogica.
6 In senso critico rispetto a questa impostazione si veda Gazzoni , “In Italia tutto è permesso”, op. cit ., p 1147
ss. : “Non ho poi alcuna difficoltà ad ammettere che il trust possa essere utilizzato a scopi diversi, anche, in
sé, meritevoli di tutela e non squisitamente patrimonialistici: assistenza a ragazzi sfortunati (come del resto
la sostituzione fidecommissaria) o, dici tu, [l'autore si rivolge a Lupoi] esecuzione di obbligazioni naturali,
dimenticando ancora una volta i limiti posti dal codice civile, in questo caso all'art. 2034 (il settlor non
esegue, costituendo il trust , per difetto di realità, cioè di consegna al beneficiario - Oppo docet ; né esegue il
trustee , per difetto di spontaneità, senza contare il carattere strettamente personale dell'obbligazione...”...”E
con ciò? Quando mai la meritevolezza dell'interesse è stata in grado di annullare l'illiceità? Dovresti
rinfrescarti la memoria sul senso e sulla portata degli artt. 1322 e 1343 c.c., applicabile ex art. 1323 c.c.
L'effetto di separazione patrimoniale del trust non può essere lecito perché buono e bello e nemmeno perché
utile socialmente, ammesso, poi, che veramente lo sia e non serva ad eludere divieti normativi.”
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