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Il presente lavoro è stato suddiviso in tre capitoli.
Il primo capitolo analizza lo stato del settore vitivinicolo, dopo una breve
disamina storica dello stesso, attraverso le caratteristiche salienti del prodotto
“vino”e delle sue diverse tipologie, e quelle del fattore produttivo “vite”.
Maggiore risalto è stato dato alla produzione e al consumo del vino, sia in un
quadro internazionale, sempre più competitivo, sia nazionale, e sia sub-nazionale.
Per giunta, a fronte di una tendenza decrescente della quantità prodotta ma di un
netto miglioramento della qualità produttiva, è stato evidenziato il crescente peso
del commercio dei vini italiani di qualità nel mondo, soprattutto verso gli USA. Il
cambiamento nei gusti dei consumatori, e la diversa concezione che si ha del vino,
non più considerato come oggetto di consumo quotidiano, ma bevanda colta e
raffinata, hanno spinto i produttori alla creazione di nuove soluzioni, tali dar vita
al “Novello”.
Il secondo capitolo, concentrandosi su quella che è la struttura del settore
vitivinicolo, fortemente frammentata, e quindi sulla forma di conduzione e
giuridica delle aziende, analizza le forme d’integrazione delle imprese lungo la
filiera. Si approfondisce, inoltre, dando più risalto alle aziende produttrici di vino,
da cui emerge il grosso ruolo svolto dalle aziende familiari o prevalentemente
familiari e le opportunità della cooperazione poco diffusa, lo studio della filiera
facendo riferimento all’insieme delle fasi approvvigionamento-trasformazione-
distribuzione che concorrono a rendere disponibile il vino sul mercato.
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La parte successiva analizza il settore delle bevande, affrontando il consumo
vinicolo rispetto alle altre bevande sostitutive, in particolare si considera il loro
posizionamento sulla curva del ciclo di vita.
L’ultimo capitolo è dedicato al settore vitivinicolo campano e alle sue
opportunità di sviluppo enoturistiche. Espletata la disamina dello stato del settore
vitivinicolo delle province campane, da cui si evince una forte potenzialità
produttiva, data dalla moltitudine delle varietà di vitigni di qualità, ma sotto
utilizzata per fattori economici sociali e strutturali, si approfondisce il processo di
sviluppo della destinazione secondo il modello statico-strutturale (contenuto-
contesto-infrastrutture), e dinamico (interazioni tra le componenti strutturali)
considerando la Campania come meta turistica, e l’enoturismo come opportunità
di sviluppo e di creazione di valore del territorio.
Nello specifico tale modello d’analisi multi livello è applicato al Sannio, per
valutare l’esistenza delle potenzialità per la costruzione di una specifica
destinazione. A tale riguardo, la creazione di una destinazione turistica fondata
sulle strade del vino, mostra un’evidenza empirica del grado d’interazione tra le
imprese, nonché di cooperazione tra queste e le istituzioni pubbliche, con
riferimento specifico ad un’idea-progetto approvata dall’ente regionale
nell’ambito della normativa sulle “Strade del Vino”.
Il progetto de “La strada dei vini e dei prodotti tipici Sanniti”, evidenzia, tra
le altre osservazioni, la necessità di sviluppare funzioni e ruoli di meta-
management per costruire un’unitaria identità territoriale. Infatti, la carta dei vini è
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ancora un tracciato cartografico e che le possibilità di tradursi in un progetto che
abbia un impatto virtuoso sull’intero territorio è funzione dell’impegno congiunto
dei soggetti pubblici e privati sui diversi fronti.
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I CAPITOLO
IL SETTORE AGRI-VITI-VINICOLO
1.1. Cenni storici
Vite e viticoltura inizialmente hanno avuto “vite separate”. Enormemente più
lunga è la storia della pianta (oltre 100 milioni d’anni) evolutasi sotto le
sembianze di molte specie, poche delle quali hanno attraversato le ere
preistoriche; tuttavia solo una specie è stata veramente resa domestica (coltivata),
mentre le altre sono rimaste praticamente selvatiche. Occorre fare giustizia di un
errore: la vite chiamata europea (Vitis vinifera) è in realtà d’origine asiatica
.
In
primis i popoli caucasici, indi quelli mesopotamici, poi gli egizi, gli ebrei, sono
stati gli artefici ad ingentilire la Vitis silvestris (selvatica o Lambrusca)
trasformandola in Vitis vinifera. Con la selezione della varietà, inizia anche la
“viticoltura”, in altre parole la coltivazione delle varietà, denominata anche
“cultivar” (varietà coltivate, per distinguerle da quelle, ancora numerosissime,
selvatiche). La viticoltura ha una storia più breve di quella della pianta: circa dieci
millenni. Essa inizia dopo l’ultima glaciazione nel rifugio Pontico e s’irradia in
particolare nella “mezzaluna fertile” (dal Caucaso all’Egitto), indi nel
mediterraneo e da qui nell’Europa settentrionale. Al concepimento della
viticoltura ed al suo perfezionamento hanno contribuito molti popoli, prima
nell’antico medio oriente e poi nel mediterraneo. La viticoltura è antica e non è
frutto dell’intelligenza dei popoli occidentali, che oggi si atteggiano a maestri; per
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contro molti furono i contributi culturali degli antichi georgici, egizi, ebrei, fenici,
greci, latini, ecc. Le successive evoluzioni ed i progressi dei due ultimi millenni
non sono stati fondamentali per la “concezione dottrinale” della viticoltura, poiché
gli antichi scrittori la presentano nella realtà che ancora in gran parte sussiste
attualmente. La viticoltura moderna ha solo un secolo e la parte più recente,
scientifica, non costituisce certamente l’ossatura fondamentale di questa coltura e
cultura; l’orditura della viticoltura era già stata concepita dagli antichi popoli. Le
parti filosofiche della viticoltura dell’epoca greco-romana-etrusca sono ancora le
basi scientifiche della viticoltura attuale, così come quelle culturali lo sono per la
nostra civiltà d’origine greco-latina. La storia antica della viticoltura è utile per
comprendere quella moderna e per capire dove questa deve andare, in relazione
alla qualità. I grandi vini moderni sono ancora prodotti con la viticoltura
impostata dagli antenati precristiana. E’ assai difficile stabilire con assoluta
certezza quale sia la patria d’origine della vite, anche perché la ricerca delle
testimonianze fossili e dei reperti archeologici, che sono le prove probanti, non è
tuttora esaurita. Si è comunque assodato che il genere Vitis ha tre grandi centri
d’origine: uno nell’America settentrionale, con qualche estensione nell’America
centrale e meridionale; il secondo situato nell’Asia orientale, comprendente
Nepal, Cina e Giappone, con qualche estensione nella Malesia e in Australia; il
terzo e più importante euro-asiatico, comprendente la vite detta erroneamente
europea (Vitis vinifera). Della Vitis vinifera, l’unica specie maggiormente
coltivata e subspontanea in Europa, non si conosce la patria d’origine, anche se
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per buoni motivi è considerata euro-asiatica o addirittura mediterranea. Infatti, una
delle opinioni più diffuse in passato e ancora sostenuta da alcuni autori (Negroul,
1960) è quella che riconosceva nella Transcaucasia, o comunque nell’Asia sud-
occidentale, la patria della vite e della viticoltura; da tale zona la vite si sarebbe
poi diffusa nella Tracia quindi in Siria e in Grecia; di qui in Italia ed ovunque.
Tuttavia si ammette anche che la Vitis vinifera europea sia una pianta indigena;
infatti, le conoscenze paleontologiche consentono di affermare che in Italia la vite
è comparsa in tempi remotissimi, esattamente nel Pliocene dell’era terziaria.
Presso Ascoli Piceno e Fiano Romano sono stati trovati resti fossili di Vitis
vinifera risalenti all’era quaternaria, e reperti relativi all’età neolitica attestano il
consumo o comunque l’utilizzazione dell’uva. Per quando riguarda invece la
coltivazione della vite e l’uso del vino, il primo documento sicuro si ritrova in una
scrittura numerica della prima metà del III millennio a.C. e più tardi, verso il 2400
a.C. il vino fa la sua comparsa tra i prodotti che gli Egiziani importavano dalla
Siria da Israele. Un ruolo di primaria importanza nella diffusione della viticoltura
e della vinificazione l’ebbero certamente i Fenici che, dalla loro terra, verso il
3000 a.C. si spinsero in Egitto, Assiria, Grecia, Sicilia, Sardegna, Spagna, in
Germania e nell’Africa settentrionale. In Grecia la nascita della viticoltura è
attestata dai vinaccioli fossili di precursori della Vitis vinifera sativa che risalgono
alla fine del neolitico (3500-3000 a.C.) mentre l’uso del vino si fa risalire più
tardi, sicuramente intorno al 2000 a.C. Per quanto riguarda l’Italia, la viticoltura
sarebbe giunta in Sicilia con i colonizzatori egeo-micenei e si sarebbero e si
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sarebbe successivamente diffusa lungo le coste meridionali; alla diffusione nel
centro e nel nord della penisola, avrebbero invece contribuito in massima parte gli
Etruschi -popoli di probabile provenienza orientale- che possedeva nozioni
vitivinicole ed agricole molto più evolute degli abitanti autoctoni. In effetti, le
invasioni barbariche nell’area italica erano giustificate anche dal nome di
“Oenotria Tellus”, precedente quello d’Italia. Subito dopo i Fenici, i Greci
riconfermarono e diffusero ulteriormente la tradizione della viticoltura, esportando
insieme al vino aromatizzato –con resina di pino- anche l’istituzione del suo culto
(Dionisio greco = Bacco romano = Fufluns etrusco). Durante il periodo romano,
l’interesse per la vite e la sua cultura andò accentuandosi sempre più, e con essa si
perfezionò la tecnica vitivinicola anche in virtù di molti schiavi asiatici e greci che
affluivano a Roma. La qualità e il prestigio dei vini italici si affermarono in
misura sempre maggiore, così come la loro esportazione, assicurando in tal modo
al nostro Paese un vero e proprio monopolio. E’ proprio questo il periodo in cui –
seconda metà del I secolo a.C. - l’agricoltura e la viticoltura in modo particolare,
raggiungono il massimo fulgore; ne fanno fede i numerosi trattati agricoli e
viticoli pervenutici, tra i cui autori si annoverano insigni georgici del tempo
(Catone, Orazio, Virgilio, ecc.); sin da allora erano conosciute e praticate le più
comuni e importanti tecniche viticole; innesti, potatura (perfezionata dai Greci) e
vinificazione. Fu quindi grazie ai Romani e al loro impero che la viticoltura poté
maggiormente diffondersi a livello europeo (Francia, Germania, sino al Danubio)
e contemporaneamente consolidare in modo pressoché irreversibile le posizioni
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raggiunte ed i privilegi acquisiti. L’impostazione latina, di considerare il vino
nella dieta alimentare, è certamente frutto della tradizione e della civiltà dei popoli
italici che si sono sempre contraddistinti da quelli anglosassoni, amanti del vino
come bevanda da dessert o da meditazione. Ancora oggi esiste un modello latino
di viticoltura, legato a caratteri qualitativi genuini, forniti direttamente dalla terra,
ed un modello anglosassone che crede nella qualità creata in cantina, con
correzioni dei difetti d’origine. Il periodo medievale si apre in Italia, con una
desolante situazione politica e socio-economica che si ripercosse inevitabilmente
in forma assai grave sull’agricoltura e di conseguenza anche sulla viticoltura:
guerre civili, tasse insostenibili e l’abbandono delle campagne ne determinarono
la progressiva decadenza, che non divenne irreparabile grazie alla gran
considerazione in cui la vite e il vino erano tenuti dalla religione cristiana; infatti,
la necessaria presenza del vino nella celebrazione della S. Messa, indirizzò la
particolare attenzione del clero, e soprattutto degli ordini monastici, alla
coltivazione della vite, che crebbe affianco alle chiese e conventi, certamente più
protetta che non nelle campagne dalle scorrerie barbariche. Anche i nuovi sovrani
e gli imperatori che si susseguirono nel dominio del nostro Paese (Teodorico,
Rotari, Carlo Magno) mostrarono, come secondariamente anche i feudatari, una
spiccata predilizione per il vino, incentivando e sostenendo il vino così la
viticoltura che cominciò lentamente ma progressivamente a risorgere, mentre il
vino tornava ad essere nuovamente esportato. Nell’età dei Comuni, infine, si ebbe
una netta ripresa della viticoltura dovuta a nuove leggi che ne favorirono la
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diffusione e la protezione. Con la scoperta dell’America, inizio l’Evo moderno,
nel quale l’emigrazione italiana ha contribuito a creare la viticoltura di molti paesi
dell’America del Nord e Latina e dell’Australia. Qualche secolo dopo, con le
nuove viti, sono importati in Europa i peggiori parassiti di tale pianta: l’Oidium
tuckeri (oidio o mal bianco della vite), un fungo scoperto a Londra nel 1845; la
filossera della vite, un insetto scoperto nella Francia meridionale nel 1868, ed
infine, nel 1878 fu scoperta la ben nota ed altrettanto temuta peronospora o
Plasmopora viticola. La viticoltura europea attraversò un momento di gran crisi,
dal quale, tuttavia, grazie all’intervento della scienza, uscì profondamente
rinnovata ed arricchita dall’indispensabile prezioso bagaglio delle nuove
conoscenze scientifiche. Le ripercussioni negative dell’avvento dei portinnesti si
sono, tuttavia, protratte sino ai nostri giorni
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FREGONI M. (1998), La viticoltura di qualità,L’informatore Agrario, Verona.