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specificatamente sull’eziologia e sui meccanismi fisiopatogeni, cercando soprattutto
di mettere in luce le dinamiche e le sfumature che il disturbo assume nell’età
evolutiva dal punto di vista psicologico.
Oggi le innovazioni tecnologiche in campo medico hanno permesso di osservare
“da vicino” la cefalea; attraverso indagini di laboratorio sofisticate si ha infatti la
possibilità di conoscere i meccanismi fisiologici coinvolti nel disturbo e quali siano
le caratteristiche disfunzionali che lo caratterizzano. Bisogna però rilevare che la
situazione non è così lineare come si potrebbe pensare poichè le ricerche in questione
hanno riportato dati tra loro contrastanti e gli studi sono ancora pochi in riferimento
alla complessità del disturbo ed ai suoi sottotipi. Sarebbe interessante mettere in
relazione tale caratterizzazione fisiologica con il vissuto del soggetto con cefalea.
Come ne è influenzata la qualità di vita? Soprattutto, come s’inserisce la cefalea
all’interno delle dinamiche evolutive come l’entrata nel mondo della scuola o la
crescita adolescenziale? Non si può prescindere dal rispondere a queste domande
senza prendere in esame il nucleo familiare all’interno del quale il soggetto è
inserito; studiarne la struttura e la vita affettiva permette di valutare la cefalea
all’interno di un’ottica complessiva dato che il disturbo veicola significati psicologici
rilevanti e disagi spesso celati e non verbalizzati.
Il capitolo 1 descrive la cefalea, distinta in emicrania e in cefalea tensiva, da un
punto di vista sintomatico ed eziologico cercando di evidenziare possibili relazioni
ma anche differenze tra le due forme. Una breve trattazione sul sistema di
classificazione diagnostico per la cefalea messo a punto dall’International Headache
Society (IHS), oggi giunto alla sua seconda edizione, permette di evidenziare i limiti
di applicabilità di tale strumento per l’età evolutiva. Inoltre la valutazione della
cefalea come disturbo psicosomatico e come meccanismo disfunzionale a livello
fisiologico permette di comprendere da una parte il significato che il disturbo assume
nell’età evolutiva e dall’altra l’importanza del coinvolgimento affettivo-emozionale
nelle dinamiche vascolari e neuronali che caratterizzano l’attacco cefalalgico.
Il capitolo 2 offre una panoramica sugli strumenti utilizzati in laboratorio per
valutare l’attivazione corticale durante un attacco di cefalea. E’ necessario infatti
avere delle conoscenze preliminari e generali sulle indagini neurofisiopatologiche,
che nell’ultimo decennio hanno avuto un repentino incremento con l’avvento dei
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sistemi computerizzati, per comprendere appieno i meccanismi organici implicati nel
disturbo. Il capitolo offre un approfondimento specifico sui potenziali evocati,
metodica d’elezione in questo lavoro per valutare le caratteristiche elettrofisiologiche
della cefalea.
Il capitolo 3 entra nel dettaglio della ricerca cercando di illustrare nel modo più
semplice ed esauriente possibile i correlati neurofisiologici della cefalea, favorendo
le rilevazioni effettuate tramite le diverse metodiche d’indagine concernenti i
potenziali evocati; in maniera particolare il capitolo pone enfasi sulle rilevazioni di
due componenti: la P300 e la CNV. Attraverso indagini strumentali ad hoc infatti è
possibile conoscere i meccanismi specifici coinvolti nell’emicrania. L’evidenza di
anomalie a livello cerebrale rispetto alla popolazione sana e un declino delle funzioni
cognitive hanno permesso di evidenziare un’associazione tra la cefalea e le funzioni
cognitive. Infatti si può constatare come questi pazienti mostrano avere difficoltà
legate alla vita quotidiana, specificatamente nel gestire le informazioni del mondo
esterno e nell’orientarsi in relazione al tempo.
Il capitolo 4 sulla scia delle indagini strumentali del capitolo precedente pone
particolare enfasi su altre onde (P100, N180… ) non trattate nel capitolo precedente.
La trattazione non solo mette in risalto le anomalie elettrofisiologiche tipiche dei
soggetti che soffrono di cefalea, ma affronta anche le specifiche alterazioni
riscontrate nelle indagini neurologiche di questi pazienti, ossia “l’abituazione” e
“l’ipereccitabilità corticale”.
Il capitolo 5 sfrutta le conoscenze neurofisiologiche ampiamente trattate nei
capitoli precedenti per verificare quali sono le evidenze fisiopatogene che
contraddistinguono alcuni disturbi psichiatrici, in maniera particolare l’ansia e la
depressione. La possibilità di evidenziare la caratterizzazioni elettrofisiologiche di
questi disrurbi permette di fare importanti collegamenti con l’emicrania sulla base di
diverse similarità. Gli studi riportati in questo capitolo riguardano particolarmente la
fascia d’età adulta a causa della quantità deficitaria di materiale che riguarda l’età
evolutiva. Questo obbligato limite non esula dagli obiettivi di questo lavoro, in
quanto mette nella condizione di fare in ogni caso interessanti considerazioni ai fini
diagnostici e prognostici.
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Il capitolo 6 evidenzia come l’ansia, la depressione e la cefalea siano correlate da
un punto di vista psicologico, temperamentale e psichiatrico (a livello di
comorbidità) interessando sia la popolazione infantile che quella adolescenziale.
Il capitolo 7 rappresenta il focus di questo lavoro in quanto espone le similarità
riscontrate tra la cefalea, l’ansia e la depressione negli ambiti: neurofisiologico,
cognitivo, psichiatrico e psicologico. Inoltre illustra il quadro neurofisiologico
presentato dai pazienti con emicrania nell’età evolutiva.
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Obiettivi
Questo lavoro mira a descivere le rilevazioni elettrofisiologiche dei bambini con
cefalea e ad illustrare le performance cognitive e le difficoltà comportamentali
esibite da questi nell’età scolare, periodo in cui si verifica la percentuale più alta dei
casi di cefalea tensiva. L’attenzione a queste dinamiche psicologiche si spera abbia il
potere di abolire l’atteggiamento riduzionistico sulla cefalea generando invece un
vivo interesse per un disagio vero e proprio. Il lavoro inoltre punta, attraverso
un’introduzione medico-specialistica, a mostrare come le tipiche rilevazioni
neurofisiologiche dei pazienti con cefalea, in particolare quelle degli emicranici,
possano essere avvicinabili a quelle ricavate nei pazienti psichiatrici con ansia e
depressione. Queste indagini offrirebbero lo spunto per fare significative riflessioni
su come sia importante a livello diagnostico considerare le peculiarità caratteriali e
comportamentali dei giovani pazienti con cefalea, caratteristiche che spesso sono
ignorate o sottovalutate. La loro presenza potrebbe segnalare non solo la comorbidità
tra la cefalea e l’ansia e/o la depressione ma potrebbe anche anticipare lo sviluppo
futuro di questi disturbi qualora non fossero già manifesti. Dunque tale lavoro se
individuasse delle similarità tra l’ansia, la depressione e la cefalea acquisterebbe
valore ai fini della prognosi, dell’eziologia e della terapia senza dimenticare il
vantaggio di considerare la cefalea e i disturbi internalizzanti sia come disturbi
concomitanti ma anche lungo un possibile continuum psicopatologico.
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Metodologia
Il procedimento utilizzato per dar vita a questo lavoro si basa su diversi metodi di
ricerca. E’ stata compiuta una selezione bibliografica di tipo cartaceo per quanto
riguarda la letteratura classica sulla cefalea, reperendo i testi presso le principali
biblioteche universitarie ed utilizzando i manuali studiati durante il corso di studi.
Per quanto riguarda la letteratura recente internazionale è stata compiuta una ricerca
attraverso internet consultando banche dati aggiornate, riviste on-line e testi
elettronici principalmente reperibili sulle riviste Cephalalgia ed Headache. I
principali motori di ricerca da cui ho estratto il materale utile per la stesura di questo
lavoro sono Pubmed e Medline.
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1. La cefalea nell’età evolutiva
1.1. Cenni storici sulla cefalea ed epidemiologia del disturbo
La cefalea non è un disturbo tipico dell’era moderna frutto dello stile di vita
frenetico del mondo occidentale; certamente le situazioni stressanti la favoriscono
ma non ne sono la causa determinante. Leggende e storie su questo disturbo
accompagnano tutta la letteratura classica sin dal mito greco quando si racconta di
Giove che in preda ad un fortissimo mal di testa chiese a Vulcano di aprirgli la testa
con un’ascia e dal cranio uscì così Minerva, dea della sapienza.
Sin dai tempi più remoti l’uomo si è adoperato per alleviare le sofferenze dei
cefalalgici, infatti da reperti archeologici giunti alla nostra osservazione si può
ipotizzare che all’epoca del Mesolitico e del Neolitico si usasse la tecnica della
trapanazione del cranio per allontanare spiriti maligni e demoni ritenuti cause del
disturbo (Lyons e Petruccelli, 1978).
Più documentate attraverso i papiri sono le crisi dolorose del faraone Amenophis
IV, sposo di Nefertari. Nell’antico Egitto inoltre si era soliti legare un coccodrillo di
argilla sulla testa del paziente avente in bocca del grano per far passare la crisi di
cefalea.
Nel 400 a.c. sono numerose le ricerche mediche riportate da Ippocrate, principale
rappresentante della scuola di Kos, nelle quali si ritiene che la cefalea fosse
determinata dai vapori che raggiungevano il cranio dallo stomaco e che il vomito
potesse alleviarne il dolore. Diversa è l’opinione che vigeva nel Rinascimento in cui
si credeva che il disturbo fosse causato da una formazione ossea benigna, l’osteoma
denominata all’epoca“pietra della follia”, non di raro riscontro e che in alcuni casi
veniva rimossa da dei chirurghi improvvisati (ibidem).
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Oltre alle ipotesi eziologiche storiche sul disturbo, tra cui quelle di Erasmus
Darwin, nonno di Charles che nel 1700 parlava di vasodilatazione o di Leining che
nel XIX sosteneva la presenza di un disordine del sistema nervoso autonomo alla
base della cefalea, incominciarono a nascere sempre nel XIX secolo le prime ipotesi
vascolari (Sandrini, Proietti Cecchini, Ghiotto, Loi, Mazzi e Nappi, 2004).
Al di là dei cenni storici sulle cause del disturbo di cui si approfondirà
successivamente, non bisogna dimenticare i “grandi nomi” della cefalea nella storia
ossia grandi personaggi appartenenti ad epoche ed orientamenti diversi i cui disturbi
non hanno impedito di svolgere le loro attività intellettuali, come Sigmund Freud,
Giacomo Leopardi, Fredrich Chopen, Charles Darwin, Girolamo Savonarola,
Giovanni Calvino e molti altri…
Queste curiosità storiche che possono destare curiosità sono senz’altro un esempio
significativo della grande diffusione della cefalea e soprattutto della costante
presenza del disturbo nel corso dei secoli.
I dati epidemiologici odierni attestano che circa il 90% degli individui nel corso
della loro vita abbia avuto almeno un attacco di cefalea (Guidetti, 2005) con una
prevalenza nell’età evolutiva tra il 10-20% (ibidem).
Bisogna affermare però che gli approcci epidemiologici risentono di carenti
organizzazioni circa la rappresentatività dei campioni, le metodiche longitudinali
utilizzate e soprattutto circa la scarsa definizione dei criteri diagnostici per la cefalea
idiopatica in età evolutiva (Zambrino, 2004).
Più il bambino è piccolo e più è difficile fare una diagnosi di cefalea data la sua
immaturità biologica, infatti è necessario basare la diagnosi sulla valutazione
comportamentale del piccolo, sulle limitate descrizioni sintomatologiche osservate e
sui resoconti forniti dai genitori. Spesso però si tratta di un disagio sottostimato dai
genitori stessi e dagli specialisti per l’incapacità del bimbo di descrivere in modo
chiaro i sintomi, per la rarità con cui la cefalea si presenta con i suoi segni tipici e per
la tendenza degli adulti a non credere al bambino che si lamenta (Balottin, 2004a).
Dati riportati da Sillanpaa e Aro (2004) attestano che dalla nascita fino a 12 mesi
di vita solo lo 0,4% dei neonati ha occasionalmente cefalea ma non caratterizzata
dalla tipologia conclamata che si riscontra negli adulti; i dati iniziano ad incrementasi
tra il primo e il terzo anno di vita in cui la prevalenza si innalza dall’1% al 14%
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(ibidem). E’ con l’età prescolare, l’entrata nel mondo della scuola e la pubertà che la
prevalenza raggiunge i picchi più alti (Hernandez-Latorre e Roig, 2000; Sillanpaa e
Aro, 2004; Gerber e Gerber von Mueller, 2004; Guidetti, 2005; Battistella, Fiumana,
Binelli, Bertossi, Battista, Perakis e Soriani, 2006).
Gerber e Gerber von Mueller (2004) ritengono che il 60% dei bambini sottoposti
a studi sperimentali descrive un cefalea di tipo tensiva, mentre il 12% una di tipo
emicranica; Bille (1962) e Sillanpaa (1996) mostrano una prevalenza del 20% e del
5% rispettivamente per le forme sopra riportate. Al di là dell’esattezza numerica che
dipende dalla specificità dei campioni studiati e dagli strumenti di rilevazione
utilizzati è interessante notare come la diffusione della cefalea tensiva sia più alta nei
soggetti in età scolare, dato confermato anche da uno studio di Battistella et al.
(2006) che aggiunge però in contrapposizione come l’emicrania sia la forma di
cefalea più diffusa nell’età puberale.
Numerosi studi epidemiologici attuali pongono l’accento sulla maggiore
prevalenza del disturbo nell’età scolare e pre-scolare, fra questi in particolare due
indagini condotte in periodi diversi e con metodiche differenti hanno riportato
risultati pressoché sovrapponibili.
Nel primo studio, pubblicato nel febbraio 2006 da Battistella et al. (2006), sono
stati esaminati 246 pazienti distinti in due gruppi rispettivamente per età prescolare
ed età puberale; i dati hanno confermato che la cefalea tensiva ha una prevalenza più
alta nel primo gruppo (51%) piuttosto che nel secondo (39%) dove l’emicrania
raggiunge il picco più alto. Entrambi i gruppi hanno mostrato una storia familiare
positiva per la cefalea (soprattutto il primo gruppo con il 78%), ciò risulta essere uno
dei principali fattori di rischio per il disturbo confermando così anche gli studi di
Chu e Shinnar (1992), Hernandez-Latorre (2000) e Bener (2000). Fattori prognostici
rilevanti ai fini della remissione e miglioramento dei sintomi sono stati la comparsa
della cefalea tensiva in età precoce e l’emicrania senza il sintomo del vomito
associato. Non sono state invece riscontrate differenze di genere tra maschi e
femmine nell’età prescolare; solo dopo l’età puberale si sottolinea una maggiore
prevalenza nelle ragazze, dato confermato da altre indagini che riportano uno
specifico rapporto di 2:1 per il sesso femminile (Guidetti, 2005).
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Nel secondo studio di Sillanpaa e Aro (2004) si riscontra pressochè una conferma
epidemiologica dei risultati sopra riportati; nello specifico si attesta una maggiore
diffusione del disturbo nell’età di rilevazione dei 7 anni che diviene l’indicatore più
significativo di prevalenza rilevato (anche Bille nel 1962 ne riporta l’importanza
evidenziando come il primo attacco di cefalea si verifichi nel 40% dei casi intorno a
questa età mentre nel 75% intorno ai 15 anni). Tale studio aggiunge che la migliore
prognosi per i maschi si verifica quando la cefalea si presenta in giovane età mentre
per le ragazze se compare successivamente.
Entrambi gli studi non mancano di ricordare che l’utilizzazione dei criteri
diagnostici proposti dall’International Headache Society del 1988 non sono
abbastanza discriminatori per individuare la cefalea in età evolutiva. Quest’ultimo è
un argomento di grande interesse che ci introduce alla trattazione del seguente
paragrafo.
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1.2. International Headache Society: Emicrania e Cefalea
Il più importante strumento diagnostico utilizzato nella pratica clinica per
classificare la cefalea è il sistema messo a punto dall’International Headache
Society giunto nel 2004 alla sua seconda revisione.
E’ basato su una serie di dettagliate descrizioni sintomatologiche dei vari disturbi
cefalalgici, arrivando a descriverne fino a tredici forme (nella prima edizione) ed è
stato concepito essenzialmente per gli adulti in relazione alle manifestazione dei
sintomi.
Sono numerosi gli studi (Puca, Prudenzano, de Tommaso, Specchio, 2004; Gerber
et al., 2004; Balottin, 2004a; Pradalier, Delage, Campinos, Baudesson, 2004; Lima,
Padula, Santos, Oliveira, Agapejev, Padovani, 2005, Battistella et al., 2006) che
attestano la bassa capacità discriminativa della prima classificazione che risale al
1988 per quanto riguarda l’età evolutiva.
Applicando infatti entrambi i sistemi di classificazione (del 1988 e del 2004),
Lima (2005) ha riportato che l’ICHD-1988 ha una bassa sensibilità nel discriminare
un tipo di cefalea nell’età evolutiva e descrive i criteri diagnostici come troppo
specifici. Una conferma di ciò si ritrova nei dati che lo stesso Lima riporta in cui si
registrano prima prevalenze del 21% e 27% rispettivamente circa la presenza di
emicrania senza e con aura in un gruppo di pazienti studiati dal 1992 al 2002
utilizzando l’ICHD-1988, e poi prevalenze del 53% e 71% valutate attraverso
l’ICHD-2004.
Atri studiosi (Battistella et al., 2006) hanno addirittura evidenziato che i criteri del
1988 applicati all’età evolutiva non riescono a discriminare fino al 12% dei casi.
Entrando nel dettaglio della sintomatologia cefalalgica le forme più diffuse di
cefalea nell’età evolutiva con una diffusione del 90% (Gerber et al., 2004) sono
l’emicrania con e senza aura e la cefalea tensiva di tipo episodica (la forma più
diffusa) e cronica (se dura più di 15 giorni al mese).
Le forme di emicrania si differenziano dalla cefalea tensiva per la presenza
dell’aura (evidenziata solo nel 3-5% dei casi) che può provocare disturbi a carico
dell’apparato sensoriale, visivo, motorio e linguistico dalla durata di circa un’ora e
che lasciano poi il posto alla crisi vera e propria, ma a livello sintomatologico sono
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pressochè sovrapponibili. Il dolore è medio-forte, pulsante ma talvolta anche
costrittivo, di tipo unilaterale (nei bambini frequentemente è bilaterale)
accompagnato da nausea, vomito, fotofobia e fonofobia (Guidetti, 2005). Si tratta di
una situazione talmente invalidante che costringe chi ne è affetto a sospendere tutto
quello che sta facendo e a sdraiarsi a letto al buio. Questa forma di cefalea sembra
essere collegata ai meccanismi ormonali coinvolti nel ciclo mestruale e nella
gravidanza.
La cefalea tensiva, che ha il più forte impatto economico e sociale, è la forma di
cefalea più diffusa e meno studiata attualmente rispetto all’emicrania. E’ molto più
comune tra il sesso femminile con un andamento che diminuisce con l’età. E’
caratterizzata da un dolore costrittivo, ma non pulsante con una localizzazione sia
unilaterale che bilaterale. Tale disturbo non impedisce di svolgere le attività
quotidiane e può essere accompagnato da fotofobia, da fonofobia e da pallore
(ibidem).
In età evolutiva può essere difficile distinguere l’emicrania senz’aura dalla cefalea
tensiva, ora per la sovrapponibilità di alcuni sintomi ora perché si possono alternare
le due forme; i fattori ritenuti fondamentali per la differenziazione tra le due forme
sono la nausea o il vomito, la cui presenza favorisce una diagnosi di emicrania.
Ovviamente questa differenziazione ha importanti implicazioni cliniche e
terapeutiche.
In relazione a tale argomentazione molti ricercatori hanno avanzato diverse
teorizzazioni, tra cui quella di ritenere che queste due forme facciano parte di uno
stesso spectrum di cefalea benigna e che differiscano solo per gravità (Balottin,
2004a). Ciò è stato attestato anche da Viswanathan (1998) che suggerisce la presenza
di entrambi i disturbi lungo un continuum nel quale diverse forme cliniche si
sovrappongono per gravità, ponendo da un lato l’emicrania con aura, poi l’emicrania
senz’aura e poi ancora la cefalea tensiva come la forma meno severa. Altri studiosi
(Wober-Bingol, 1994) aggiungono che le caratteristiche più rilevanti per la diagnosi
differenziale siano l’occorrenza parossistica, la presenza di un dolore pulsante,
unilaterale, periodico con nausea, vomito… Inoltre la cefalea può trasformarsi in
cefalea tensiva cronica se si fa un uso eccessivo di analgesici.