2
prevede le misure di prevenzione e di cooperazione che devono essere
applicate dagli Stati, prevedendo obblighi specifici a loro carico
1
.
Proprio tale circostanza ha determinato la presentazione di riserve
significative da parte di due Stati: la Francia e l’ex - Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche. La Francia ha rifiutato di farsi carico degli obblighi “en
ce qui concerne l’ensemble de ses colonies et protectorats, ainsi que des
territoires pour lesquels un mandat lui a été confié”
2
; l’ex URSS si è riservata,
in materia di soluzione delle controversie relative all’interpretazione e
all’applicazione della Convenzione, di accettare solo gli obblighi derivanti dallo
status di membro della Società delle Nazioni
3
.
In stretta connessione con la Convenzione descritta, si pone la seconda
- per la creazione di una Corte penale internazionale, anch’essa conclusa a Ginevra il
16 novembre 1937. Obiettivo prefissato era di costituire una Corte
internazionale competente a giudicare gli individui accusati di uno dei reati
1
La Convenzione, infatti, definisce come atti di terrorismo quei “ faits criminels dirigés contre un Etat et
dont le but ou la nature est de provoquer la terreur chez des personnalités déterminées, des groupes de
personnes ou dans le public” (art.1, n. 2). Gli atti terroristici elencati sono : attentati contro capi di Stato, loro
successori - ereditari o destinatari - e rispettivi congiunti, nonché persone rivestite di cariche o funzioni
pubbliche, ove l’attentato sia stato compiuto in ragione di tali cariche o funzioni (art.2, n.1); attentati contro
beni pubblci o destinati ad uso pubblico (art.2, n.2); reati di pericolo comune (art.2, n. 3).
Infine, gli obblighi che la Convenzione impone agli Stati contraenti sono: un generico obbligo di prevenzione
(art.12); l’obbligo specifico di prevedere come reati, nei rispettivi ordinamenti interni, i fatti criminosi elencati
all’art.1 e 2; il dovere di estradare il colpevole (art.8) o perseguirlo come se il reato fosse stato compiuto sul
proprio territorio (artt.9 e 10). Vedi La Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo (Ginevra, 16
novembre 1937), in Europa e terrorismo internazionale, a cura di N. Ronzitti, 1992, p. 147.
2
V. la Convenzione citata, alla voce Riserve e Dichiarazioni dei Paesi indicati.
3
Tali riserve riflettevano il disagio dell’intera comunità internazionale dinanzi agli obblighi previsti dalla
Convenzione; infatti, come già notato, essa non è stata ratificata.
3
previsti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo, qualora gli
Stati contraenti non fossero d’accordo a mettere in pratica il principio di
cooperazione aut dedere aut judicare
4
. Il fine, quindi, era quello di garantire agli
Stati un’alternativa al suddetto principio, riconoscendo la facoltà di deferire il
reo di atti terroristici alla Corte medesima per il relativo giudizio
5
. In tal guisa,
lo Stato di rifugio avrebbe potuto evitare il complesso procedimento di
estradizione dell’accusato verso uno Stato.
Le occasioni per affrontare a grandi linee il fenomeno del terrorismo e
l’attività di cooperazione, che deve essere instaurata tra gli Stati al fine di
reprimere qualsiasi forma di violenza, non sono però mancate. Infatti, nella
Dichiarazione 2625 dell’Assemblea generale del 24 ottobre 1970, relativa ai
principi di diritto internazionale che disciplinano le relazioni amichevoli e la
cooperazione tra gli Stati, il problema degli atti terroristici è affrontato sia dal
punto di vista del ricorso alla forza o alla minaccia della forza, precisando che
“gli Stati devono astenersi dall’organizzare ed incoraggiare atti di guerra civile
o atti di terrorismo sul territorio di un altro Stato, e vietando anche di fomentare,
4
Il principio aut dedere aut iudicare prevede che lo Stato, sul cui territorio si trova la persona accusata di essere
responsabile di un attentato terroristico - previsto dalla Convenzione per la repressione del terrorismo del 1937 - è
tenuto a giudicarla o ad estradarla.
5
Art.2 della Convenzione per la creazione di una Corte penale internazionale (Ginevra, 16 novembre 1937),
in N. Ronzitti, op. cit., p.156.
4
aiutare, tollerare sul suo territorio qualsiasi attività di tal genere”, sia con
riguardo al principio di non intervento
6
.
Nel corso del tempo, e soprattutto negli anni ’60 e ’70, il fenomeno
aveva acquisito un raggio d’azione sempre più ampio, caratterizzato da una
pluralità di crimini in precedenza sconosciuti, e da una frammentarietà di
fonti convenzionali
7
disciplinanti in maniera settoriale diverse fattispecie
terroristiche.
Studiando il fenomeno, è stata avvertita però l’esigenza di un approccio
globale alla materia, e di una convenzione che affrontasse, sul piano
internazionale, i profili penalistici delle varie manifestazioni di violenza.
Un tentativo in tal senso fu intrapreso dalle Nazioni Unite, alla XXVII
sessione (1972) dell’Assemblea generale, su richiesta del segretario generale
Kurt Waldheim. La proposta fu avanzata in seguito all’evento sanguinoso
provocato dai terroristi palestinesi ai giochi olimpici di Monaco (6 settembre
1972). Gli Stati Uniti depositarono immediatamente presso l’Assemblea
6
Si ribadisce, infatti, l’obbligo per tutti gli Stati di astenersi “d’organiser, aider, de fomenter, de financer,
d’encourager ou de tolérer des activités armées subversives ou terroristes destinées à changer par la violence
le régime d’un autre Etat ainsi que d’intervenir dans les luttes intestines d’un autre Etat”. Dichiarazione di
principi sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra Stati, contenuta nella Risoluzione dell’Assemblea generale
2625/XXV del 24 ottobre 1970, in YUN, p. 789-792.
7
Vedi, ad esempio, la Convenzione relativa alle infrazioni e determinati altri atti compiuti a bordo di aeromobili (Tokyo,
14 settembre 1963); la Convenzione per la repressione della cattura illecita di aeromobili (L’Aja, 16 dicembre 1970);
Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell’aviazione civile (Montreal, 23 settembre 1971),
riprodotte in N. Ronzitti, op. cit., pp. 196-223.
5
Generale un progetto di Risoluzione sul terrorismo e un progetto di
Convenzione per la prevenzione e la repressione di certi atti del terrorismo
internazionale, che furono contestati dalla maggior parte degli Stati in via di
sviluppo
8
. Questi ultimi, soprattutto Paesi arabi e africani, osteggiarono
l’approvazione di tali progetti poiché la loro connessione temporale con la
strage perpetrata alle Olimpiadi di Monaco (da parte di individui appartenenti
al gruppo “Settembre Nero”) fu interpretata come un atteggiamento di ostilità
nei confronti della causa palestinese
9
, sostenendo che l’approvazione di questi
documenti equivaleva a limitare il diritto alla lotta dei movimenti di liberazione
nazionale operanti nei territori coloniali ed occupati.
L’Assemblea, in quella occasione, si trovava così divisa in due
schieramenti: Paesi occidentali e Paesi in via di sviluppo. Tutti concordavano
sul fatto che il terrorismo rappresentasse una grave violazione dei diritti umani
e sacrificasse vite di persone innocenti; differivano, però, profondamente le
premesse politiche.
8
Il progetto di Risoluzione denunciava il terrorismo come costante minaccia per il sistema di comunicazione
internazionale e invitava i governi ad adempiere gli obblighi previsti dalle Convenzioni di Tokyo, dell’Aja e di
Montreal, al fine di prevenire e reprimere il fenomeno. Il progetto di Convenzione, invece, doveva avere lo
scopo di integrare le Convenzioni di diritto umanitario di Ginevra del 12 agosto 1949, prendendo in
considerazione reati non previsti dalle suddette Convenzioni settoriali, e di riproporre le misure di
cooperazione previste dalle Convezioni di Montreal e dell’Aja . Cfr. A. F. Panzera, op. cit., p. 56 ss.
9
La creazione dello Stato di Israele nel 1948, e la conseguente espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi
dalle loro case, ha generato uno dei più complessi conflitti nella storia moderna. La comunità internazionale si
è adoperata per promuovere un processo di pace tra queste popolazioni, e per soddisfare le aspirazioni di un
popolo perseguitato - 6 milioni di palestinesi chiedono l’autodeterminazione, Gerusalemme come capitale, e
il rientro di 3,6 milioni di rifugiati alle proprie abitazioni.
6
Se da una parte, infatti, gli Stati occidentali affermavano che il
terrorismo fosse “condannabile e ingiustificabile in qualsiasi circostanza”,
salvaguardando così il diritto all’autodeterminazione, essi sottolineavano però
la necessità di dover reprimere anche con l’uso della forza gli atti di violenza;
dall’altra parte, gli Stati africani e arabi sostenevano la necessità di dover
eliminare le cause poste alla base del terrorismo: il colonialismo, il razzismo,
l’occupazione straniera e l’apartheid; essi rimarcavano altresì l’esigenza di
denunciare gli Stati che praticano tali forme di politiche, poiché essi stessi
fomentavano, direttamente o indirettamente, il terrorismo internazionale.
Per alcuni Stati della comunità internazionale, quindi, un problema
scottante era costituito dalla portata riconosciuta al diritto
all’autodeterminazione, al fine di evitare di confondere la lotta per la libertà
con le attività terroristiche di carattere esclusivamente criminoso. Un dibattito,
in quella sede, sul principio di autodeterminazione fu considerato
anacronistico, poiché esso era ormai radicato nel Diritto Internazionale
generale. Alcune tappe storiche fondamentali confermano, nel processo di
formazione del suddetto principio, tali considerazioni.
Innanzitutto, nella Carta istitutiva dell’ONU del 1945,
l’autodeterminazione viene sancita come principio all’art. 1, par. 2 e
7
all’art. 55
10
. Nel corso degli anni ‘60, il processo di decolonizzazione ha
modificato notevolmente la composizione della comunità internazionale e, di
conseguenza, anche quella dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Molti
Paesi di nuova indipendenza hanno aderito, infatti, all’Organizzazione,
facendosi portatori di interessi del tutto nuovi e diversi rispetto a quelli già
rappresentati. Dietro pressione dei Paesi in via di sviluppo, nel 1960
l’Assemblea generale adottava la Risoluzione 1514 (XV), ove
l’autodeterminazione veniva definita come il “diritto dei popoli non autonomi
e sotto tutela di pervenire all’indipendenza, di determinare liberamente la
propria condizione politica e di perseguire liberamente il proprio sviluppo
economico, sociale e culturale”
11
. Il principio è contenuto non solo nelle
risoluzioni in materia coloniale, ma anche in una serie di Risoluzioni e
Dichiarazioni solenni dell’Assemblea generale disciplinanti materie diverse dal
principio in questione, tra le quali spicca la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni
amichevoli e la collaborazione tra gli Stati. Anche i due Patti delle Nazioni Unite sui
10
Tale circostanza non implicava ancora la messa al bando del colonialismo che veniva accolto dalla Carta ed
organizzato giuridicamente attraverso l’istituto della tutela e dell’amministrazione dei territori non autonomi
(Capp. XI e XII della Carta).
11
Il principio di autodeterminazione, come diritto fondamentale dell’uomo, è previsto anche nei Patti civili e
politici e sui diritti economici, culturali e sociali, adottati nel 1966. Inoltre, la Risoluzione 2625 (XXV) del 1970 sulle
relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati, oltre a salvaguardare il suddetto principio, indica i mezzi
attraverso cui i popoli possono pervenire all’indipendenza, quali: mezzi pacifici, come referendum o altre
forme di consultazione popolare, e ricorso alla forza armata secondo il principio della legittima difesa. A
conferma del carattere consuetudinario del principio di autodeterminazione dei popoli, si è pronunciata anche
la Corte Internazionale di Giustizia nei pareri sul Sud - Ovest africano (1971). Vedi B. Conforti, Diritto
Internazionale, 1997.
8
diritti umani
12
ribadiscono l’importanza del suddetto principio generale, ormai
parte del diritto consuetudinario
13
.
Sulla base della prassi, dunque, si osservava un pieno accoglimento del
suddetto principio dalla maggior parte degli Stati della comunità
internazionale.
La fine del dibattito politico, avviato, come già segnalato, dal Segretario
generale Waldheim, sfociò, infine, nell’adozione della Risoluzione 3034/XXVIII
del 18 dicembre 1972, con il conseguente abbandono dei precedenti progetti
presentati dagli USA. Essa fu adottata su iniziativa di Stati del Terzo Mondo, e
spostava il fulcro del problema dalla previsione di misure preventive e
repressive del fenomeno terroristico (come prefigurato dai Paesi occidentali)
allo studio delle cause sottese al fenomeno medesimo.
Il tono di tale risoluzione muta completamente l’impostazione
tradizionale nell’affrontare il fenomeno terroristico, perché non lo qualifica
come una fattispecie dell’uso della forza o del principio di intervento
14
.
12
Art.1, n.1 “Tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione” del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e
politici (New York, 19 dicembre 1966); il principio è riprodotto esattamente in tal modo all’art.1, n.1 del Patto
Internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (New York, 19 dicembre 1966).
13
B. Conforti osserva, però, che il diritto di autodeterminazione ha una sfera di applicazione piuttosto
limitata, poiché esso si applica soltanto ai “territori sottoposti ad un governo straniero, oltre ai territori
coloniali; a quelli conquistati con la forza; e a qui territori in cui il Governo straniero si appoggia ad un
Governo locale fantoccio”. Cfr. B. Conforti, Le Nazioni Unite, 1996, p. 248-249.
14
Così come si legge nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli e di cooperazione fra Stati, infatti “Ogni
Stato ha il dovere di astenersi dall’organizzare, incoraggiare, appoggiare o partecipare ad atti. di terrorismo nel
territorio di un altro Stato o dal tollerare sul proprio territorio attività organizzate al fine di perpetrare tali atti,
quando gli atti menzionati comportino la minaccia o l’uso della forza”, in YUN, 1970.
9
E’ stato da qualcuno sostenuto
15
che l’Assemblea generale, adottando la
Risoluzione del 18 dicembre 1972, non abbia né definito il fenomeno né
concluso una convenzione multilaterale, ma che piuttosto abbia compiuto un
“pas en arrière”, perché si è soffermata su nozioni - quale
l’autodeterminazione - precedentemente ben delineate dalle stesse Nazioni
Unite
16
.
A seguito dell’approvazione della Risoluzione 3034, con la quale fu
istituito un comitato ad hoc per trovare possibili soluzioni al fenomeno
terroristico, il dibattito sul terrorismo continuò fino al 1979. L’Assemblea
restava divisa: gli Stati Uniti insistevano sulla necessità di dar vita ad una
convenzione a carattere globale sul terrorismo, che prevedesse misure di
repressione; la Francia e i paesi socialisti, invece, accettavano che il comitato
studiasse le cause del terrorismo, e allo stesso tempo pervenisse ad una
convenzione settoriale disciplinante fattispecie specifiche.
Sul punto, la delegazione svedese ha fornito un importante contributo.
Essa, infatti, propose di affrontare il problema del terrorismo alimentando la
15
De Pauw W., O.N.U. La résolution sur le terrorisme international, in Réflexions sur la definition et la répression du
terrorisme, Actes du colloque A.B.J.D, Bruxelles 1974, p. 183 - 185.
16
Lo scopo fondamentale della Risoluzione 3034 e del dibattito preliminare era quindi di dare voce a quegli
Stati ancora soggetti a regimi coloniali e di condannare il terrorismo statale come principale causa del
terrorismo individuale (il terrorismo di Stato non è però espressamente denunciato). Gli Stati in via di
sviluppo giustificavano quindi certi atti terroristici perché, nella loro opinione, erano compiuti per
salvaguardare il diritto all’indipendenza.
10
cooperazione internazionale in senso generale e, inoltre, estendendola ad altri
aspetti specifici
17
. In tal senso, va anche ricordato l’impegno dell’Organizzazione
per l’aviazione civile internazionale (OACI-ICAO) la quale ha adottato tre
Convenzioni - come già accennate - che disciplinano la cooperazione
internazionale per gli atti illeciti perpetrati contro l’aviazione civile, considerati
come una seria minaccia per la sicurezza delle relazioni tra gli Stati.
b) Primi successi dell’Assemblea Generale.
Il successo dei lavori compiuti in seno all’ICAO condusse le Nazioni
Unite ad adottare, nel 1973, una “Convenzione sulla prevenzione e repressione dei
crimini contro le persone protette internazionalmente, compresi gli agenti diplomatici” e, nel
1979, una “Convenzione contro la presa degli ostaggi”
18
.
La prima Convenzione - a vocazione universale - prevede che gli atti
terroristici perpetrati contro le persone internazionalmente protette sono da
considerare come crimini di grave interesse per la comunità internazionale e
minaccia per il mantenimento delle normali relazioni internazionali necessarie
17
E’ prevedibile che un’accentuata cooperazione internazionale determini l’elaborazione di norme specifiche
per alcune categorie di infrazioni considerate particolarmente gravi, quali: la presa degli ostaggi allo scopo di
ottenere concessioni da un governo o da un’altra istituzione nazionale o internazionale e l’invio di lettere o
pacchi contenenti esplosivi.
18
La prima Convenzione è stata firmata a New York il 14 dicembre 1973 e la seconda, anch’essa adottata a
New York, il 17 dicembre 1979. Pubblicate in N. Ronzitti, op. cit., p.164 - 195.
11
a mantenere la cooperazione tra gli Stati. L’art. 1 della Convenzione
contempla due categorie di soggetti: quelli che godono di una protezione
internazionale indipendentemente dalla natura della visita all’estero
19
; e quelli
che godono della protezione speciale solo in ragione delle funzioni ufficiali
esercitate nel momento e nel luogo in cui è commesso un reato contro la
persona, la loro abitazione privata o i loro mezzi di trasporto (art. 1, lett. b)
20
.
Ai sensi dell’art. 2, ogni Stato parte della Convenzione si impegna a prevedere
come reati, nel proprio ordinamento interno, alcuni fatti commessi, con dolo,
ai danni delle persone internazionalmente protette, come elencate all’articolo
precedente
21
.
Per tali crimini, gli Stati contraenti devono conformarsi al principio aut
dedere aut judicare, così come prevedono gli articoli 6, 7 e 8. Lo Stato contraente,
sul territorio del quale si trova l’autore accusato dell’attentato terroristico può
decidere, infatti, di perseguire il soggetto in base alla propria legislazione
interna, o di concedere l’estradizione allo Stato richiedente. La
Convenzione prevede, ai fini di una migliore cooperazione, che se la domanda
19
In tale categoria rientrano capi di Stato e di governo, i Ministri degli Affari Esteri, nonché le rispettive
famiglie che li accompagnano all’estero. (Art.1, lett. a), della Convenzione sulla prevenzione e sulla repressione dei reati
commessi nei confronti delle persone che godono di protezione internazionale, compresi gli agenti diplomatici. Vedi N. Ronzitti,
op. cit., p. 164.
20
In questa categoria sono compresi i rappresentanti, i funzionari o le personalità ufficiali di uno Stato e tutti i
funzionari, e le altre personalità ufficiali o altri agenti di un’organizzazione intergovernativa oltre ai membri
delle rispettive famiglie [art.1, lett. b) della Convenzione citata].
21
Gli atti previsti da tale articolo sono: l’omicidio intenzionale, il rapimento ed ogni altro attacco contro la
persona o la libertà di un soggetto che goda di protezione internazionale (art.2).
12
di estradizione viene effettuata da uno Stato richiedente non contraente ad
uno Stato contraente - che subordina tale domanda all’esistenza di un trattato
- essa può essere concessa ugualmente in base alla Convenzione, per le
infrazioni previste all’art. 2.
La seconda Convenzione - contro la presa degli ostaggi - fu invece adottata
per estendere, anche alle persone che non godono della protezione speciale, la
tutela accordata dalla precedente Convenzione
22
. Essa qualifica la presa degli
ostaggi come illecito che preoccupa gravemente la comunità internazionale e
dispone che chiunque commetta un atto di presa di ostaggi debba essere
perseguito o estradato. L’art. 1 stabilisce che un individuo compie l’infrazione
di presa di ostaggio se si impadronisce di una persona, o la detiene e minaccia
di ucciderla, di ferirla o di continuare a detenerla con fini vessatori su una
terza parte - sia esso uno Stato, un’organizzazione internazionale o
intergovernativa, una persona fisica o morale o un gruppo di persone
23
. L’art.4
impone agli Stati contraenti l’obbligo di collaborare, scambiando informazioni
e coordinando le misure amministrative, al fine di prevenire il compimento di
22
In quegli anni, infatti, si era diffusa la tecnica del sequestro di persone che avevano una certa popolarità
sociale o politica (un esempio è costituito dagli atleti israeliani sequestrati ed uccisi alle Olimpiadi di Monaco
del 1972).
23
In base all’art.1, punto 2, commette tale infrazione anche chi tenti soltanto di compiere la presa di ostaggio
o si renda complice di tale azione. Interessante fu il dibattito sollevato da alcuni Paesi non allineati sul
concetto di innocenza dell’ostaggio poiché, mentre per alcuni l’ostaggio è sempre innocente, per altri un
individuo come il Presidente della Rhodesia, Smith, se preso in ostaggio, non potrebbe essere considerato
innocente a causa della politica antidemocratica adottata nel proprio Paese: Cfr. Migliorino L., Il Terrorismo
internazionale nei dibattiti alle N.U., in Dimensioni del terrorismo politico. Aspetti interni e internazionali, politici e giuridici,
Milano, 1979.
13
simili azioni sul proprio territorio. Anche tale Convenzione prevede, agli artt.
6, 8, 9 e 10, le procedure di estradizione così come enunciate agli artt. 6, 7, 8
della Convenzione sulla prevenzione e repressione dei reati commessi nei confronti delle
persone che godono di protezione internazionale. L’art. 9, però, introduce il diritto di
uno Stato di non concedere l’estradizione a quello che ne fa domanda per
punire il presunto colpevole in base a criteri di razza, religione, nazionalità,
origine etnica o alle sue opinioni politiche
24
.
E’ opportuno ribadire che tale trattato sottolinea la gravità del reato a
scopo terroristico distinguendo, all’art. 12, tra ostaggi in tempo di pace e in
tempo di guerra. I due status si escludono a vicenda, poiché sono disciplinati
da normative differenti: nell’ipotesi di ostaggi detenuti in tempo di pace, trova
applicazione la Convenzione sulla presa degli ostaggi, adottata dell’Assemblea
generale il 17 dicembre 1979; nella seconda ipotesi - ostaggi in tempo di
guerra - vengono applicate le Convenzioni di Ginevra del 1949 e le norme
pertinenti di diritto bellico
25
.
Durante i dibattiti che hanno accompagnato la redazione delle due
Convenzioni - contro gli atti illeciti delle persone internazionalmente protette
24
Da notare, però, che è sempre un diritto dello Stato territoriale valutare, in modo assolutamente
discrezionale, le condizioni secondo le quali concedere l’estradizione del presunto colpevole allo Stato
richiedente.
25
L’art.12 della Convenzione sulla presa degli ostaggi dichiara che “la Convenzione non si applicherà ad un atto di
presa di ostaggio commesso durante i conflitti armati poiché tale tipo di reato è già disciplinato dalle
Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli relativi ad essa”.
14
e contro la presa degli ostaggi - si tentò anche di regolare un problema che
non era stato approfondito in precedenza e che sarà più volte ripreso
dall’Assemblea: quello relativo all’azione dei movimenti di liberazione
nazionale. Tali movimenti sono gruppi politici che, per affermare il proprio
diritto all’autodeterminazione, lottano, non necessariamente con le armi,
contro un regime coloniale, un regime di discriminazione razziale, un regime
straniero occupante. La lotta armata dei movimenti di liberazione si
differenzia dal terrorismo perché quest’ultimo persegue obiettivi limitati, ma
spesso propedeutici ai movimenti di massa. Le azioni terroristiche mirano alla
liberazione dei detenuti politici, alla raccolta di fondi, ad evidenziare
l’impotenza delle autorità governative e ad alienare loro il consenso della
popolazione; i movimenti di liberazione adottano il metodo della guerriglia,
per lo più ispirato alla guerra classica, allo scopo di guadagnare la libertà da
uno Stato oppressore.
I fenomeni sono comunque collegati e può affermarsi, sulla base
dell’esperienza storica, che il successo di un movimento rivoluzionario
dipenderà dalla capacità dei suoi leaders di superare rapidamente la fase del
mero terrorismo, rendendo quest’ultimo un elemento complementare
15
dell’azione di massa e favorendo la sua evoluzione verso forme più ampie ed
organiche di lotta, fondate sul consenso della popolazione civile
26
.
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), costituisce
un esempio particolare di movimento di liberazione. Dal 1974 ha ricevuto, da
parte delle NU, il riconoscimento come soggetto internazionale
rappresentativo del popolo palestinese, ed i delegati dell’organizzazione sono
stati invitati a partecipare come osservatori alle sessioni e ai lavori di tutte le
conferenze internazionali per le questioni che riguardano il loro Paese. Le
tensioni che coinvolgono i movimenti di liberazione sono equiparate, dal
diritto internazionale bellico, ad un conflitto tra Stati, piuttosto che ad una
guerra civile, con la conseguenza che ad essi si applicherà il diritto dei conflitti
armati internazionali e non le convenzioni che disciplinano gli atti terroristici.
Il tentativo di dar vita ad una Convenzione sul terrorismo
internazionale è stato operato dall’Assemblea generale fino ai giorni nostri, ma
non è stato ancora raggiunto un accordo sulle caratteristiche giuridiche della
fattispecie in questione.
26
Molte azioni di guerriglia rappresentano vere e proprie azioni terroristiche. A conferma di ciò, si ricorda il
23 aprile del 2000 quando un gruppo di separatisti musulmani (Abu Sayyaf) ha preso in ostaggio 21 persone
(tra cui turisti) e solo alcuni di essi sono stati già liberati. Lo scopo era quello di pubblicizzare e impressionare
tutto il mondo per dimostrare la propria forza e screditare il governo filippino. Il gruppo, oltre a condurre una
lotta interna contro il governo centrale, in quella occasione chiedeva agli Stati Uniti la liberazione di un
terrorista pakistano, Ramzi Youssef - condannato per il ruolo svolto nell’attentato nel World Trade Center di
New York, nel febbraio 1993. V. Le Nouvel Observateur, 11 - 17 maggio 2000, p. 38.