5
situazione del patrimonio zootecnico e del comparto serricolo
mettendolo in relazione con l'economia regionale e nazionale;
la seconda individua e delinea alcuni dei problemi più rilevanti
dello sviluppo agricolo e delle prospettive del settore primario
nel ragusano. Il suo scopo è essenzialmente quello di offrire
un'analisi dei principali aspetti e problemi dell'agricoltura iblea,
evidenziando nel contempo gli strumenti che il comparto
agricolo deve utilizzare per tenere il passo degli altri, in vista,
soprattutto, dell'appuntamento del 1999 con l'unione economica e
monetaria.
La Sicilia si avvia a questo traguardo con un bagaglio di
problemi e di difficoltà, ma anche con la possibilità di utilizzare
il nuovo e più ampio scenario delle relazioni intereuropee per
compiere un ulteriore salto di qualità nella vita produttiva, civile
e sociale.
Particolare attenzione, a questo riguardo, è stata rivolta
all'introduzione dell'Euro e soprattutto ai suoi effetti nei confronti
dell'agricoltura. Oggi ridotto, se non esaurito, l'entusiasmo
iniziale e man mano che emergono le difficoltà e i sacrifici che il
progetto europeo comporta, ci si interroga sui reali vantaggi e
6
svantaggi dell'integrazione europea. La moneta unica,
mantenendo inalterato il suo potere d'acquisto nei diversi paesi
membri dell'UE, eviterà la speculazione sui cambi delle varie
monete europee. Inoltre, restare fuori dall'Euro esporrebbe la lira
a prevedibili manovre speculative. L'importante è mettere
seriamente ordine nelle nostre finanze e non con provvedimenti
tampone. Altrimenti correremmo il rischio di non riuscire a
reggere il passo dei paesi più forti.
La terza parte di questo lavoro, analizza l'aspetto più importante:
l'applicazione dei sistemi informatici. Esso potrebbe dare
all'agricoltura e all'impresa agricola in particolare, nuova linfa e
una spinta forse fondamentale verso il raggiungimento degli
obiettivi prioritari per il settore primario.
Le banche dati costituiscono una fonte di informazione
fondamentale la cui rilevanza aumenta man mano che cresce la
consapevolezza del valore dell'informazione stessa come input
dei processi produttivi, sia nella fase di programmazione che di
innovazione. Essi, inoltre, agevolano il processo decisionale
dell'imprenditore agricolo, consentendogli di gestire in maniera
più efficace ed efficiente la propria azienda.
7
L'ultima parte, infine, è dedicata all'analisi dettagliata del
funzionamento di un'impresa agricola ragusana che, grazie alla
felice simbiosi tra ricerca scientifica e gestione aziendale
efficiente, è riuscita ad eccellere, nel suo settore, sia in ambito
nazionale che europeo.
Proprio da ciò, si evince che la realizzazione di grandi strutture
industriali non fa parte solamente della realtà del nord, ma anzi,
trova grandi potenzialità anche nel meridione.
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CAPITOLO PRIMO
L'AGRICOLTURA RAGUSANA TRA IL 1945 E IL 1980.
9
1.1) Caratteri generali.
La seconda guerra mondiale ebbe effetti devastanti per
l'economia della provincia di Ragusa: mancanza d'investimenti,
carenza di manodopera, difficoltà di comunicazione, drastica
riduzione della produzione agricola e della attività commerciale.
"Ogni comune si chiuse in sé e visse con un economia che era
spesso di sussistenza, essendo estremamente difficile
l'alimentazione dei mercati dall'esterno."
1
All'indomani del conflitto, la ripresa economica fu lenta e
graduale. Le lotte per assicurarsi la manodopera, le leggi per la
riforma agraria e il credito a basso tasso d'interesse facilitarono
l'ulteriore frazionamento della proprietà e i processi di
trasformazione colturale. Si indebolì, infatti, la proprietà
assenteista, si rafforzò la proprietà diretto coltivatrice e le aziende
contadine emersero come le protagoniste del processo di
rinnovamento e di sviluppo dell'agricoltura della provincia.
2
1
G. MICCICHE', Atti del corso di aggiornamento ambiente e territorio, Ragusa 1989.
2
Cfr. G. MICCICHE', La provincia nel dopoguerra. La grande illusione in "Cronache per
lo sviluppo, n° 7 1985; G. CHESSARI, L'altra Sicilia: agricoltura e sviluppo a Ragusa,
1974
10
Negli anni '50 l'agricoltura rappresentò il settore più importante
dell'economia ragusana; oltre il 50% della popolazione era,
infatti, dedita all'agricoltura. In questa provincia non esisteva il
latifondo e la proprietà terriera era frazionatissima.
La maggior parte delle aziende agricole si dedicava
all'allevamento del bestiame e, di conseguenza, si aveva anche
una notevole produzione casearia. L'agricoltura, tuttavia, era
praticata con diverso indirizzo e con metodi differenti, a seconda
delle zone agrarie, particolarmente dissimili fra di loro per
condizioni climatiche, disponibilità idrica, natura dei terreni,
altitudine. Mentre, infatti, nelle zone di collina e sugli altipiani di
Ragusa e di Modica veniva praticata un'agricoltura a carattere
estensivo, che non consentiva un largo impiego di mezzi
meccanici, caratterizzata dalla coltivazione dei cereali e delle
leguminose, oltre che dall'allevamento del bestiame, nelle zone
costiere e della pianura l'agricoltura era di tipo intensivo,
consentita anche dallo sviluppo graduale e continuo della
meccanizzazione agricola, ed era indirizzata principalmente
verso la coltivazione di prodotti ortofrutticoli, agrumi, viti ed
anche fiori.
11
In particolare, alla fine degli anni '50, cominciò a svilupparsi
lungo il litorale della provincia il fenomeno della coltivazione in
serra. Ciò determinò oltre ad una certa vivacità del mercato
fondiario, il concentrarsi in essa di considerevoli investimenti di
capitali con soddisfacente rialzo del reddito.
3
Il rapido sviluppo del settore secondario avvenuto negli anni '50
e '60 non deve condurre alla conclusione affrettata che
l'agricoltura stesse perdendo il suo peso tradizionale
nell'economia della provincia. Infatti, nel 1968, il settore agricolo
non solo produsse un reddito superiore a quello dell'industria,
ma assorbì ancora quasi un terzo della popolazione attiva,
praticamente quanta ne assorbì l'industria. Anche
qualitativamente l'agricoltura iblea era tutt'altro che retrograda.
In complesso la provincia, soprattutto grazie alle colture
specializzate praticate in centri come Vittoria e Comiso, è
considerata come una di quelle zone ad agricoltura intensiva che
in tutto il Mezzogiorno ricoprono solo il 27% della superficie
agraria. Tale considerazione , valida per il territorio provinciale
3
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA DI
RAGUSA ( d’ora in poi C.C.I.A.A.R.), Indici della vita economica della provincia di
Ragusa, anni ‘52- ’57; C.C.I.A.A.R., Principali aspetti economici della provincia di Ragusa,
Ragusa 1971; C.C.I.A.A.R., Lineamenti economici della provincia di Ragusa, Milano 1964.
12
non lo era per quella del capoluogo, caratterizzato ancora dalla
prevalenza di colture estensive (grano), scarsamente
remunerative. Inoltre, le maggiori possibilità di sviluppo
industriale erano legate in gran parte alla conservazione ed alla
trasformazione dei prodotti della terra.
Nel corso degli anni '70, il peso dell'economia iblea in relazione a
quella nazionale si ridusse. Infatti, " l'agricoltura ragusana nel
1972 rappresentava l'11,09% del prodotto lordo di quella
siciliana e l'1,21% di quella italiana. Nel 1978, invece, è scesa
rispettivamente al 10,8% e allo 0,95%. Il tasso di sviluppo a
Ragusa è stato inferiore a quello regionale e nazionale".
4
Il frazionamento e la polverizzazione della proprietà terriera
costituì la caratteristica del regime fondiario. L'eccessivo
frazionamento delle aziende fu un fattore negativo in certi settori
dell'agricoltura, come quello zootecnico e della cerealicoltura, ma
non per la serricoltura, in cui si ebbero aziende piccolissime
(anche di mezzo ettaro), altamente produttive ed efficienti.
5
4
G. CHESSARI, L'altra Sicilia. L'economia della provincia di Ragusa nel contesto
regionale e nazionale, Ragusa 1981.
5
Cfr. C.C.I.A.A.R., Principali aspetti …..op. cit.; G.CHESSARI, L'altra Sicilia ….op. cit.;
S.VITALE, La realtà e le prospettive nell'economia della provincia di Ragusa, Ragusa
1962.
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L'unico aspetto negativo, per le une come per le altre, fu
l'impossibilità di far ricorso alla meccanizzazione della
produzione, di procedere alla bonifica e alla sistemazione dei
terreni, di realizzare infrastrutture necessarie e di curare i rapporti
col mercato.
La soluzione da molti proposta era quella di creare
organizzazioni cooperativistiche le quali, rispettando l'autonomia
produttiva, potevano affrontare e risolvere, a beneficio di tutti, i
suddetti problemi.
6
6
JUNIOR CHAMBER ITALIANA, LOM di Ragusa, L'esperienza della piccola e media
impresa in provincia di Ragusa. Aspetti evolutivi, economici e sociali, Ragusa 1986.
14
1.2) Lo sviluppo delle serre.
La provincia di Ragusa ha riscoperto l'importanza del settore
agricolo, e ne ha fatto il principale strumento di sviluppo
economico, con l'avvento delle colture ortalizie in pieno campo e
sotto serra, che hanno avuto una diffusione eccezionale e
rappresentano il settore agricolo più vivo ed economicamente
produttivo della provincia. I rendimenti per ettaro degli ortaggi,
nonostante i cospicui quantitativi della produzione precoce, sono
molto alti, non solo per il clima particolarmente favorevole, ma
anche per la crescente produzione sotto serra, simbolo della
nuova agricoltura.
Le colture ortalizie sono diffuse non solo in tutta la fascia
costiera, da Scoglitti a Punta Secca, ricca di pozzi artesiani, e da
Marina di Ragusa a Donnalucata e a Sampieri, ma anche
all'interno verso Ispica, e nella piana di Vittoria, patria naturale
dell'ortirriguo. L'occupazione di manodopera per ettaro, è
notevole e abbastanza continuativa, per cui gli addetti al settore
quasi sconoscono l'occupazione precaria e stagionale.
7
7
G.BARONE, Un mezzogiorno diverso tra arretratezza e sviluppo, Ragusa 1982.
15
Per comprendere esattamente l'importanza che lo sviluppo
serricolo ha avuto nell'ambito economico della provincia iblea, è
interessante riassumere rapidamente la storia dell'introduzione
degli ortaggi in provincia di Ragusa e quella ad essi connessa
delle serre.
All'indomani del primo conflitto mondiale, si tentò l'esperimento
di coltivare gli ortaggi sulle terre del litorale che presentavano
possibilità di una conveniente irrigazione. L'esperimento consentì
al prodotto di maturare con un mese di anticipo e,
conseguentemente, di essere posto in vendita a prezzi altamente
remunerativi. Fu così che iniziò lentamente il tentativo di trovare
nel sottosuolo del litorale le falde freatiche che consentissero di
realizzare i primi orti. I tentativi rudimentali, non solo non
riuscivano sempre, ma per lo sfruttamento irrazionale, spesso
portavano ad un abbassamento delle falde e ad una dispersione
delle acque nei meandri del sottosuolo. Ma oltre al problema
dell'acqua bisognava anche affrontarne un altro, non meno
pressante, cioè la distruzione totale di intere coltivazioni orticole
nel periodo vegetativo più delicato ( gennaio - febbraio), a causa
della grandine, del gelo, della brina, dei venti e delle oscillazioni
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termometriche tra il giorno e la notte. Si pensò di risolvere tale
problema con le "coperture". Le prime coperture in ordine di
tempo, adottate fino al 1953 - '54 furono del tipo "individuale",
costituite da tegole, o da pale di fico d'India. Il rimedio era
rudimentale e gli effetti non erano sempre quelli sperati,
soprattutto per evitare gli sbalzi di temperatura alle tenere
piantine.
Così a Scicli fecero la loro prima comparsa, nel 1953, le prime
forme di copertura plurima sotto forma di “stuoie fatte con stoffe
intessute con fil di ferro e animate da canne”, coperture ancora
usate nelle coltivazioni in pieno campo, mentre si apprestavano
staccionate di canne normali per riparare gli orti dall'azione
distruttrice dei venti.
Tutti i problemi, però, vennero risolti con l'avvento delle serre.
La prima serra sorse nel 1958 in provincia di Ragusa, in località
"Lucarelli", nel vittoriese. Essa copriva, con un'unica ampia
campata, una superficie di mq. 1.200, ed era realizzata in ferro e
vetro, ma al costo proibitivo di £ 12.000 al metro quadro.
Nel 1959 - '60 ne vennero realizzate altre cinque di mq. 500
ciascuna, ma in legno e vetro e quindi ad un costo meno
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scoraggiante: £ 3.500 al metro quadro. Cominciava così
l'avanzata delle serre che nel '61 - '62 coprivano 34 ettari.
Nel 1965, quando erano già in atto le grandi trasformazioni
agrarie nella fascia costiera ragusana, erano almeno mille gli
ettari di terra coperti dalle serre. All'epoca costituivano già una
realtà economica, sociale, persino politica, certamente
considerevole.
Nel momento in cui si analizzavano le prospettive di sviluppo del
Mezzogiorno e iniziava la controversa storia
dell'industrializzazione di alcune aree del sud, nei due vicini
comuni siciliani di Vittoria e di Gela si aprivano due diverse
prospettive: a Gela iniziavano i lavori d'impianto dell'industria
petrolchimica e a Vittoria si consolidava ed estendeva il
fenomeno delle serre. Il dibattito politico, molto acceso, si
incentrava così sulla validità delle due diverse esperienze e sulle
conseguenze che l'una e l'altra avrebbero avuto sul futuro assetto
territoriale, economico, sociale del comprensorio.
Già nel 1965 gli addetti, come manodopera diretta, al settore
della serricoltura si valutavano intorno a 6.000 unità (una media
di sei lavoratori per ogni ettaro di terreno trasformato), e a 2.500
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unità gli addetti alla commercializzazione, manipolazione e
lavorazione dei prodotti.
Occorre in proposito tener presente che, nel periodo considerato,
le operazioni colturali erano più complesse e le giornate
lavorative occorrenti per portare a termine la campagna di
produzione erano più numerose; ed erano più numerose anche
per la commercializzazione, che non disponeva ancora delle
attrezzature meccanizzate e dei sistemi d'imballaggio di più
recente adozione.
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In questo stesso periodo, si affacciarono sul
mercato nuovi tipi di serre, relativamente più semplici. La
disponibilità di laminati plastici flessibili o rigidi di limitato
spessore, sufficientemente trasparenti alle radiazioni luminose,
rese possibile l'adozione di strutture di sostegno più leggere
rispetto a quelle in ferro e comunque il ricorso a nuovi schemi
costruttivi per la possibilità di adottare il materiale plastico anche
su superfici non piane. Nascono e si diffondono così
apprestamenti di dimensioni e forme le più disparate, alcuni
utilizzati anche per assicurare alle piante una protezione
temporanea, limitata cioè ad alcune fasi del ciclo.
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G. LUCIFORA, La serricoltura in Sicilia, Palermo 1982.