7
commesse ai danni dei minori configurano ipotesi di reato. Si afferma
così, in primo luogo, il valore del bene fatto oggetto di tutela,
ravvisato nell'integrità della persona di minore età e nella salvaguardia
delle sue potenzialità. In secondo luogo si attua una prima misura di
prevenzione, impedendo indirettamente la commissione di ulteriori
reati attraverso la minaccia della sanzione penale.
Tuttavia, questi risultati sono storicamente recenti. In antichità i
reati sessuali erano regolati in modo lacunoso e disorganico. Eppure,
purtroppo, di tali abusi si hanno numerosissime testimonianze. Di
violenza è piena la mitologia greca
3
(e poi romana)
4
, come sono
innumerevoli le testimonianze storiche del fenomeno.
A parte tali riferimenti, le leggi contro gli abusi sessuali, sia sui
maggiorenni che sui minori, hanno confini incerti. Sicuramente i delitti
sessuali erano inquadrati tra i delitti contro il buon costume e contro
l’ordine della famiglia, “materia che, se pure toccata da Silla in una sua
(incerta) lex de adulteris et de pudicitia”
5
fu successivamente innovata
da Augusto, il quale “intese reprimere unioni sessuali quali l’adulterio
e lo stuprum, ossia l’unione sessuale con donne coniugate e l’unione
sessuale con donne nubili o vedove di onorevole condizione sociale”
6
.
Augusto intervenne con la “lex Iulia de adulteriis” del 18 a.C.
creando un’apposita quaestio davanti alla quale qualunque cittadino,
trascorsi sessanta giorni nei quali era riservato al padre o al marito
3
È nota la vicenda di Daphne, la fanciulla insidiata da Apollo e trasformata poi in
lauro.
4
Un esempio: ci racconta Ovidio (fasti 2.583-613), che una ninfa, Tacita Muta, svelò alla
sorella l'amore che Giove nutriva per lei, vanificando i tentativi di seduzione del dio, il
quale, per punirla, le strappò la lingua. Affidata a Mercurio perché la conducesse nel
regno dei morti, fu da questi violentata, e concepì due gemelli, i Lares compitales, le
divinità che vegliavano sulla città proteggendone i confini.
5
Brasiello, La repressione penale in diritto romano, Napoli, 1937, p. 22 e ss.
6
De Francisci, Storia del diritto romano, Roma, 1968, p. 492.
8
tradito, la facoltà di provocare il procedimento, poteva accusare la
donna adultera e il suo complice. Stessa cosa accadeva per lo stuprum,
dove chiunque poteva sostenere una accusa contro la donna nubile ed
il suo complice. La pena era, in caso di adulterio, per la donna la
confisca della terza parte della dote e dei beni parafernali; per il
complice la confisca di metà del patrimonio, e la relegazione di
entrambi. In caso di struprum la pena, per l’uomo e per la donna,
consisteva nella confisca di metà del patrimonio
7
.
Tuttavia, si può notare come si fosse lontani dalla concezione
dei reati sessuali come la si intende oggi.
Ebbene, il presente studio si propone di analizzare la fattispecie
di “prostituzione minorile”, istituto creato dalla legge n. 269 del 1998.
Questa particolare fattispecie di abuso sessuale su minori si scontra da
un lato con la già segnalata lacuna storica e dall’altro con la disciplina
sulla prostituzione che ancor oggi fa riferimento alla ormai
anacronistica legge Merlin.
Come si vedrà mentre per la prostituzione compiuta da
maggiorenni sono in discussione proprio oggi particolari forme di
innovazione, la disciplina della prostituzione minorile non viene
modificata, ma deve fare i conti con una legge, la citata legge n. 269
del 1998, da sempre al centro di discussioni per il suo carattere
“emergenziale”, ossia dalla spinta emotiva che ne portò l’emanazione.
Tenendo presente queste brevi premesse inizia questa ricerca.
7
De Francisci, op. cit. p. 493. Si comprende come il termine stuprum in età romana
avesse un significato ben diverso da quello che ha oggi.
9
CAPITOLO I
“L’EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE
IN MATERIA DI VIOLENZA SESSUALE”
SOMMARIO: 1.1. Cenni storico-sociali delle norme contro la violenza sui minori. - 1.2.
I reati sessuali nel codice Zanardelli. - 1.3. I reati sessuali nel codice Rocco. -
1.4. La legge n. 66 del 1996.
1.1. Cenni storico-sociali delle norme contro la violenza sui
minori.
In Italia gli studi sull'incidenza dell'abuso sessuale minorile
hanno iniziato a svilupparsi solo di recente
8
. Diversamente, la
letteratura straniera si è da sempre dedicata all'approfondimento di
diversi aspetti di questo fenomeno, fornendo informazioni dettagliate
sulla sua crescente diffusione. Ad esempio, il recente lavoro di analisi
eseguito da Finkelhor (1994) sui dati di 21 indagini epidemiologiche
appartenenti ognuna ad un paese diverso
9
rappresenta un valido
8
L. LANZA, Linee interpretative del fenomeno incesto, Psychopathologia, 3, 237, 1984; M.
MARTORELLI, Maltrattamento, abuso, e incidenti nell'infanzia e nell'adolescenza, Unicopli,
Torino, 1990; F. MONTECCHI, Prevenzione, rilevamento e trattamento dell'abuso
all'infanzia, Borla, Roma, 1991; F. MONTECCHI, Gli abusi all'infanzia. Dalla ricerca
all'intervento clinico, Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994; C. VENTIMIGLIA, La
differenza negata. Ricerca sulla violenza sessuale in Italia, F. Angeli, Milano, 1987.
9
I paesi che hanno effettuato indagini epidemiologiche sull'abuso sessuale, sono:
Australia. Belgio, Canada, Costarica, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran
Bretagna, Grecia, Irlanda Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Spagna, Sud Africa,
Stati Uniti d'America, Svezia e Svizzera. Tra i Paesi europei l'Italia è l'unico a non
essere in grado di fornire dati sull'incidenza dell'abuso sessuale dei minori.
10
contributo all'ampliamento della conoscenza sull'effettiva estensione
dell'abuso sessuale compiuto sui minori; l'autore, nonostante i risultati
varino sensibilmente da ricerca a ricerca, sottolinea come quello
dell'abuso si configuri ormai come un problema internazionale. Dalla
totalità delle ricerche condotte su campioni scelti tra la popolazione
normale, come gli studenti od i cittadini di certe aree metropolitane,
sono state rilevate precedenti storie di abuso sessuale per almeno il
7% delle donne e per il 3% degli uomini, fino ad arrivare al 36% delle
donne austriache e al 29% degli uomini del Sud Africa. La
considerevole variazione di valori tra i diversi paesi è probabilmente
legata alla differente definizione dell'abuso sessuale e al tipo di
domande rivolte. Infatti, se si esamina attentamente l'ampia letteratura
cui fa riferimento Finkelhor, si nota l'assenza di una definizione
condivisa dell'abuso sessuale minorile.
Questa limitazione, comune anche al nostro paese, ha finito col
condizionare ognuno dei tre campi di attività che interessano il
fenomeno: la ricerca, la clinica e il diritto. Per quanto riguarda il
settore della ricerca, va rilevato come l'esistenza della molteplicità dei
criteri di definizione dell'abuso non abbia permesso l'esame
comparativo tra le diverse indagini.
Tuttavia, è sul piano più strettamente operativo per la clinica e il
diritto che si evidenzia la necessità di chiarire che cosa si intende per
abuso sessuale. Dalla sua definizione dipendono decisioni importanti
per il minore, come l'attivazione o meno di interventi diagnostici e
clinici o l'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti
11
dell'aggressore. D'altra parte, nell'intervento a tutela del minore
abusato sono coinvolte differenti figure professionali (magistrati,
avvocati, medici, psicologi, operatori sociali, insegnanti ed operatori
delle forze dell'ordine) e ognuna di esse, in base alla sua specifica
formazione, è portatrice di una peculiare visione dell'abuso sessuale
minorile. Spesso queste visioni possono essere assai discordanti e
produrre fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria
importanza come la protezione dei minori o l'apertura di procedimenti
penali a carico degli adulti. Sul terreno dell'intervento operativo,
diviene quindi necessario prevedere l'impiego di una definizione che
sia ampiamente condivisa dalle diverse figure professionali, che non si
caratterizzi troppo per la sua generalità, ma che anzi sia capace di
fornire informazioni dettagliate e comprensibili per i diversi contesti
professionali di riferimento, riguardanti la natura, la frequenza e la
gravità della violenza sessuale
10
.
Quindi la rilevazione e l'accertamento di un fatto di abuso
sessuale è un'operazione estremamente complessa. Soprattutto perché,
come abbiamo visto, sussiste tra gli interpreti molta incertezza su cosa
debba intendersi per abuso sessuale. In realtà non è affatto semplice
delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è in una
materia fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la
linea di demarcazione è molto sfumata.
La difficoltà di definire e classificare i comportamenti umani
riguarda in modo particolare i comportamenti sessuali illeciti, cioè
10
R. REPUCCI, The sexual abuse of children, Jossey Bass Publishers, San Francisco, 1988.
12
quelli integranti fattispecie di reato.
Come afferma Foucault
11
“il processo culturale che portò alla
differenziazione tra infrazioni alla legge ed infrazioni alla morale fu
molto lungo e tormentato e in parte si può dire non ancora concluso”.
Le definizioni normative di tali comportamenti devono
rispondere, infatti, come ricorda Mantovani, a una duplice esigenza: da
un lato quella di conciliare la libertà sessuale di un individuo con i
diritti degli altri individui e con i valori ammessi dalla collettività;
dall'altro quella di inserire i comportamenti in questione nell'uno o
nell'altro titolo di legge, anche in rapporto alla predominanza delle
istanze sessuali o di quelle violente nella realizzazione delle pulsioni
sessuali del reo
12
.
È quindi di fondamentale importanza porsi la domanda su che
cosa può essere correttamente definito come comportamento abusante
nei confronti di un minore. Anche se istintivamente può sembrare che
non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che,
viceversa, gli esperti ancora dibattano sull'estensione di tale
definizione, sia in merito agli atti commessi, che al tipo di relazione
intercorrente
13
.
Da un punto di vista puramente psicologico si potrebbe
affermare che qualsiasi attivazione di desiderio sessuale in un adulto
nei confronti di un bambino rappresenta una patologia che può dar
luogo ad un abuso. Tuttavia è pure evidente che quando tale desiderio
11
M. FOUCAULT, L'uso dei piaceri, Giuffrè, Milano, 1987.
12
F. MANTOVANI, I delitti sessuali: normativa vigente e prospettive di riforma, in I
delitti sessuali (a cura di G. Canepa - M. Lagazzi), Padova, 1988, p.271
13
C. VIOLATO, The Effects of Childhood Sexual Abuse and Developmental Psychopathology,
"Canadian Journal of Behavioral Science", 1994.
13
non si concretizza in azioni o si manifesta in forme tali da non essere
direttamente percepibile dalla vittima (pensiamo ad esempio ad atti di
voyeurismo), non sembra appropriato parlare di abuso.
Secondo la definizione proposta al IV colloquio criminologico
del Consiglio d'Europa, per abuso sessuale di un minore deve
intendersi “ogni atto sessuale che provochi lesioni fisiche ed ogni atto
sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso”.
Questa definizione solleva lo spinoso problema dell'accertamento e
della valutazione del grado di maturità e di capacità critica che sia tale
da consentire al minore di esprimere realmente un libero consenso. Vi
è l'esigenza di fissare un'età minima di sotto alla quale si può
affermare in via assoluta l'incapacità da parte del soggetto di esercitare
tale consenso.
Il dilemma è di difficile soluzione, in quanto esso implica la
valutazione di interessi contrastanti. Se da un lato il carattere
particolarmente vulnerabile ed instabile della personalità evolutiva del
bambino richiede una speciale tutela, dall'altro non si possono
ignorare la spiccata accelerazione nello sviluppo fisico e la precocità
della pubertà osservate negli ultimi decenni in occidente, anche se
sulla presenza di una egualmente anticipata maturazione psichica e
sociale i pareri sono contrastanti. D'altra parte vi è chi ritiene che una
tutela intransigente con limitazioni e controlli troppo rigidi, finirebbe
per costituire di per se stessa un abuso di tipo istituzionale rispetto
alla libertà sessuale degli adolescenti
14
.
14
R. Gaddini, Incest as developmental failure, "Child abuse and Neglect", 7, 1986.
14
Vari saggi accolgono come una delle più appropriate, forse per
la sua ampiezza e genericità, la definizione avanzata da H. Kempe
15
.
L'autore infatti afferma che si deve considerare abuso sessuale sui
minori.
Il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi
immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono
ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire
con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella
società circa i ruoli familiari.
Rientrano in questa definizione gli episodi di pedofilia, di stupro
e d'incesto, più in generale di sfruttamento sessuale. Si tratta,
ovviamente, di situazioni che possono dar luogo ad episodi molto
diversi l'uno dall'altro, in presenza o meno di violenza fisica, ma
accomunati dalla caratteristica di agire in modo molto forte sulla vita
psicologica e sulle relazioni sociali dei minori, turbandone i processi di
sviluppo della personalità e di maturazione della sessualità. Tale
definizione evita la specificazione dei singoli atti effettuati, di cui
conosciamo la tipica evoluzione nel tempo, permettendo di classificare
(e considerare, almeno ai fini dell'intervento clinico e protettivo) come
abuso anche le prime manifestazioni di interessamento e di seduzione
rivolte dall'adulto al bambino. Essa ridimensiona anche l'importanza
del concetto di violenza (utilizzato invece da altri autori come
caratteristica essenziale al configurarsi di un'esperienza traumatica),
ambiguo e in definitiva pericoloso da maneggiare quando debba essere
15
H. Kempe, H. Kempe, Child abuse, Fontana Open, London, 1978 (trad. it.: Le violenze
sul bambino, Armando, Roma, 1978, p. 69.
15
applicato a situazioni in cui i legami affettivi di partenza siano tanto
forti da imporre reazioni di adattamento capaci di diluire il significato
intrusivo e predatorio che la stessa situazione assumerebbe se vissuta
al di fuori di quella relazione. La definizione di Kempe include da
ultimo il concetto, importante, di violazione dei tabù sociali, utile
quando bisogna stabilire se le interazioni sessualizzate tra minorenni
integrano un abuso. Ad esempio la differenza di età tra abusante e
vittima, usato sia nel nostro che in altri paesi come criterio per
discriminare la liceità delle condotte, può essere insufficiente e portare
artificialmente ad escludere l'abuso in casi di incesto tra fratelli,
quando viceversa sul piano clinico esistono tutti i presupposti per il
configurarsi di una situazione altamente traumatica
16
.
Il concetto clinico di abuso sessuale elaborato dalla letteratura
sociologica e psicologica risulta più estensivo della condotta che
integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario. Anche nella nuova
Legge del febbraio 1996 (che sarà considerata nel prossimo capitolo)
la definizione del reato comporta la costrizione a “compiere o subire
atti sessuali” “con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità”,
anche se molti correttivi rendono presunta tale componente violenta
in situazioni in cui essa non è esplicitamente esercitata (con riguardo
all'età della vittima e al tipo d'autore). Tuttavia rimane escluso da tale
definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra
soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni se
tali soggetti hanno più di tredici anni, indipendentemente dalla
16
M. MALACREA, A. VASSALLI, (a cura di) Segreti di famiglia, Milano, 1990, p. 233.
16
relazione che li lega; non possono inoltre essere considerate reato - in
quanto non comportano veri e propri “atti” - altre situazioni in cui il
minore è esposto a un clima psicologico decisamente perverso e
fuorviante per il corretto sviluppo di un'identità di genere e di una
concezione socialmente adattata delle interazioni sessuali, o sia
coinvolto come spettatore più o meno complice di parafilie in persone
cui sia fortemente legato. Secondo molti autori tali situazioni non
differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze
codificate come violenza sessuale per quanto riguarda le conseguenze
dannose che possono produrre
17
17
M. Malacrea, Integrazione degli interventi nei casi di abuso sessuale all'infanzia, in Segreti di
famiglia, cit.
17
1.2. I reati sessuali nel codice Zanardelli.
I c.d. reati sessuali erano stati configurati dal legislatore del 1889
nel titolo VIII del secondo libro del Codice penale entrato in vigore il
1° gennaio 1890. La rubrica del titolo VIII era: «dei delitti contro il
buon costume e l'ordine delle famiglie». Il titolo era suddiviso in sette
capi
18
.
Tuttavia, il titolo VIII del secondo libro del Codice penale del
1889 costituiva un ampio contenitore nel quale erano state inserite
fattispecie che, almeno oggi, non possono non apparire per vari
aspetti molto diverse. Infatti, nello stesso titolo figuravano da un lato i
delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti e, dall'altro, i reati
di supposizione e di soppressione di stato o, ancora, in un capo il
delitto di incesto e in un altro quello di lenocinio, solo per fare un
esempio. “Neanche si può dire che il «motivo sessuale», seppure
largamente inteso, potesse costituire il filo conduttore delle fattispecie
raccolte in tale titolo e la ragione della loro riconducibilità in un unico
18
Nel primo capo (artt. 331-339) erano dettate le norme relative ai delitti di violenza
carnale, atti di libidine violenti, corruzione di minorenne, incesto, atti osceni in luogo
pubblico, distribuzione/esposizione/messa in vendita di scritture, disegni o altri
oggetti osceni. Nel capo secondo (artt. 340-344) erano configurati i delitti di ratto per
fine di libidine o di matrimonio. Nel capo terzo (artt. 345-348) erano delineati i delitti
di induzione e di costrizione alla prostituzione e di favoreggiamento e agevolazione
del meretricio. Nel capo quarto (artt. 349-352) erano poste varie disposizioni comuni
ai delitti descritti nei precedenti capi. Esse stabilivano, secondo i casi, la perdita a
carico degli ascendenti di ogni diritto sulla persona e sui beni dei discendenti a
pregiudizio dei quali avessero commesso uno dei reati specificamente indicati dall'art.
349 e, quanto ai tutori, la rimozione dalla tutela e da ogni ufficio tutorio; fissavano
inoltre alcune ipotesi di attenuazione o di aggravamento delle pene e cause speciali di
non punibilità o di cessazione della esecuzione della pena e dei relativi effetti penali.
Nel capo quinto (artt. 353-358) erano configurati i delitti di adulterio e di concubinato.
Nel capo sesto (artt. 359-360) era collocato il delitto di bigamia. Nel capo settimo
(artt. 361-369), infine, erano previsti i delitti di supposizione e di soppressione di
stato.
18
raccoglitore perché, se è vero che tale «motivo» può essere ravvisato in
molte delle configurazioni incriminatrici, altrettanto certo è che esso
non è individuabile nei delitti di supposizione e di soppressione di
stato”
19
, pure presenti nello stesso titolo.
D'altro canto è chiaro che, se venivano presi come beni da
tutelare il “buon costume” e “l'ordine delle famiglie”, non appariva
irragionevole al legislatore dell'epoca che potessero essere raccolte in
un unico titolo figure di reato che sembrano profondamente diverse
tra loro per struttura e per specifica oggettività giuridica. Si deve
considerare che i valori «buon costume» e «ordine delle famiglie» non
solo sono difficilmente inquadrabili e definibili con precisione e si
prestano a grandi dilatazioni, ma sono anche suscettibili di essere presi
in considerazione sotto diversi punti di vista. Così, se la valutazione
delle condotte costitutive dei vari illeciti, dell'oggetto materiale del
reato, del bene protetto, può portare a sottolineare differenze
profonde tra i vari illeciti e la loro irriconducibilità ad un
denominatore comune, per un altro verso l'apprezzamento degli stessi
illeciti in un particolare momento storico secondo altri parametri, (per
esempio, il tentativo di turbare un ordine familiare che deve essere
sereno e come tale deve essere tutelato), può giustificare i più diversi
risultati.
In questa ottica, “sul finire dell'Ottocento, le differenze
profonde tra le condotte costitutive dei diversi reati e tra i beni da
questi di volta in volta offesi cedevano di fronte alla considerazione,
19
COPPI, I reati sessuali, Torino, 2000, p. 2.
19
corrispondente alla cultura del tempo, che comunque tutti gli illeciti
sopra ricordati contrastavano, seppure per le più varie ragioni, con il
corrente sentimento del buon costume e dell'ordine delle famiglie”
20
.
Difatti, nell'Ottocento apparivano contrari ai valori del buon costume
e dell’ordine della famiglia sia le condotte di chi avesse con violenza
costretto un'altra persona al rapporto carnale, quanto il rapimento di
una donna per fine di libidine o di matrimonio o il comportamento
dell’adultero, del concubino, del bigamo o di chi, infine, avesse
occultato un infante o ne avesse soppresso o alterato lo stato civile.
Tutto questo trova una conferma nella Relazione ministeriale al
progetto del 1887, dove si dava conto appunto delle ragioni della
classificazione e della riunione in un unico titolo dei reati sopra
richiamati. Il Manzini, uno dei più autorevoli studiosi del Codice del
1889, spiegava in proposito che il buon costume e l'ordine delle famiglie
«sono beni giuridici essenziali della civile società, i quali si integrano
reciprocamente, e perciò si trovano accoppiati anche in relazione alla
tutela che ad essi appresta la legge penale»
21
.
Lo stesso giurista definiva poi il buon costume come «l'ordine
etico-giuridico costituito dalla osservanza di quei limiti che sono
ritenuti necessari per la sicurezza, per la libertà e per la moralità dei
rapporti sessuali» ed osservava che la sua violazione, «anche quando
non si manifesta primariamente nel seno della famiglia, colpisce
sempre di riflesso l'ordine famigliare». Quanto all'ordine delle famiglie,
20
COPPI, I reati sessuali, cit., p. 3.
21
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, Milano-Torino- Roma, 1915, p.
529.
20
esso era individuato nell'«istituto giuridico famigliare regolato dallo
Stato nel pubblico interesse, considerato nel complesso di quelle
norme che tendono ad assicurare la moralità sessuale nelle famiglie e
in rapporto ad esse, e che impongono l'osservanza delle leggi
giuridico-naturali della generazione»
22
.
Sottolineava ancora questo studioso, approvando la
classificazione del legislatore, che nei delitti contenuti nel titolo VIII
prevaleva una volta il profilo del buon costume, altre volte quello
dell'ordine delle famiglie: «ma la legge li ha classificati insieme,
appunto per l'inscindibilità degli effetti»
23
.
Ovviamente, seguendo tale teoria, la posizione del singolo
individuo, quale titolare di beni personali e meritevole di tutela, viene
inglobata nella visione di due beni meritevoli di tutela, uno per così
dire “generico” della tutela penale individuato per quei reati - che lo
stesso giurista denominava «delitti di libidine» (ossia: violenza carnale,
atti di libidine violenti, corruzione di minorenni) - nell'«interesse
sociale di assicurare il bene giuridico dell'inviolabilità carnale della
persona»
24
; ed uno “specifico” quale interesse pubblico o sociale di
assicurare il bene giuridico individuale dell'inviolabilità carnale della
persona
25
.
e
22
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 530.
23
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 530.
24
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 539.
25
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 571.