V
INTRODUZIONE
Il presente lavoro è frutto di varie esperienze maturate durante
l’arco della mia vita. Esperienze che mi hanno formato lungo tutto il
percorso teologico, che mi ha visto impegnato su vari fronti:
teologico - formativi e religioso-pastorali. Durante gli anni di licenza
mi sono appassionato al Corso di Cristologia e Antropologia
teologica, che mi ha particolarmente affascinato su determinati
aspetti della Riforma protestante. Infatti, ho impiegato ben tre corsi
tutoriali su tematiche collegate l’uno all’altra e con una certa
continuità. Le tematiche discusse hanno affrontato vari temi: la
Croce nella teologia di Lutero, il rapporto Erasmo e Lutero e la sua
visione ecclesiale. Adesso concludendo l’iter universitario per
conseguire la licenza, offro una panoramica altamente significativa:
gli aspetti della religiosità di Martin Lutero nella logica della
Theologia crucis, che è anche il titolo della tesi. Il lavoro è in una
sorta di continuità con i tre corsi precedenti, ma offre nuovi spunti,
nuove ricerche critiche di valutazione della teologia di Martin
Lutero. L’amore per lo studio, la ricerca teologica, il sacrificio, mi
hanno dato l’input a cominciare questo affascinante viaggio alla
scoperta sia del pensiero del riformatore, che pesa ancora nella storia,
sia le nuove valutazioni sulla sua figura espresse nella teologia
cattolica e protestante.
Non molti conoscono Lutero e il suo pensiero, e a volte coloro
che conoscono il nome, hanno al riguardo un pensiero piuttosto
distorto. Ma chi è in realtà Lutero? Molti cattolici rimangono senza
risposta, perplessi. Ma è una perplessità per la quale dovremmo
“ringraziare” il cattolicesimo-romano, per la sua secolare campagna
denigratoria nei suoi confronti. È, infatti, a motivo di una distorta
campagna cattolico-romana che il nome di Lutero è generalmente
accostato ad un’immagine distorta, sia riguardo la sua vita che
VI
riguardo l’opera da lui portata avanti negli anni. In realtà il problema
è che non si comprende lo spirito che, sia pure gradualmente e nel
tempo, lo portò a intraprendere il noto cammino della Riforma. La
ragione dell'opposizione di Lutero è più profonda. Egli ha scoperto
l’«Evangelo». Alla scuola dell’apostolo Paolo, ha ritrovato una
dottrina di più profonda spiritualità, che è diventata per lui la chiave
di tutta la fede cristiana: la «giustificazione per fede».
Secondo lo storico di Lutero, il valdese Giovanni Miegge, la
ragione principale dell’opposizione di Lutero al papato, non va
ricercata negli “abusi” di questo, bensì nella sua ostilità e incompren-
sione nei confronti dell’“Evangelo”. Prosegue, infatti, «il consenso di
molte anime, che s’aprono con lui all’evidenza dell’“Evangelo”, lo
conforta sempre più nella fiducia della sua scoperta e nella sua
fecondità. Ed ora, questa scoperta, in cui crede con fede sempre più
cosciente, non incontra, da parte delle autorità ufficiali della Chiesa,
se non ostilità e incomprensione. I rappresentanti della coltura
ecclesiastica, i gerarchi della Chiesa, e a capo di essi la suprema
istanza della cristianità, non sanno esprimere che giudizi di
condanna. Essi oppongono alla Chiesa dello spirito, che Lutero viene
riscoprendo con appassionato amore, la Chiesa delle decretali, del
diritto canonico, dell’infallibilità e del primato papale»
1
.
Martin Lutero, stimato in tutto il mondo, in Italia è stato sempre
presentato come una sorta di ossessionato, pieno di problematiche
medievali e con caricature che lo vedevano interessato solo alle
salsicce, alla birra e alle donne. Ma che questa illustrazione cattolico-
romana non corrisponde affatto al vero, anche se ultimamente la
1
G. MIEGGE, Lutero giovane, Feltrinelli, Milano 1964, 289-290. Cf. pure quanto
scrivono gli storici cattolici: J. LORTZ - E. ISERLOH, Storia della Riforma, Il
Mulino, Bologna 1974, 381.
VII
teologia cattolica sta tiepidamente rivedendo la figura di Lutero.
Sono in corso, infatti, interessanti traduzioni in italiano di alcuni suoi
sermoni e di alcuni catechismi.
Lutero non ci ha lasciato, come avevano fatto Tommaso e Cal-
vino, la sua teologia in una strutturazione sistematica, che conden-
sasse il suo pensiero e costituisse il luogo per eccellenza della sua
dottrina definitiva. Pur non mancando argomentazioni rigorosamente
teologiche (sotto forma di dispute, scritti polemici, come quella
contro Erasmo), egli ha dispiegato la sua concezione dottrinale
principalmente in trattazioni esegetiche, kerigmatiche, catechetiche,
pastorali e, soprattutto polemico-pubblicistiche. Le sue opere
teologiche (che assieme con le moderne introduzioni e le repliche
riempiono oltre cento volumi in folio), nascono quasi sempre da
situazioni determinate che influiscono immediatamente sulla sua
esposizione, dando origine, talora, ad affermazioni diverse ed anzi
persino contraddittorie, che egli non tenta di armonizzare. Per di più
il suo linguaggio teologico risulta talora di difficile accessione e
questo soprattutto per il fatto che il paradigma in cui esso si è
formato è quello della via moderna: il nominalismo, una corrente di
pensiero che è rimasta a lungo assente dalle nostre scuole di teologia,
non solo perché il ritorno a san Tommaso, iniziato col Tridentino e
maggiormente favorito dal rinnovamento del tomismo, aveva fatto
rallentare la pubblicazione delle opere dei suoi maestri più celebri,
ma anche perché gli storici del dogma avevano gettato su di essa un
discredito notevole.
Di qui le difficoltà che il teologo sistematico incontra ogniqual-
volta si accinge a presentare, con obiettività, su un certo argomento
e nella fattispecie sulla “giustificazione”, la dottrina di Lutero. Anche
i tentativi compiuti dalla teologia sistematica per dare unità al suo
pensiero prendendo come filo conduttore uno dei grandi temi
VIII
luterani, quali: giustificazione per fede, Legge e Evangelo, Parola di
Dio, Teologia della Croce, fede in Cristo, sono praticamente falliti.
La varietà e la complessità di Lutero e la sua imprecisione termino-
logica, in verità, portano in sé la possibilità ed il pericolo di isolare di
volta in volta un tratto della sua personalità o un singolo tema,
facendolo apparire come se si trattasse di tutto Lutero. Così, ad
esempio, si è considerata essenziale per lui la sua teologia della
Parola definendo poi il fatto che egli abbia conservato fedelmente la
realtà dell'Eucaristia un’incongruenza, un residuo di cattolicesimo
non ancora completamente superato. La mancanza, da parte di
Lutero, di una esposizione sistematica della propria teologia ha dato
vita, dunque, ad una serie d’interpretazioni, così divergenti fra loro,
da far ritenere, talora a molti, altamente improbabile la possibilità di
poter pervenire ad una sua esposizione obiettiva. Ma a questo si è
giunti, a nostro avviso, o perché si è preso, come si è visto, un
elemento di tale dottrina per il tutto, o perché si è seguito un metodo,
che abbiamo chiamato “dogmatico” (Cristologia, Ecclesiologia,
Giustificazione, ecc.), giustapponendo, ad esempio, un passo del
Commentario sui Salmi (1513) ad un testo tratto dalle Dispute del
1539, senza tener conto dell’epoca, del genere letterario, degli
uditori, come degli avversari, e soprattutto, del punto di vista da cui
muoveva Lutero, ossia della sua problematica esistenziale, delle sue
tentazioni (Anfechtungen).
E se anche fra gli studiosi, oggi, si è giunti ad un sostanziale
accordo sul fatto che l’articolo della giustificazione costituisce il
cuore del pensiero teologico del Riformatore, questo accordo viene
meno quando si passa a precisare il contenuto di questa dottrina.
Sono pochi i personaggi che hanno condizionato la storia del
cristianesimo in una maniera così decisiva, e così discussa, come
Martin Lutero. Col suo appello rivolto alla chiesa e alla teologia a
IX
tornare ai fondamenti biblici, a riconoscere criticamente i propri
errori e a purificarsi, Lutero ha suscitato non poche contese. Tra le
cose che ha rimproverato alla pietà cristiana del suo tempo ci sono
determinate forme della cosiddetta mistica: soprattutto una vita
puramente contemplativa di immersione totale nel divino, e
l’eccessivo apprezzamento religioso di visioni e sogni. Lutero
sottolineò il legame della fede con la parola «esterna» della Scrittura
e con la predicazione storica del Cristo. Potrebbe dunque sorgere
l’impressione che Lutero sia stato un nemico della mistica. Ma le
cose non stanno così. Infatti, la comprensione dello spirito cristiano
da parte di Lutero raggiunge i livelli della mistica.
Se per mistica intendiamo la consapevolezza di essere uniti a
Dio, in Lutero troviamo accenti mistici. Al cuore della sua teologia
c’era per lui, irrinunciabile, la coscienza della più stretta comunione
del credente con Cristo. Nel contesto della teologia di Lutero ciò che
possiamo chiamare la sua mistica si presenta come qualcosa di molto
peculiare.
In effetti il riformatore rimarrebbe incomprensibile se non si
tenesse ben presente il fatto che, al di là dei conflitti dottrinali e delle
fratture sul piano ecclesiologico, egli è stato un’anima innamorata
dell’assoluto, bruciante di passione per Dio, un homo profondamente
religiosus, come ha evidenziato alla fine degli anni trenta del XX
secolo per la prima volta in ambito cattolico, lo storico J. Lortz nella
sua opera fondamentale e pioneristica Die Reformation in
Deutschland
2
. La pietas vissuta da Lutero e da lui proposta ai singoli
ed alle comunità, trova infatti il suo fondamento e la sua
realizzazione più autentica nel riconoscere a Dio il primato assoluto
ed a Cristo il ruolo di mediatore unico nel processo salvifico, e ciò
sulla base della Scrittura, unica rivelazione del Dio misericordioso.
2
J. LORTZ, La Riforma in Germania, (1939-40), 2 voll., Milano 1979-1980.
X
Si può dire che il nucleo centrale dell’eccezionale ricerca
religiosa del riformatore di Wittenberg e, di conseguenza, anche
della sua riflessione teologica, sia la realtà umanamente
incomprensibile di un Dio, il quale, nell’insondabile mistero del suo
amore totalmente gratuito, ha immolato il Figlio sulla croce a favore
del peccatore
3
. Per cui l’uomo, che preso in se stesso è sempre
avversario di Dio ed il suo esatto opposto viene riconciliato col
Padre nel «dono» del Crocifisso; e quindi l’unica strada per la
salvezza è quella dell’accoglienza di tale grazia assoluta
dell’Evangelo attraverso la fede, con la quale il peccatore si
abbandona fiducioso al Dio misericordioso.
Non una legge, dunque, con le sue esigenze può aiutare l’uomo,
ma solamente la Parola della promessa, nella quale ciò che è
promesso viene offerto ed è già presente. È questo sostanzialmente
quello che Paolo afferma in Rm 1,17: l’uomo ha la giustizia che vale,
cioè la giustizia misericordiosa di Dio, unicamente per mezzo della
fede che lo induce a fondarsi non più su se stesso e sulle proprie
opere, ma soltanto e sempre sull’amore redentore di Dio, manifestato
in Gesù Cristo secondo la testimonianza della Scrittura.
Conseguentemente, sottolinea Lutero, l’uomo è sempre giusto
nella fede in Cristo, ma anche sempre peccatore quando consideri se
stesso (simul justus et peccator). E perciò sempre penitente, per il
fatto che partendo dall’esame del proprio peccato è continuamente
proteso (tutta la vita è metanoia) verso Cristo, giustizia del
peccatore.
3
Nell’ottica di una Theologia crucis Dio è per Lutero un Deus absconditus, che si
rivela cioè sub contraria specie, nell’abbassamento del Figlio: «chiunque volesse
[…] pensare e speculare su Dio, scrive, dovrebbe assolutamente accantonare tutto
quello che non sia l’umanità di Cristo […]. A chi tralascia questa via non rimane
null’altro che la rapida caduta nel baratro eterno» (Cf. WA Br 1, 328 [Lettera a
Spalatino del 12.2.1519]). WA Br sono le lettere dell’edizione di Weimar, che da
qui in poi indicherò con questa sigla.
XI
In tale prospettiva la fede è allora anche un com-prendere, in una
appropriazione personale, Cristo come dono per me, Cristo per me
morto e risorto, per me vincitore del peccato, della morte, della
dannazione, anche se la certezza e la fiducia di tale fede ha da essere
posta fuori del soggetto, cioè nella Parola e nei sacramenti
4
.
Lutero è stato un uomo orante e questo lo possiamo evincere,
oltre che dalle molte orazioni, invocazioni, suppliche, giaculatorie di
cui sono costellati i suoi scritti, le prediche, i sermoni, le lezioni
universitarie e le lettere, anche dal suo modo di insegnare agli altri a
pregare. Ma di questa intensa attività orante è rimasto relativamente
poco, e ciò anche a motivo della gelosa riservatezza con cui il
riformatore circondava la sua orazione personale.
Lutero aveva un suo metodo semplice per pregare, come
dimostra l’opuscolo Su un modo semplice di pregare, scritto per un
amico del 1535
5
. Per lui la preghiera è un sostegno vitale e dedica
lunghi spazi di tempo ogni giorno. Ma è soprattutto nelle tribolazioni
e nelle prove (Anfechtungen)
6
che egli eleva a Dio il canto di lode e
di benedizione, aprendo fiduciosamente il suo cuore angosciato al
Padre per invocare aiuto, conforto, misericordia e grazia.
Proprio partendo da questa esperienza personale fatta di
«devozione» e di ascolto della Parola Lutero esorta con insistenza e
4
Cf. L. PACOMIO – G. OCCHIPINTI (curr.), Martin. Lutero (1483-1546), in Lexikon.
Dizionario dei teologi, Casale Monferrato 1998, 820-824.
5
Cf. WA 38, (351), 358-375. Qui Lutero non si limita ad insegnare all’amico Peter
Beskendorf un’astratta teoria sulla preghiera appresa sui libri, ma espone invece la
sua concezione dell’orazione, presentando semplicemente il suo personale modo di
pregare il Decalogo, il Padre nostro ed il Credo: un metodo effettivamente
sperimentato ormai da anni nell’incontro quotidiano con Dio. Cf. anche M.
LUTERO, Preghiere, a cura di S. CAVALLOTTO, Edizioni Piemme, Casale
Monferrato 1997, 146-179.
6
A riguardo dell’Anfechtungen in Lutero cf. L. PINOMAA, Der existentielle
Charakter der Theologie Luthers: Das Hervorbrechen der Theologie der
Anfechtung und ihre Bedeutung für Luther Verständnis, Helsinki 1940.
XII
sollecitudine pastorale
7
ogni cristiano e le chiese a fondare
«cristicamente» la propria pietas davanti a Dio, mantenendo e
rafforzando nella vita di ogni giorno la corretta dimensione orante.
Nelle prove, la preghiera deve farsi insistente, paziente ed umile
8
.
Lutero, dunque, sviluppa la sua teologia a partire dalla sua
problematica esistenziale, interrogando la Parola di Dio, e cercando
in essa quella risposta che abbia la capacità di risolvere i suoi
problemi. La sua teologia non nasce quindi da una riflessione
teoretica, fatta a tavolino, ma dall’esperienza. È una «sapientia
experimentalis non doctrinalis», una scienza dell’esperienza viva,
non pura dottrina. Perciò, per entrare in essa e comprenderla è
necessario entrare nella sua problematica esistenziale perché è questa
che suscita la sua riflessione teologica e gli dà l’unità.
Il presente lavoro fa largo uso di citazioni tratte dagli scritti di
Lutero, specie nel capitolo IV che descrive l’insegnamento maturo
del riformatore sulla vita personale con Dio. I fatti nudi e crudi,
un’accurata cronologia, un preciso elenco dei numerosi scritti di
Lutero e una mappa confessionale dell’Europa del XVI secolo: tutto
ciò è utile e necessario, ma è soltanto la superficie. Bisogna
comprendere, interpretare, giudicare, entrando così nei conflitti tra le
diverse interpretazioni.
Secondo Karl Barth (1886-1968), il maggior teologo protestante
e cristiano del Novecento, nella sua opera maggiore: “Dogmatique”,
7
Sul tema specifico del carattere pastorale della personalità e dell’azione di Lutero
ci limitiamo a citare alcune opere in italiano: L. SALVALAGGIO, Lutero pastore ed il
canto evangelico, in «Studi ecumenici» 8 (1990), 323-369, C. CARVELLO, Il
Piccolo Catechismo di Lutero. Genesi, contenuto, valore pedagogico-pastorale,
Caltanissetta 1994 e F. FERRARIO, Introduzione a M. LUTERO, Il Piccolo
Catechismo. Il grande Catechismo (1529), a cura di F. FERRARIO, Torino 1998, 9-
52.
8
Lutero suggerisce al cristiano di non desistere mai dal pregare, anche quando Dio
sembra assente o sordo alle invocazioni di aiuto. Scoraggiarsi, ammonisce il
riformatore, significherebbe mettere in discussione le promesse di Dio veridico e
fedele, verso cui invece bisogna nutrire la fiducia più totale.
XIII
diceva che l’uomo non giunge a Dio partendo da se stesso, ma
partendo da Cristo
9
. Quello che sottolinea Barth è che bisogna
distinguere tra Cristo e il cristiano, tra Colui che salva e colui che è
salvato, la vite dai tralci, il pastore dalle pecore, il maestro dal
discepolo. E se questa distinzione è mantenuta senza confusione,
l’unione con Cristo è vera comunione e Lutero chiama il rapporto
sponsale tra l’anima e Cristo “felice scambio”, «per cui l’anima dà a
Cristo ciò che è suo (le sue ansie, i suoi timori, le sue colpe) e Cristo
dà all’anima ciò che è suo (la sua pace, la sua letizia, il suo perdono).
Se tutto questo è chiaro nella coscienza del credente e nel vissuto
della sua fede, allora nulla vieta, a me pare, di parlare di mistica
cristiana come mistica di Cristo e in Cristo»
10
.
Il misticismo ha sinora avuto poco spazio in casa protestante e le
ragioni sono principalmente due. La prima è la giustificazione per
fede che è centrale nell’esperienza di fede protestante e che pone la
nostra salvezza, e quindi il fondamento della nostra vita, fuori di noi
(il famoso extra nos di Lutero), e non in noi, quindi tendenzialmente
non si presta a una comunione nella quale il confine tra l’Io
dell’uomo e il Tu di Dio non è più chiaro e i due partner del rapporto
si perdono l’uno nell’altro. La seconda ragione è quella che è stata
chiamata l’«ascesi intramondana» caratteristica non solo del
puritanesimo, ma di tutto il protestantesimo fino a oggi, per cui
l’esperienza mistica, se di mistica si vuol parlare, si sposta dal piano
teologico a quello etico, in una «trascendenza nell’aldiqua» vicina a
quella di cui ha parlato Bonhoeffer nelle sue Lettere a un amico
11
.
9
G. COMOLLI, C’è posto per la mistica nel protestantesimo?, in Chiesa Valdese di
Trapani e Marsala, http://www.chiesavaldesetrapani.com/public_html/rubriche-nel-
sito/34-paolo-ricca-risponde/470-mistica-nel-protestantesimo.html
(sito consultato il 09-02-2011).
10
Cf. ivi.
11
Cf. D. BONHOEFFER, Lettere a un amico, Bompiani, Milano 1972; Cf. ivi.
XIV
Bonhoeffer è una delle figure più rappresentative della teologia
protestante del XX secolo. All’alba del 9 aprile 1945, a soli 39 anni
viene impiccato nel campo di sterminio di Flossenburg. Durante la
prigionia il contatto diretto e personale con molte persone che si
professavano atee e che gli forniscono le ragioni del loro rifiuto di
Dio, di Cristo e della Chiesa, inducono Bonhoeffer a ripensare tutto
il fenomeno della secolarizzazione e a valutarlo non più in modo
negativo ma positivo, considerando una reale conquista la maturità
dell’uomo, la sua liberazione dalla “legge” della religione e dal peso
di tanti concetti errati e infantili su Dio. A questo punto Bonhoeffer
avverte la necessità di realizzare una lettura “secolarizzata” del
Vangelo e della figura di Cristo. «Il nostro rapporto con Dio non è un
rapporto “religioso” con l’Essere più alto, più potente, più buono;
questa non è una vera e autentica trascendenza; il nostro rapporto con
Dio è una nuova via nell’ “esistere per gli altri”, nella partecipazione
all’essere di Cristo»
12
. Bonhoeffer pone un accento anche sulla
sofferenza e dice: «La croce non è disagio e duro destino, ma il
dolore che ci colpisce solo a causa del nostro attaccamento a Gesù
Cristo […]. Il posto del cristiano non è l’isolamento di una vita
claustrale, ma lo stare in mezzo ai nemici. Lì si svolge il suo compito
e il suo lavoro»
13
.
Durante la sua vita Lutero andò incontro ai giudizi severi di
autorevoli rappresentanti della Chiesa cattolica. Punti focali del suo
insegnamento, per esempio i criteri della verità cristiana,
dell’autorità ecclesiale e dell’eucaristia, furono respinti. Anche gli
12
B. MONDIN, Dizionario dei teologi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna
1992, 144.
13
D. BONHOEFFER, Sequela, Queriniana, Brescia 1975, 69-70; Cf. anche A.
CONCI, La provocazione di Dietrich Bonhöeffer, in “Il Margine. Archivio” 1,
(1995), http://archivio.il-margine.it/archivio/1995/l1.htm (sito consultato il 09-03-
2011).