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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE ALLA STORIA DELLA LESSICOGRAFIA:
DALLE ORIGINI AL NUOVO MILLENNIO
Introduzione
In questo primo capitolo viene considerata la nascita e l’evoluzione della
lessicografia in Europa, dalle origini al nuovo millennio. A tal scopo si è preso in
considerazione il volume “Dizionari italiani: storia, tipi, struttura” della linguista
Valeria Della Valle, professore associato di Linguistica Italiana all’Università “La
Sapienza” di Roma e dal 2007 coordinatrice scientifica della nuova edizione del
Vocabolario Italiano Treccani.
1.1 La nascita della lessicografia
Mentre diversi studi hanno fatto risalire il punto di partenza della storia
lessicografica dall’età greco-romana, Valeria Della Valle ritiene i recenti ritrovamenti
archeologici
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testimonianza dell’esistenza di una tradizione lessicografica ancora più
antica.
Tali ritrovamenti, alcuni dei quali considerati come i più antichi dizionari, si
componevano di elenchi di parole comuni, tradotte in una seconda o anche terza lingua.
La necessità di tradurre in una lingua diversa dalla propria è l’incentivo a produrre i
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A partire dal 1964, alcuni archeologi italiani hanno ritrovato in Siria, più precisamente nella città di Ebla, 17.000
tavolette di argilla, ricche di caratteri cuneiformi, risalenti a più di quattromila anni fa. Sono stati scoperti anche
frammenti di un vocabolario bilingue, risalenti al secondo millennio a. C. che traducevano voci egiziane in accadico,
antica lingua semitica parlata nella Mesopotamia meridionale.
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primi elaborati lessicografici: i continui scambi commerciali e culturali col vicino
Oriente rendevano ormai necessari elenchi nei quali vicino ad una voce accadica
venisse segnata la corrispondente forma sumerica, così come altri ritrovamenti
dimostrano l’esistenza di dizionari anche plurilingui, che confrontavano parole o
espressioni accadiche, sumeriche, egiziane.
Nel primo millennio a.C. si sviluppò l’uso dei vocabolari monolingui, dovuto,
originalmente, all’esigenza di mercanteggiare e rendere comprensibili i manoscritti
antichi e sacri: in Egitto, in India, in Grecia e poi a Roma, a lato dei testi venivano
appuntate le parafrasi di linguaggi dotti o insoliti.
Come sottolinea la lessicografa italiana, specialmente in Grecia, dal V secolo
a.C. in poi, si sentì il bisogno di arricchire i componimenti omerici di precisazioni.
Simili note, dette glosse, servivano per comprendere meglio e correttamente i passaggi
meno chiari ed accessibili dell’Iliade e dell’Odissea. La consuetudine a glossare, vale a
dire decifrare e delucidare i passi più difficili delle opere, diventò più tardi, durante
l’età alessandrina, l’abitudine a elencare voci non frequenti accompagnate da
definizioni o dal sinonimo corrispondente. Tali elenchi, che originariamente
racchiudevano esclusivamente termini rari, obsoleti, di non facile comprensione,
divennero elenchi di espressioni di ogni sorta, anche d’uso comune, diventando dei
vocabolari a tutti gli effetti.
Tra le maggiori opere lessicografiche in lingua latina bisogna citare il De
significatu verborum di Verrio Flacco (I secolo d.C.), tradizionalmente ritenuto il primo
vero dizionario in senso moderno. Nonostante l’opera originale sia stata perduta nel
corso dei secoli, si aveva la possibilità di conoscerne il contenuto grazie a un’epitome
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in venti libri, redatto il secolo successivo dal grammatico romano Sesto Pompeo Festo.
Ciononostante anche la maggior parte di questo materiale fu perso, ma, grazie al lavoro
dello storico Paolo Diacono (VIII secolo d.C.) che a sua volta riassunse il contenuto,
possiamo, oggi, studiare l’opera (Della Valle 2009: 11).
Per la lingua greca, la Della Valle ritiene importante l’opera, nota solo
attraverso sunti e versioni riadattati e perfezionati in età bizantina, pervenuta all'epoca
contemporanea in un unico manoscritto: la Synagogé (“Raccolta”) compilata nel V
secolo d. C. dal lessicografo Esichio di Alessandria. L'opera include
approssimativamente 51.000 voci, ordinate alfabeticamente. Si tratta di una ricca lista
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Un compendio, ciò che resta di un'opera estesa, una volta eliminate le parti ritenute, per vari motivi, di minore
importanza. La necessità di un'epitome si sviluppò nel mondo antico in presenza di opere importanti ma particolarmente
lunghe.
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di parole, forme ed espressioni rare o sconosciute, con una spiegazione del loro
significato e spesso con un riferimento all'autore che le ha usate o alla regione della
Grecia dove erano più comuni.
Risale probabilmente al X secolo d. C. l’opera nota col nome Suida (forse è il
nome dell’autore, oppure è il titolo, dal significato non chiaro), enciclopedia storica
riguardante l'antico mondo del Mediterraneo. Contiene 30.000 voci, derivanti da molte
fonti antiche, oggi andate perdute, ordinate alfabeticamente, e attinenti a tutte le
discipline: geografia, storia, letteratura, filosofia, scienze, grammatica, usi e costumi.
Fonte importantissima per la conoscenza dell'antica storia letteraria greca, conserva
preziose notizie su opere andate perdute o parzialmente conservate.
1.2 Il Medioevo
Nel Medioevo si impone come protagonista l’opera monumentale (venti libri)
realizzata, all’inizio del VII secolo d.C., da quello che viene considerato
tradizionalmente il padre e il fondatore della lessicografia: Isidoro vescovo di Siviglia
(570-636). Il suo capolavoro è l’ Etymologiarium sive Originum Libri viginti (noto
anche come Etymologiae o Origines), un’enciclopedia di tutto lo scibile del tempo. La
mole dell'opera è imponente e i temi, pur essendo i più svariati (religione, medicina,
diritto, lingue e popoli, l'uomo e gli animali, la geografia, l'architettura, l'agricoltura, la
guerra, le armi, ecc.), hanno in comune il modo in cui vengono sviluppati
nell'enciclopedia, attraverso, cioè, una piccola introduzione e l'etimologia della parola
stessa. Le etimologie sono talvolta corrette, talvolta fantasiose, ma questo non
diminuisce il valore dei volumi. Alla base della composizione di quest'opera si trova il
fulcro del pensiero dell’autore. Per Isidoro, infatti, l'etimologia è il vero cuore
funzionante dell'opera, in quanto solo attraverso la conoscenza di quest'ultima si può
accedere all'effettiva conoscenza di fatti, oggetti e fenomeni. Grazie a questo testo, è
stata resa possibile la conservazione e la trasmissione della cultura dell'antica Roma
nella Spagna visigota. La raccolta di Isidoro (circa 6.000 voci), presente in ogni
monastero e diffusa attraverso copie manoscritte, costituì un modello e uno strumento
grammaticale e lessicale destinato ad influenzare tutti i glossari e i lessicografi
medievali e rinascimentali.
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Altra opera di carattere enciclopedico, in ventidue libri, è il De Rerum Naturis o
De Universo, di Rabano Mauro, arcivescovo di Mangoza (784-848 d.C.), nella quale le
voci latine erano tradotte in tedesco o spiegate con altre parole latine (Della Valle 2009:
12). Il De Universo costituisce una delle maggiori enciclopedie medievali e la prima
dopo due secoli di silenzio, dopo cioè le Etimologie di Isidoro di Siviglia, cui Rabano si
ispira.
Gli etymologica, repertori di etimologie che elencavano parole e cose in ordine
sistematico, ebbero grande fortuna nel Medioevo.
La tradizione ad elaborare veri e propri glossari si convertirà, nel tempo, in
elenchi di parole, non più con lo scopo di aiutare la lettura e la comprensione dei testi,
ma, quando il latino non era più una lingua parlata, come mezzo efficace per chi doveva
scrivere in latino.
Fa eccezione il Glossario di Monza, databile al X secolo, rivolto a coloro i quali
avevano l’esigenza di conoscere parole ed espressioni della lingua greca (specialmente
mercanti, commercianti, ecc.): si compone di un elenco di 65 voci italiane, provenienti
dall’area lombarda, indicanti nomi comuni (parti del corpo, indumenti, giorni della
settimana), affiancate alle corrispondenti voci greche bizantine.
Famoso e diffuso nel Medioevo fu anche il Liber derivationum o Magnae
derivationes di Uguccione da Pisa (1150-1210), che raccolse centinaia di parole rare
mescolate a volgarismi. Opera di grande autorità e diffusione per più secoli, fu anche
base lessicale di Dante.
L’opera proveniente dal nord Italia, ritenuta dalla linguista come la maggiore, è
il Catholicon seu Summa prosodiae (noto anche come Summa quae vocatur Catholicon
o Catholicon, ossia “L’universale”), un’enciclopedia di problemi grammaticali e
sintattici, che comprende una raccolta in ordine alfabetico di voci latine e volgari
compilata nel 1286 dal domenicano genovese Giovanni Balbi. Il Catholicon rimane il
trattato più accurato al quale fecero ricorso i dotti del Trecento, non esclusi il Petrarca
e, più ancora, il Boccaccio. La fortuna dell'opera è comprovata dalla copia di
manoscritti italiani, ma più ancora francesi (specie del secolo XIV) e tedeschi (specie
del secolo XV).
Il dinamismo lessicografico in Sicilia viene comprovato, secondo la Della Valle,
dal Liber declari o Declarus, vocabolario latino arricchito di spiegazioni in volgare,
talora anche in volgare siciliano, del benedettino Angelo Senisio, abate di S. Martino
alle Scale (Palermo), scritto presumibilmente dopo il 1352.
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I componimenti finora citati si fondavano, generalmente, sulla tecnica
dell’expositio, cioè della glossa sinonimico – esplicativa, o della derivatio, tecnica
imperniata sul raggruppamento di voci con comune base etimologica e l’aggiunta di
grossolane definizioni, etimologie, indicazioni grammaticali e volgarismi.
Accanto a queste opere bisogna osservare anche i numerosi glossari latino-
volgari composti tra la fine del XIV e XV secolo: i glossari latino-veneti, latino-
bergamaschi, latino-sabini, latino-reatini. Si tratta di opere dall’uso semplice per le
nuove necessità dei mercanti e degli artigiani, nelle quali venivano riportate soprattutto
voci comuni e diffuse, potendo confrontare, così, le espressioni latine con le
corrispondenti forme regionali. Si prenda come riferimento il Vocabularium breve
latino-veneto del lessicografo e umanista bergamasco Gasparino Barzizza, databile tra
la fine del secolo XIV e i primi decenni del XV, tuttavia ancorato ad un sistema ed a
una visione medievale, per la quale le circa 2.500 voci dovevano essere riportate
secondo una progressione gerarchica che iniziava da Dio per finire, dopo le voci
riguardanti le parti del mondo e le attività umane, all’uomo e al suo corpo.
Dalle zone centrali della penisola, giungono il glossario latino-reatino di
Giovanbattista Valentini, detto il Cantalicio, umanista e maestro di scuola sabino, nel
quale si susseguono circa 6.000 voci latine seguite dalle corrispondenti voci volgari, e il
glossario latino-sabino di ser Jacopo Ursello da Roccantica, notaio-maestro che riunì
circa 350 voci in ordine alfabetico, per i suoi allievi.
Scritti di altro genere, confrontavano lingue diverse: da citare il dizionario
veneziano-tedesco stampato a Venezia nel 1477 con il titolo Libro el quale se chiama
introito e porta; un vero e proprio dizionario bilingue per commercianti e viaggiatori,
con elenchi di espressioni ripartiti per settori.
Diverso è per un piccolo vocabolario senza titolo, nel quale parole in dialetto
milanese vengono associate ai corrispondenti vocaboli fiorentini. Lo scrittore è il
viaggiatore, informatore politico, e memorialista fiorentino Benedetto Dei, che
raccolse, sul finire del XV secolo, circa 270 tra parole ed espressioni idiomatiche con
fine prettamente documentario, stimolato dall’interesse per i vocaboli bizzarri e insoliti.
I vocaboli sono principalmente culinari, commerciali e artigianali: il Dei aveva vissuto
molto tempo a Milano, e si era annotato una serie di parole d’uso quotidiano, per
preservarne la memoria e per riutilizzarle nei sonetti milanesi che avrebbe scritto anni
dopo (la curiosità per i dialetti e per le usanze popolari era particolarmente sentita alla
Corte di Lorenzo de’ Medici, della quale facevano parte Luigi Pulci, Leonardo da Vinci
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e lo stesso Benedetto Dei). Si tratta di parole raccolte probabilmente qua e là per le vie
di Milano, appuntate senza spiegazioni e seguite dall’equivalente voce fiorentina.
1.3 Dalla lessicografia moderna alla lessicografia settecentesca
Fino a questo momento la Della Valle menziona, principalmente, opere
manoscritte, che passavano di mano in mano attraverso copie e copie di copie. Con
l’invenzione della stampa, nella metà del secolo XV, aumentò la distribuzione dei
dizionari.
Un celebre scritto uscì dai torchi con il titolo Ambrosii Calepini bergomatis
Dictionariumun dell’umanista bergamasco Ambrogio Calepino (o Ambrogio da
Calepio). L'opera, un po' lessico un po' enciclopedia antiquaria, con abbondanti
digressioni erudite, fu data alle stampe nel 1502 e contò nove edizioni in sette anni,
continuando ad essere ripubblicata, con rielaborazioni e aggiunte, in numerose ristampe
(nel 1590 ne fu pubblicata un’edizione che comparava addirittura 11 lingue). Senza
saperlo, però, il Calepino non diede il suo nome solo a quello che resta un best seller
del XVI secolo e la pietra miliare di un monumento conclusosi solo, nei continui
rifacimenti, a Settecento inoltrato, ma la fama del dizionario fu tale da passare a
designare per antonomasia lessici, dizionari, repertori (detti appunti calepini), e
calepino è diventato in seguito un nome comune, col significato di “vocabolario” o,
spiritosamente, con il significato di “compilazione erudita”.
Pochi anni dopo, nel 1531, Robert Estienne, membro di una famiglia di tipografi
e librai parigini, pubblicò il Thesaurus Linguae Latinae, successivamente seguito dal
Thesaurus Linguae Graecae. Si trattava, però, nuovamente di opere che riconoscevano
nelle sole lingue classiche l’eredità culturale da tramandare e il modello cui
uniformarsi.
È italiano (Venezia, 1612) il primo grande lavoro lessicografico di una lingua
moderna: il Vocabolario della Crusca, curato e divulgato dagli Accademici della
Crusca di Firenze.
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Gli autori si rifecero al fiorentinismo bembiano
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, attenuato, però, dalla visione
di Leonardo Salviati, umanista e filologo fiorentino ben inserito nei circoli della
migliore cultura cittadina, riuscendo, così, nell’impresa di ridare il primato linguistico
al fiorentino scritto del Trecento (Della Valle 2009: 16).
Colpisce il fatto che la nascita del primo grande vocabolario di una lingua
moderna avvenga proprio in un paese, l’Italia, suddivisa ancora in tanti stati differenti,
quindi non ancora nazione, rispetto a stati europei nei quali, invece, l’unificazione
linguistica si era già realizzata. Incredibilmente fu proprio un dizionario, in assenza di
un centro politicamente e culturalmente dominante, ad attestare il primato linguistico
non di una nazione, ma di una città: Firenze.
A dispetto delle critiche e delle diatribe che sorsero nei confronti del dizionario,
immediatamente dopo la sua divulgazione, e al quale si condannava, in più direzioni,
l’imposizione esageratamente arcaizzante e discriminatoria, si deve notare che
nessun’altra lingua moderna possedeva, a fine Seicento, un vocabolario che potesse
essere comparato a quello dell’Accademia.
Nel 1694, a Parigi, venne pubblicato il Dictionnaire de l’Académie française,
dedicato a Luigi XIV. Differentemente dal Vocabolario della Crusca, seppur
rifacendosene all’impostazione generale, il dizionario francese (80.000 lemmi totali)
non riportava richiami d’autore: gli esempi erano prodotti dall’immaginazione dei
redattori e le voci erano riunite in famiglie (successivamente venne seguito l’ordine
alfabetico).
Però, come nota Valeria Della Valle, l’opera francese nasceva in un contesto
storicamente e culturalmente differente da quello fiorentino. Nella Francia seicentesca
il modello era delineato non sulla lingua scritta degli scrittori passati, come avveniva in
Italia, ma sul linguaggio parlato, usato a Corte e nei salotti letterari: la lingua francese
era, differentemente dalla lingua italiana, nel periodo di massimo splendore e aveva,
così, la capacità e la possibilità di proporre esempi d’uso moderno senza doversi
avvalere delle opere di scrittori antichi; come il Vocabolario della Crusca, neppure il
Dictionnaire de l’Académie française considerava il lessico della scienza, della tecnica
e delle arti.
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Proprio di Bembo, maestro del classicismo volgare.