Introduzione
Nell’ultimo decennio, in Italia vi è stato un profondo processo di
mutamento politico. La sfiducia nei confronti delle istituzioni e dei
soggetti tradizionali della partecipazione (soprattutto i partiti) si è
tradotta in pulsioni antipolitiche e nello sviluppo di risposte populiste,
personalistiche e pseudocarismatiche. Malgrado i riti, le celebrazioni,
gli inchini retorici, i sintomi sembrano non lasciare dubbi: la
democrazia italiana (e non solo) è sempre più malandata. L’aspetto
singolare è che, a differenza di quanto nei decenni passati molti
avevano temuto, il suo deperimento non è la conseguenza di trappole,
di imboscate, ma piuttosto di svuotamento, sottonutrizione, apatia,
indifferenza. Come si manifesta tutto questo? Osservando la realtà la
risposta è: Attraverso il sentimento antipolitico, cioè quella spia che
appare e scompare in corrispondenza dei momenti di crisi del sistema
sociale, politico, economico. Ovvero una manifestazione evidente di
un’eccessiva vischiosità del mutamento politico italiano rispetto alle
dinamiche del mutamento sociale, un mutamento nel quale le basi
sociali della democrazia si trasformano, mentre gli attori della politica
persistono nella loro staticità. L’antipolitica dunque è un fenomeno
ciclico, il quale assume livelli di maggiore intensità in corrispondenza
di un sistema politico non in grado di rispondere alle domande che
emergono dalla società e con istituzioni che non offrono un’adeguata
risposta
1
. È spiegabile in questi termini l’attuale discorso antipolitico:
Un fenomeno complesso e non omogeneo, da sempre, un’etichetta
sotto la quale si celano più realtà, spesso in contraddizione
2
tra loro.
1 Marletti (2002)
2 Mastropaolo (2005)
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Inoltre, l’antipolitica si può ricondurre a diverse tipologie, tra cui
un’antipolitica attiva e una passiva, e a diversi attori, da cui la
distinzione tra un’antipolitica élite level e una mass level
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. Possiamo
indicare quindi l’esistenza di un’antipolitica dall’alto, connotata dal
populismo, personalizzazione e mediatizzazione, cioè un’antipolitica
talvolta veicolata dai partiti stessi, ed un’antipolitica cosiddetta “dal
basso”, connotata da atteggiamenti di rifiuto nei confronti della
politica e dei suoi attori che da parte dei cittadini e si manifestano
soprattutto con fenomeni quali l’astensionismo elettorale. Vedremo
nel proseguo quale sarà il rapporto e il cortocircuito innestato tra i due
livelli antipolitici e come si sviluppano.
Indubbiamente, uno dei tratti caratteristici dell’attuale momento
antipolitico è l’avversione verso “la casta”, ma questa non è una
particolarità del momento attuale; bensì il tema fa parte dello studio
sociologico della democrazia e anzi, la particolarità di una sua assenza
o marginalità sembra contraddistinguere, come un eccezione, solo la
stagione della democrazia dei partiti di massa. Sarà proprio il
passaggio avvenuto nelle democrazie occidentali “avanzate” da quella
tipologia di democrazia partitica, nella quale il sentimento antipolitico
secondo la maggior parte della letteratura è assente, all’attuale
democrazia o postdemocrazia, ad essere uno dei campi di indagine per
l’analisi dei fenomeni di antipolitica dall’alto e dal basso che
nell’ultimo decennio si sono verificati in Europa e in Italia.
Dunque nella prima parte della trattazione si cerca di analizzare la
salute delle democrazie europee focalizzando l’attenzione sul loro
passaggio dal momento “moderno” a quello “globale”, quindi
discutendo la crisi della loro forma di democrazia rappresentativa. La
letteratura sostiene che la democrazia rappresentativa, così come
3 Mete (2005)
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l’abbiamo conosciuta negli ultimi cinquant’anni, sia all’interno di una
processo di logoramento e stia scivolando lungo una parabola
negativa. Per letteratura si intendono in questo caso le cosiddette
teorie postdemocratiche o di democrazia mediatizzata, secondo le
quali la democrazia rappresentativa è legata a una fase storica (la
modernità) che ora non c’è più, mentre oggi siamo alle prese con
trasformazioni globali così radicali (la rete, la globalizzazione, …) da
aver reso obsoleto oltre alla democrazia rappresentativa, addirittura il
concetto di Stato. Queste trasformazioni dunque sarebbero all’origine
di tendenze inevitabili e interdipendenti tra loro: si possono ricordare
ad esempio, lo svuotamento dei partiti politici, la costituzione
di superpoteri sovranazionali (economici, finanziari, …), lo strapotere
dei mezzi di informazione, nuove modalità di fare politica. Insomma,
si assiste ad una crisi di adattamento dei sistemi democratici e del
contenuto democratico alle variazioni esogene.
Le variazioni a livello democratico colpiscono soprattutto i partiti, ed
è quello che si evidenzia nella seconda parte. Inizialmente si sottolinea
come le organizzazioni partitiche siano un oggetto mutevole, che
fanno proprio dell’adattabilità una delle loro principali risorse
4
. Nel
proseguo, ci si concentra sul caso italiano. Quindi, nelle prime due
parti viene delimitato il terreno ed emerge come la crisi della
democrazia rappresentativa e la peculiarità dei partiti come oggetti
mutevoli siano elementi che rendono fertile l’Italia all’accoglimento di
fenomeni e aspetti tipici dell’antipolitica. Nell’ultimo capitolo della
parte seconda vengono analizzati nello specifico le basi identitarie dei
quattro partiti maggiormente votati alle ultime elezioni nonché quelli
con maggiori spunti di interesse. Attraverso un’analisi degli statuti
emergono già nella teoria alcuni elementi che sembrano essere di
4 Bartolini e Mair (1984)
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ostruzione al dilagare antipolitico mentre altri (ampiamente
confermati nella realtà) sembrano essere conformati ad hoc per
sviluppare atteggiamenti dei partiti tipicamente connotati in senso
antipolitico. Infatti, la parte terza rappresenta il passaggio che ci
permette di focalizzarci sull’antipolitica così come l’abbiamo
argomentata all’inizio di questa introduzione, cioè come congerie di
fenomeni che si manifestano in una fase di crisi sistemica. Dal
capitolo quarto le dinamiche dell’antipolitica, declinate nel caso
italiano, dall’inizio degli anni novanta fino ad oggi, assumono aspetti
molto interessanti quali la sfiducia verso partiti e classe politica, il
ruolo degli imprenditori dell’antipolitica, il populismo e acuti
fenomeni di astensionismo elettorale. Gli ultimi venti anni della
politica italiana sono stati contraddistinti da flussi di sentimento
antipolitico diversi per intensità e contesto ma molto simili tra loro.
Infatti, se si paragona il fenomeno antipolitico del biennio 1992-1994
con quello di oggi si evidenziano alcune lampanti regolarità, tra tutti
emerge il ruolo della corruzione configurata come l’epifenomeno di
un malessere generale e un sistema politico incapace di rinnovarsi
perché bloccato dalla contingenza della propria riproduzione. Certo,
bisogna far rilevare come, nei primi anni novanta, questi elementi
fossero accompagnati da un ulteriore macroprocesso di trasformazione
in atto dai partiti: vale a dire la definitiva genesi da strumenti di
integrazione di massa a strutture leggere de-ideologizzate. In Italia,
venute meno le grandi narrazioni collettive dei partiti, emerge
progressivamente l’incapacità della classe politica di ridefinire i
contenuti della rappresentanza politica; i partiti in pratica, oltre a non
riuscire più nel loro compito di governo, non identificano e
rappresentano più la gente comune. Nel 1994 questa incapacità di
ridefinire e di rappresentare fa da volano, oltre ai movimenti
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referendari, all’accrescersi di reazioni antipolitiche connotate dal
populismo, con in prima fila formazioni politiche relativamente
“nuove” come la Lega e Forza Italia
5
. La carica populista si presenta
nella sua veste il di moto reattivo all’interno di un sistema
democratico, seguendo schemi ideologici antielitari e antisistemici
6
, ed
è questo che nella parte terza si cercherà di discutere. Le cause dello
sviluppo di queste forme “politiche” antipolitiche sono le seguenti: per
il caso leghista, una necessità di ridefinire il recinto dell’appartenenza
e una tensione verso la differenziazione di una società, quella
lombarda, che si considerava diversa da quella “centrale”, corrotta e
parassitaria. L’antipolitica infatti è anche un registro discorsivo che
serve a nuovi soggetti a differenziarsi dalle forze già presenti, e si
attua con successo in periodi di crisi del sistema politico. Il linguaggio
dell’antipolitica deve indurre il singolo cittadino a riconoscersi come
parte di un gruppo che si sente trascurato o danneggiato dall’elite del
potere. La contrapposizione identitaria noi-loro
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viene utilizzata anche
da Silvio Berlusconi che sfruttando le potenzialità dei media si pone
come “novello politico” personalizzando in poco tempo non solo la
fase elettorale ma la cultura politica italiana. Nella politica italiana la
sua persona crea un nuovo schema identitario politico sul cui
continuum l’elettore può posizionarsi, la personalizzazione e
mediatizzazione della politica attuata da Berlusconi (e non solo)
sostituisce il vuoto di cleavages lasciato dalla deflagrazione delle
subculture politiche un tempo dominanti. Viene sfruttato dunque un
tratto caratteristico delle attuali democrazia mediatiche: il gradimento
personale. In questo senso, si inserisce il discorso che relaziona queste
5 Tarchi (2003)
6 Mèny e Surel (2001)
7 Campus (2006)
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