INTRODUZIONE Già nell'Ottocento la scienza medica si era occupata della psicologia del malato di
tumore, ma è solo dagli anni '80 del secolo scorso che tale studio si è gradualmente
imposto come disciplina autonoma.
La necessità di mantenere una visione globale del paziente affetto da patologia organica e
di approfondire la conoscenza degli aspetti psicologici della malattia ha comportato una
collaborazione tra le discipline mediche, psichiatriche e psicologiche, coinvolgendo per
ragioni diverse molte figure che si dedicano al campo dell'oncologia (psicologi e
psichiatri, infermieri, volontari, assistenti sociali e spirituali, medici di base, fisioterapisti,
chirurghi e oncologi).
È indubbio che i paesi anglosassoni abbiano avuto un ruolo guida in questo campo,
considerando che i primi centri specificamente dedicati all'assistenza dei malati di tumore
sono nati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. I primi esempi di sostegno alla sofferenza
psicologica nei pazienti neoplastici sono rappresentati dall'attività svolta a partire dal
1950 dallo psichiatra Arthur Sutherland al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di
New York. Circa 10 anni dopo, a Londra, Cicely Saunders struttura un'analoga attività al
St. Cristopher Hospice, definendo gli elementi fondamentali del modello di hospice come
luogo di trattamento del dolore del paziente in fase terminale di malattia.
Da lì l'interesse e gli interventi in psiconcologia si sono moltiplicati sia negli Stati Uniti
sia in Europa, in particolare per due motivi. Il primo è dato dall'interesse sempre
maggiore verso le problematiche della morte e del morire, come testimonia per esempio,
verso la fine degli anni '60, il lavoro della psichiatra svizzera Kubler-Ross che si è
occupata dell'analisi delle reazioni psicologiche del paziente terminale. Il secondo deriva
dalla maggiore attenzione agli aspetti relativi alla qualità della vita che ha via via assunto
un ruolo fondamentale nell'approccio bio-psico-sociale globale al paziente in oncologia.
Le patologie tumorali rappresentano ormai la seconda causa di morte nel mondo
occidentale: tale incidenza dipende sia dalla riduzione della mortalità per altre cause; sia
dal crescente progresso dei metodi di cura che aumentano le possibilità di sopravvivenza
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dei malati di cancro; sia dalla maggiore esposizione a fattori favorenti lo sviluppo di un
tumore (come agenti chimici, alimentari, genetici) e dalla maggiore conoscenza
dell'importanza degli influssi bio-psico-sociali sulle neoplasie; sia, infine, dal significato
paradigmatico che le forme tumorali hanno assunto nel rappresentare la malattia e la
morte nell'uomo contemporaneo.
Tuttavia, pur di fronte a questo incremento, la sopravvivenza dei malati con tumore si è
notevolmente prolungata: la diagnosi precoce, il miglioramento delle tecniche
chirurgiche, chemioterapiche e radioterapiche in alcuni casi possono essere risolutive, in
altri consentono la sopravvivenza anche a distanza di anni.
Tale lungo periodo di sopravvivenza ha comportato però nuove e importanti
problematiche di natura sia fisica sia psicologica.
Il paziente che ha subito una diagnosi di cancro, che ha affrontato un intervento
chirurgico o una chemioterapia, è una persona che va aiutata ad adattarsi a questa nuova
situazione medica ed emotiva, che deve essere condotto a un buon livello di qualità della
vita e di benessere soggettivo, che deve essere re-inserito, se possibile, nel contesto
sociale, relazionale e lavorativo in cui viveva prima della diagnosi.
Fondamentale in questo percorso è il ruolo della disciplina (relativamente nuova, almeno
in Italia) rappresentata dalla psiconcologia che si occupa della presa in carico globale e
multidisciplinare del paziente oncologico nelle differenti fasi che intercorrono tra la
diagnosi del tumore e il trattamento del paziente nel lungo termine e nella fase terminale
di malattia.
La psiconcologia si pone dunque come disciplina specifica di collegamento tra l'area
oncologica e quella psicologica-psichiatrica nell'approccio al paziente con cancro, alla
sua famiglia e all'equipe curante. Gli obiettivi specifici di questa disciplina sono la
prevenzione e la diagnosi precoce, la valutazione dei sintomi di natura psichiatrica e del
trattamento delle conseguenze psico-sociali del cancro, la qualità della vita del paziente e
quella degli interventi psicofarmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi.
All'interno della prospettiva di una comprensione multifattoriale delle forme tumorali, in
termini psicologici la sofferenza causata dal cancro si ripercuote sul Sé/Stile di vita del
paziente, sulla rappresentazione interiore, in parte conscia e in parte inconscia, che
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l'individuo si è formato di se stesso e degli altri nel corso della sua vita. In essa si
sedimentano le esperienze, positive e negative, che si sono acquisite sin dalla prima
infanzia nel rapporto con il proprio corpo e la propria persona, ma anche le figure
relazionali primarie. La qualità di queste esperienze e la capacità di elaborarle e
utilizzarle determinano il grado di autostima di cui un individuo può disporre, su cui si
basa l'organizzazione di personalità di ciascuno.
La psiconcologia quindi si occupa anche dei disturbi del Sé causati dalla malattia, del
loro influsso sul decorso della malattia e delle possibilità di ripristinare il più possibile la
percezione globale di Sé disturbata del paziente oncologico.
Uno degli aspetti principali dell'intervento psiconcologico è rappresentato dal sostegno
offerto al paziente nel corso del percorso terapeutico sia chirurgico, chemioterapico,
radioterapico: molti pazienti mettono in atto meccanismi difesa congrui e adattivi, altri
pongono dei meccanismi di salvaguardia meno efficaci, altri ancora presentano una
sintomatologia psichiatrica, per esempio ansia o depressione, che possono diventare un
elemento aggravante del decorso stesso della malattia.
Una terapia psicologica di sostegno, individuale o di gruppo, consente spesso una
graduale rielaborazione dell'evento traumatico e un miglioramento delle capacità
psichiche di far fronte alla malattia.
In altri pazienti, può essere utile l'impiego di psicofarmaci (ansiolitici, più
frequentemente antidepressivi), finalizzati al trattamento e al superamento dello stato di
crisi e a una miglior accettazione della sintomatologia.
Inoltre, è da considerare che è il dolore che si accompagna alla maggior parte dei tumori,
differenziato a seconda del tipo di patologia e del suo stadio, sempre collegato alle
componenti somatiche e psichiche di ogni individuo.
Il dolore acuto genera ansia, quello cronico depressione: a volte esso è prevalentemente
correlato a sintomi fisici, in altre può essere più importante la componente psicologica ed
emotiva.
La presa in carico del paziente, ancora più che in altre patologie, non può quindi che
essere bio-psico-sociale, coinvolgendo le problematiche mediche e biologiche, quelle
psicologiche ed emotive fino a investire i profondi vissuti esistenziali sul senso
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dell'esistenza, che riaffiorano in ogni individuo posto di fronte alle tematiche della vita,
della morte, del dolore.
La psiconcologia rappresenta dunque un importante anello di integrazione e interazione
tra le discipline mediche e psicologiche per affrontare una patologia così vasta e
multifattoriale che coinvolge la globalità dell'individuo nella sua unicità.
Nel primo capitolo, trattiamo i disturbi psichici più frequenti in oncologia secondo i
criteri della diagnosi nosografica categoriale psichiatrica (disturbi depressivi e
dell'adattamento, disturbi d'ansia, disturbi su base organica e della sessualità).
Nel secondo capitolo, seguendo il modello bio-psico-sociale così affine alla visione
olistica della Psicologia Individuale di Adler, passiamo brevemente in rassegna gli
strumenti di valutazione testistica in psiconcologia secondo le diverse aree di
applicazione che compongono la globalità del paziente, valutandone limiti e possibilità
diagnostiche.
Abbiamo poi approfondito nel terzo capitolo un fattore fondamentale in ambito
psiconcologico, quello della comunicazione tra il medico, l'equipe curante, la famiglia e il
paziente poiché ha importanti riflessi non solo sul percorso di malattia del paziente
stesso, ma anche per il ruolo che inevitabilmente ha negli interventi psicologici e
psicoterapeutici.
Il quarto capitolo analizza le fasi del processo di reazione psicologica (emotiva, cognitiva
e relazionale) e di adattamento al cancro, i meccanismi di difesa e gli stili di coping che
caratterizzano il percorso dell'elaborazione della malattia oncologica e del lutto sia nel
paziente sia nel suo nucleo familiare.
In conclusione, si esaminano le caratteristiche dell'approccio psicologico e
psicoterapeutico in oncologia, valutando, nell'ottica della Psicologia Individuale
adleriana, possibilità e limiti degli interventi psicoterapeutici “del tempo breve” nel
malato di cancro e in fase terminale. A questo scopo viene riportato un caso clinico tratto
dalla mia esperienza svolta nelle cure palliative domiciliari.
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Infine, desidero ringraziare chi è mi è stato vicino e mi ha accompagnato in questo
percorso di studio: il mio compagno Armando, mia madre, mio padre e mio fratello, i
miei amici, i professori e i compagni di classe della Scuola di specializzazione, i miei
pazienti.
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I DISTURBI PSICOPATOLOGICI IN ONCOLOGIA Il recente sviluppo di nuove terapie per la cura del cancro ha consentito di aumentare
sensibilmente la sopravvivenza dei malati oncologici e, di conseguenza, a questo quasi
cronicizzarsi della patologia tumorale, si è accompagnata una maggiore attenzione ai
problemi psicologici e psichiatrici inerenti il decorso della malattia oncologica.
Le modalità con cui il paziente affronta la malattia e le conseguenti reazioni psicologiche
o psicopatologiche sono determinate da molteplici fattori, come le caratteristiche della
patologia tumorale stessa (localizzazione, sintomi, tipo di interventi), il precedente livello
di adattamento e funzionamento psicologico dell'organizzazione di personalità, i limiti
concreti che il tumore pone al raggiungimento dei compiti vitali (famiglia, carriera,
sessualità), la presenza o meno di figure familiari significative e supportive, il tipo di
personalità del paziente, le sue risorse e i meccanismi di coping.
In particolare, sono tre le aree di fattori di rischio che favoriscono l'incidenza psichiatrica,
utili, da considerare sia a livello terapeutico che preventivo:
• Fattori psicologici individuali (anamnesi di disturbi psicologici o psichiatrici,
inadeguati di meccanismi di difesa e adattamento rispetto agli eventi, elevata
tendenza alla repressione delle emozioni, tendenza alla rinuncia);
• Fattori psicosociali (basso livello socio-economico, problemi coniugali o
familiari, scarsa possibilità di ricevere sostegno interpersonale e sociale);
• Fattori medici (presenza di sintomi invalidanti, elevato livello soggettivo di
dolore, breve aspettativa di vita, percezione di inutilità del rapporto con il
medico).
Va evidenziato quindi come la prevalenza dei disturbi psichiatrici in oncologia non sia
ancora facilmente determinabile, poiché i risultati degli studi sono frequentemente
disomogenei in quanto dipendenti dall'età, dal tipo di terapia, dallo stadio del trattamento
del paziente.
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Inoltre, va sottolineato che l'applicabilità dei criteri clinico-diagnostici dei più noti
manuali nosografici attuali come il DSM-IV-TR, alla patologia oncologica è spesso
inadeguata: alcuni disturbi frequenti in oncologia, definiti “sottosoglia”, non trovano
adeguata collocazione. Spesso i criteri (durata, intensità dei sintomi) non sono soddisfatti
appieno per una diagnosi specifica: è il caso, per esempio, di quadri clinici come le
depressioni minori, i quadri ansioso-depressivi o di atteggiamenti come la
demoralizzazione secondaria o i problemi relazioni secondari alla malattia. Gli stili di
coping, poi, fondamentali in oncologia, sono scarsamente considerati.
Riguardo alla prevalenza delle patologie psichiatriche in oncologia, uno degli studi
epidemiologici più significativi è stato condotto nel 1983 negli Stati Uniti dal
Psychosocial Collaborative Oncology Group (PSYCOG) che riporta una casistica di 215
pazienti, ricoverati ed ambulatoriali, in tre famosi centri oncologici americani. In tale
indagine, attraverso i criteri diagnostici del DSM-III, si è riscontrato che il 53% dei
pazienti presentava sintomi emozionali (insonnia, ansia, tristezza) considerabili
all'interno di una soglia fisiologica, mentre il 47% soddisfava criteri per un disturbo
psichiatrico. Tra questi, il 32% presentava un disturbo dell'adattamento con un umore
depresso, ansioso o misto, il 13% presentava un episodio depressivo maggiore, il 4% un
disturbo mentale organico, il 3% un disturbo di personalità e il 4% un disturbo d'ansia. In
Italia è stato replicato lo studio che ha dimostrato un'analoga prevalenza di disturbi
psichiatrici nel 49% dei pazienti, in particolare disturbo di adattamento (31%) e disturbo
affettivo maggiore (13%) (Biondi et al, 1995).
La stragrande maggioranza delle diagnosi è rappresentata dallo spettro del disturbo
depressivo che comprende il disturbo di adattamento e la depressione maggiore e “quasi
il 90% dei disturbi psichiatrici osservati si configura come una reazione alla malattia o
una manifestazione del disturbo stesso e del suo trattamento. Solo l'11% rappresenta un
disturbo psichiatrico primario” (Torta, Mussa, 2007, pp. 27-28). Questo dato
confermerebbe che i pazienti oncologici sono generalmente individui psicologicamente
sani, ma sottoposti a un evidente distress emozionale causato dalla malattia.
Al di là dei dati numerici di prevalenza psichiatrica, è importante evidenziare comunque
come una corretta definizione psicodiagnostica possa migliorare il tipo e l'approccio
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psicoterapeutico: la presenza di stress emozionale e di alterazioni dell'umore, spesso
associati al cancro, non può essere considerata solo come ineluttabilmente correlata alla
patologia neoplastica, ma anche come condizione clinica degna di autonomia e
potenzialmente curabile.
Risulta quindi difficile trasporre le varie classificazioni psichiatriche in ambito
oncologico senza un'adeguata distinzione tra una patologia psichica vera e propria
preesistente alla diagnosi di cancro e ciò che invece è strettamente correlato alla patologia
oncologica.
È indubbio quindi che, data la molteplicità dei fattori chiamati in causa in tali quadri, le
situazioni avanzate di malattia si presentano spesso problematiche ed è sempre necessaria
una particolare attenzione nella valutazione della natura organica dei sintomi psichiatrici
per effettuare diagnosi corrette e i relativi trattamenti.
In generale dunque: a) una condizione di sofferenza psichica, inquadrabile come disturbo
psichico patologico secondo i criteri nosografici categoriali, è registrabile circa nel 35-
45% dei pazienti nella fase immediatamente successiva alla diagnosi, con una
significativa prevalenza dei disturbi dello spettro depressivo; b) la morbilità psichiatrica
tende a ridursi gradualmente nel periodo successivo (entro i 6-8 mesi) se il quadro clinico
non si aggrava e se non esistono fattori di rischio aggravanti; c) la necessità di
mantenimento di terapie invalidanti, la recidiva di malattia e l'aggravamento delle
condizioni del paziente comportano una ricomparsa di disturbi psicopatologici in
percentuali anche più elevate (50-60%); d) nelle condizioni avanzate di malattia la
prevalenza dei disturbi psicopatologici è alta, in particolare di disturbi mentali su base
organica.
I disturbi psichici di cui soffrono più frequentemente i pazienti oncologici, sia nella fase
iniziale sia in quella terminale della malattia neoplastica, sono dunque i disturbi
depressivi e di adattamento, i disturbi d'ansia (fobie specifiche, sintomi d'ansia
generalizzata, sindromi miste ansioso-depressive), i disturbi psichici su base organica, i
disturbi della sessualità, mentre una problematica a parte è rappresentata dal dolore
neoplastico, sulla cui intensità sono coinvolti fattori sia somatici sia psicologici.
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1.1 Disturbo dell'adattamento Il Disturbo di adattamento rappresenta uno stato psicologico intermedio tra una chiara
patologia psichiatrica e una fisiologica risposta di adattamento ad un evento stressante,
che si manifesta entro 3 mesi e ha ricadute in alcuni ambiti psicosociali come il lavoro, le
relazioni interpersonali, le attività quotidiane.
Posto che è fuori discussione che la diagnosi di cancro sia un evento stressante, va
valutata come e quanto sia maladattiva la risposta del paziente.
I criteri del DSM-IV-TR per questo tipo di disturbi manca di specificità, ma consente di
definire alcuni stati psicopatologici che sono abitualmente “sotto soglia” rispetto ai criteri
clinici tradizionali.
Per definire il Disturbo di adattamento occorrono una stretta relazione temporale tra
evento stressante (ad esempio diagnosi di cancro, recidiva, terapia) e comparsa dei
sintomi, una significativa interferenza della stessa sintomatologia sul funzionamento
sociale e familiare e una durata di malattia non superiore a 6 mesi dopo la risoluzione
dell'evento stressante o delle sue conseguenze (quest'ultimo criterio appare ovviamente
poco adattabile a una patologica cronica e talora prognosticamente infausta come il
cancro).
Il Disturbo dell'adattamento può manifestarsi nel sottotipo associato a umore depresso
(sono presenti tristezza e disperazione), ad ansia (con palpitazioni ed agitazione) e misto.
Va comunque evidenziato come nessun criterio per il Disturbo di adattamento è esente da
critiche circa la sua applicabilità in oncologia: per esempio è poco chiaro come possa
essere concettualizzato il significato di “reazione disadattiva” in termini quantitativi e
qualitativi rispetto alle numerose variabili in gioco nei pazienti oncologici come cultura,
genere, età, esperienze precedenti o al significato soggettivo di gravità che ciascuno dà
agli eventi. Perciò alcuni autori hanno preferito una modificazione concettuale del
termine in “demoralizzazione secondaria” o di “disturbo reattivo a patologia somatica”.
La variabilità di adattamento può essere inquadrabile secondo tre aspetti specifici: a)
medico, riguarda strettamente la patologia in atto, il decorso, la gravità, lo stadio, il tipo
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