1. INTRODUZIONE
1.1 Le specie alloctone e le invasioni biologiche
L‟incremento esponenziale della popolazione umana e dell‟uso
delle risorse naturali ha causato l‟aumento delle attività legate all‟industria
e all‟agricoltura (includendo silvicoltura, pastorizia, ecc.). Questo urban
sprawl (Frumkin, 2002) ha prodotto una serie di modificazioni ambientali
a scala globale: una crescente concentrazione di CO nell‟atmosfera; la
2
produzione e il rilascio di nuovi e persistenti composti organici come i
clorofluorocarburi (CFC) e i policlorobifenili (PCB); l‟alterazione dei cicli
biogeochimici dell‟azoto, zolfo e altri elementi; cambiamenti nell‟uso e
copertura del suolo; la frammentazione, la degradazione e l‟isolamento
degli habitat naturali; la rimozione dei grandi predatori e consumatori in
ambienti terrestri e marini causata dall‟attività venatoria; le invasioni
biologiche da parte delle specie alloctone (Vitousek et al., 1997).
L‟introduzione di specie alloctone al di fuori della loro distribuzione
geografica nativa rappresenta una seria e crescente minaccia alla
conservazione della biodiversità mondiale (Vitousek et al., 1997). Infatti,
questo evento inserisce elementi estranei in un contesto ambientale ove
sono presenti popolazioni di specie animali autoctone. Queste ultime sono
il risultato di un lungo processo coevolutivo con le specie vegetali
indigene e con la storia e i processi ecologici locali (Gatto e Casagrande,
2003). Il numero e la varietà delle specie recentemente introdotte ha
avviato un processo di progressiva alterazione di preesistenti strutture
dinamiche di specie e comunità naturali, anche in relazione al fatto che tali
introduzioni hanno portato ad annullare l‟isolamento ecologico ed
INTRODUZIONE 77
evolutivo indotto dalle barriere biogeografiche. L‟introduzione
antropogena di specie alloctone può, quindi, essere considerato uno tra gli
effetti collaterali del fenomeno noto oggi come globalizzazione, che sta
portando anche ad una progressiva “uniformità biologica” dei continenti
(Vitousek et al., 1997; Scalera, 2001b).
Le specie che, in seguito ad un accidentale o intenzionale rilascio,
riescono ad acclimatarsi, riprodursi e infine naturalizzarsi nei nuovi
ambienti, sono tuttavia ridotte, anche rispetto al considerevole numero di
introduzioni che si riscontrano in tutto il mondo. Questo avviene sia per
cause demografiche (un numero troppo piccolo di individui può non
essere in grado di consentire l‟effettiva colonizzazione di un‟area), sia per
cause ecologiche (presenza di predatori e di fattori ambientali fortemente
limitanti; Andreotti et al., 2001).
In alcuni casi però, in assenza di predatori naturali, le specie
alloctone riescono ad insediarsi con popolazioni stabili e a riprodursi tanto
da non rappresentare più solo un elemento di novità dal punto di vista bio-
ecologico ma una vera e propria minaccia, causando gravi danni non solo
di natura ecologica (a livello di comunità, ecosistemi, processi), entrando
in competizione con le specie autoctone per le risorse trofiche, ma anche
di tipo economico (ai raccolti e agli animali di allevamento) e igienico-
sanitario, con effetti sulla salute umana (Vitousek et al., 1997). Le specie
alloctone che hanno un tale impatto sulla componente antropica, sulla
biodiversità e i processi sono note come “specie invasive” (SI).
Williamson (2006) ha calcolato che su dieci specie introdotte, in media
solo una riesce a insediarsi in natura e che per dieci specie insediate, in
media solo una diventa invasiva.
Tra i vertebrati, l‟introduzione di specie alloctone si colloca al
secondo posto, subito dopo la distruzione dell‟habitat, tra le cause di
INTRODUZIONE 88
estinzione (20%) e minaccia (12%) delle specie di uccelli a livello
mondiale (Gatto e Casagrande, 2003).
Al fine di conservare la biodiversità e di contrastare e gestire in
maniera più consapevole le invasioni da parte di specie alloctone, si sono
attivate diverse organizzazioni internazionali. Le più importanti sono:
lo IUCN (World Conservation Union), che, dal 1948, ha
l‟obiettivo di “influenzare, incoraggiare e assistere le società
del mondo al fine di conservare l'integrità e la diversità della
natura e di assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse
naturali sia equo ecologicamente sostenibile” (IUCN, 2008);
la CITES (Convention on International Trade in Endangered
Species of Wild Fauna and Flora), che, dal 1975, opera per
assicurare che il commercio internazionale delle specie
selvatiche non minacci la loro sopravvivenza;
il GISP (Global Invasive Species Programme), stabilito
durante il primo meeting internazionale sulle specie invasive
tenuto a Trondheim in Norvegia nel 1996, la cui missione è
quella di conservare la biodiversità floristica e faunistica
minimizzando la diffusione e l‟impatto delle specie invasive;
l‟ISSG (Invasive Species Specialist Group), che gestendo il
Global Invasive Species Database (GISD), promuove e
facilità lo scambio di informazioni e di conoscenze sulle
specie invasive e garantisce uno strumento utile agli
interventi gestionali.
INTRODUZIONE 99
1.1.1 Il problema delle specie alloctone in Europa e in Italia
In Italia, come in tutta Europa, gli avvistamenti e le catture di
individui di specie alloctone, sfuggite accidentalmente o rilasciate
intenzionalmente sono sempre più frequenti (Scalera, 2001a).
Nell‟ambito del Sesto Programma Quadro di ricerca dell‟Unione
Europea (P.Q6), è stato finanziato il progetto DAISIE, che consiste in un
portale informativo sulle invasioni biologiche in Europa. Esso ha
individuato 8996 specie alloctone invasive che minacciano gli ambienti
1
marini, terrestri e d‟acqua dolce europei.
L'articolo 1 della legge regionale 14 dicembre 1990, n. 89, definisce
animali alloctoni “i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi delle specie
facenti parte della fauna selvatica esotica, le cui popolazioni vivono
stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nei paesi di
origine, delle quali non esistono in Italia popolazioni naturali anche se gli
2
esemplari si sono riprodotti in stato di cattività nel territorio nazionale”.
Sul territorio italiano sono state individuate più di 110 specie di uccelli
alloctoni (Andreotti et al., 2001), appartenenti soprattutto all‟Ordine degli
3
Psittaciformi e a quello dei Passeriformi (Scalera, 2001a). Fonti ANSA
confermano un aumento anche nelle segnalazioni di specie di pappagalli,
come amazzoni e ara ararauna, rinvenute o consegnate agli agenti del
Corpo Forestale dello Stato. Dati stimati dall‟Ufficio Traffic del Wwf
(2008), che monitora il commercio della fauna selvatica, in riferimento
1
“About DAISIE”, disponibile all‟url: http://www.europe-aliens.org/aboutDAISIE.do, consultato il
10/10/2009.
2
“Regolamento regionale 27 gennaio 1997, n. 1”, disponibile all‟url:
http://www.regione.lazio.it/web2/contents/normativa/dettaglio_regolamento.php?id=69&tipo=tc&nreg
=&anno=&testo= , consultato il 2/11/2009.
3
“Sempre più pappagalli esotici nelle case degli italiani”, disponibile all‟url:
http://www.bioparco.it/forma/news/news_ID960.php, consultato il 2/11/2009.
INTRODUZIONE 1010
alle importazioni di Psittaciformi, indicano, solo in Italia, 45.000 individui
trasportati con un trend cha va dai 6.000 del 1995 ai 19.000 del 2000.
Tra le specie di uccelli che si sono maggiormente adattate a vivere
negli ambienti urbani italiani, sfruttando al meglio le opportunità offerte
dalla convivenza con l‟uomo e con le sue attività, si inseriscono
principalmente quattro specie di pappagalli:
1) il Parrocchetto dal collare (Psittacula krameri, Scopoli,
1769), che è la specie più comune, è una presenza ormai
stabile in diverse città, dal Nord al Sud Italia (Genova, Roma,
Napoli, Lecce, Catania, Palermo e Siracusa; Angelici, 1986;
Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005);
2) il Parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus, Boddaert,
1783), meno diffuso del Parrocchetto dal collare, ma
comunque presente in molte città come Pavia, Bergamo,
Pastrengo e Verona, ma anche a Udine, Trieste, Genova,
Modena, a Roma e sul litorale della capitale, a Molfetta e a
Catania (Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005);
3) l‟Amazzone fronte blu (Amazona aestiva, Linneus, 1758),
con una popolazione stabilizzata a Genova costituita da una
trentina di individui (Andreotti et al., 2001);
4) il Pappagallo ondulato (Melopsittacus undulatus, Shaw,
1805), con popolazioni stabili e nidificanti a Roma (Villa
Pamphilj) fin dai primi rilevamenti nel periodo dal 1999 al
2004 (Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005).
INTRODUZIONE 1111
1.2 Ordine Psittaciformes
1.2.1 Origini evolutive dell’ordine Psittaciformes
L‟ordine degli Psittaciformi (Psittaciformes), a cui appartengono i
pappagalli, si inserisce all‟interno della classe tassonomica degli Uccelli
(Aves), e si distingue dagli altri per i particolari elementi morfologici che
caratterizzano gli animali che ne fanno parte. Le probabili origini
evolutive degli Psittaciformi sono state ricostruite analizzando dati
morfologico-funzionali, ecologici, filogenetici, biogeografici, geologici, e
paleoecologici. Tali studi hanno rivolto particolare attenzione alle
caratteristiche distintive del becco e delle zampe (Cracraft, 2001;
Homberger, 1991; 2003).
I pappagalli sono dotati di un tozzo, robusto becco adunco, formato
da una corta mandibola e una mascella superiore che, non essendo fusa
con il cranio, permette una maggiore fluidità dei movimenti della testa e
del becco. Tale apparato boccale è un ottimo strumento per rompere i
resistenti rivestimenti legnosi di alcuni frutti di cui si cibano, per tagliare,
afferrare e strappare foglie o ramoscelli usati da alcune specie, per la
preparazione di una lettiera nei nidi prima della deposizione delle uova, ed
anche, come nel caso del pappagallo monaco, per la costruzione e il
mantenimento dei nidi. In particolare, le strutture specializzate (scaglie
ossee trasversali) presenti lungo il perimetro del lato interno della
mascella superiore ricurva, forniscono maggiore presa all‟animale nel
momento in cui afferra i semi oleosi di cui si nutre. Le superfici taglienti e
orizzontali della mascella inferiore permettono di inciderli e romperli
prima di ingerirli (Homberger, 1980a; 1980b; 2003).
INTRODUZIONE 1212
La possibilità di usare simultaneamente la muscolatura mandibolare
e mascellare rende massima la pressione del morso. Il vantaggio selettivo
di queste caratteristiche morfologiche si manifesta soprattutto in
specifiche condizioni ambientali, dove cioè le piante producono frutti
fibrosi e resistenti, i cui semi sono accessibili unicamente ad uccelli che
possiedono un elevato grado di specializzazione (Homberger, 2003).
Altri caratteri importanti degli Psittaciformi sono le zampe
zigodattile, che con quattro dita, il secondo e il terzo dito rivolti in avanti,
il primo e quarto rivolti nella direzione opposta, conferiscono ai pappagalli
una eccezionale agilità negli spostamenti tra i rami degli alberi, forniscono
un punto d‟appoggio alla parte anteriore del corpo, permettono di
muoversi con più facilità e precisione e suggeriscono una probabile
evoluzione da uccelli ancestrali di ambienti forestali. L‟ipotesi da cui si
possano far derivare gli Psittaciformi da antenati adattati alla vita nelle
foreste, è in linea con altre caratteristiche ecologiche di questi animali
(Homberger, 2006).
Per esempio, l‟abitudine a nidificare nelle cavità dei tronchi di
alberi morti, il colore bianco dei gusci delle uova e il piumaggio
appariscente, indicano che le specie ancestrali probabilmente
necessitavano di luoghi riparati dove poter covare e nascondere le uova e i
nidiacei. Quest‟ultimi pur essendo alla nascita inetti, crescendo,
sviluppano un cervello voluminoso, che li rende tra gli uccelli con le
capacità cognitive più elevate. Sono capaci di apprendere, direttamente
tramite l‟esperienza individuale o indirettamente dall‟osservazione di altri
individui, molteplici e complessi comportamenti. Questa peculiarità
conferisce a queste specie un alto grado di encefalizzazione che
contribuisce a supportare l‟ipotesi che i pappagalli derivino da uccelli
ancestrali arboricoli. Nutrendosi di cibo non direttamente esposto alla loro
INTRODUZIONE 1313
vista, come possono esserlo i semi contenuti in frutti legnosi, questi
animali svilupparono capacità cognitive che permisero loro di
riconoscerne la presenza attraverso evidenze indirette acquisite con
l‟esperienza (Homberger, 2006).
Le grandi dimensioni del cervello hanno fatto guadagnare agli
Psittaciformi l‟appellativo di avian primates, cioè primati tra gli uccelli
(Aves). Proprio come i primati, i pappagalli sono animali curiosi, che
amano esplorare l‟ambiente e interessati da tutto quello che li circonda
(Mettke-Hofmann et al., 2002; Pepperberg, 2002).
4
Studi di filogenesi molecolare multilocica hanno accertato che
l‟origine degli Psittaciformi può essere collocata tra la fine del Cretaceo e
l‟inizio del Terziario, in Gondwana dopo la separazione dell‟Africa dal
blocco India-Madagascar, a cui è seguita una diversificazione delle specie
dovuta sia a vicarianza che a dispersione (Wright et al., 2008).
Le specie che appartengono all‟ordine degli Psittaciformi risultano
oggi avere una distribuzione generalmente pan-tropicale: Australia,
Tasmania, Nuova Zelanda, Nuova Caledonia, Isole Fiji, la parte centrale
della Nuova Guinea, l‟Africa Sud-Sahariana, il Sud America, con alcune
specie presenti anche nelle regioni più temperate dell‟emisfero Australe e
una specie in Nord America (il Parrocchetto della Carolina, Conuropsis
carolinensis Linneus, 1758; recentemente estinto). La maggiore presenza
di specie e sottospecie di pappagalli si trovano in Sud America ed
Australasia (Homberger, 2006; Waterhouse et al., 2008).
4
su più loci.
INTRODUZIONE 1414
1.2.2 Classificazione dell’ordine Psittaciformes
Alla relativa facilità con cui è individuabile l‟ordine Psittaciformes
si contrappone una difficoltà nell‟inquadrare le successive suddivisioni
tassonomiche, quali le famiglie, le sottofamiglie, i generi e le specie
(Homberger, 2006).
La comunità scientifica ha proposto numerose classificazioni negli
ultimi decenni, ma, generalmente, si sono rivelate quasi tutte incomplete o
inesatte. La ragione principale della difficoltà nel proporre una
classificazione più sicura è dovuta al fatto che, questo ordine è un gruppo
molto antico con una lunga storia evolutiva, nel corso della quale si sono
verificati numerosi e successivi cambiamenti climatici e ambientali.
Queste modificazioni dell‟ambiente hanno esercitato una forte pressione
selettiva sulle specie animali abitanti le diverse regioni del pianeta. Si è
assistito così alla formazione di specie che, pur derivando da linee
filetiche differenti, hanno occupato la stessa nicchia ecologica sviluppando
caratteristiche morfologico-funzionali simili anche se acquisite in maniera
indipendente per convergenza adattativa (Homberger, 2006).
Questa similarità tra specie, dovuta a cause diverse dall‟origine
comune, come risultato di evoluzione indipendente (convergenza,
parallelismo, retromutazioni), viene definita da Begun (2007) come
“omoplasia” e si contrappone all‟”omologia”, che i tassonomi definiscono
la somiglianza derivante da caratteri acquisiti da antenati comuni. I biologi
evoluzionistici hanno come obiettivo di studio la distinzione tra caratteri
omoplasici e omologhi. L‟omoplasia può fornire evidenze errate sulle
relazioni filogenetiche, se erroneamente interpretata come omologia (Poe,
2005; Homberger, 2006).
INTRODUZIONE 1515
Osservando le variazioni nella conformazione anatomica degli
elementi ossei dell‟orbita di diverse specie di Psittaciformi, questi sono
stati suddivisi in due differenti gruppi. Il primo gruppo mostra un‟orbita
ossea chiusa (completa) costituita dalla giunzione del processo orbitale
con il post-orbitale, formando così un‟arcata suborbitale. Nel secondo
gruppo di Psittaciformi è assente l‟arco suborbitale, mentre è presente una
finestra orbitale ossea aperta (incompleta), tipica della maggior parte degli
uccelli moderni (Machado et al., 2006). La struttura ossea completa,
presente nel primo gruppo, si è rivelata essere connessa ai movimenti
laterali della mandibola che alcune specie mostrano durante
l‟alimentazione (Homberger, 2006). La struttura ossea incompleta, al
contrario, è interpretabile come un carattere residuo di condizioni
ancestrali, caratterizzante le specie più primitive di Psittaciformi
(Homberger, 2006; Machado et al., 2006).
Un ulteriore ostacolo alla classificazione dell‟ordine degli
Psittaciformi, è stata la simultanea presenza in una singola specie di
caratteri primitivi e derivati (“evoluzione a mosaico”), come risultato di
cambiamenti evolutivi asincroni. Questo è il motivo per cui la filogenesi
di alcune strutture anatomiche non corrisponde, a volte, a quella di altre
strutture presenti nella medesima specie. E‟ importante quindi che ci sia
un‟attenta analisi e integrazione di dati e osservazioni per ricostruire la
storia evolutiva di ciascuna specie, genere, sottofamiglia e famiglia di
Psittaciformi (Homberger, 2006). L‟aumento delle dimensioni corporee,
per esempio, viene considerato un carattere derivato, perché compromette
la sicurezza e la stabilità durante il volo. Infatti, gli uccelli che hanno
perso la capacità di volare, hanno raggiunto le dimensioni corporee
maggiori all‟interno della classe (Homberger, 2006). Seguendo lo stesso
ragionamento, una specie con dimensioni corporee ridotte, come la
INTRODUZIONE 1616
calopsitta comune (Nymphicus hollandicus, Kerr, 1792), appartenente alla
famiglia dei Cacatuidae, una delle tre famiglie maggiori dell‟ordine
insieme ai Loridae e agli Psittacidae, potrebbe essere considerata la più
antica della famiglia, con i suoi 30-32 cm dalla testa alla punta della coda.
In realtà, tenendo conto del fatto che la calopsitta possiede caratteristiche
anatomiche dell‟apparato boccale che sono il risultato di un adattamento
ad un clima arido, questa specie non può essere inserita tra le specie più
primitive della famiglia (Homberger, 2006).
La figura che segue (Fig. 1.1) mostra la classificazione dell‟ordine
degli Psittaciformi proposta da Luescher (2006).
INTRODUZIONE 1717
Fig. 1.1 - Classificazione filogenetica dell‟ordine Psittaciformes (Luescher, 2006).
INTRODUZIONE 1818
1.3 Stato delle popolazioni di pappagalli in natura
I pappagalli oggi vivono solo nelle regioni tropicali e temperate
dell‟emisfero Sud, ma due paleontologi irlandesi, Waterhouse e Lindow
(2008), hanno recentemente scoperto, in Scandinavia, resti fossili di
Psittaciformi vissuti circa 55 milioni di anni fa (Eocene). Tali scoperte
confermerebbero la presenza di pappagalli nelle regioni che oggi sono
occupate da Norvegia e Danimarca. Questo pappagallo fossile, a cui è
5
stato dato il nome Mopsitta tanta (Pappagallo blu danese), è stato
scoperto sull‟Isola di Mors nel Nord-Est della Danimarca, lontano da dove
ci si potrebbe normalmente aspettare di trovare un esemplare di questo
ordine. Quando questa specie era in vita, la maggior parte del Nord
Europa era caratterizzato da un clima generalmente caldo e più uniforme
dell‟attuale e da un ampia e bassa laguna che copriva quasi tutta la
Germania, il Sud-Est dell‟Inghilterra e la Danimarca (Irish Research
Council, 2008).
Nessuno dei fossili di Psittaciformes rinvenuti nell‟emisfero Sud
risulta più antico di circa 15 milioni di anni fa, quindi questa recente
scoperta suggerisce che i pappagalli si siano evoluti proprio nell‟emisfero
Nord prima di diversificarsi, in seguito, in una notevole quantità di specie
e sottospecie verso Sud, nei tropici. Se da un lato alcune specie hanno
avuto un grande successo ecologico e sono sopravvissute nel tempo,
insediandosi inizialmente in ristretti territori e successivamente ampliando
i loro areali di distribuzione, dall‟altro, molte specie non sono riuscite ad
adattarsi ai cambiamenti climatici e sono andate incontro ad estinzione
(Homberger, 2006).
5
Mo deriva dalla designazione danese “Mo Clay” per descrivere le formazioni Fur di diatomite (farina
fossile costituita da frustoli di Diatomee); psitta è il diminutivo del termine latino Psittacus
(pappagallo o parrocchetto) (Waterhouse et al., 2008).
INTRODUZIONE 1919
Una specie può avere due destini evolutivi possibili: dare origine a
nuove specie (speciazione) o estinguersi senza lasciare discendenti
(estinzione) (Raup, 1994). I valori della speciazione e dell‟estinzione
variano a seconda delle linee evolutive e quelle con il più alto livello di
speciazione e con il più basso livello di estinzione producono la maggiore
diversità di forme viventi. Il fatto che una specie sia più predisposta alla
speciazione o all‟estinzione dipende dalle sue caratteristiche intrinseche.
La variabilità di una specie, soprattutto quella che si verifica in
popolazioni geograficamente isolate, fornisce il materiale da cui si
possono produrre nuove specie (Hickman et al., 1995).
La causa principale che oggi limita fortemente i fenomeni di
speciazione è la riduzione, degradazione, frammentazione e isolamento
degli habitat naturali dei pappagalli, dovuta all‟esponenziale aumento
della popolazione umana (Bullini et al., 1998; IUCN Red List, 2009).
Un‟altra minaccia per la conservazione di questi uccelli è la cattura di
individui nei loro habitat naturali per alimentare il commercio
internazionale di specie alloctone, a scopo ricreativo, di allevamento e di
collezionismo da parte dell‟uomo (Homberger, 2006).
1.3.1 Il commercio internazionale di pappagalli
Nel traffico mondiale di uccelli, quello di pappagalli rappresenta la
più alta fonte di guadagno. Questi uccelli sono richiestissimi come animali
da compagnia, per le loro qualità canore e per la longevità. Il 47% di tutti
gli Psittaciformi commercializzati nel mercato internazionale, e circa
l‟80% degli Psittacini Neotropicali, risultano venduti negli Stati Uniti. La
restante percentuale è venduta soprattutto in Europa e Giappone (Bird
Trade Subcommittee of the AOU Conservation Committee, 1991). Nel
INTRODUZIONE 2020
periodo dal 1997 al 2000, più di 469.600 pappagalli catturati in natura
sono stati ufficialmente importati in Europa (Low, 2003). Tra il 1982 e il
1988 sono stati legalmente esportati 1,8 milioni di Psittacini Neotropicali.
Secondo una stima del mercato internazionale, la mortalità dei pappagalli
precedente al trasporto e la dimensione del traffico illegale suggerisce che,
il numero degli uccelli rimossi dagli ambienti naturali, possa essere due o
tre volte più grande delle esportazioni legalizzate (Bird Trade
Subcommittee of the AOU Conservation Committee, 1991).
Delle 330 specie di pappagalli conosciute in tutto il mondo, 95 (il
28%) sono oggi inserite nelle categorie di minaccia di estinzione dalla
Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). In Sud
America, delle circa 140 specie di Psittacini, 42 sono a rischio di
estinzione (Bird Trade Subcommittee of the AOU Conservation
Committee, 1991).
Esempi di conservazione delle specie minacciate di pappagalli,
attualmente in corso, sono quelli per l‟amazzone fronte rossa di Portorico
(Amazona vittata Boddaert, 1783); il Kaka (Nestor meridionalis Gmelin,
1788) e il Kakapo (Strigops habroptilus Gray, 1845) in Nuova Zelanda, e
del parrocchetto dal ventre arancione (Neophema chrysogaster Latham,
1790) in Australia (Lloyd e Powlesland, 1994).
1.4 Specie oggetto di studio: il Parrocchetto monaco (Myiopsitta
monachus)
1.4.1 Caratteristiche morfologiche
Il Parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus Boddaert, 1783)
(Aves, Psittaciformes, Psittacidae) è una specie di piccola-media