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che l’Italia è una repubblica parlamentare fondata sul lavoro e
che il lavoro rappresenta quell’attività che permette alla società di
svilupparsi sotto un punto di vista sia materiale, sia spirituale.
Questo evidenzia l’impegno dello Stato nel risolvere il
problema di ciò che è fonte di realizzazione di ogni cittadino, di ciò
che è un suo diritto, ma anche un suo dovere: il lavoro.
Lo scopo di questa tesi è di documentare il fenomeno della
disoccupazione in Puglia negli anni ’50, la quale non sarà trattata nei
suoi aspetti generali, ma discussa partendo da alcune realtà industriali
delle singole province pugliesi come per esempio le miniere di bauxite
per la provincia di Foggia, la Stanic o l’Acciaierie e Ferriere Pugliesi
per quella di Bari, i cantieri navali per Taranto, la Tessilmarod per
Lecce o la Saca per Brindisi.
Prima di procedere con la discussione del fenomeno, ho ritenuto
opportuno dedicare alcune pagine sulla situazione economica nella
quale si dibatteva il Mezzogiorno negli anni ’50 e, quali sono stati gli
interventi del governo per risollevare le sorti dello stesso.
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CAPITOLO PRIMO
CARATTERI GENERALI SUL MEZZOGIORNO E
INTERVENTI DEL GOVERNO
§1: ASPETTI GENERALI DEL MEZZOGIORNO;
§2: INTERVENTI DEL GOVERNO
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§1: ASPETTI GENERALI DEL MEZZOGIORNO
Conclusa la guerra, il governo italiano si trovò d’innanzi
all’arduo compito di riportare l’Italia in un contesto economico,
politico e sociale tale da poter competere con le grandi potenze
mondiali, ma la situazione era tutt’altro che favorevole giacché il
suolo italiano era stato utilizzato come un vero e proprio campo di
battaglia.
La struttura economica del Mezzogiorno si presenta agli inizi
degli anni ’50 con le caratteristiche tipiche delle zone più arretrate dal
punto di vista economico.
La densità della popolazione, tenuto conto anche del carattere
montuoso di buona parte del Mezzogiorno, è particolarmente elevata
( 141 abitanti per Kmq ).
Lo stato di sovrappopolazione a sua volta produce una diffusa
disoccupazione e sottoccupazione che specie nelle aree rurali interne
causa livelli di redditi estremamente bassi.
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Come buona parte delle zone economicamente meno sviluppate
il Mezzogiorno soffre di una scarsità di capitali anche perché quelli
esistenti tendono ad emigrare verso le zone più ricche del Paese e il
finanziamento degli investimenti nel Mezzogiorno è reso grazie
all’azione riequilibratrice della spesa pubblica.
§1.1: IL SETTORE AGRICOLO
Nel Mezzogiorno i contadini, non trovando occupazione,
entrano in concorrenza fra di loro per la terra la cui coltivazione è
l’unico mezzo per integrare gli scarsi redditi da lavoro e ciò spinge
verso l’alto la rendita della terra. Il basso costo del lavoro e l’alto
livello delle rendite sono due facce dello stesso problema, l’eccesso di
popolazione rispetto alle risorse disponibili. In tale situazione non vi è
alcun incentivo per il proprietario ad introdurre miglioramenti
produttivi e progresso tecnico nella propria proprietà
1
. E’ molto più
conveniente per il proprietario mantenere rapporti precari di
coltivazione sulle proprie terre, che coltivarle direttamente. Questo
1: A. DEL MONTE e A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell’economia italiana, Il Mulino,
BOLOGNA, 1978, pp. 112-113.
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fenomeno è diffuso soprattutto nel Mezzogiorno perché la maggior
parte della terra è di proprietà di categorie non coltivatrici. Inoltre
questo fenomeno non fa altro che aggravare il divario tra Nord e Sud.
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§1.2: IL SETTORE INDUSTRIALE
Anche l’industria meridionale è caratterizzata, rispetto al resto
d’Italia, da un’arretratezza simile a quella dell’agricoltura.
Anzitutto il contributo dell’industria al prodotto lordo
meridionale è inferiore sia a quello dell’agricoltura che al settore
terziario. Questo mette in evidenza come la struttura industriale sia
prevalentemente artigianale e orientata verso il mercato locale.
Ciò è messo chiaramente in evidenza da alcuni indici,
aggiornati al 1951, come ad esempio il minor peso che ha l’industria
manifatturiera sul totale dell’industria nel Mezzogiorno rispetto alla
restante parte d’Italia (62,4% del valore aggiunto dell’industria del
Mezzogiorno contro l’81% del resto d’Italia). All’interno stesso del
settore manifatturiero sono le industrie tradizionali ( generi alimentari,
tessili, legno, ecc. ) che hanno un peso preponderante ( 71% del valore
aggiunto del settore manifatturiero contro il 46% del resto d’Italia )
2
.
2: A. DEL MONTE e A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell’economia italiana, cit. p. 116.
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In termini d’occupati questi indici sono ancora più significativi.
Il settore a basso contenuto tecnologico occupa il 90% degli addetti
all’industria manifatturiera con una dimensione media di 2,44 addetti
per unità locale contro il 4,14 della media nazionale.
Il Mezzogiorno, pur se presente nei dibattiti politici e culturali
che seguono la seconda guerra mondiale, non assurge
immediatamente alla dimensione di problema nazionale, perché i
problemi della ricostruzione dell’apparato produttivo e della
costruzione di uno Stato democratico impongono scelte di tale
rilevanza e immediatezza che la “ questione meridionale” non è
considerata fra i problemi che devono essere affrontati.
Il problema del Mezzogiorno assumerà rilevanza sia nei
programmi economici dei partiti sia nelle discussioni degli intellettuali
nel 1946 allorché la questione istituzionale è ormai risolta
3
.
A questo punto il problema dell’industrializzazione del
Mezzogiorno riveste un’importanza determinante per lo sviluppo
economico e l’elevazione politica e sociale delle regioni meridionali,
3: Fonte: ISTAT, Occupati presenti in Italia 1951-1973, in Il Mezzogiorno nell’economia italiana,
cit. p.119.
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perché solo attraverso nuove iniziative industriali e
l’ammodernamento e lo sviluppo delle industrie esistenti si possono
creare nel Mezzogiorno fonti permanenti di lavoro e di reddito
4
.
I punti chiave della questione meridionale, così com’emergono
dal dibattito di quegli anni sono
5
:
a) La necessità dell’industrializzazione per far uscire il
Mezzogiorno dalla sua arretratezza;
b) La necessità di un intervento dello Stato volto a modificare le
convenienze dei privati, così da rendere profittevole la
localizzazione di nuovi investimenti nel Mezzogiorno;
c) La convinzione che lo sviluppo del Mezzogiorno è necessario
per lo sviluppo dell’intera economia e quindi l’intervento dello
Stato a favore del Sud è nell’interesse di tutta l’Italia.
4: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno – Gabinetto 1957-1960 (d’ora in avanti
ACS, MI Gab.), Ufficio studi e documentazione, L’industrializzazione ed il Mezzogiorno.
5: A. DEL MONTE e A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell’economia italiana, cit. p. 121.
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§2: INTERVENTI DEL GOVERNO
§2.1: CASSA PER IL MEZZOGIORNO
In seguito a questa situazione del Mezzogiorno il governo istituì
attraverso la legge del 10.08.1950 n.646 la Cassa per il Mezzogiorno.
Questa Cassa era il fulcro di un piano di intervento economico
del governo nel Mezzogiorno che prevedeva una spesa straordinaria di
1280 miliardi per un periodo di 12 anni
6
, più i normali interventi di
competenza dei ministeri interessati.
Lo scopo di questa Cassa non era quello di sopperire ad
esigenze temporanee e contingenti, ma a porre le premesse essenziali
per un graduale e permanente sviluppo economico e sociale del
Mezzogiorno. Queste opere erano dirette a migliorare l’agricoltura, la
rete stradale, le comunicazioni, a porre le basi per l’estensione
dell’istruzione professionale; condizioni tutte indispensabili per
favorire un graduale processo d’industrializzazione.
6: ACS, MI Gab. 57-60, b. 109, Ufficio studi e documentazione, L’industrializzazione ed il
Mezzogiorno, cit.
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Per dare una misura dello sforzo compiuto e dell’azione
organica svolta si riportano di seguito il consuntivo dei primi 7 anni
7
:
1) BONFICHE 187 MLD
2) BACINI MONTANI 35 MLD
3) OPERE DI MIGLIORAMENTO FONDIARIO 136 MLD
4) RIFORMA AGRARIA 220 MLD
5) VIABILITA’ ORDINARIA 87 MLD
6) OPERE FERROVIARIE 48 MLD
7) ACQUEDOTTI E FOGNATURE 73 MLD
8) TURISMO 13 MLD
Per fornire una prova concreta di questi interventi si citano di
seguito alcune opere realizzate
8
in settori ritenuti strategici per lo
sviluppo industriale come quelli della viabilità, delle comunicazioni,
delle fonti d’energia e dell’istruzione professionale.
Sulla rete stradale furono conseguiti notevoli miglioramenti
perché dopo sette anni d’attività le strade sistemate raggiungevano già
i 10600 km e quelle di nuova costruzione i 1200 km.
7: Ibidem.
8: Ibidem.
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A ciò si aggiunse anche il miglioramento della rete ferroviaria
come la linea Salerno-Reggio Calabria o il tratto Bari-Foggia-Pescara
consentendo un notevole miglioramento del traffico con tempi ridotti
di percorrenza e con indubbi vantaggi di ogni genere.
Per le fonti di energia, all’inizio dell’attività della Cassa, nel
1950, la produzione globale di energia elettrica era di soli 2 miliardi e
904 milioni di kwh: alla fine del 1956 tale produzione fu quasi
raddoppiata, toccando i 5 miliardi e 771 milioni.
Per quanto riguarda l’istruzione professionale questa presentava
delle lacune, in termini quantitativi, rispetto al Centro-Nord perché per
esempio la popolazione scolastica degli istituti e delle scuole tecniche
nel Centro-Sud non raggiungeva le 67.000 unità che erano meno della
metà ( 140.000 unità ) del Centro-Nord.
La cassa intervenne quindi sia per potenziare le strutture
preesistenti e sia per costruirne delle nuove perché con il processo di
industrializzazione in atto aumentava la domanda di manodopera
qualificata.