4
comprendere ed esaminare le connotazioni che caratterizzano il “teatro di
narrazione”, al fine di fornire coordinate temporali, formali e contenutistiche atte ad
identificare una proposta drammaturgica recente ed ancora aperta a numerose
possibilità di variazione, ma allo stesso tempo individuabile in rapporto ad alcune
caratteristiche comunemente accettate dagli studiosi di storia del teatro e dalla critica
contemporanea.
Per trovare eventuali analogie, oppure discrepanze, con la categoria teatrale di
riferimento il lavoro di Celestini è analizzato anche dal punto di vista contenutistico,
mettendone a fuoco la metodologia di ricerca del materiale scenico, i diversi esiti
performativi ed i rapporti interdisciplinari con il mondo della letteratura e della
musica.
Le varie performances di Celestini trovano diverse fonti di ispirazione: i temi
della narrazione tradizionale, conosciuta dall’autore tanto grazie ai racconti in ambito
familiare, quanto alle letture di raccolte di favole della letteratura popolare; le
vicende storiche nazionali recenti, legate per lo più alla seconda guerra mondiale e,
infine, le esperienze umane e personali di uomini e donne conosciuti di persona.
In merito ai contatti diretti con i depositari della memoria, finalizzati al
recupero di informazioni e fondamentali nella vita teatrale di Celestini, questi
giustificano il rimando al metodo di studio applicato dalle discipline antropologica e
sociologica. Viene quindi dato risalto alle sue attività di raccolta di testimonianze su
particolari eventi individuali o storici, basato sull’incontro con i portatori dei ricordi
soggettivi oppure collettivi, che si verifica durante la condivisione di esperienze
narrative nel corso dei numerosi laboratori che Ascanio Celestini organizza
frequentemente in tutta Italia.
L’analisi degli esiti performativi diversi, trasmissioni radiofoniche e
pubblicazione dei testi teatrali, ai quali hanno dato origine questi momenti di
preparazione, hanno trovato spazio, nel presente elaborato, accanto ad una trattazione
più ampia delle proposte teatrali conclusive dei vari spazi elaborativi dell’autore.
Non è secondario, infatti, il raffronto tra parola “detta” e parola “scritta”, che risulta
essere uno dei maggiori ambiti di riflessione dello stesso Celestini.
Di fronte ad un genere di teatro, infine, che richiede l’impegno, nella maggior
parte dei casi ma non necessariamente, di un solo narratore in scena, risulta
5
interessante interrogarsi sul concetto di “personaggio” e su quali nuove accezioni
possa assumere questo termine al di fuori del teatro classico tradizionale di regia.
L’opera di Ascanio Celestini risulta innovativa anche da questo punto di vista, perché
vuole rompere il rapporto di continuità con gli esempi drammaturgici precedenti, al
fine di rilanciare un nuovo linguaggio teatrale più immediato e accessibile, adatto ad
instaurare un ponte comunicativo tra narratore e pubblico e finalizzato a creare
ambiti di riconoscimento dell’identità collettiva, paragonabili ad una sorta di rito
laico che si propone di celebrare la centralità dell’uomo.
Lo studio si è concluso con una breve silloge del lavoro teatrale di Celestini,
sintetizzato con schede riferite ai diversi spettacoli e completate dagli estratti delle
recensioni critiche che li hanno accolti.
Lo stimolo maggiore, nello svolgimento di questo studio, è venuto proprio dal
desiderio di superare quelli che avrebbero potuto presentarsi come ostacoli in fase di
elaborazione. Dedicando, infatti, la riflessione ad una tipologia teatrale recente e
all’opera di un autore molto giovane, risultava difficile inizialmente trovare il
materiale necessario per supportare una ricerca. Oltre all’unico libro di raccolta di
saggi dedicati ad Ascanio Celestini, curato da Andrea Porcheddu e pubblicato pochi
mesi prima dell’inizio del mio lavoro, non esistono infatti raccolte unitarie e
strutturate di notizie sul narratore. Tuttavia questa “invisibilità” di mezzi non era
sinonimo di carenza, e la necessità di trovare fonti utili ha imposto la considerazione
di altri possibili spazi di ricerca; rientrano pertanto, nel presente testo, materiali
ottenuti consultando, oltre che libri, quotidiani, periodici e, non ultime, le risorse
telematiche. Sempre grazie alla comunicazione “a distanza”, consntita dalla
tecnologia, è stato possibile inserire, al termine del lavoro, un’intervista concessa con
grande disponibilità dallo stesso Celestini e contenente interessanti dichiarazioni
sulla sua poetica, esposte dallo stesso narratore.
7
1 ASCANIO CELESTINI
Ascanio Celestini è nato a Roma nel 1972. Il padre, Gaetano Celestini detto
Nino, era nato al Quadraro, quartiere della capitale, dove aveva trascorso l’infanzia
durante la seconda guerra mondiale ed aveva appreso “a bottega, sotto padrone”
l’attività di restauratore di mobili che svolgerà per tutta la vita. La madre, Piera
Comin, era invece cresciuta in un altro quartiere romano: Tor Pignattara e aveva
lavorato in un negozio di parrucchiere fino alla nascita del primogenito: Ascanio.
Dopo il matrimonio i coniugi Celestini si sono trasferiti nella borgata Morena dove
tutt’ora Ascanio vive con la moglie, accanto alla madre.
Il nonno paterno, Giulio, carrettiere a Trastevere, a seguito di un incidente che
lo rese “grande invalido del lavoro”
1
fu assunto al cinema Iris, a Porta Pia, dove
ricopriva il ruolo di maschera durante gli spettacoli, quello di guardiano la notte,
mentre la mattina si occupava delle pulizie dei locali, anche il figlio Gaetano passava
molto tempo con il padre nella sala cinematografica. La nonna paterna, Agnese,
veniva da Bedero, un centro in provincia di Varese, vicino al Lago Maggiore.
Giovanni, il nonno materno, era boscaiolo. Con la nonna materna Marianna, di
Anguillara Sabazia nell’alto Lazio, Ascanio Celestini ha invece vissuto le prime
esperienze di “ascoltatore” di racconti della tradizione popolare. La cucina della
1
Cfr. il sito «http://www.ascaniocelestini.it/»
8
nonna materna era il centro in cui si svolgevano le quotidiane riunioni delle “donne
di famiglia” e la nonna raccontava e raccontava:
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava Marianna.
La sorella; Fenisia, levava le fatture e lei raccontava storie di streghe
2
e ancora:
Aveva un repertorio di racconti di streghe che raccontava in tempi e in
luoghi che solo apparentemente non avevano alcuna importanza.
Capitava sempre che ci fossero donne e ragazzini ad ascoltarle queste
storie, mentre gli uomini adulti se ne andavano via, lasciando le donne in
cucina a lavare i piatti e a preparare la cena. Marianna, allora, si metteva
a raccontare…
3
Durante l’adolescenza Ascanio Celestini frequenta il liceo a Frascati e nel 1992
si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma. Desidera
dedicarsi al giornalismo e collabora con la testata locale Momento Sera nella rubrica
culturale. Lui stesso riferisce della pubblicazione di un suo articolo sulle
considerazioni dei venditori del mercato rionale della borgata Morena a seguito di
una nevicata. Il pezzo era stato inventato e, vedendolo pubblicato, il giovane Ascanio
capisce di avere maggiore propensione per la narrazione che per il giornalismo.
All’università partecipa al corso di Etnologia con il docente Luigi M. Lombardi
Satriani
4
, ai seminari da lui programmati che trattano del legame tra società antiche e
moderne e teatro e alle lezioni di Storia delle tradizioni popolari tenute da Aurora
Milillo
5
, ed è in occasione di questo corso che la docente invita gli studenti ad
applicarsi in una ricerca sul campo. Ispirandosi al libro della stessa Milillo, La vita e
il suo racconto: tra favola e memoria storica, recante esempi di racconti fantastici
della tradizione popolare, Celestini si ricorda del repertorio con cui è stato in contatto
2
Cfr. il sito «http://www.ascaniocelestini.it/»
3
A. CELESTINI, Introduzione in Cecafumo. Storie da leggere ad alta voce, Roma, Donzelli,
2002, p. IX.
4
Luigi M. Lombardi Satriani, nato il 10 dicembre 1936 a Briatico (Vibo Valenzia) è docente
ordinario di Etnologia presso il dipartimento di Etnoglottoantropologia all’Università La Sapienza di
Roma, tra le sue opere si ricordano, in collaborazione con M. Meligrana, Il ponte di san Giacomo.
L’ideologia della morte nella società contadina del sud, ed. Rizzoli, Milano, 1982, la cui lettura ha
influenzato notevolmente le opere ed il metodo di ricerca di Ascanio Celestini.
5
Aurora Milillo, nata a Matera e vissuta a Roma, nel 1970 diviene docente presso l’istituto di
Storia delle tradizioni popolari della facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma. Ha
collaborato con il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari ed ha svolto varie ricerche
sul territorio del centro e sud Italia raccogliendo un cospicuo repertorio di documenti narrativi orali. È
stata autrice di numerosi saggi e articoli sulla vita agreste. La sua opera La vita e il suo racconto: tra
favola e memoria storica, Roma, ed. La casa del libro, 1983, è stata segnalata nel 1984 dalla giuria del
Premio Basilicata ed è divenuto un altro punto di riferimento essenziale per Celestini. È deceduta a
Roma nel 1999.
9
fin dall’infanzia e si rivolge alla nonna Marianna: lei è la fonte prima della “storie”,
storie di streghe, fatture, malefici subiti e sciolti che lo studente registra per la sua
ricerca.
A questo periodo risale anche la partecipazione al corso di Storia del cinema e
di Storia del teatro, più casuale che decisa a ragion veduta. È una scelta fortuita che
permette però ad Ascanio di assistere ad alcuni spettacoli del Teatro universitario
Ateneo che lo incuriosiscono tanto da spingerlo a prendere parte ad laboratorio
teatrale universitario. Provando tre giorni alla settimana in una ex sezione del Pci nel
quartiere San Lorenzo, dopo due mesi la compagnia è pronta a portare in scena Le
donne a parlamento di Aristofane. Gli attori recitano con parrucche di stoppa e abiti
di cencio comprati sulle bancarelle di vestiti usati al mercato. Celestini ricorda come
preferisse il momento delle prove e quello del debutto alle repliche che inserivano lo
spettacolo in un circuito meccanico e pericolosamente ripetitivo e deleterio per la
creatività. Durante questa fase Ascanio conosce vari studenti che proveranno a
percorrere la strada del teatro come professione, tra essi Veronica Cruciani che
studierà a Milano alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi e con la quale tornerà
in seguito la possibilità di collaborare per lo spettacolo Le nozze di Antigone del
2003. Il 1994 registra la frequentazione di alcuni laboratori teatrali ed il volontario
rifiuto di perseguire, come alcuni amici avevano già fatto, la strada delle accademie
di teatro. Questa decisione è da ascrivere al desiderio di un percorso più
sperimentale, estraneo all’ambito formativo tradizionale e borghese, ma testimonia la
consapevolezza di avere ormai scelto il “fare teatro” come mestiere. Nello stesso
anno Celestini viene accettato infatti come allievo della scuola teatrale Mulino di
Fiora diretta da Perla Peragallo
6
; presenta al provino per l’ammissione tre poesie ( di
Belli, Ariosto e Leopardi), un monologo di De Ghelderode dall’Escurial, e un
racconto scritto di suo pugno dal titolo Dio e il Diavolo, ora raccolto nel libro
Cecafumo, edito da Donzelli. Il metodo della scuola teatrale non risultava chiaro al
giovane Ascanio: ogni due mesi gli studenti dovevano mettersi alla prova con dei
brani tratti da copioni classici accanto a dei pezzi curati da loro stessi e sulla base dei
questi lavori venivano poi giudicati. Nella scuola i corsi di preparazione sul corpo e
6
Attrice del teatro d’Avanguardia degli anni ’70, periodo in cui collabora attivamente con Leo
De Berardinis, (Cfr. nota n. 8).
10
l’attività fisica sono tenuti dall’insegnante di danza contemporanea Daniela Bönch
mentre la parte riguardante la dizione e uso della voce è affidata a Marco
Cavicchioli. La proposta pedagogica della Peragallo non colpì Celestini quanto il suo
talento di attrice e la scuola, che sarebbe dovuta durare due anni con il terzo
facoltativo; chiuse dopo il primo. Tuttavia quest’unico anno aveva favorito l’incontro
di Ascanio con Eugenio Allegri
7
che all’epoca lavorava al testo Novecento di
Alessandro Baricco per la regia di Gabriele Vacis
8
e che aveva già collaborato con
Leo De Berardinis
9
per lo spettacolo Il Ritorno di Scaramouche. Durante l’estate
Celestini si reca a seguire un laboratorio organizzato in Toscana dallo stesso Allegri
nel casale del Teatro Agricolo o del Montevaso. Nel medesimo periodo a Roma, nel
centro sociale La Gramigna, ristabilisce i contatti con alcuni ex compagni della
scuola Mulino di Fiora con i quali fonda la compagnia teatrale Ciclope. Nell’estate
del 1995 la compagnia, a Venezia, segue un laboratorio organizzato dal teatro
dell’Avogaria sulla costruzione di maschere della Commedia dell’Arte, acrobazie,
canto e danza popolare. Da questa esperienza trae alimento la decisione di allestire
una nuova versione de La bottega del caffè di Carlo Goldoni, lo stesso Ascanio
costruisce le maschere per lo spettacolo, applicando anche le tecniche apprese nella
bottega artigiana del padre.
7
Eugenio Allegri, nato a Collegno nel 1956, si diploma alla Scuola Teatro di Bologna diretta
da Alessandra Galante Garrone. Dagli anni ’80 lavora sia su testi propri che su copioni classici. Nel
1981 collabora con Dario Fo e, a metà degli anni ’80, viene chiamato da Leo De Berardinis. Tutt’ora
si dedica all’organizzazione di numerosi laboratori e allo svolgimento di ricerche sulle maschere e
sulla Commedia dell’Arte.
8
Gabriele Vacis nasce a Settimo Torinese nel 1955. È uno dei fondatori della Cooperativa
Laboratorio Teatro Settimo. Ha diretto numerosi festival teatrali ed i suoi spettacoli sono stati insigniti
di diversi premi, da segnalare: Elementi di struttura del sentimento, del 1985 (premio UBU); Riso
amaro, del 1986 (Premio “Wave”, Copenaghen 1987); La storia di Romeo e Giulietta, del 1991
(Premio UBU); Stabat Mater, del 1989, ideato insieme a Laura Curino e Roberto Tarasco (vincitore
del Premio Fringe Festival di Edimburgo nel 1991) e Villeggiatura. Smanie, avventure e ritorno, del
1993 (Premio I.D.I. e Premio Biglietto d’Oro A.G.I. 8). Nel 1993 collabora con Marco Paolini alla
regia del monologo Vajont, 3 ottobre 1963, portato in scena dallo stesso Paolini e l’anno successivo
lavora con Eugenio Allegri alla trasposizione teatrale di Novecento dal libro omonimo di Alessandro
Baricco. Altri sforzi di regia sono Stanca di guerra con Lella Costa e La rosa tatuata con Valeria
Moriconi entrambi del 1996. Si è occupato di regia per il teatro lirico nel 1993 e 1994 rispettivamente
con Pamela Nubile e Pamela maritata e Lucia di Lammermoor. Nel 1996 l’Associazione Nazionale
Critici di Teatro gli riconosce il premio per la Regia.
9
Leo De Berardinis, nato a Gioj (provincia di Salerno) il 3 gennaio 1940. Debutta come attore
nel 1962, nel 1965 inizia a Roma la collaborazione con Perla Peragallo. Da Roma i due attori si recano
a sud e fondano il Teatro di Marigliano, vicino a Napoli. Qui proseguono con l’attività teatrale e nel
1970 esordiscono con il film A Charlie Parker. Il sodalizio professionale prosegue fino al 1981. Nel
1983 Leo De Berardinis fonda il Teatro di Leo, tutt’ora attivo, con il quale ha portato in scena diversi
spettacoli ricevendo riconoscimenti e premi (Cfr. nota n. 5).
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Giunto a Roma dalla Puglia per motivi di studio, si unisce al gruppo anche
Michele Sinisi e con Ascanio nasce presto un forte affiatamento. È Sinisi a trovare il
primo teatro, l’Astra di Andria, dove a Natale avviene il debutto. Si tratta di uno
spettacolo ricco di lazzi e di improvvisazioni che risulta atipico e slegato dalla
tradizione goldoniana: pur mantenendo l’intreccio, i personaggi sono più numerosi e
schematici. Viene accolto con successo, ma i guadagni bastano solo a coprire le
spese. Il gruppo decide quindi di lasciare la scena al teatro di Andria, perché
ingombrante e costosa ed Ascanio, con l’aiuto del padre, deve ricostruirla una volta
tornato a Roma. Le repliche furono tre: Andria, Velletri e Ronciglione, ma la
compagnia, come molte realtà amatoriali alle prese con le esigenze di vita ordinaria,
si ridusse gradualmente, fino a sciogliersi.
Nel 1996 Celestini riprende i contatti inToscana con il Teatro Agricolo o del
Montevaso, fondato nel 1993 da tre attori: Giorgio Monteleone, Francesca Pompeo e
Giovanni Trabaldo. Lo scopo del Teatro Agricolo prevedeva l’inserimento
dell’esperienza teatrale in una dimensione di comunione tra il lavoro di ricerca sulla
Commedia dell’Arte e le maschere ed i ritmi del mondo contadino, il ritorno
all’essenzialità del teatro, l’allontanamento dai modelli ottocenteschi di iper-realismo
scenico e psicologico, i richiami alla biomeccanica di Mejerchol’d e alla tradizione
giullaresca. Il primo spettacolo cui partecipa Celestini per sostituire Giorgio
Monteleone, uscito dalla compagnia, si intitola infatti Giullarata Dantesca: sulla
base di un canovaccio ogni attore improvvisava alcuni personaggi dell’Inferno
dantesco, eseguendo durante l’esibizione anche numeri acrobatici. L’assenza del
copione garantiva un alto livello di adattabilità della durata dell’azione e la relativa
possibilità di riproporla in contesti spazio-temporali diversi. Dilatandolo per oltre
un’ora, oppure esaurendolo in quindici minuti, venivano fornite risposte alle esigenze
dei fruitori, senza tuttavia traumatizzare l’essenza dello spettacolo costituita
dall’improvvisazione e dal diretto contatto con il pubblico, due elementi significativi
anche per la futura impostazione del teatro di Celestini. Il biennio 1996-1997 vede
Celestini impegnato nel corso di alcuni laboratori promossi dal Teatro del Montevaso
sulla costruzione di maschere teatrali e l’abilità artigiana appresa dal padre riemerge
in queste prove manuali.
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Nel 1998 il gruppo attraversa un periodo di cambiamento seguito
all’abbandono di Giovanni Trabaldo, dopo la messa in scena dello spettacolo da lui
ideato La chiamai poderosa, una serie di racconti in dialetto ispirati alle gesta di
Ernesto Che Guevara, una figura storica recente il cui ricordo era in grado di
suscitare l’affettività delle persone comuni.
Ascanio e Francesca Pompeo fondano un nuovo trio insieme a Gaetano
Ventriglia
10
; il nome sarà Teatro del Montevaso, tuttavia, nello stesso anno, l’obbligo
del servizio civile richiama Ascanio a Roma. Non si interrompono però i contatti con
il gruppo toscano e tra il 1998 e il 2000 insieme producono alcuni spettacoli:
Baccalà. Il racconto dell’acqua, primo episodio della trilogia Milleuno, che vede
Celestini solo in scena; Cicoria. In fondo al mondo Pasolini (debutto nel gennaio
1999) in cui Celestini e Ventriglia sono impegnati a recitare insieme.
Qualsiasi esperienza potenzialmente può fornire un arricchimento e Celestini
non esita, ancora una volta, a mettersi in gioco. Svolge il servizio civile in una
cooperativa sociale impegnata nella prevenzione del disagio tra gli anziani ed in
questa occasione conosce il musicista Gianluca Zammarelli, anch’egli occupato nel
servizio civile presso la stessa struttura. Spesso Gianluca e Ascanio organizzano, per
gli utenti della cooperativa, attività di intrattenimento: gite, letture e canti popolari.
Matura così l’intesa tra i due giovani e si presenta la prospettiva di un nuovo
progetto: un festival di teatro di strada. Se è vero che “non c’è due senza tre”, basta
l’ovvietà di una formula a tratteggiare l’evoluzione degli eventi: mentre preparano
insieme Gramigna, un’azione di strada costituita da canti, balli e musica, Gianluca e
Ascanio contattano Matteo D’Agostino, un chitarrista amico di Zammarelli che entra
nel gruppo (successivamente, nel 2000, Celestini fonderà con Zammarelli e
10
Gaetano Ventriglia, autore e attore nato a Foggia, nel 1988 presenta l’atto unico Schifo con il
quale vince il Premio Candoni, successivamente abbiamo Discaric; Detriti, elegia per un granchio e
Serrature. Attualmente lavora su monologhi di creazione propria quanto su opere che prevedono
diversi ruoli, famosa in tal senso è Madonna dei fottuti, che debutta nel 2000, con Marco Sanna e
Francesca Ventriglia.
Ha lavorato nel carcere delle Sughere di Livorno, sezione femminile, e con gruppi di adulti e
anziani, da queste esperienze e con la collaborazione di Silvia Garbuggino nasce la compagnia stabile
di adulti e anziani Gruppo Camurrìa con attività di laboratorio e spettacoli permanente. Nel 2003,
sempre con la Garbuggino, fonda l’associazione Malasemenza che con la produzione del Teatro di
Buti progetta una trilogia da opere di Dostoevskij di cui sono state proposte fino ad ora due tappe nel
2004 e nel 2005. Del 2005 è anche il lavoro Kitèmmùrt (Amleto atto V scena II) coproduzione del
Teatro del Porto, Livorno. Dal 1997 al 2004 collabora con il Teatro di Buti prendendo parte a diversi
spettacoli diretti da Dario Marroncini.
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D’Agostino la compagnia Agresta). Le prove si svolgono al Centro Sociale Auro e
Marco, al quartiere Spinaceto, e a settembre si assiste al debutto al Festival in via dei
Fori Imperiali insieme a due danzatrici che tuttavia non lavoreranno più con il trio
già dopo il primo spettacolo. La ricerca progettuale, invece, prosegue e tra il 1998 ed
il 2000 i tre riescono a costituire un repertorio di canti e racconti popolari
accompagnati alternativamente da diversi strumenti: come già in precedenza per la
Giullarata Dantesca anche ora si assiste all’elaborazione di uno spettacolo adattabile
ai gusti di alterne tipologie di pubblico e a diversi luoghi e dilatabile nella durata in
virtù di una scaletta improvvisata e variabile di volta in volta. Il repertorio cresce
tanto da poter essere messo in onda, dalla fine di agosto del 2001, su Radio 3 Rai in
una serie di trentuno puntate dal titolo Milleuno, racconti minonti buffonti. Parte dei
racconti di questa raccolta vengono presentati a dicembre in un festival per bambini
al Piccolo Teatro di Milano con il titolo La gallina Canta e ancora nel 2002 con il
titolo definitivo di Cecafumo che l’editore Donzelli ha poi utilizzato per la raccolta di
quaranta fiabe pubblicate nel medesimo anno.
Con Cecafumo si consolida la consapevolezza di una necessaria fiducia tra i
membri del gruppo per gestire con disinvoltura un vasto repertorio, ma anche una
costante attenzione alle esigenze dei fruitori che non si vogliono più come semplice
auditorium posto di fronte a uno spettacolo “prendere o lasciare”, è
«…un’improvvisazione che si modifica continuamente. È un unico lungo racconto
orale che faccio da sei anni. Una partitura che non diventa mai spettacolo»
11
, come a
dire: se c’è volontà di comunicare è sufficiente sintonizzarsi sulla stessa frequenza, in
questo caso sul giusto racconto. Ma per non rischiare di essere precipitosi si deve
fare una passo indietro e tornare al 1998, mentre propone con Ventriglia il già citato
Cicoria. In fondo al mondo Pasolini, Celestini debutta, in estate, a Lanciano, con lo
spettacolo Baccalà. Il racconto dell’acqua prodotto ancora dal Teatro del
Montevaso, ma che lo vede unico protagonista sulla scena. Contattato da Stefano
Angelucci, Ascanio accetta di presentare un lavoro a cui in realtà manca il finale.
Scrive lo stesso autore:
Ho pensato: “Provo a farlo lo stesso… Stefano non sa che manca il finale
ma io voglio provare a raccontare questa storia e se mi viene in mente,
11
A. CELESTINI A che cosa serve la memoria, in A. PORCHEDDU (a cura di), L’invenzione
della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini, Roma, Il principe costante, 2005, p. 43.