Introduzione
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“L'arte visiva quando diviene scenografia deve essere umilmente
più artigianale e anche piegarsi alla capacità che un nuovo linguaggio
può avere. Anche se ovviamente riporto i miei segni, devono però
essere adatti a quell'aspetto dell'espressione”. Questa, la riflessione
con cui si misura Mimmo Paladino, in occasione del suo incarico
per le scene del Tancredi; il progetto che inaugura le “scenografie
d'artista” al Teatro San Carlo di Napoli, nel 2002. Un episodio
dell'originale iniziativa che sperimenta l'interazione tra arte
contemporanea, lirica e balletto avvalendosi dell'intervento di
artisti internazionali. Personalità eterogenee che, con le loro diverse
esperienze hanno contribuito alla riscrittura della messinscena
teatrale. Nel 2001, la proposta diviene realtà concreta quando
Gioacchino Lanza Tomasi viene nominato soprintendente del
Massimo napoletano. Musicologo e studioso d'opera, è una tra le
figure più rilevanti nel panorama culturale non solo italiano e con
il suo impegno il San Carlo acquista un nuovo ruolo.
Lanza Tomasi parte dalla convinzione che: “Il teatro può essere
sempre più considerato come luogo di slittamento di tutti i linguaggi
artistici”. Lo ritiene uno spazio di condensazione, intreccio e
collisione di discipline lontane tra loro, eppure concorrenti all'unità
rappresentativa dell'opera. Per lui, deve entrare in contatto con il
contesto in cui si inscrive e, a Napoli, con lo scenario artistico
campano; ne deve cogliere i continui cambiamenti di segno e di
contesto, spiegare al pubblico le sue scelte, confermare il suo
compito di prestigio rivolgendosi a un orizzonte più vasto.
Il San Carlo è un luogo quasi mistico, dal passato molto
rappresentativo. Sorto nel 1737, è il più antico d'Europa. Molto
più che un semplice seppur prestigioso spazio per la cultura e lo
spettacolo, si propone da sempre, e in particolare dall'ultimo
decennio, come uno dei simboli di riferimento e attrazione della
città. È conosciuto in tutto il mondo per la sua tradizione, per
l'attenzione musicale e per la qualità delle sue rappresentazioni.
Qui, Il soprintendente decide di rivolgersi a uno spettatore diverso,
attratto non solo dall'interesse musicale, ma anche dalle nuove
sperimentazioni. Uno degli eventi capace di spiegare questo piano
è il concerto El Diego del giugno 2010, avvenimento, non del tutto
comune, in cui un Lirico, per eccellenza, ospita e attrae un target
Introduzione
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di amanti dello sport. Dato l'enorme successo, viene riproposto a una cerchia
più ampia di persone nello spazio di Piazza Plebiscito; un luogo uso a essere
per la città vetrina d'arte per installazioni d'autore. Ma è solo uno dei tanti
spazi urbani in cui è presente l'arte contemporanea, che con il capoluogo
campano ha da sempre ha un rapporto privilegiato. Comparendo non solo nei
luoghi tradizionalmente predisposti, ma in ogni angolo della metropoli dove,
improvvisamente, “lo spazio urbano si trasforma in territorio di narrazione
creativa”.
I musei e le gallerie diventano occasione di recupero e di ridisegno urbano.
Luoghi che sollecitano iniziative territoriali precise e rispondono a discussioni
continue. Non sono solo centri espositivi ma, soprattutto, luoghi propulsivi
dello sviluppo. Come, le stazioni dell'arte che, a ogni fermata, accolgono i
contributi dei più svariati artisti. Lavori eseguiti ad hoc che, rendono la
metropolitana di Napoli una delle più belle al mondo, un “museo obbligatorio”,
un “acchiappa sguardi” in cui non è importante conservare il significato di ogni
singola opera ma apprezzarne l'estetica totale, stabilendo un diverso rapporto
con l'arte, sottoposta ai rumori del luogo e alla frenesia delle persone che
quotidianamente l'attraversano.
Il San Carlo si inserisce alla perfezione in questo contesto facendosi contenitore
delle più eterogenee correnti artistiche. La lirica al suo interno assume uno
spessore e una colorazione diversa da quanto avveniva prima; e, invasa dalla
contemporaneità, offre dei risultati a dir poco strabilianti.
L'accoppiamento tra artisti e musicisti rinnova lo spazio musicale attirando un
diverso pubblico, interessato anche alle innovazioni. Già agli inizi degli anni
novanta con l'influenza delle nuove avanguardie, avviene un cambiamento
simile e lo spazio teatrale viene coinvolto nella sua totalità. “Questa corrente
che sembrava essersi ampiamente diffusa si è spenta”, riaccendendosi solo
agli inizi di questo secolo.
Tra i nomi che compaiono tra le fila del San Carlo nella sua stagione
contemporanea ci sono quelli di: Valerio Adami, Mimmo Paladino, Giulio Paolini,
Arnaldo Pomodoro, William Kentridge, Luigi Ontani, Anselm Kiefer, Brice
Marden. Una diversa architettura accoglie l'azione dei personaggi; lo spazio si
rinnova nel segno di questi artisti e og nuno con un approccio unico e differente
apre il mondo scenico a ulteriori sfumature e nuovi linguaggi.
Paladino, intreccia la sua produzione alla musicalità di Rossini nell'opera
Tancredi, rendendo concreto uno scambio tra epoche e codici espressivi capace
di raffigurare una vicenda lontana con un vocabolario nuovo. Sviluppa una
rappresentazione che attraversa pittura, scultura, installazione, fino a
Introduzione
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raggiungere il grado d'astrazione di una partitura musicale densa di passaggi
e diversità di registro.
Anche Adami, autore delle scene dell'Olandese Volante, sperimenta l'ibridazione
tra i generi e accavalla le temporalità, sviluppando una sorta di racconto a
fumetti fantastico e ironico, che propone quasi come una stonatura rispetto
all'ambientazione della storia. Nei suoi quadri, l'immagine non è sottoposta a
un gioco di causa ed effetto, inteso in un modo superficialmente meccanico.
Obbedisce piuttosto a una folta logica di relazioni.
Nel 2003 è Kiefer, uno dei più controversi artisti contemporanei, a debuttare
all'opera con l'Elektra. La sua è una suggestiva scenografia architettonica che
riprende un plastico già presente nel suo studio a Barjac in Francia. Adotta un
allestimento paragonabile a "una specie di rovina, vista da un uomo del tremila".
È un lavoro di grande impatto e di notevole respiro che porta sul palco la realtà,
perché per lui la vita quotidiana riesce a scomporsi in elementi scenici senza
ricorso alla fiction.
Brice Marden, in Orfeo ed Euridice ha un rapporto con il melodramma improntato
alla riduzione, secondo una modalità in cui tutto è ristretto all'essenziale che
risponde perfettamente alla riforma dell'opera.
Paolini, con l'ambientazione di La Valchiria, nel 2005 porta oltre a un leggero
soffio poetico, una certa aura metafisica, in cui c'è un senso di attesa e
sospensione dal reale, che non è fuga ma trasfigurazione dell'attuale.
Kentridge, regista e scenografo del Flauto magico nel 2006, crea un'affascinante
combinazione tra arti diverse: disegno, teatro, cinema. Sul palco sviluppa,
attraverso la sua tecnica di “Cinematografia della pietra”, cortometraggi animati
che indagano la natura della memoria e delle emozioni, l'ambiguità e la
complessità dei conflitti della società contemporanea e propongono un'inedita
visione idilliaca della vita.
Grazie a questa sperimentazione, il ruolo stesso dell'artista assume un valore
diverso. E, scenografia e lirica come discipline si rinnovano instaurando uno
stretto legame con gli altri settori creativi concorrendo, assieme, allo scopo
della rappresentazione.
Ne derivano esiti inaspettati e dalla carica sorprendente. Creazioni dal forte
grado di autonomia capaci di uscire al di fuori del tradizionale spazio teatrale.
Vere opere d'arte, da sole, portatrici di un racconto, che viaggiano attraverso
le gallerie partenopee e non solo. Sono realtà complesse che partono dal San
Carlo, attraversano la città, e finiscono per raggiungere piattaforme culturali
internazionali.
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Momenti di una storia della scenografia al San Carlo
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Scenografia dal 1737 al 1939
“Fu una bella serata quella dell'apertura del S. Carlo!
Immagini chi vuole i cocchi dorati affollarsi, innanzi all'atrio del teatro
e discenderne le donne incipriate, dagli enormi guardinfanti, i cavalieri
imparruccati in bei costumi di corte colla spada al fianco e tutta la pompa
e il cerimoniale di quel tempo.
I palchi, la platea, furono subito pieni”1.
Da subito il settore dell'allestimento scenico, affidato ad artisti
settentrionali2, assume un ruolo fondamentale.
Il Teatro San Carlo di Napoli riesce a dare un'importanza centrale alla
scenografia; “un'istituzione talmente nota, un mito tanto consolidato,
una presenza cosi scontata nella storia musicale italiana e internazionale
che non viene neanche da chiedersi da dove arrivi il suo ineguagliabile
successo e cosa l'abbia prodotto”3.
Inaugurato il 4 novembre 1737, voluto dal Re Carlo dei Borbone che
desiderava dotare la sua capitale di un teatro per rimpiazzare il vecchio
San Bartolomeo appartenente alla Casa degli Incurabili. La costruzione
del nuovo San Carlo segna l'inizio di una nuova era.
Il compito di tirarla fuori dal suo grigiore viene affidato al parmense
Pietro Righini.
Le sue capacità creative, sviluppate in precedenti esperienze teatrali sono
note al Re.
Ha lavorato per il Ducale vecchio di Regio, nuovo Ducale di Piacenza, per
il Regio di Torino e nel 1727 subentra al grande Ferdinando nella carica
di architetto teatrale presso la corte di Parma, ciò costituisce già la
migliore credenziale4 possibile, aggiunta alla semplice qualifica di allievo
del sig. Bibiena (dinastia di scenografi e architetti; tra i primi ad affermare
la grande scuola di scenografia italiana) che gli basta a garantire l'accesso
nei migliori teatri d'Europa5.
Passata la fase delle rivoluzionarie innovazioni prospettiche, il Righini
anche se non possiede la carica innovativa dei Bibiena e dei Juvarra,
(architetto che basava la sua produzione strutturale sul tratto pittorico),
propone un personale genere di scena nella quale la lezione perfettamente
assimilata di questi maestri, si fonde con le conquiste pittoriche più
avanzate di quegli anni6. Lo sviluppo del suo linguaggio espressivo è
influenzato da Filippo Juvarra il quale proprio a Napoli offre i primi esempi
di una visione scenica non più fondata sulle magie illusionistiche e sui
virtuosismi prospettici, ma sulla ricerca di uno spazio capace di suggerire
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Momenti della storia della scenografia al San Carlo dal 1737 al 1939
un'atmosfera drammatica7. In tale direzione si muove anche il Righini che, alle
scene lunghe, preferisce impianti compositivi poco profondi costituiti spesso
da una coppia di grosse quinte architettoniche, poste in primo piano a delimitare
il quadro scenico dilatato nella parte retrostante. Tale concezione abolisce ogni
legame architettonico e geometrico tra sala e palcoscenico e porta al processo
di separazione avviato dal Bibiena con l'abbandono degli assi spaziali predisposti
in funzione dello spettatore; scelta che con l'avvento del gusto classico e la
moda delle ricostruzioni stilistiche segnando la frattura definitiva tra il mondo
del pubblico e il mondo dell'azione drammatica.
Le ridotte dimensioni dei teatri sorti in quegli stessi anni contribuiscono allo
sviluppo di scene larghe e poco profonde; giunto a Napoli il Righini, quindi,
ridimensiona le sue scene per adeguarle al nuovo palcoscenico, misure che
superano quelle di un normale teatro8.
Lo spettacolo inaugurale del è l'Achille in Sciro, dramma di Antonio Caldara su
libretto di Pietro Metastasio, che già dal primo atto dimostra di far apprezzare
la grandezza del palcoscenico.
Fino al 1740 il Righini rimane al Napoli e nell'arco di tre stagioni produce una
dozzina di opere realizzando per il teatro un rilevante dotazione di scene.
Un precisazione che si può fare sui primi anni di vita del San Carlo riguarda
l'evoluzione del linguaggio scenico, da momento che in passato c'era una certa
difficoltà nei cambiamenti di scena rendendo necessaria l'adozione di alcuni
accorgimenti per nascondere, agli occhi del pubblico, le manovre relative alla
sostituzione dei pezzi.
L'esercito borbonico da un consistente apporto alla riuscita degli allestimenti.
Ogni soldato è impegnato in specifiche competenze come artiglieria, fuochi
pirotecnici e cavallerie per i duelli.
Questo, e tanti altri espedienti, di a ricorre la scenografia, sono motivo di
attrazione per gli spettacoli, che in sto periodo non tradisce le aspettative del
pubblico napoletano9.
A sostituire il Righini quando era fuori per lavoro, subentra Vincenzo Re,
divenuto poi responsabile scenografo. Di tutta la compagnia artistica di un
tempo, aiutanti macchinisti, pittori, decoratori, arredatori, gli rimane accanto
solo Giuseppe Baldi e nel giro di qualche anno i continui rimaneggiamenti delle
scene del Righini diventano inutilizzabili; riesce a mettere insieme un altro
gruppo di realizzatori e un po' alla volta la produzione del Re assume un ritmo
regolare.
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Momenti della storia della scenografia al San Carlo dal 1737 al 1939
In vent'anni di lavoro, legati per lo più al San Carlo e al teatro di Corte, cura
un centinaio di allestimenti: la sua grandiosa impostazione delle scene, quasi
sempre con taglio prospettico e fortemente asimmetrico, incline a una
esuberanza ornamentale (accentuata da una vena manieristica a volte sin
troppo spinta) rientra nella tradizione barocca dei Bibiena10.
Nella progettazione delle sue scene, pur restando fedele alla tipologia del
classico “per angolo”11 e pur riflettendo nelle rigide spalliere ad archi ornati
di vasi e cariatidi, riesce a esprimere un'ampiezza di orizzonti, un riflesso di
quel senso di arioso proprio della nuova corrente stilistica di cui il Re offre un
apporto fondamentale.
Ancora vincolato ai modi bibieschi, soprattutto nell'impostazione planimetrica
delle scene, Vincenzo Re prosegue nella direzione di Righini, confortato
dall'appoggio di un pubblico che, salvo effetti illusionistici, appare maturo per
accettare un uso più razionale degli allestimenti.
L'arbitrario e il fantastico non sono più il fine unico delle soluzioni sceniche
ormai concepite in funzione all'azione drammaticai12.
Questa svolta in campo drammaturgico è dovuta a Pietro Metastasio (un poeta,
librettista e drammaturgo italiano ed è considerato il riformatore del
melodramma italiano)che con Gli Orti Esperidi, a Napoli, in prima veste di
autore teatrale, riesce ad attuare una vera rivoluzione nella stesura dei libretti,
conferendo al testo letterario un valore pari a quello musicale13.
Personaggi e scene sono ridotti a all'indispensabile, non hanno più una funzione
autonoma, ma sono mossi dall'esigenza di stupire il pubblico. Nei suoi drammi,
usa gli stessi trucchi del teatro seicentesco, da vita a uno spettacolo nello
spettacolo, e se ne serve razionalmente per potenziare l'azione, per sottolineare
i momenti principali e per dare opportuno risalto alle fasi conclusive della
vicenda14.
Ad esempio in Didone Abbandonata (dramma per musica in tre atti del
compositore Giuseppe Sarti su libretto di Pietro Metastasio) il tema dell'amore
contrastato, frequente nella tematica metastasiana, si svolge in un'atmosfera
idilliaca, ma poi il precipitare degli eventi e il drammatico finale viene
sottolineato visivamente attraverso un uso funzionale della scenografia
dall'avanzare dell'incendio15.
Nel restituire dignità all'opera letteraria, considerata prima come un pretesto
per sbalorditivi e arbitrari virtuosismi, Re stabilisce un diverso equilibrio tra
i vari settori dello spettacolo e pone lo scenografo di fronte a problemi nuovi
che non sono affrontati su un piano esclusivamente tecnico.
È suo il merito, grazie al suo stile pertinente, minuzioso e lezioso, per aver dato
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Momenti della storia della scenografia al San Carlo dal 1737 al 1939
risposta a tali problemi con un linguaggio affine a quello metastasiano; tuttavia
la sua produzione si basa su formule già collaudate che, anche se proposte
inmaniera personale, non sembrano animate da una carica particolarmente
innovativa.
Con la morte di Vincenzo Re la scenografia sancarliana si apre in un vuoto
difficile da colmare.Con la diffusione del pensiero illuminista, si contribuisce
a frenare la trionfale ascesa del Metastasio, che nel 1750 raggiunge i limiti del
successo16.
La stanchezza da parte del pubblico verso temi e modi espressivi non riflettenti
le caratteristiche dell'epoca in trasformazione, viene raccolta e sviluppata da
alcuni studiosi i quali intuiscono che risolvere i problemi della poesia drammatica
non basta a risolvere il problema più complesso del teatro musicale17.
Questa riforma investe tutti i settori dello spettacolo, partendo da principi
opposti alla creatività barocca.
La scenografia assume un ruolo di primo piano essendo un insieme di razionalità
e fantasia che si inquadrano perfettamente nel panorama variegato dell'epoca,
composto da comportamenti e tendenze eterogenei seppur collegati con nessi
indissolubili. Un esempio esplicativo di ciò è l'incidenza che nelle decorazioni
teatrali assume con l'uso metodico e rigoroso delle leggi prospettiche. Anche
questo continuo mescolarsi di elementi (tra invenzioni e regole precise) appare
sempre come un valido espediente per rendere il regno del melodramma più
ampio e non è più possibile insistere sulla rielaborazione di mezzi
abbondantemente sfruttati.
Visto che mezzi meccanici, magie illusive e giochi prospettici non riescono a
proporre niente di nuovo è necessario trovare altri sbocchi adeguando la libera
immaginazione ai principi della verosimiglianza e del rigore filologico18.
Un contributo rilevante è dato dalle scoperte archeologiche, a opera di alcuni
intellettuali stranieri che colgono subito, con coscienza, la straordinaria carica
innovativa in queste testimonianze del passato. Non semplici pezzi di
collezionismo ma elementi di stimolo per un lavoro creativo19.
A diffondere tale messaggio, che inizia a influenzare diverse espressioni artistiche,
provvede in primo luogo il San Carlo.
A differenza della pittura, che assegna alla presenza dei ruderi una funzione
solo decorativa, la scenografia si serve delle scoperte archeologiche in maniera
razionale, per dare alle ambientazioni teatrali un'aderenza linguistica fin li mai
proseguita.
Agli scenografi barocchi, infatti, non interessa se una scena si svolge nell'antica
Roma, nell'età dei Greci o in Egitto, perché sono impegnati nelle sperimentazioni
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Momenti della storia della scenografia al San Carlo dal 1737 al 1939
delle illimitate possibilità offerte dal mezzo prospettico, grazie al quale possono
rappresentare l'infinito su una superficie piana, creare in pochi metri
ambientivasti e articolati capaci di trarre in inganno lo spettatore più scaltro20.
C'è una straordinaria potenzialità evocativa delle scene, che più di qualunque
altra cosa nell'opera attraggono gli occhi e determinano il luogo dell'azione,
come se lo spettatore fosse trasferito direttamente in quello stesso posto in
cui si svolge l'azione; Primo fra tutti a notare l'importanza di tale scene è
l'Algoratti, 1762.
Per fare ciò non bisogna ricorrere alle invenzioni capricciose, all'enfasi
ornamentale a bizzarrie architettoniche, ma studiare fino in fondo le
caratteristiche storiche di quel luogo che si vuole proporre in scena. In tal modo
si concepisce una ricostruzione architettonica nel pieno rispetto delle
caratteristiche storico - geografiche.
La morte di Vincenzo Re non lascia una vera e propria scuola di scenografia;
e quindi cominciano a proporsi in molti come capo-scenografo. Si tratta di
professionisti con un elevato estro creativo ma non adatta per un tale ruolo.
La scelta è rivolgersi a personalità più prestigiose, e viene scelto Antonio Joli;
il suo nome compare una prima volta sulla “Gazzetta napoletana” del 5 luglio
1763 come autore della fiera allestita al Largo del Real Palazzo.
Si tratta di uno dei migliori vedutisti di quegli anni oltre che un eccellente
quadraturista e ha una discreta fama anche come scenografo perché lavora
per vari teatri dal 1732 al 174221.
Al Teatro San Carlo esordisce con le scene dell'Antigono (opera seria su libretto
di Pietro Metastasio, 1755) e prosegue con la moda di introdurre animali esotici
sul palcoscenico del Massimo partenopeo, avviata da Vincenzo Re; nell'opera
di Alessandro nelle Indie (dramma per musica di Niccolò Piccinni su libretto di
Metastasio.) viene avanzata una richieste per dei cammelli. Durante il soggiorno
napoletano spinto dal suo impegno da vedutista, opera tra Pompei e Paestum,
questo lo porta man mano sempre più lontano dall'originaria formazione rococò
adeguandolo a un linguaggio più aderente alle istanze che travolgevano gli
schemi espressivi fin li seguiti22.
La sua presenza quindi è un valore di qualificazione per lo svolgimento della
pittura di paesaggio nella città, un richiamo alla natura, contro lo scenografismo
del gusto corrente.
Ma il particolare rapporto sviluppato in quegli anni tra pittura e scenografia,
promuovendo tra le parti scambi fitti e reversibili, si ritrova la stessa razionale
ricerca dello Joli che anima le decorazioni teatrali, proiettate verso il rispetto
della fedeltà storica e della verità ambientale.
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