7
1. LA DONNA ISLAMICA ATTRAVERSO LA STORIA E LA RELIGIONE
1.1 La donna mediorientale attraverso la storia
Attribuire la subordinazione della donna alla sola ideologia islamica, atteggiamento
frequente da parte della società occidentale, non solo è alquanto riduttivo ma soprattutto
rivela una certa ignoranza sull‟argomento. Le informazioni che riceviamo dai mass
media sono spesso filtrate, manipolate e in certi casi affatto obiettive ma attraverso
un‟analisi più attenta della storia riguardante i paesi islamici in discussione si può avere
una visione più eloquente della loro società, della loro tradizione, delle ragioni che
hanno causato la subordinazione delle donne nella maggior parte di queste regioni.
Questo atteggiamento misogino non è una caratteristica di una cultura radicata della
regione mediorientale, bensì è una conseguenza di molti fattori, eventi e influenze come
conquiste, assimilazione di usanze e religioni, difficile sviluppo economico ecc, quindi
dare la piena responsabilità alla comunità musulmana di questi rivolgimenti è
impossibile, data la relativamente giovane età della religione Islamica, la cui nascita è
databile nei primi anni del 600 d.C.
A riprova di ciò è utile risalire alle prime antiche civiltà. La donna era
inizialmente considerata di pari importanza all‟uomo, occupandosi del fabbisogno
quotidiano quanto lui, mentre la maternità era vista come qualcosa di sacro e magico
oltre ad “utile” per la crescita di forza lavoro nello sfruttamento delle risorse disponibili.
Ciò spiega l‟esistenza del culto della Dea Madre in tutta l‟Asia Occidentale, in Egitto,
Siria, Anatolia, prende il nome di Ishtar in epoca babilonese e di Astarte presso i
popoli semitici, mentre gli idoli maschili ne erano subordinati. Tra le varie popolazioni
era diffuso il regime matrilineare e, anche se ciò non implica necessariamente che la
donna fosse insubordinata al potere maschile come la donna - capo, conferma una
considerazione elevata della femminilità.
1
Anche in Mesopotamia veniva professato il
1 Cfr. S. De Beauvoir, Il Secondo Sesso, Il Saggiatore, Milano, 2002, pp. 96,97,99,100,101
8
culto della Dea Madre, come attestano alcuni ritrovamenti archeologici, ad esempio
quelli di Catal Huyuk, un insediamento neolitico dell‟Asia Minore risalente al 6000 a.C.
La Mesopotamia comprendeva la fascia nord-orientale della Siria, la zona
dell‟Armenia turca e gran parte dell‟odierno Iraq: qui, a partire dal VI secolo a.C., si
stanziarono popolazioni nomadi provenienti dall‟Iran e dall‟Asia minore dando vita, in
seguito, ai primi nuclei urbani della storia, come Uruk, situato in bassa Mesopotamia.
2
Anche qui i ritrovamenti archeologici confermano l‟importanza della donna: basti
ricordare le decorazioni parietali nei luoghi sacri, rappresentanti la figura femminile;
questo, insieme all‟adorazione di divinità femminili e in seguito a studi sulle antiche
culture della regione, fanno intuire che le donne godessero di una elevata posizione
sociale.
3
In relazione alla sua capacità riproduttiva ben presto la donna divenne la prima
proprietà contesa dalle tribù; il culto della Dea madre, professato all‟epoca dell‟uomo
agricoltore, passivo e timoroso di fronte al potere della natura, perse il suo valore di
fronte alla consapevolezza di avere le capacità per poter sfruttare quella natura che lo
turbava.
Intorno al 3500 a. C. i Sumeri si stabilirono nell‟Iraq meridionale, introducendo la
scrittura, un elemento importantissimo per lo studio delle civiltà antiche, e dando vita a
centri urbani sempre più complessi. Fu in questo contesto che la donna perse del tutto il
suo prestigio: il potere maschile si consolidò con l‟importanza degli eserciti militari che
proteggevano la comunità dagli attacchi nemici, all‟interno di una società in cui le classi
militari religiose costituivano le caste possidenti. Le donne avevano sempre meno
importanza in una struttura economica in cui predominavano artigiani, mercanti e
contadini, mentre si consolidava la famiglia patriarcale che si occupava di garantire i
beni familiari all‟interno della famiglia e ciò avveniva mediante gli eredi (naturalmente
maschi) e la sessualità femminile. Il ruolo sociale della donna era infatti strettamente
2 Cfr.L‟Enciclopedia, Atlante Storico, La Biblioteca di Repubblica, p.44
3 Cfr. L. Ahmed, Oltre il velo, La Nuova Italia, Firenze, 1995, p. 13
9
collegato alla sua sessualità: in primo luogo il padre e poi il marito controllavano la
donna per salvaguardare la prole ereditiera. La verginità costituiva un bene prezioso,
negoziabile ed economicamente importante. Si pensa che quest‟ultima particolarità
diede origine alla prostituzione e alla demarcazione tra donne rispettabili e non.
4
Per opera del re Hammurabi, dal 1760 a.C. circa, la civiltà babilonese conobbe
cinquanta anni di splendore. Non si può dire la stessa cosa per le donne: le leggi che
regolavano la famiglia patriarcale divennero sempre più restrittive, leggi che furono
riportate nella stesura del Codice di Hammurabi. Secondo le norme del Codice, il
marito poteva dare in pegno la moglie o i figli fino a tre anni, e proibiva che essi
venissero maltrattati o picchiati; gli uomini potevano divorziare facilmente da una
donna e solo in caso avessero avuto figli dovevano pagare un‟ammenda e restituire la
dote. Le donne che richiedevano il divorzio, dovevano sottoporsi al giudizio di un
consiglio, il quale, se riteneva che la donna in questione si fosse «comportata bene» e
non avesse «commesso colpe», permetteva alla donna di tornare alla casa del padre,
dopo aver ripreso la sua dote. Ma se al contrario il consiglio giudicava la donna
«indegna» di ottenere il divorzio, perché “Non si era comportata bene, ma era una
perditempo, che trascurava la casa (e) umiliava il marito, dovranno buttarla
nell‟acqua”
5
.
Al tempo delle città-stato il potere era esercitato esclusivamente dal capo famiglia,
ovvero marito e padre, ai quali moglie e figli dovevano assolutamente obbedire. Il capo
famiglia poteva dare in pegno o vendere la moglie e i figli per pagare un debito, e se
questo non veniva estinto essi potevano diventare schiavi. L‟adulterio della moglie era
invece punibile con la morte, che poteva essere risparmiata dal marito, mentre egli
poteva concedersi rapporti sessuali con schiave e concubine legittimamente.
Con la dominazione assira (1800-1375 a. C.) le leggi erano imperversate da crudeltà
e violenza, nonché altamente misogine. Le leggi cambiarono le disposizioni del Codice
4 Cfr. L. Ahmed, op.cit. p.14
5 “Codice”,172 in L.Ahmed, ibidem, p.15
10
che proteggeva i «pegni umani», ovvero permise esplicitamente che le donne e i figli
«dati in prestito» venissero picchiati, trascinati dai capelli o trafitti nelle orecchie; il
marito aveva il diritto di strappare i capelli e mutilare o torcere le orecchie alla moglie.
Quest‟ultima era il capro espiatorio anche per i crimini commessi dal marito: se egli
avesse stuprato una donna, la sua punizione consisteva nell‟estorcergli la moglie la
quale veniva disonorata; se invece lo stupro avveniva con una donna vergine, ciò era
considerato un crimine che danneggiava economicamente il padre della ragazza, perciò
l‟uomo doveva comprarla e sposarla.
La posizione nella scala gerarchica sociale della donna e la sua rispettabilità
dipendevano dal fatto di essere protette o meno da un uomo e dal ruolo sessuale, a
differenza dell‟uomo le cui differenze sociali erano stabilite mediante il tipo di
professione. Per «mostrare» questa rispettabilità si ricorreva all‟uso del velo,
obbligatorio secondo la legge assira, per le mogli, figlie e concubine dei “Signori”; alle
prostitute e alle schiave era proibito indossarlo e la violazione di questa norma
prevedeva punizioni crudeli come frustate, pece sulla testa e il taglio delle orecchie. Il
velo quindi identificava non solo il ceto sociale ma era un segnale utile agli uomini per
individuare una donna libera.
In questo tipo di sistema qualsiasi donna aveva la possibilità di possedere e
amministrare beni in nome proprio, stipulare contratti e testimoniare in giudizio, oltre a
intraprendere attività imprenditoriali e avere rapporti con l‟esterno. Esisteva anche una
specifica categoria di donne sacerdotesse o “Serve degli dei”, le quali avevano grandi
proprietà fondiarie che gestivano autonomamente. Questa indipendenza era in qualche
modo apparente: le donne erano pur sempre subordinate all‟uomo ma il loro
comportamento non era in conflitto con il sistema patriarcale, in quanto, così facendo, le
donne contribuivano al controllo del patrimonio familiare e, pur esercitando un potere
autoritario effettivo su uomini e donne di rango inferiore, la loro autorità dipendeva
sempre dall‟uomo cui appartenevano. Le prostitute erano considerate detentrici di
cultura e conoscenza, perché immerse continuamente nella vita urbana. Non esisteva il
11
senso del peccato e la sessualità femminile non era «manifestazione del demonio» come
nella tradizione giudaico-cristiana, ma al contrario, il desiderio era considerato un
elemento naturale di vita, che non subisce repressioni ma diventa un aspetto culturale
civile, un mezzo per comprendere i rapporti umani.
6
A partire dal 539 a.C., data della conquista di gran parte della Mesopotamia, della
Siria e di altre regioni del Medio Oriente per opera del re Achemenide Ciro II,
seguirono altre dominazioni, le cui usanze e culture si amalgamarono gradualmente con
i costumi locali, contribuendo profondamente al cambiamento sociale e quindi alla
posizione della donna all‟interno del sistema. La regione mesopotamica fu poi
conquistata da Alessandro Magno, dai Parti e dai Persiani sotto l‟impero Sassanide, che
fu l‟ultima dominazione prima dell‟avvento dei musulmani.
Anche se non si hanno molte testimonianze specifiche della condizione della donna
durante queste successioni, si assistette ad un vero e proprio declino della sua posizione
sociale. Ad esempio, dopo la conquista iraniana, le donne non poterono più occuparsi di
transazioni legali, né testimoniare in giudizio come prima. Anche all‟interno della
famiglia reale si introdussero usanze che sminuivano ulteriormente la donna:
Alessandro, forse per imitare il nemico sconfitto (il re persiano Dario), mantenne il suo
harem che aveva circa 365 concubine; in seguito le dimensioni dell‟harem sarebbero
aumentate notevolmente fino a raggiungere migliaia di concubine. La pratica della
segregazione, inizialmente riservata solamente alle classi alte, si diffuse notevolmente
(anche nelle altre regioni limitrofe) fino a diventare una normale usanza, accanto all‟uso
del velo.
Il concetto del ruolo femminile divenne perciò relazionato alla funzione sessuale e
riproduttiva e i frequenti scambi culturali con le altre regioni accelerarono il processo di
diffusione di questo stereotipo denigrante nei confronti delle donne.
6 S. Maggiorelli, intervista a P. Brusasco Le maghe di Babilonia in “Left”, 20/02/09,p. 74
12
Dal 224 d.C. la regione Iran – Iraq divenne parte dell‟Impero Sassanide, di cui gli
Arabi furono i diretti ereditieri delle loro istituzioni e culture.
In epoca sassanide la pratica dell‟harem reale continuò ad essere presente e le donne
inviate dalle province dovevano perfino attenersi ai canoni di bellezza dettati dai
sovrani. Un‟altra usanza che venne ereditata dai Persiani era quella dei matrimoni
incestuosi, che non solo permettevano di sposare la propria madre, sorella o figlia, ma
erano considerati un atto di devozione capace di allontanare le forze demoniache.
La religione più diffusa tra le classi alte era quella Zoroastriana che ben presto
divenne religione di stato, regolando rigidamente i rapporti tra uomo e donna.
Quest‟ultima era tenuta a giurare obbedienza al marito e ad attenersi a particolari
riverenze quotidiane nei confronti del coniuge. L‟obbligo imposto dallo Zoroastrismo di
generare un erede maschio, comportava anche le unioni incestuose con gli stessi
familiari: a tal fine il marito poteva accoppiarsi con la stessa figlia e se la moglie non
avesse generato alcun figlio maschio, era tenuta ad unirsi con i parenti del marito. La
capacità e la competenza giuridica dipendevano dall‟età e dal sesso: quella di una donna
era uguale a quella di un minore. «Il prestito» della propria moglie ad un altro uomo,
senza il suo consenso, anche solo per soddisfare i suoi bisogni sessuali e per generare
degli eredi, era considerato dalla legge un atto fraterno nei confronti della comunità.
Anche in materia di divorzio il consenso della donna non era necessario, mentre i beni
acquisiti o l‟eredità di una donna diventavano usufrutto del marito, a meno che non si
fosse stipulato un contratto. Esso perdeva di valore nel momento in cui la donna
«peccava» di disobbedienza, certificata da un tribunale mediante “Attestato di
disobbedienza”. Le donne erano quindi considerate degli oggetti, delle proprietà, e
questo è confermato anche dal periodo della rivoluzione mazdichea sviluppatasi in Iran
tra il V e VI sec. d.C., che predicava l‟equa distribuzione della ricchezza: “Chiunque
possieda donne o beni in eccesso non ha più diritto a essi di un altro.
7
7 A. Perikhanian in L. Ahmed, op.cit. p. 25
13
In Iraq lo Zoroastrismo coesisteva accanto ad altre religioni, come quella cristiana,
che si diffuse enormemente anche in Iran e in Siria. Fu infatti in seguito alla sua
diffusione che molte donne abbracciarono la professione cristiana per sfuggire al loro
destino meramente biologico, ribellandosi al credo zoroastriano che aborriva la
verginità femminile e, andando contro quello che sarebbe dovuto essere il loro dovere
sociale. In realtà la religione cristiana predominante, insieme a quella ebrea, nella
maggior parte delle società del Medio Oriente Mediterraneo, nel V e VI secolo d.C., non
precludeva necessariamente l‟indipendenza femminile: poche donne furono in grado di
raggiungere la propria indipendenza pur scegliendo il celibato. Teoricamente esso dava
la possibilità di viaggiare come “Sante pellegrine”, dedicarsi ad attività intellettuali e
fondare istituzioni che potevano gestire autonomamente; ma concretamente la vita
sociale delle donne era ben diversa.
Alle donne era vietato mostrarsi in pubblico e ciò era garantito dalla segregazione
controllata dagli eunuchi e dall‟usanza obbligatoria di portare il velo in alcune
occasioni, elemento che contraddistingueva le donne «oneste» dalle prostitute, usanza
già presente in epoca assira. Le attività a cui si dedicavano le donne erano quelle
svolgibili in casa o negli spazi esclusivamente femminili come le terme, poiché era
considerato sconveniente per l‟uomo occuparsi del corpo femminile – concetto
caratteristico della società dell‟epoca –. Ci sono teorie che si oppongono a questa
visione della donna bizantina oppressa e segregata, malgrado l‟esistenza di norme che
legalizzavano alcune pratiche misogine come la segregazione: “(…)anche se
contraddette da esigenze economiche e pratiche, erano tuttavia una componente molto
rilevante del sistema (…) che determinava l‟esperienza socio-psicologica degli uomini
come delle donne.”
8
Gli studiosi affermano che questi costumi, queste norme, abbiano subìto l‟influenza
persiana, eppure, analizzando la società greca pre-cristiana, si notano molte similitudini
8 L.Ahmed, op.cit. p. 32
14
con le tradizioni della società bizantina. Del resto Siria, Palestina ed Egitto furono per
circa mille anni sotto l‟influsso della civiltà greca.
Le teorie di Aristotele, come quelle di altri filosofi greci, influenzarono enormemente
la concezione della donna, teorie che furono accolte come verità scientifiche e obiettive
non solo dalla civiltà araba ma allo stesso modo da quella europea; non bisogna
dimenticare, infatti, la fioritura che conobbe la civiltà greca in campo filosofico, delle
arti e della scienza nell‟epoca classica. Aristotele dichiarava che “La femmina è
femmina in virtù di una certa assenza di qualità(…)Dobbiamo considerare il carattere
delle donne come naturalmente difettoso e manchevole”
9
, descrivendola come un essere
più incline al rancore, spregiudicata, falsa e ingannevole. Egli sosteneva che la donna
fosse subordinata all‟uomo per necessità sociale e per natura, perché inferiore
mentalmente e fisicamente: la donna era difettosa anche biologicamente e paragonata ad
un uomo impotente, poiché, secondo lui, era l‟uomo a dare anima e forma nel
concepimento, mentre lei forniva solamente la massa materiale. Altri filosofi
contribuirono alle idee misogine sulla condizione femminile: “Le donne sono il più gran
malanno che Dio abbia creato: sebbene talvolta paiono utili, presto divengono motivo di
fastidio per i loro padroni.”
10
e ancora: “Ci sono molti mostri sulla terra e nel mare ma il
più grande di tutti è sempre la donna. La donna è una sofferenza che non da tregua.”
11
Tutte queste affermazioni dispregiative nei confronti della donna presuppongono che
ella avesse un posto importante all‟interno della casa e che, anche se non avesse avuto
alcun diritto ed era votata all‟ubbidienza, potesse comunque ribellarsi all‟interno del suo
mondo, l‟ambiente domestico.
Con l‟avvento dell‟Impero ellenistico la posizione della donna andò migliorando,
venendo a contatto con le leggi egiziane, dove le donne erano altamente considerate.
9 Aristotele in S. De Beauvoir, op.cit. p.15
10 Simonide d‟Amorga in S. De Beauvoir, op. cit. p.119
11 Menandro in Ibidem
15
La convivenza di greci ed egiziani evidenziava le diverse usanze e leggi delle due
popolazioni: per le donne egiziane la segregazione non esisteva e le donne erano
considerate capaci di agire in prima persona, mentre quelle greche dovevano rispondere
del proprio tutore maschio.
Già dal Regno Medio (2060-1785 a.C.), vi sono testimonianze che attestano
l‟uguaglianza tra i sessi in una società che vantava l‟assenza di misoginia. La coppia
rappresentava l‟unità religiosa e sociale e la donna era alleata e parte integrante
dell‟uomo, così come lui stesso, che contribuiva all‟educazione dei figli.
La donna egiziana aveva la possibilità di possedere e gestire autonomamente
proprietà, ereditare e lasciare in eredità, testimoniare ed agire indipendentemente.
Anche le leggi sul matrimonio, monogamo salvo che per il faraone, erano egualitarie, e
le pene sull‟adulterio punivano la coppia in ugual modo, mentre il divorzio era di diritto
anche alle donne a cui venivano restituiti i beni posseduti prima del matrimonio.
Secondo S. De Beauvoir, esiste probabilmente una spiegazione logica alla
condizione anomala rispetto agli altri paesi limitrofi della donna egiziana: i privati
possedevano proprietà come usufruttuari, perciò anche le eredità avevano poco valore e
non c‟era così la necessità di garantire che il patrimonio restasse all‟interno della
famiglia, come invece succede nelle altre società sovra citate.
12
La società era comunque dominata dall‟uomo, in primis dai faraoni, mentre la donna
era esclusa dalla vita amministrativa e da alcune professioni, ma ciò non era dettato da
norme e concezioni misogine. Questo dimostra che la subordinazione femminile
all‟uomo non sia stato un evento naturalmente conseguente allo sviluppo delle società
urbane. Del resto, il declino della donna egiziana iniziò in seguito al diffondersi delle
usanze greco-romane e, definitivamente,con il predominio europeo.
Prima dell‟avvento dell‟Islam, diffuso attraverso la parola del profeta Maometto nel
VII secolo d. C., l‟Arabia era una delle poche regioni non ancora intaccata da un
12 Cfr. S. De Beauvoir, op.cit. p. 114
16
ordinamento patriarcale. Nel VI secolo d.C. la Siria e l‟Egitto facevano ormai parte
dell‟Impero Bizantino, mentre l‟Iraq apparteneva al dominio Sassanide. In Arabia,
invece, tribù beduine nomadi vivevano sotto un ordinamento tribale molto organizzato,
la cui fonte di sopravvivenza e, dopo poco tempo, di ricchezza, era costituito dal
commercio. Del resto, la loro provenienza è confermata dallo stesso termine arabo, che,
connesso con l‟ebraico „arabah, significa steppa.
Fu tra le popolazioni nordiche della penisola Arabica che ebbe origine l‟Islam. Qui
erano presenti varie tribù, ma forse la più interessante fu quella dei Linyaniti, governati
dalla Regina Lihyan, la quale stava a capo di una società di tipo matriarcale.
I beduini, gli abitanti del deserto, erano strettamente legati alle città che costituivano
tappe necessarie del loro pellegrinaggio, sia per rifornirsi di viveri per il viaggio che per
offrire la loro merce ai cittadini. Viceversa, permettevano l‟esportazione delle merci
prodotte nelle varie città, contribuendo allo sviluppo economico di un vasto territorio.
L‟epoca in questione, denominata Giahilìya, fu considerata da molti studiosi
un‟epoca caratterizzata da costumi pagani e barbari, durante la quale gli arabi “nella
loro arroganza e immoralità disprezzavano ancora Dio, i suoi profeti e le prescrizioni
religiose glorificando soltanto sé stessi, la propria famiglia e la propria tribù.”
13
.
Secondo altri studiosi era sinonimo di rudezza e di sfrenati costumi, dettati dal loro
modo di vivere. Ma dai versetti coranici, scritti tra l‟altro nella lingua dialettale dei
Quraish, la maggiore tribù al tempo di Maometto, si capisce che il termine Giahilìya
significa «il non sapere» relativo a Dio.
Essendo pagani, i popoli arabici pre-islamici sicuramente non erano ancora a
conoscenza del Dio islamico, ma non erano affatto inferiori culturalmente alle altre
popolazioni: grazie ai loro continui spostamenti, si trovavano a contatto con diverse
civiltà, prediligendo, a causa delle guerre tra bizantini e persiani che rendevano le vie
marittime difficili e pericolose da percorrere, il commercio via terra.
13 Ibn Manzùr Muhàmmad Ibn Mukarràm in H. Heller,H. Mosbahi, Dietro il velo, amore e sessualità
nella cultura araba, Laterza,Roma-Bari, 1996, p.16
17
La religione presente all‟epoca può essere denominata Polidemonismo, ovvero una
religione politeista che idolatrava simulacri in pietra, e l‟animismo, per cui si adoravano
fonti, alberi e altri elementi naturali molto rari in quei luoghi. Pur adorando molti dèi,
essi credevano fondamentalmente a forze impersonali come il Tempo o il Destino,
celebrando, attraverso la poesia, le gesta umane dei componenti delle tribù.
14
Tuttavia, numerose erano anche le divinità femminili, come Allat, “la Dea”, la quale
rappresentava il sole, ovvero il maschile di Allah, Dio, Al-„Uzzah, “la Possente”,
Manah, “dea del destino”, le quali costituivano principale attrazione all‟interno del
tempio della Kà‟ba alla Mecca.
Salman Rushdie, lo scrittore condannato a morte da Khomeini per aver scritto il
romanzo Versetti Satanici, espone nella sua opera l‟episodio della caduta delle dee. Nel
tentativo di convertire i meccani ad Allah, il profeta concesse loro di far entrare le dee
nella casa dell‟Islam e venerarle come sue figlie; i meccani furono soddisfatti del
compromesso, ma egli si pentì subito della concessione fatta e ordinò a Khalid ibn al-
Walìd che le dee venissero abbattute. La distruzione delle “Possenti” non fu
semplicemente l‟eliminazione di un idolo, ma significò la fine della superiorità
femminile e la sua sottomissione all‟uomo.
15
Nell‟epoca della Giahilìya, la condizione
della donna variava da zona a zona, ma generalmente ella era indipendente, partecipava
attivamente alla vita comunitaria, comprese guerre e religione, prendeva parte a
discussioni dove «osava» contraddire l‟uomo.
Esistevano varie forme di matrimonio, tra cui quelle poliandriche, in cui le donne
avevano vari mariti o compagni: l‟adulterio non conteneva lo stesso concetto di peccato
di altre culture. Ad esempio, se una donna avesse deciso di cambiare compagno
esprimeva «la sua volontà» attraverso alcuni segnali posti davanti alla sua tenda; ciò era
accettato come gesto lecito di una coppia. Inoltre, le donne non erano tenute a rispettare
la Iddà, o periodo di attesa, dopo il divorzio, usanza rigidamente praticata nell‟Islam.
14 Cfr. W. M. Watt, Breve storia dell‟Islam, Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 9-10
15 Cfr. E. Heller,H. Mosbahi, op.cit., p.22
18
L‟aspetto culturale principale della Giahilìya era costituito dalla poesia, dove la
donna era celebrata come un‟esplosione di bellezza e intelligenza ma era considerata
anche astuta, vendicativa e feroce. La donna era quindi il simbolo della bellezza e del
piacere sensuale, ma, costituiva anche motivo di «dissolutezza e corruzione» all‟interno
della società: la nuova comunità musulmana, la ummà, doveva essere purificata da
questi disordini, rivalutando la concezione del ruolo femminile e utilizzando la nota
influenza dei poeti per diffondere la sua parola.
La società era costituita, come si è detto, da un ordinamento matriarcale o addirittura
matrilineare, ovvero dove la paternità aveva poca o nessuna importanza. Ma la tendenza
negli ultimi tempi da parte dei Quraish, la maggiore tribù ai tempi di Maometto, ad
abbandonare lentamente il nomadismo, ridiede importanza alla proprietà privata,
andando contro quelli che erano stati i valori tribali, tra cui proprio la proprietà comune.
La necessità quindi di lasciare in eredità i propri beni accumulati in vita ridestò il ruolo
paterno, determinando il passaggio dal sistema matrilineare a quello patriarcale.
16
I ruoli
sessuali all‟interno della società subirono dei cambiamenti anche a causa di influenze
esterne, giunte tramite gli scambi commerciali con l‟impero bizantino a nord, con lo
Yemen e l‟Etiopia a sud e l‟infiltrazione di influssi iraniani tra le varie tribù.
1.2 La donna e il Corano
Il termine Islam significa abbandono, sottomissione totale e incondizionata ad Allah,
Dio, e su questo principio si fonda il senso della religione musulmana: l‟Islamismo si
oppone ad ogni forma di politeismo e in un certo senso quindi anche alla Trinità
cristiana. I principi dogmatici di questa religione sono contenuti nel Corano, che
16 Cfr. L. Ahmed, op.cit.,pp.49-50
19
letteralmente significa lettura, recitazione, il quale venne rivelato al profeta Muhammad
nel VII secolo d. C.
La religione islamica è totalizzante, in quanto comporta dei doveri religiosi che
abbracciano ogni aspetto della vita politica, sociale e individuale di ogni musulmano. La
legge islamica è detta Shar‟ia e si occupa di questioni legali, morali, rituali e addirittura
delle prescrizioni riguardanti l‟igiene dei credenti.
Non vi è una distinzione tra sacro e profano o religione e politica e si può affermare
che nell‟Islam la giurisprudenza occupa un posto molto più rilevante rispetto alla
teologia.
17
Le fonti della Shari‟a sono quattro: oltre ai doveri sanciti dal Corano, ogni
musulmano segue le prescrizioni dettate dalla Sunnah, la “Tradizione”, in cui sono
contenuti gli hadith, ovvero il complesso di atti o detti del profeta Muhammad, i quali
completano e spiegano i contenuti del Corano. La terza fonte è costituita dal qiyas,
ovvero “analogia”, a cui si fa riferimento per questioni per le quali non sia prevista
alcuna regola giuridica. In tal caso si rimanda quindi ad una regola già esistente per una
questione analoga. Infine, alcuni problemi possono essere risolti tramite l‟ijma‟, il
consenso dell‟intera comunità. Su questi ultimi due punti considerati dalla Shari‟a si
sono accesi numerosi dibattiti sulla validità dell‟interpretazione della legge. Ecco che gli
oppositori della tesi ortodossa propongono la rilettura delle fonti distinguendo i principi
eterni del Corano da quelli che fanno riferimento ad un contesto storico preciso. Ad
esempio alcuni hadith impongono ad una donna di non risposare nessuno dopo la morte
del marito; essi si rivolgono in realtà alle mogli del profeta, le quali erano sottoposte a
maggior controllo, rappresentando un vantaggioso partito per gli eventuali successori
del profeta. Infine i laici sostengono la necessità di separare la vita spirituale da quella
quotidiana. Per questo motivo, all‟interno dell‟Islam si distinguono tre correnti
principali: i sunniti, gli sciiti e gli scismatici.
17 Cfr W. M. Watt, Breve storia dell‟Islam, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 72
20
Il problema della questione femminile non può essere attribuito al messaggio etico e
morale del Corano; l‟assoluta eguaglianza dei due sessi morale e spirituale è più volte
enunciata in vari versetti:
“Ecco: i dati a Dio e le date a Dio, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, […]quelli e
quelle che spesso e volentieri invocano il nome di Dio: ecco, per quelli il Dio ha preparato il
perdono e il premio che non conosce limiti (Sura 33:35).”
18
Il Corano sottolinea l‟assoluta parità tra uomo e donna rivolgendosi ad entrambi,
senza mai mettere in dubbio il valore della donna. All‟epoca dei primi anni della
diffusione dell‟Islam l‟opinione della donna era non solo ascoltata ma possedeva anche
un certo valore; a riprova di ciò ne sono testimoni alcuni hadith tra i più importanti
scritti proprio da donne, riferiti alla moglie del profeta, Aisha.
Il testo sacro vuole che la donna venga rispettata e amata al pari dell‟uomo e che
goda di altrettanti diritti. Per la concezione sufista – corrente religiosa islamica – ella
rappresenta il tramite attraverso il quale sarebbe possibile elevarsi a Dio.
Il messaggio spirituale dell‟Islam considera il matrimonio non solo come unione al
fine della riproduzione, ma anche come condivisione della vita nella società, nell‟amore
reciproco e nell‟armonia spirituale: “E tra i Suoi segni vi è questo: Che Egli creò compagne
per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace mentale in esse, ed Egli ordinò tra voi
amore e misericordia. Ecco, qui vi sono invero segni per le persone che riflettono. (Corano
30:21).”
19.
Lo stesso concepimento, secondo il Corano, a differenza di altre culture come quella
greca e cristiana, non è attribuito solamente all‟uomo, ma il contributo di entrambi i
genitori è considerato in egual modo.
Per quanto riguarda l‟uso del velo, il Corano lo cita esortando le donne a coprire le
parti intime e di avvolgere il petto con uno scialle (Sura 24:31), ma questo stesso
versetto è ancora oggi oggetto di varie interpretazioni, come del resto molti altri
18 The Holy Qur‟an (trad. di A. Yasuf Ali), Jeddah, Dar al-Qiblah for Islamic Literature, 1982 in L.
Ahmed, op.cit., p. 75
19 La donna nel Corano, www. http://www.sanpaolo.org/cisf/donnaislam.htm
21
riguardanti le donne. In ogni caso, il Corano non precisa alcuna penalità per una donna
non velata.
20
Il fatto che il profeta stesso avesse scelto come guida spirituale della sua famiglia –
l‟imam – una donna, „Umm Warakah, dimostra che la subordinazione della donna non è
una caratteristica del messaggio islamico, bensì di processi sociali e politici ben più
sottili e graduali, ma nondimeno sconvolgenti.
21
Secondo altre fonti, durante i primi anni della diffusione dell‟Islam, nonostante l‟alta
considerazione femminile, il profeta cercò di reprimere il caos della Giahilìya – l‟epoca
pre-islamica – occupandosi in primo luogo della donna, la cui sensualità e libertà
sembravano un pericolo, fonte di diatribe maschili e disordini, conseguenze della
tentazione continua a cui era sottoposto l‟uomo. Il profeta stesso non riusciva, come
raccontano alcuni hadith riguardanti episodi della sua vita, a sottrarsi alla fatale
attrazione della donna, pertanto si fece in un certo senso portavoce di quanti come lui
celavano le proprie ossessioni sessuali demonizzando la donna, che ben presto, a causa
di concezioni misogine, si fece incarnazione di forze oscure, capaci di minare l‟ordine
divino.
22
È doveroso pertanto fare una distinzione tra il messaggio etico e spirituale
dell‟Islamismo e la sua interpretazione e applicazione dopo la morte del profeta, quando
la spiritualità della religione venne ben presto «offuscata» dalla concezione
androcentrica e dal carattere giuridico della sua applicazione.
Bisogna dire che la religione islamica si identificò nelle tradizioni giudaico-cristiane,
alimentando l‟ambizione di rinnovarle ma al tempo stesso assimilandone tradizioni e
usanze come poligamia, divorzio facile, concubinaggio e segregazione femminile.
Attraverso il suo messaggio spirituale ed etico, il Corano pose le basi per un possibile
cambiamento predicando l‟uguaglianza tra i due sessi, cambiamento che fu atteso
20 Versetti riguardo l‟hijab nel sacro Corano, http://www.islamicsufism.com/it/verses_hijab.html
21 Cfr. Jolanda Guardi, L‟Islam, Xenia, Milano,1997, p. 94
22 Cfr. E.Heller, H. Mosbahi, op.cit., p.95